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Cloé’s Requiem (1° PARTE) – Appendice: Personaggi multidimensionali

Essendo questa storia character-driven, come disse PaoGun poc’anzi con tutte le sue giustificazioni del caso, è nostro dovere focalizzarci quindi sui personaggi. Possiamo finalmente iniziare la nostra avventura!

Prima di entrare nel vivo, però, ci tenevo ad introdurre questo paragrafo con il fatto che questo titolo fu una delle opere che mi diede un’introduzione al come si danno sfaccettature ad un personaggio, al come sottintendere certi particolari della sua indole, e in generale al concetto di character analysis, che farò qui, dal character design fino alla rappresentazione di certi particolari inquietanti. Sicuramente non mancheranno delle critiche alla scrittura generale (perché, come verrà detto nella seconda parte, questo titolo soffre di gravi problemi anche a livello di scrittura, soprattutto della sottotrama soprannaturale…), ma… Aspettatevi i risultati di anni e anni di studio su questi ragazzi (in buona parte fatto anche da Pao), e preparatevi ad immergervi nella multidimensionalità dei personaggi di Cloé’s Requiem.

Saranno ordinati dal caso meno “interessante” a quello più complicato e divertente da analizzare, quindi…

Charlotte – La “maid” giapponese… In Francia?

Si, come avrete capito, la cameriera stalker Charlotte è il personaggio meno profondo del gioco.

E dai, mi capirete, guardatela già dal design!

(Non ho un’idea precisa di chi sia il ragazzo a sinistra. Viene da un gioco che Buriki Clock sembra sponsorizzare molto…)

È uno dei personaggi su cui mi offendo di meno, anche quando Buriki Clock fa le sue becere operazioni di marketing!

E questo è semplicemente perché è quella che segue di più lo stereotipo da cui il suo personaggio parte, quello della dandere giapponese.

Si, i fan di Puella Magi Madoka Magica hanno pensato subito a lei, la versione passata di Homura Akemi: ragazzetta timida con occhiali e treccine.

Apro questa parentesi: non so se sono solo io, ma soprattutto nelle opere nipponiche le treccine sono viste sempre come un simbolo di debolezza… Forse Charlotte con i capelli sciolti diventerebbe così?

Per chi ha visto il link, o semplicemente conosce lo stereotipo dandere, è possibile che mi dica:

“Dandere?! Charlotte non è per niente dolce, è una st-”

Infatti, sono d’accordo!

È praticamente una delle poche cose che la stacca dallo stereotipo della cameriera, appunto, dandere, devota al padrone, timida (soprattutto con l’altro sesso), in generale chiusa e taciturna (prima di essere ossessionata da Michel, dopotutto, lei non parlava neanche molto, ciò è perfettamente in linea per un personaggio dandere).

Però, ahimè, questa caratteristica dell’essere comunque delle cattive persone, pur basandosi sullo stereotipo della “ragazza timida” … Charlotte la condivide con un altro personaggio (e quindi, credo con tanti altri).

Toko Fukawa da Danganronpa: Trigger Happy Havoc.

Anche Toko, pur balbettando, avendo gli occhiali e… Beh, le solite treccine che, ora, colleghiamo ad un’idea di “debolezza” in generale, è una ragazza molto acida e antisociale.

“Why does e-everyone keep making fun of me…? I hope you all win the l-lottery and get hit by a b-bus…”
-Toko nel Capitolo 3 di Danganronpa Trigger Happy Havoc

“I’d love to s-scoop out that nasty brain of yours, throw it on the g-ground, and spit on it!”
-Toko nel Capitolo 5 di Danganronpa Trigger Happy Havoc

E ciò, assieme al suo atteggiamento a tratti quasi isterico quando è stressata/irritata, per me la rende un personaggio più particolare.

…A differenza della nostra Charlotte.

Seppur condividano entrambe le trecce, una abilità di relazione con gli altri pari ad uno sgabello e l’ossessione per la persona seria di turno (nel caso di Toko, Byakuya Togami) … Charlotte risulta molto più blanda come personaggio, dato che arrossisce spesso, ecc…

Però, parlando della sua ossessione per Michel, nel caso di Charlotte si aggiunge il fattore dell’oggettificazione (ripeteremo spesso questa parola, tenetela a mente!) di Michel, associando la sua figura a sicurezza e stabilità, dato anche il suo talento con il violino (che lo rende utile e capace a fare qualcosa, rispetto a lei che può solo pulire), eppure c’è qualcosa che non mi torna…

Ecco, questo carattere da… Pettegola? Non lo capisco proprio. È una ragazzina introdotta da poco nell’alta società, non credo che abbia avuto nella sua educazione l’indottrinamento a questo modo di fare (come vedremo più avanti con Pierre).

Eccola qui. Lei è Becky. Abbiamo voluto proporre una citazione d’onore a questo anime, Shōkōjo Sēra (Lovely Sara), che ha preso riferimento dal libro “La piccola principessa” (1905) di Frances Hodgson Burnett e come alcuni, forse, potranno ricordare se appassionati degli anime storici degli anni ’80, parla di una bambina molto ricca caduta in disgrazia a seguito della morte del padre, costretta a vivere in miseria e a lavorare come sguattera per il collegio a Londra in cui era ospitata. Tenevamo a citare quest’opera in particolare anche per fare un confronto tra prodotti audiovisivi nipponici che parlano di un certo contesto storico che ha vissuto l’Europa. Quello di cui stiamo parlando è certamente la Rivoluzione Industriale, fenomeno che si è accompagnato tristemente al tema della divisione della popolazione in classi ed in particolare allo sfruttamento del lavoro minorile di cui la serie parla, ci sembrava molto interessante introdurre l’opera da questo punto di vista.

Vi propongo un rimando alla superlativa colonna sonora dell’anime.

Aggiungo minuto 5.52 alla lista

Prego.

Ora, forza. Provate a immaginare Charlotte pulire i pavimenti di casa Alembert mentre cerca di stare bene attenta a non farsi vedere troppo tempo in giro dai residenti della casa. Perché la realtà sembrava essere questa, nei confronti dei lavoratori più umili.

Il personaggio di Becky nell’anime condivide la stessa storia di vita della nostra Charlotte, eppure oltre ad avere un carattere più spigliato pur essendo una ragazza dolce, non è cresciuta adottando i meccanismi che muovono la società borghese del tempo, quindi non ha sviluppato neanche la malizia che Charlotte dimostra molteplici volte

…Perché è molto più facile per un ragazzino essere empatico nei confronti dei suoi coetanei!

Questo errore si poteva sistemare se il bisogno di disegnare personaggi “carini”, assieme a quello di inserire la ragazza timida ossessionata dal protagonista, non fosse stato così importante.
Con le cameriere di casa Ardennes, nella cutscene della madre, vediamo delle ragazze che spettegolano sul fatto che Lady Ardennes sia diventata ormai vecchia, come ricorderete.

Ma quelle ragazze sembra lavorassero lì da un po’, ed essendo (al contrario di quella di Michel, che sembra caduta in disgrazia) la famiglia di Cloé parte dell’alta borghesia, molto probabilmente quelle cameriere avevano lavorato per altri signori. Infatti sono sicuramente molto più grandi della ragazzina che vediamo in casa Alembert.

Quindi, in breve, per sistemare questa parte del suo carattere che non trova una spiegazione molto logica sarebbe bastato dare a Charlotte qualche anno in più, così che potesse fare più esperienza sul funzionamento della società borghese.

Ma chiudendo questa parentesi, torniamo all’impressione generale che si può avere su questa ragazza.

Anche se ha questi momenti…

…Che la staccano un minimo dallo stereotipo, la cameriera di casa Alembert ha poco da analizzare, essendo lei alla fine solo un espediente narrativo per il primo omicidio di Michel (o forse sarebbe morta in maniera migliore dall’essere colpita da un lampadario in testa se non fosse stato così), essendo stata resa volutamente insistente su quel che il ragazzo odia di più.

Infatti lei nutre delle riflessioni che sarebbero palesemente più adatti al personaggio del signor Alembert, che continua (per i suoi fini) a spingere il figlio a suonare e far rendere conto al mondo delle sue abilità, ignorando qualsiasi tipo di fattore più emotivo come il litigio con Pierre, anche se dal punto di vista di Charlotte è stato messo giù come un “odio” che Charlotte prova verso l’altro gemello…
Ma, comunque, i concetti che la rendono solo un “trigger” per Michel non cambiano.

E infatti:

 

Eh, cara Charlotte, del tuo caro e psicolabile “young master” ne parleremo dopo…

Beh, se vi ha sorpreso l’aggettivo “psicolabile” collegato ad un personaggio come Michel… Nella sua analisi ne vedrete delle belle, ve lo assicuro.

Ma per ora andiamo al fratello, per cui Charlotte provava tanto astio.

Pierre – Un lato della facciata: il dramma dell’apparire

Ho una particolare preferenza per questo personaggio.

Ci viene presentato semplicemente come “il gemello (più… Figo, a detta di alcune fan…) di Michel”, anche lui biondo e con gli occhi azzurri.

…E che si tiene una bretella. Gli sta per caso stretta?

Andremo più nel dettaglio su questa cosa più avanti, ma…
Vi è mai capitato, quando siete davvero irritati, di avere un tick? Di infilarvi le unghie sotto la pelle della mano, mordervi il dorso?
Uhm, alcuni hanno probabilmente risposto di no.

Ahah… A me succede sempre…

Ehm, tornando a noi…
Superficialmente, quel che vediamo di lui prima del suo momento di breakdown, è semplicemente un ragazzo furbo, un po’ sul versante “smug” quando parla della palese ossessione di Charlotte.

Ma quello che lo fa saltare subito all’occhio, sempre parlando superficialmente, è la repressione della sua rabbia riguardo al fratello.

Ma non parleremo esattamente di questo, analizzando Pierre Alembert.
Torniamo a ore prima di questo suo momento di rabbia e liberazione.

Se questo dialogo a primo attrito mi sembra davvero didascalico, il potrait che mostra Pierre me lo fa elevare. Di molto, anche.
Più che un palesisissimo foreshadowing sulla sua frustrazione nel dover continuare ad esercitarsi rispetto al fratello, questa frase con collegato quel sorriso amaro… Me la fa suonare come una frecciatina.

Alla fine, è proprio questo che rende Pierre indimenticabile: l’amarezza costante.

Oh, a proposito di questi ultimi due screenshot.
Avete notato che cambio repentino d’espressione?

Nel penultimo stava ancora cercando di persuadere il fratello nel suonare da solo, dati gli ordini del padre… Quindi cercava di essere più convincente e meno disturbato possibile dalla cosa, anche se sicuramente (per com’è) lo avrà segnato.

Come è ovvio che l’acqua è bagnata, Pierre ha represso qui come ha represso la sua frustrazione da quando ha iniziato a suonare con Michel. È diventato ormai un maestro nell’arte della repressione!

Infatti, subito dopo un’attesa di 60 frame…

“Michel, lo dico per te, devi puntare più in alto…”

L’ha buttata sull’ “amore fraterno” che lui in questa scena palesemente non prova.
Infatti, appena il fratello lo contraddice, con l’infantilità (che analizzeremo più avanti) che lo contraddistingue…

“…Testa di cazzo.”

[…]

Sento le sue bestemmie da qui…

Ma perché e come ha imparato ad essere così, praticamente come una pentola a pressione?
Qui si arriva al motivo principale del perché Pierre sia il mio personaggio preferito (seppur il più complicato a livello di carattere sia suo fratello).

Pierre è figlio del suo contesto.

Non è da poco trovare questi tipi di personaggi, soprattutto nella corrente degli RPG Horror indipendenti. Questo è dato prevalentemente dal fatto che ci si concentra così tanto sui personaggi singoli… Da non prendere per niente in considerazione il contesto in cui essi sono.

Descriviamo Pierre con qualche aggettivo: falso, quindi “bipolare” (non nel senso di malattia, ma nell’accezione che si ha più comunemente del termine), frustrato fino ad arrivare a violenti scatti isterici (che riprenderemo con Michel), spigliato e (volendo) buon oratore.

Ditemi: nella sua situazione nel XIX secolo circa come si comporterebbe un ometto perfetto pronto per diventare gentiluomo?

Sembrerà una domanda un po’stupida, ma come dicevo non è molto comune trovare personaggi così integrati con il loro ambiente. Se le miriadi di opere in costume che è possibile vedere di questi tempi non vi aiutano a trovare una risposta concreta, vi dico io che la società al tempo era anche più marcia rispetto a quella che tanto critichiamo adesso. Seppur io non sappia molto di storia (la parte della letterata che vi dice tutto nel dettaglio la lascio a mia sorella, lei sa di più di me…) posso dire che era basata proprio sugli stessi principi su cui si basa Pierre; tra cui la repressione di sentimenti negativi (come l’odio viscerale) per salvare la propria facciata.

Questa così grande integrazione nell’ambiente viene ovviamente dall’esempio di uomo che Pierre ha avuto per tutta la sua vita, suo padre: classico uomo del tempo molto distaccato verso i figli, anzi disposto a sfruttarli per risalire dalla sua perdita di denaro. Pierre ha quindi imparato anche il come colpire senza essere troppo diretti con le parole.

Ma negli esatti momenti in cui viene usata questa espressione (pierre3-5 nei file di gioco), assieme al dettaglio costante che c’è in ogni suo potrait, ovvero tenersi la bretella destra, la facciata si rompe per quei cinque secondi di “…………..”, solo per poi far vedere di nuovo Pierre fingere.

Vi ho fatto una domanda, prima:
“Vi è mai capitato, quando siete davvero irritati, di avere un tick? Di infilarvi forte le unghie sotto la pelle della mano, o mordervene il dorso?”

Ecco, se prendiamo in considerazione la sua natura da persona repressa, possiamo interpretare la tenuta della bretella come uno di questi tick di cui parlavo prima.

Secondo me è questo che lo rende davvero inquietante come personaggio; dimostra (seppur marginalmente perché il gioco si concentra poi su altro) anche da una parte gli effetti dell’educazione del tempo…

Che alla fine gli ha fatto male a livello mentale (ovviamente, no?). Non essendo un uomo già stabile mentalmente (e, anche in quel caso, molti finiscono per impazzirci per i sentimenti accumulati), ma un adolescente alla fine: l’età più instabile di tutte a livello emotivo. L’abitudine alla pesante costrizione da parte di suo padre e ad un confronto così diretto (date le critiche della gente) con il mondo e con suo fratello l’hanno portato a scatti violenti, pensieri d’odio verso chi ci tiene a lui, e momenti di isteria pura… Che ha dovuto sempre coprire alla fine con la falsità.

Pierre, alla fine, rispecchia un po’ l’idea del tempo che si aveva dei ragazzi come degli adulti in miniatura. Infatti agli occhi di alcuni giocatori, Pierre è diventato nient’altro che un verme represso, pronto a minacciare il fratello di uccidersi.

Beh… Per passare al prossimo personaggio, spostandoci da casa Alembert…

“And I’m certain, life is terribly hard…”

Cloé – “Façade”, nella sua completezza

“When your life’s a façade!”

Eh sì, ora parliamo di questa povera ragazzina. Si, se non l’avete capito mi fa davvero tanta tenerezza e… Pena.
Beh, già dalla continuazione del brano avrete capito che anche con lei parlerò di volti molteplici, sicuramente.
A ciò, però, ci si poteva arrivare già solo guardandola in… Faccia. Haha. Sono simpatica.

A parte la sua espressione, su quel faccino, sotto quegli occhietti viola rotondi, che suggeriscono un personaggio tanto carino, tanto (seppur odi usare questo termine per lei…) “moe”…

Non è una caratteristica della produzione astrale, quando è già morta, il potrait che ho preso in considerazione ha il nome di “cloe life 1-1”, quindi è stato usato nei flashback del gioco. Quindi possiamo considerarla proprio una cosa del suo design, che ci suggerisce fin da subito la sua doppia…

(Ogni volta mi piace notare il dettaglio che la pelle della Cloé vivente dei flashback e quella della produzione astrale sono diverse)

Tripla…

Quadrupla faccia.

Okay… Qui dobbiamo andare già con molta calma… Analizzeremo ognuno di questi atteggiamenti di questa povera stella.

Prima facciata: Produzione astrale – “Malinconia kawaii”

Si, è un titolo abbastanza strano. Ma se prendiamo in considerazione come si atteggia in questo stato… Potete capire.

Essendo io una cosiddetta “basic bitch”, l’atteggiamento di Cloé in queste scene mi ha fatto sempre sorridere, è tanto carina lei!
Soprattutto quando ne conosciamo il passato, il giocatore è portato a provare empatia per questa povera ragazza traumatizzata dall’infanzia per via di un mostro che si è ritrovata come padre (che poi ha condizionato l’intera famiglia ad abbandonarla a sé stessa.)

Questo è soprattutto per via dell’elemento con cui vi sto tartassando.

(Scarface, 1983.
Si, si, sono sempre io, Ele, a scrivere questa parte dell’articolo, ve lo assicuro.)

Così come per Pierre (anche se a dirla tutta per me Buriki Clock ha fatto un lavoro magistrale con le espressioni di tutti i personaggi), i potrait di Cloé per via di come è stata strutturata la sua intera espressività facciale tramite i grandi occhi viola comunicano quasi sempre malinconia, anche se ha un design per cui alcuni la considerano una “loli”.

Beh, dopotutto Nanashi No Chiyo stessa, parlando della cugina, ha esternato la sua abilità per il character design anche in un’intervista.

Nubarin’s drawings have different facial expressions depending on the character. A bright character has a cheerful laugh, and a cool character has a modest laugh. It also depends on their personality. You can tell which character they are by just looking at their face without the hair.

Infatti, avrete notato già nel primissimo potrait che vi ho mostrato che ha per la maggior parte del gioco le sopracciglia, anche solo un po’, arcuate. Questo, salvo in alcune espressioni, le dà molte volte uno sguardo perennemente triste, per quanto la bocca sorrida.

Quindi possiamo dire benissimo che il vero dramma di Cloé non è la sua maledizione, che stava “prendendo il sopravvento” prima della sua morte… Di quella, però, parleremo alla fine.

Seconda facciata: Il diario – “Io sono umana”

Queste frasi, per quanto anche didascaliche, non falliscono mai nel rendermi triste. Nel diario di Cloé ci viene mostrata la sua parte più seria e addolorata, quella che ci ha sempre nascosto fino alla fine del gioco la sua produzione astrale.
Cosa dire? Una ragazzina dall’infanzia calpestata, come dissi qualche riga fa, che però ha sempre capito che quel che ha sopportato è ingiusto (a differenza di Pierre, che ha finito per imparare dal suo genitore abusivo).

[…]
“Friendliness, gentleness,
Strangers to my life,
They are there in his face…”

[…]
“I am in love with the things
That I see in his face –
It’s a memory I know
Time will never erase…”
Sympathy, Tenderness
(Jekyll&Hyde: The Musical)[2]

So bene che il tema di quest’articolo è collegato a Façade, ma non mi sono trattenuta dal citare quest’altra canzone del musical.

…Ma che alla fine è finita per fidarsi di quello che (come vedremo nel suo paragrafo e come vi era stato introdotto da PaoGun) alla fine, quando sarebbe tornato da lei per “salvarla”, avrebbe condiviso le frasi in rosso con il suo stesso predatore, colui che rappresenta alla fine quello che è davvero… Sfortuna, chiamiamola così, diversa da quel che intenderemo più avanti come “maledizione”:

L’oggettificazione.

Si, ve l’ho messo in italic, bold e ho reso anche più grande il testo.
È un tema praticamente centrale nel gioco, soprattutto quando si parla di Cloé.
Ve l’aveva introdotto anche PaoGun nella sua parte di articolo, questa ragazza è stata oggettificata praticamente da tutti, a partire dai suoi stessi genitori.

“Non sono la bambola di nessuno”
(lo interpreto anche in generale come “giocattolo”)
Né un animale da compagnia”

“Quell’animale di pezza”
[…]

“Tu esisti per me. Perché sei mia figlia.”

[…E altre frasi simili, ma l’oggettificazione potete capirla benissimo dato quel che Alain ha fatto a Cloé]

“Nessuno la pensa così.
Né papà. Né mamma.
Nessuno.”

“…Non arriva nessuno”

Quindi, dopo questo bel momento quasi strappalacrime…

Come avrà reagito la fragile mente di Cloé a questi traumi collegati alle persone malate della sua vita?

Terza facciata: Cursed Cloé – Le maledizioni come malattie

Ha creato un’altra Cloé.

Ora, finalmente siamo arrivati al main event per quanto riguarda ‘sta ragazza.
Questo è perché sfruttando la facciata della “maledizione” vorrei introdurre un’intera teoria su cui si basa anche il titolo di questa… Parte di paragrafo.

“Le maledizioni come malattie”

Ora, io non conosco così bene la psicanalisi per fare delle diagnosi complete, (quando ci sarà da farle, mi aiuterà Pao) ma ragionando assieme a mia sorella abbiamo tirato fuori questa teoria. Su cosa si basa?

“Insomma, questa rappresentazione e continuo distanziamento che il libro prende, sotto forma di titolo investigativo, dal beneamato da tutti Dott. Jekyll, potrebbe ricordarci sicuramente il livello di distanziamento e demonizzazione che si fa delle maledizioni.”

Disse Pao, nella sua parte dell’“Asso Nella Manica”. Sicuramente le maledizioni vengono prese sia da Cloé, sia da Michel, come “cose” separate totalmente da loro…
Ma secondo me, nel caso di Cloé, questa cosa non è totalmente falsa.

Tornando al classico che abbiamo preso in considerazione per molte parti di questo Back To The Future… Se Jekyll si è separato totalmente dalla sua parte malata e, nel suo caso, anche omicida… Cloé l’ha fatto inizialmente tramite la dissociazione mentale.
Come dissi inizialmente, ha “creato un’altra Cloé” come strategia adattiva per il suo trauma (tenete in mente i termini “strategia adattiva”, torneranno anche nel caso di Michel).

Quindi, per chi sa un po’ come funziona la psiche umana…
Si, Cloé Ardennes soffre di DID, Disturbo Dissociativo dell’Identità.

Per chi non ha capito ancora questo discorso che vi dico, faccio fatica anch’io a spiegarvi, possiamo aiutarci insieme con Wikipedia, anche se non sono consigli clinici veri e propri:

“I sintomi come l’amnesia dissociativa, la depersonalizzazione e la fuga dissociativa sono correlati alla diagnosi del DDI e non vengono mai diagnosticati separatamente.”

Immagino sia un chiaro esempio di “depersonalizzazione”
“Non sono Cloé.”
“La vera Cloé è stata maledetta.”

E se prendiamo in considerazione il fatto che si è dissociata come strategia adattiva… Abbiamo una fuga dissociativa.

“Per fuga psicogena o dissociativa si intende un improvviso, inaspettato allontanamento dal proprio ambiente, con incapacità a ricordare il proprio passato, confusione riguardo alla propria identitàe parziale o completa assunzione di una nuova personalità.”

Assunzione di una nuova personalità, quando ha ucciso suo padre…

Inoltre…

“La maggior parte dei pazienti affetti da DID aveva subito abusi sessuali o fisici
[…]

Credo che tutti i pezzi si uniscano: Cloé è una ragazzina malata, prima di essere una ragazzina “maledetta”.

La maledizione della casa, che ha approfondito Pao nella sua parte di questo grandissimo paragrafo, ha fatto semplicemente in modo di dividere dal punto di vista fisico le due parti nella testa di Cloé, quindi rappresenta appieno la sua dissociazione mentale, che però aveva già fatto in passato, quando sentiva che stava subendo gli effetti di “una maledizione”.

Quindi, Cloé dopo la morte si è divisa in due facciate differenti.
Ma la Cloé che scrisse di tutti i suoi tormenti e dispiaceri nel suo diario, la Cloé che fu segnata davvero dagli abusi subiti… È quella che vedrete se sovrapponete queste due CG.

Cloé non è né un “orsacchiotto”, né un demone se si ribella a questi trattamenti.

Lei non è né lo spirito dolce e quasi santo di una morta, né una bestia sanguinaria consumata da una maledizione. Cloé, alla fine, è solo una ragazza malata. Una persona, come lei stessa sottolinea.

O almeno questa sarebbe stata la morale dell’intero gioco (capirete il perché più tardi) se non ci
fosse stata una certa sottotrama!

Vi suggerisco solo un piccolo indizio. Per chi conosce il musical da cui stiamo prendendo ispirazione può intuire che in tutto questo non abbiamo mai citato un brano….

…Un certo brano che si chiama “Confrontation”. Questo perché Cloé non ha mai avuto la possibilità di confrontarsi realmente con la sua maledizione!

Il suo personaggio aveva un ottimo potenziale ma, come avete visto, tutto quello che abbiamo descritto qui sono facciate. Le numerose sfaccettature della sua personalità non si incontrano mai, non abbiamo mai l’occasione di vedere una vera e propria cronologia del suo cambiamento psicologico.

Il motivo? Beh, lo vedremo nei Difetti dell’Opera il motivo.

Perché questo gioco, oltre alla poca chiarezza (ripetiamo nuovamente che nel paragrafo dedicato spiegheremo ovviamente il perché è poco chiaro) ha anche una falla pesantissima che causa un sacco di contraddizioni e che ha ostacolato la costruzione del personaggio di Cloé.

Per il momento quindi rimaniamo fermi a questo punto e torniamo a concentrarci sull’interpretazione della personalità multipla.

Ora mi direte:

“Mio Dio, se Cloé soffre di questi problemi, Michel che diavolo ha in testa?!”

Lo vedremo presto. E ho paura io, che lo so da anni e devo scrivervelo.

Michel – …Cristo.



…Okay, iniziamo!

Non lasciatevi ingannare dal suo bel faccino. Potreste pensare che è il tipico ragazzo kuudere, infantile, problematico… Ma in realtà è molto peggio.

Michel Alembert. Come posso iniziare a spiegare Michel Alembert?[3]

Per comprendere totalmente questo personaggio… Andiamo dall’inizio della vita che noi conosciamo, va bene? Poi ci allargheremo…

Si, la mia paura di parlare di lui è papabile, perché semplicemente non voglio mancare alcun dettaglio da almeno dieci anni di analisi solitaria (da parte mia e di mia sorella) su questo ragazzo!

Quindi… Si, essendo lui il protagonista, quindi l’unico che ha un character development effettivo, ed essendo anche il personaggio più complesso del gioco… Dovremmo dividere il suo cammino in parti, e dovremo seguire gli eventi cronologici al posto dell’intreccio.

Fase 1 – La diagnosi

Prima di passare al tema principale di questa prima fase, ricapitoliamo qualche elemento cruciale della vita di Michel. Aiuterà con la sua diagnosi finale.

Ovviamente, per come suo padre lo tratta, Michel ha dei dubbi sul fatto che lo stia effettivamente usando.

Con questo dialogo che accade qualche giorno dopo… In cui ci spiattellano l’informazione praticamente in faccia, sappiamo che i dubbi di Michel sono fondati.

Ma il dialogo successivo sarà probabilmente più importante del precedente, dato che è quello che fa arrivare al limite il ragazzo.

“Dopo aver passato i vent’anni, sarà una persona ordinaria.
Meglio usarlo ora, quando possiamo…”

Questa battuta (strutturata anche meglio a livello di dialogo), ovviamente lo segna. Soprattutto per il termine “usare” che ha utilizzato suo padre per parlare di lui.

Qui ritorna un caso più o meno analogo a quello di Cloé, e un altro tema centrale del gioco: lo sfruttamento dei fanciulli, seppur da diversi punti di vista. Lo abbiamo molto marginalmente anche con Charlotte.

Questa scena, dove si confermano i dubbi di Michel sul suo palese sfruttamento, avviene dopo la “morte” della gatta di Michel, Cloé.

Ecco, andiamo per un attimo alla gatta, e il perché l’evento della sua “morte”, aggiunto alla rivelazione dei sospetti fondati di Michel, l’ha fatto arrivare all’estremo (anche se, questo lo vedremo più avanti nella sua diagnosi, lui era un soggetto già disposto).

-Cloé, oggetto transizionale-

Mi sono sentita in dovere di mettere un titoletto a questa parte, seppur rientri nel primo pezzo di questo lungo paragrafo su Michel.

La ricordate la sua gatta, no?

“Sento… Che mi sta confortando, in qualche modo.”

Quel potrait, a mio avviso, è davvero inquietante.
Davvero, per come è veloce il cambio d’espressione sembra un jumpscare.

E sapete cosa vi dico? Che quel potrait è perfetto per la situazione!
Anzi, è più che altro perfetto per la parallela che vi farò vedere più avanti, dato che in questa scena Michel sembra non avere alcuna colpa, dato che si prende cura di un gatto che lo ha aiutato a passare quel momento difficile.

Ma perché allora ho usato termini più “gravi” come “oggetto transizionale”?

“L’oggetto transizionale è spesso il primo possesso “non io” che appartiene veramente al bambino. Questo può essere un oggetto reale come una coperta o un orsacchiotto, ma altri “oggetti”, come una melodia o una parola, possono anche svolgere questo ruolo.”

Beh, si, avete presente lo stereotipo nei film del bambino (magari un fratellino) più piccolo che ha sempre un qualche tipo di orsacchiotto in mano? Ecco, collegate questo discorso a questo.

Ma vorrei collegare questa parte precisa del concetto a Michel…

“L’oggetto transizionale è spesso il primo possesso “non io” che appartiene veramente al bambino.”

Non preoccupatevi, capiremo tutto più avanti con la scena che soprannominiamo “How Filthy”.

Per ora volevo solo introdurvi il concetto dell’”oggetto transizionale” collegato a Cloé… Assieme a quel potrait inquietantissimo.
Come dicevo, rivedremo tutto questo più avanti, e quando rivedrete questo concetto… Ooh, lì inizierà il vero motivo per cui Cloé’s Requiem è un gioco “horror”.

Possiamo però concludere che, molto probabilmente per la mancanza di affetto familiare, (suo padre lo tratta come lo sappiamo, la madre… Non è pervenuta, forse è morta, o qualcosa del genere. Se qualche fonte ci può confermare che la signora di casa Alembert sia deceduta, credo che ciò possa rafforzare ancora di più la mia tesi finale) Michel non sia ancora arrivato completamente alla fase in cui ci si stacca da un oggetto transizionale.

Ora, senza andare in discorsi più clinici complicati e anche inutili, Michel ci è descritto continuamente come infantile.

“…Per via dei tuoi desideri infantili, mi dai sempre un sacco di problemi!”
Qui ancora una volta possiamo notare il come Pierre, pur essendo il fratello minore, guardi Michel dall’alto in basso, avendo capito come funziona il mondo prima di lui.

“È vero. Si lamenta, fa i capricci…”

“…Come un bambino” aggiungerei.

Questi sono solo due esempi. Quindi la tesi di un mancato sviluppo da questo punto di vista, per via della mancanza di affetto (o un improvviso distacco da esso, se la madre dei due fratelli si conferma morta), a questo punto è totalmente possibile.

Ma oltre al bisogno costante di qualcosa che lo conforti, che effetti ha provocato questa mancanza nella vita di Michel, dal punto di vista del suo comportamento?

Aiutiamoci ancora una volta con Wikipedia, come abbiamo fatto con Cloé.

Molti dei punti citati saranno collegati alla scena del suo primo omicidio, quello di Charlotte, anche se non mancheranno punti precedenti a questa.

Attenzione, però. Michel non è sceso completamente nel baratro della comunemente chiamata “psicopatia”. Michel per tutto il gioco è stato un soggetto molto predispostoe che ne stava iniziando a mostrare i sintomi. Semplicemente se non fosse stato aiutato in tempo (come vedremo nella terza parte, “La terapia”) sarebbe combaciato perfettamente con queste descrizioni… Perché alcuni atteggiamenti, anche all’età in cui ci viene mostrato nel gioco, ci si avvicinano paurosamente.

Si, ci siamo arrivati, siamo al titolo di questo paragrafo.

“La psicopatia può indurre a commettere atti di una crudeltà impressionante, in quanto non è possibile alcun feedback sulle emozioni provate dalla vittima.”

“Eh?”
Ma che reazione è, quando vedi una ragazza morente che chiede aiuto?!

La cosa ancora più “bella” è che lui… Se ne va. Fugge. E lascia Charlotte lì.

“Gli psicopatici ottengono soddisfazione dal loro comportamento, e non provano colpa né rimorso per le proprie azioni. Su qualsiasi minaccia o danno causato a terzi, gli psicopatici non provano vergogna né senso di colpa, mentre invece razionalizzano il proprio comportamento, incolpando qualcun altro o omettendo qualsiasi responsabilità”

“Se sono colti in fallo o posti di fronte a domande impreviste, semplicemente rielaborano la propria narrazione per adattarsi alla nuova realtà senza fermarsi a riflettere sulle cose.”

Si, questi pensieri vengono in maniera direttamente successiva tra loro.

“Hare (uno studioso, sembra) scrive di un assassino condannato che ha parlato dei propri omicidi in maniera del tutto spassionata, in un modo disinteressato”

«Ho dovuto rubare a volte per uscire dalla città, sì,
ma io non sono un criminale del cazzo»
-Ted Bundy, famoso serial killer

(Qui abbiamo semplicemente la famosa “propensione alla menzogna” degli psicopatici”)

Ma anche prima di questo momento, i sintomi che Michel mostra come soggetto a rischio ci sono anche in scene come

“Sono noti per rompere le relazioni, i piani e lasciare i lavori a metà

“Generalmente non sono imbarazzati o preoccupati per la mancanza di successo nella vita.”

“Sul posto di lavoro, anzi, sono noti per la frequenza irregolare, assenze frequenti, ed inaffidabilità.”

…Ci sono chiari segni di un soggetto propensoa soffrire successivamente di una forma di psicopatia.

Ma perché sottolineo sempre i termini “propenso” o “a rischio”?

“Gli psicopatici non percepiscono le proprie emozioni come le persone normali: alcuni medici le hanno descritte come semplici “proto-emozioni” ovvero ‘primitive risposte alle esigenze immediate’”

Vi sembra una proto-emozione, questa?

Delle reazioni come queste combaciano con quest’altra frase?

“Anche se gli psicopatici non sentono le emozioni in profondità, spesso fingono di farne esperienza.”

Assolutamente no.

Ecco, ricordate questa parte? Dove la citazione diceva:
“Se sono colti in fallo o posti di fronte a domande impreviste, semplicemente rielaborano la propria narrazione per adattarsi alla nuova realtà senza fermarsi a riflettere sulle cose.”

C’è un’incongruenza. Michel in realtà riflette sulle sue azioni, le domande di cui ri-elabora le risposte se le fa lui stesso.

Inoltre, mostrandovi gli screenshot di prima, volevo farvi notare che in Michel non si è ancora sviluppato completamente l’elemento principale che contraddistingue gli psicopatici: la mancanza di empatia.

Anche se dimostra molte volte (soprattutto nelle situazioni che gli danno fastidio) un comportamento distaccato (diamine, lo stereotipo del kuudere su cui è basato trova le sue fondamenta in questo!) non si vede mai, a parte durante i suoi scatti di violenza, una mancanza totale di empatia nel personaggio.

Ma anche se abbiamo questi segni che ci possono far tirare un sospiro di sollievo nella sua salute mentale… Beh, il suo personaggio viene messo spesso in parallela con quello di Alain Ardennes, uno dei più grandi mostri che abbiamo visto in questo gioco.

Fase 2 – I danni

“Sympathy, tenderness,
Warm as the Summer,
Offer you their embrace.”

“Friendliness, gentleness,
Strangers to my life,
They are there in this face”

“Goodness and sweetness
And kindness
Abound in this place!”

(Immagini dalla produzione di Jekyll&Hyde del 2012 con David Hasselhoff)

[…]

Sympathy, Tenderness (Reprise)
(Jekyll&Hyde: The Musical)

Lo so, con quest’introduzione vi avrò fatto venire un infarto… Ma vi sarà spiegato tutto. Per ora, concentriamoci sull’ultimo screenshot.

“Ti amo.
…Buona notte, mia Cloé”

Anche all’inizio del gioco Michel ha una frase in rosso simile, dove considera Cloé come “sua”.

L’avete vista anche nell’introduzione del suo paragrafo, no?

Cosa? “Non è sua?”
“È detta da Alain?”
“Stai male interpretando tutto?”

Ah… Devo ricordarmi di non avere a che fare con chi si è giocato Cloé’s Requiem almeno 10 volte.

Allora… Partiamo dai fatti successivi alla scena del suo primo omicidio, va bene?

 

“Ho ucciso un animale per divertimento. Poi sono diventato dipendente. Ci sono sempre gatti ed uccellini morti in camera mia.”
-Diario di Alfred Drevis, Mad Father

“Le loro vite non valgono così tanto…”
(Parlando di un criceto)
-Yuuya Kizami, Corpse Party: Blood Covered

“Precoce sadismo, spesso espressa come crudeltà verso gli animali”

Okay, avete capito quanto può essere grave la sua situazione?
Bene, passiamo a qualcosa di ben peggio, che vi aiuterà a capire il significato della frase “Mia Cloé, mia e mia soltanto” collegata a Michel.

“E’ come se l’avessi uccisa”

…Anche se, per dire, poteva essere sopravvissuta scappando e quindi poteva anche essere viva.

“Se mai tu dovessi andare via da me… Anche se avessi vita, per me sarebbe come se fossi morta.”

Questa frase c’è dopo il primo flashback di Cloé, quello con la Moonlight di sottofondo. Alla fine dello spettacolo e convenevoli finali, prima di scendere al piano terra illuminato… C’è questa frase, totalmente fuori contesto.

Non credete che questi ultimi screenshot si colleghino fin troppo bene alla situazione di Michel con la sua gatta?

“È andata nelle montagne da sola, senza di me. Quindi per me è morta.”

Quindi, se entriamo nella mentalità che le frasi in rosso, che sembrano totalmente fuori contesto, sono in realtà specchio delle situazioni di Michel e pensieri di Alain, alla fine…

Si, il gioco ci da una correlazione palese tra i due.

Non preoccupatevi, prendetevi un tè. Vi faccio attutire il colpo…

Perfetto, break time finito! C’è ancora tanto da dire, dai!

Ma a cosa serve questa correlazione? A farci inquietare ancora di più quando parliamo di Michel?
…Non esattamente.

“Ahh e dai! In quella scena Michel era stato posseduto da Alain, il collegamento è ovvio che ci sia!”

Uhm… Più o meno.

Per arrivare a quel momento, che analizzeremo più tardi, si passa per vari stati…

(Si intende Cloé. Hm… Gli fa recuperare sanità mentale… Ci arriveremo più tardi.)

(Questa opzione di dialogo è possibile ottenerla PRIMA di aver letto il diario di Cloé)

“Ma sei normale?”
-Io, Ele, dopo aver avuto questa opzione, circa un anno fa

“No! Non lo è!”
-Io, a scrivere quest’articolo alle 18:02 del 29/12/2020

Questa opzione apparentemente inutile… O fatta solo per far vedere Michel arrossire, in realtà è mooolto preziosa per la scena che ora analizzeremo…
Finalmente, ecco a voi la scena di cui nessuno sembra aver capito niente

– “How filthy” –
oppure
 –Cloé, oggetto transizionale: Parte 2-

Quindi, abbiamo già appurato che Cloè (si, per comodità d’ora in poi differenzierò le due dall’accento… La gattina nera avrà l’accento grave – Quindi Cloè, la ragazza quello acuto- quindi Cloé) ha svolto la funzione di oggetto transizionale per Michel nella sua vita, finché essa non è “morta” ai suoi occhi.

Ma hey! Una ragazza con i capelli scuri e atteggiamento innocente è ancora viva!

Una cosa che alcuni hanno capito è stata questa.

Michel, malato com’è, pensava che Cloé fosse la reincarnazione umana di Cloè.

Si, questo ragazzo ha pensato veramente che Cloé fosse la reincarnazione di un gatto!

…Almeno, secondo questa teoria.

Quella che vi presenterò, invece, credo fili di più con il suo ragionamento.

Ora, ricordiamo sempre il discorso dell’oggetto transizionale.
Michel non pensava esattamente che Cloé fosse la reincarnazione della sua gatta, ma ha inconsciamente (almeno, prima della scena da cui viene lo screenshot di sopra) reso Cloé una sostituta del suo primo oggetto transizionale, Cloè.

Questo ragionamento spiegherebbe questa scena.

[……..]

“L’oggetto transizionale è spesso il primo possesso “non io” che appartiene veramente al bambino.”

Ricordate?

Quindi possiamo intuire che avendo preso Cloé come suo “oggetto” di conforto, vedere l’album di fotografie del padre l’ha resa “impura” ai suoi occhi…

Ormai Michel aveva collegato la ragazza a qualcosa di bello, qualcosa di puro, innocente e sicuro. In quest’esatta scena, lui si ritrova a smitizzarla, descrivendola come “sporca”.

Una motivazione aggiuntiva potrebbe essere il perché qualcun altro l’aveva toccata. In quasi ogni senso possibile.

Quindi l’ha letteralmente usata come oggetto di conforto, arrivando anche alla possessione.

“Ma come? Anche Michel era stato sfruttato e trattato come uno strumento, com’è possibile che abbia trattato Cloé così?”

Torniamo per un attimo a Michel e la rivelazione (oddio, adesso, “rivelazione” …) dello sfruttamento da parte di suo padre.

“…Quindi sono così le cose.”

Mi prendo la libertà di interpretare questa frase con: “…Quindi così gira il mondo.”

Ricordate il caso di Pierre?

“Questa così grande integrazione nell’ambiente viene ovviamente dall’esempio di uomo che Pierre ha avuto per tutta la sua vita, suo padre: classico uomo del tempo molto distaccato verso i figli, anzi disposto a sfruttarli per risalire dalla sua perdita di denaro.”

In questa scena si ha l’esatto momento in cui si verifica la stessa identica cosa.
Seppur lo disprezzi, dato che “alla fine è così che va nella società” Michel ha inconsciamente oggettificato Cloé a sua volta come strategia adattiva per gli abusi subiti.

E questa frase lo spiega.
“Perché devo essere usato da uno così?”
E soprattutto, aggiungo io…
“Perché devo essere io quello che viene usato?”

Quindi, dopo essere arrivati a questa conclusione con Michel… Pensiamo a quella povera ragazza, pensiamo a Cloé. Mio Dio, non fugge mai da questa cosa! Non fugge mai dall’essere oggettificata!

Sua madre, suo padre e Michel…

Tornate per un po’ indietro, quando mia sorella vi ha parlato della fotografia di Cloé’s Requiem.

“La tinta schermo che si fa prima scura e poi sempre più rossa supporta la visione della realtà estremamente psicologizzata del ragazzino, perché in questo punto particolare della trama la regia è tutta è incentrata sui personaggi che sono le vere star del gioco.”

Abbiamo un caso molto più sottile in questa scena… Anzi, nell’intera stanza di Alain.

Le tinte sono blu, quasi violacee. A suggerirci una dimensione parallela e demoniaca, se vogliamo esagerare con l’immaginazione… Ciò è perché il gioco ci tiene a farci, appunto, demonizzare il più possibile Alain come figura, come se fosse una bestia.

Torniamo ancora una volta dal romanzo da cui abbiamo preso riferimento per tutto l’articolo. Pensavate che Michel non c’entrasse nulla con il discorso del doppio, eh?

(Avrei tanto, tanto voluto farci un disegno…
Ma per mancanza di tempo, ecco questo.)

Ed eccoci tornare all’inizio di questo lungo, lungo paragrafo!

Spero che sia stata chiara con questo discorso. È stato davvero difficile per me da fare, essendo anche molto complicato e che toccava un sacco di temi diversi e un sacco di scene diverse…

Quindi, prima di arrivare alla sua terapia, che equivale alle fasi finali del gioco…

Ricapitoliamo quanto diavolo è problematico questo qui, tramite un semplice elenco con un solo screenshot o due ad accompagnare ogni punto… Dove spiegherò anche meglio alcuni dettagli.

  • Michel, essendo sempre stato sfruttato da suo padre, ha sviluppato alcuni sintomi per cui si può intuire che sia un ragazzo che rischi di diventare psicopatico avanzando con l’età.

(Tra cui grande infantilità e alcuna preoccupazione su eventuali insuccessi nella vita, come in questo caso lavorare per suo padre)

  • Inoltre, l’affetto che non ha mai avuto nella sua famiglia (o da cui si è staccato improvvisamente) gli dà il bisogno costante di attaccarsi a qualunque cosa possa collegare a sentimenti positivi, rendendo quindi la prima gatta che trova in casa sua il suo primo oggetto transizionale, a cui dà il nome Cloè.

  • Dato tutto quel che è successo con suo fratello, la scoperta che i suoi dubbi sul fatto che venisse sfruttato fossero fondati e la morte della sua gattina, Michel compie l’atto estremo contro la cameriera Charlotte.

  • Questo è il suo breakpoint, quello che aumenta ancora di più il rischio che diventi irrecuperabile, rendendolo persino disinteressato all’atto dell’omicidio. Quindi, in automatico, rendendolo disinteressato al valore della vita umana.

  • Per scappare da casa sua arriva a casa di Cloé. Il voler aiutarla e l’essere gentile con lei da parte di Michel derivano dal fatto che, somigliando in “innocenza” alla sua gatta Cloè, lui inconsciamente abbia trasformato Cloé nella sua testa nel suo secondo oggetto transizionale.

  • In breve, lui l’ha oggettificata, come ha sempre fatto suo padre con lui, e come ha fatto il padre di Cloé nei confronti della figlia. Questo dà al gioco la possibilità di fare un inquietante parallelismo tra i concetti espressi da Alain e i concetti espressi da Michel, che sono identici in più scene.

  • Quindi Alain può essere la parte “bestiale” di Michel, per via dei suggerimenti dati dalla regia e la stessa possessione e oggettificazione che hanno fatto nei confronti di Cloé, cosa che purtroppo li unisce.
    La tesi del doppio si rafforzerà ulteriormente quando parleremo del combattimento finale contro di lui.

  • L’unica cosa che li differenzia è il motivo dell’oggettificazione di Cloé:
    Michel ha, come fanno molti ragazzi non diagnosticati e/o curati dalle malattie subite tramite abusi, ritorto il suo trauma dell’oggettificazione contro Cloé, come strategia adattiva. Per Alain, era solo mera e malatissima lussuria.

  • Questo spiega “How Filthy”, la scena dell’album di foto:
    Michel, avendo reso Cloé il suo secondo oggetto transizionale, quindi qualcosa di bello, carino, innocente e positivo per forza… Quindi non considerandola neanche più come una persona con i suoi problemi, è più scosso del normale mentre vede l’album di foto di Alain, e la sua considerazione di Cloé si abbassa al punto di considerarla “sporca”.

Vaaaa bene… Quindi, da questo punto…
Come si evolve il tutto? Come ha Michel il suo percorso di redenzione?

Fase 3 – La terapia finale

Okay… Da questa parte in poi possiamo riprendere aria, seguiremo più o meno i fatti cruciali in maniera più o meno perfettamente cronologica.

Durante questo momento…

Per far andare avanti la storia è necessario andare in camera di Cloé.

[…]

E dico, a questo punto, dato che Michel non l’aveva considerata come umana fino al momento che vedremo adesso…

Cloé, cara, pensavi che lui dovesse salvarti?!
LUI?![4]

Ma tornando a noi…

Ecco, da questa scena in poi inizierà quella che chiamiamo la terapia di Michel, per far ripristinare valori che per tutta la sua vita ha solo perso.
In questa scena recupera il più grave: la considerazione della vita umana, che aveva perso con l’omicidio di Charlotte.

“Cloé è uguale a me”
A pensarci, avendo buttato giù l’intera seconda parte in una giornata (che sto continuando adesso, attualmente sono le 21:30), questa frase mi colpisce ancora di più dopo aver descritto Michel come quello che non aveva considerato neanche più Cloé come una persona… Ora la considera sua pari.

[…]

Pur essendo una forzatura grande come una casa per far leggere al giocatore la nota “dietro il pianoforte”, possiamo interpretarla come una “prova del nove” che Michel fa, per testare la sua salute mentale… E anche, volendo, la sua empatia. L’empatia, l’unica cosa che alla fine non ha mai perso e che l’ha salvato dal far progredire la sua latente psicopatia.

Okay, etichetterò questo potrait come “lo sguardo dell’uomo pentito”

Finalmente Michel è sicuro di poter guarire completamente da ehm…
I suoi desideri egoisti, dice lui…

Dalla sua malattia, diciamo noi.

Quindi, anche solo per senso del dovere verso Cloé, si va a scusare.

La risposta di Cloé rappresenta un po’ il giocatore (tra cui me, alla prima giocata!) a quest’intera scena.

 

Davvero, la youtuber italiana che io e Pao abbiamo seguito la prima volta che adocchiammo questo gioco ha reagito con un

“Okay, uhm…E quindi?”

Ma questa cosa la approfondiremo nella seconda parte dell’articolo, nei Difetti (difetti ENORMI, direi) dell’Opera.

Per ora concentriamoci su una cosa… Ricordiamoci, Cloé è rimasta ignara di tutta la concezione malata che aveva Michel di lei…

È una cosa davvero fottuta, a pensarci!

Cioè, se avesse saputo quel che Michel pensava di lei, se lui non fosse mai cambiato e la trama sarebbe andata avanti… La loro relazione sarebbe stata, a insaputa di un sacco di giocatori che ci avrebbero fatto fanart su fanart, tossica a livelli altissimi!

Io… Ragazzi per favore non fatemici pensare, a me Michel fa già paura come persona, pensare che la sua mente bacata si è curata è l’unica cosa che non mi fa cadere in depressione.

Quindi, pensiamo ora alla continuazione del suo cammino verso la sanità mentale…
Si, perché ha ancora una piccola cosa in sospeso da sistemare…

Che non era assolutamente quella rappresentata in questa scena!

Aahh, se il terzo atto di Cloé’s Requiem potrebbe essere messo, per me, nei Difetti Dell’Opera in quasi la sua totalità, questa è una delle scene peggiori!

“Almeno finchè le autrici dicono che mi serve più screentimeee…”

Okay, ci arrabbieremo poi con questi tipi di scene nei Difetti Dell’Opera…
(Vi sto mettendo hype, eh?)

Allora… Prendete quest’interpretazione con le pinze, perché la mia opinione generale di questa scena è che è stata fatta solo per dare più screentime a Charlotte, dato che nel primo piano c’era la stanza con gli occhi a lei dedicata…

…E per far vedere che Michel aveva ucciso suo padre ed un’altra cameriera…

Da questa frase, probabilmente, se prendiamo in considerazione quel che abbiamo detto con Cloé, delle “Maledizioni come malattie” … Si, essendo stato proprio l’omicidio di Charlotte il “breakpoint” di Michel, nel pieno di un suo scatto d’ira…

Si, probabilmente è proprio la rappresentazione del suo rischio di psicopatia…?

Il problema è che Charlotte non si presenta in una fase in cui Michel magari è ancora in dubbio, o sta ancora male… Ma bensì quando è “già in terapia”, quando si sta già redimendo. E inoltre, anche se Charlotte fosse la sua psicopatia latente, Michel non la affronta… All’inizio scappa, poi sta lì impalato, con la povera Cloé (che letteralmente “spawna” nella mappa) ancora ignara di tutto gli chiede:

“Per cortesia, con tutto il rispetto, mi dici che c’hai in testa?!”

Quindi… Si. La “scena grigia” non ha senso.

Così come gli enigmi che avremo dopo di essa… Quindi saltiamo direttamente alla scena importante, okay?

(A parte questa frase, che rafforza secondo me tutte le tesi della parte sui danni della malattia)

Ah e si, la scena con il Notturno di sottofondo serve solo a “svelare” che Cloé e Michel avevano già suonato insieme, quindi salteremo a piè pari anche quella…

E ancora enigmi inconcludenti…
Oddio! Ora capite, in parte, perché nei difetti metto quest’intera fase, personalmente!

Ah, ora finalmente, prima di arrivare alle fasi finali (dal “combattimento” contro Alain in poi, anche se non parlerò dei finali per la stessa ragione che spiegherò sotto) …

“Ma l’intera sottotrama dell’odio di Michel verso il violino?”

Mi spiace non avervelo detto prima, ma quella sarà quasi totalmente nei Difetti Dell’OperaCosì come i finali del gioco, assieme a tutti i passi per ottenere quello vero, ovvero avere l’amuleto protettivo…

Dato che l’odio di Michel verso il violino e non verso sé stesso me lo spiego come se fosse un semplice sintomo ulteriore della sua psicopatia (è stato già citato con Charlotte il “non incolpare sé stessi ma persone o cose terze”) e i finali fanno parte della confusionaria sottotrama soprannaturale del gioco

Avranno la loro sezione.

Ma ora stiamo continuando ad analizzare il cammino di Michel verso l’essere una persona decente.

“Anche questa scena è inutile! La maledizione di Cloé la romperai confrontando quella con i capelli bianchi, che c’entra lui?! Che ha quella là, due maledizioni?!”

No che non le ha…! L’ho detto, parlando di lei!

Sfortuna, chiamiamola così, diversa da quel che intenderemo più avanti come “maledizione”: L’oggettificazione.

“Oh Dio, ancora?”

Eh si, ancora! Ma qui ritorna il tema che avevo detto nella seconda parte di questa analisi lunghissima su Michel, maledetto, D’Alembert!

Sono tre volte che vi metto questo edit in quest’articolo…
Wow.

La sua “parte bestiale” Michel deve ancora disintegrarla completamente, e in questa scena Alain rappresenta un concetto che vi ho introdotto nel re-cap dei concetti della seconda parte dell’analisi.

“Michel, essendo sempre stato sfruttato da suo padre, ha sviluppato alcuni sintomi per cui si può intuire che sia un ragazzo che rischi di diventare psicopatico avanzando con l’età.”

Alain rappresenta proprio questo rischio e sconfiggerlo comporta l’avere la risoluzione di aver recuperato i propri buoni ideali, e di non cadere più negli stessi sbagli in futuro.

Infatti, in un cosiddetto “finale cattivo”, ovvero una terapia fallita secondo la mia visione del gioco, Michel dice di essere “lo stesso di quella volta”:
in breve, dice palesemente di aver fallito nell’essere cambiato, e che diventerà sicuramente un soggetto pericoloso in futuro.

Quindi… Un colpo, due colpi, tre colpi con il martello…

Già, bello, potevi diventare come lui da grande.
Brutta sorte, brutta sorte.

Perfetto, finalmente Cloé viene rilasciata dalla sfortuna che la fa essere sempre presa come un oggetto da tutti…

E soprattutto Michel-

Oh! Si è risposto da solo! Almeno una volta mi hai aiutato a capire che diavolo pensi… Stronzo!

Si, quell’insulto proviene da tanti scleri repressi verso di lui… Entrare nella testa di Pierre mi ha fatto male, eh?

Si! Era quella la causa delle vostre “maledizioni”! L’oggettificazione! Lo sto ripetendo fino al vomito!

Quindi, grazie a questa santa frase, possiamo capire che Michel ha finalmente compreso chiaramente che la sua intera strategia adattiva per porre rimedio a quel che ha sopportato da parte di suo padre in realtà è una cosa sbagliata da fare, che causa odio, relazioni sociali tossiche destinate a finire malamente e sofferenza da parte di chi ti sta davanti!

Prendiamoci un momento per fare un applauso a Michel, che è riuscito a risolvere tutti i problemi mentali di circa, che ne so, otto anni di vita (non so quando ha iniziato a suonare ed essere sfruttato) in una sola notte!

…E che ora, dal True Ending in poi, dovrà fare i conti con un senso di colpa che lo tormenterà per tutta la vita probabilmente, in carcere e pure orfano.

….C’est la vie.

Davvero, rendiamoci conto dell’evoluzione psicologica che ha avuto.

Da questo…

A questo…

A questo!

Il nostro viaggio, assieme a quello di Michel, è stato bello lungo da percorrere…
Ne abbiamo passate tante, solo nell’analisi del suo personaggio, non pensate?

Michel, essendo il personaggio principale, ha avuto un character development a mio avviso davvero magistrale, seppur intermezzato da delle parti anche what-the-fuck, e altre inesorabilmente rovinate dalla trama confusionaria (motivo principale per cui non parlerò dei finali).

Ma da come avete visto nel resto dell’articolo, Cloé’s Requiem vanta in generale di un cast veramente d’eccezione, con quasi tutti i personaggi sfaccettati in maniera davvero-

“Malata! Sono tutti dei malati alla fine, per te!”

Karen, di nuovo?![5]

Ecco, ora mi spiego meglio… Personaggi di cui seguire gli avvenimenti (soprattutto in una storia così character-driven, come disse già mia sorella!) è ogni volta davvero interessante, date le loro situazioni e contesti complicati che hanno creato persone… Si, persone davvero fottute!

La regia, poi, per chi è piaciuto questo gioco con tutti i suoi elefantiaci difetti si dimostra in molte parti interessante e che tratta secondo me con poco dramma temi così complessi su cui altre opere drammatizzerebbero un sacco, nel modo sbagliato e inutilmente, rendendo l’opera di cattivo gusto.

Quindi… Si, almeno secondo la mia opinione personale…
…E la smettete di puntarmi i forconi?
Cloé’s Requiem non è perfetto. Ma proprio no. Cioè in certe parti rasenta lo schifo…

Ma, per questi elementi che vi abbiamo descritto, e che possono o no aver attirato il pubblico (perché ho giusto un piiiiccolo sospetto che sia stato attirato solo dal melodramma), io azzardo a dire che rimarrà uno dei miei RPG Horror preferiti.

…Di cui nella seconda parte scopriremo tutto lo schifo che lo circonda, e saremo arrabbiate entrambe come belve!

“At the end of the day,
They don’t mean what they say,
They don’t say what they mean,
They don’t ever come clean –
And the answer –
Is it’s all a Façade!”

_____________________

[5] Chi avrà letto l’ultimo devlog su The Rebirth Of Franklin Albrecht saprà che ci riferiamo a una persona immaginaria costantemente incazzata con noi

[4] Ciao! Sono una PaoGun selvatica e sono qui per linkarvi un’altra versione della scena del musical di cui Ele vi ha messo gli screen. Vi rimando a questa: Sympathy, Tenderness (reprise) \ Confrontation – Jekyll & Hyde, è la rappresentazione del 2015 con Frank Fernandez ne ruolo del protagonista. Volete soffrire d’insonnia per il prossimo mese? Bene. Ascoltate tutto il pezzo e pensate che quegli urli che sentite nel video da parte della povera vittima sarebbero potuti appartenere anche da Cloé, per colpa dello stesso Michel. Insomma: Hyde uccide Lucy quando scopre che vuole scappare da lui, c’è la reprise di una canzone che era appartenuta a tutte le speranze che questa persona rappresentava per la ragazza, e tra l’altro in un punto del brano sentiamo la voce dell’assassino farsi più acuta del normale, come quella di un bambino. È molto diverso rispetto all’idea della “grande ombra dalla voce rauca” che sentito finora.

[3] Da “Non lasciatevi ingannare…” a “Come posso iniziare a spiegare Michel Alembert?”: Citazione a Janis Ian dal film “Mean Girls”, mentre parla dell’ugualmente indescrivibile Regina George

[2] Nel musical questa canzone ha una ripresa. Ciò succederà anche in quest’articolo.

クロエのレクイエム

Cloé’s Requiem (1° PARTE) – ll business dei fanciulli, le nuove star dell’Horror RPG

Vogliano i signori accomodarsi per poter ricevere il nostro più caloroso benvenuto. Or bene, i ragazzi per cui siete probabilmente venuti a leggere suddetto articolo preformeranno a breve per voi, per farvi saziare delle loro capacità artistiche e non.

Ah, ho detto forse qualcosa di sbagliato?

Ma cosa potrebbe importarvene miei cari in questo momento, diamo il via alle danze e lasciamo che l’introduzione cominci!

Per cominciare a narrarvi questa storia, essendo amanti sia dei classici letterari che dei musical, non abbiamo trovato un modo migliore che “Façade” per raccontare dal punto di vista europeo un gioco ambientato in Europa.

I nostri complimenti sono rivolti alle autrici per la scelta del contesto storico! È così distante da noi, più di due secoli ci separano ormai da quegli individui e da quegli ideali. Capiamo bene che ne avrete sentito la nostalgia…

Quali tra queste società che era quella delle metropoli di tardo secolo ottocentesco ispirati dal puritanesimo vittoriano (e se non oltre, date alcune scoperte scientifiche che si vedono nel titolo) era migliore per raccontare la trama di questo gioco!

Quali tra queste se non una società che mente a sé stessa, affetta da falsità e malizia.

Questi erano perlomeno i temi che riguardavano il libro da cui il brano è tratto, mettendo al centro il dualismo dell’individuo, che in uno dei classici letterari neogotici per eccellenza, “Lo strano caso del Dr.Jekyll & Mr.Hyde”, si scinde a metà.

Egli lotta contro il suo lato più ripugnante fino alla morte; così racconteremo la storia di come due ragazzini prodigi nel mondo dell’intrattenimento –del panorama musicale, si intende– lottano contro i cattivi sentimenti manifestati sotto forma di maledizioni.

INTRODUZIONE

Okay, eccoci qui ragazzi. Perdonate questo “prologo” un po’…Stralunato rispetto a tutte le normali introduzioni che abbiamo fatto. Probabilmente sarete molto perplessi dai concetti che abbiamo appena espresso nell’articolo, oltre che dalla copertina per la prima volta totalmente disegnata da Ele! A proposito, speriamo che vi sia piaciuta.

Cosa potremmo dirvi se non scusarci da un lato e chiedervi di seguirci per comprendere di cosa parliamo quando ci affacciamo a questo titolo.

Cloé’s Requiem è stato per noi una grandissima fonte di ispirazione per la storia, la regia e il racconto dei personaggi (e ci abbiamo chiamato pure la nostra gatta con questo nome!) ed è stata altrettanta fonte di frustrazione per le operazioni di marketing che ne sono conseguite, quello che potrete notare è come gli effetti dell’inserimento del genere nella dimensione più consumista e commerciale si siano fatti sentire per un titolo del genere.

Siamo qui per sviscerare assieme la storia e le caratteristiche di un altro Horror RPG assieme a voi. Quello che possiamo promettere a chiunque decida di seguirci fino in fondo è che seguirà una storia che, crediamo, non dimenticherà facilmente.

Benvenuti alla parte prima dell’articolo su

Cloé’s Requiem

Salve! Salve! È EleRantula che vi parla!

Bene, ragazzi, iniziamo quest’epopea!

Seppur Buriki Clock non sia arrivata ai livelli di fenomeno mediatico di Makoto Sanada, hanno rilasciato ben due interviste su Cloé’s Requiem: una su Famitsu, una per Nicovideo (pare che abbiano partecipato ad un festival proprio organizzato da NicoNico, ma ne parleremo più avanti).

Ma! Per arrivare a quelle dovremmo aspettare al “Rapporto Autore-Opera”, che sarà presente alla seconda parte di questo lunghissimo articolo.

Quindi, per essere più tecnici e ordinati possibile riguardo alla development history iniziamo grazie al loro sito (e grazie, come ogni volta, anche alla traduzione inglese di Google Traduttore, che per quanto maccheronica mi aiuta enormemente) a vedere come esattamente è nato e cresciuto il gioco, per poi allargarci ancora di più nei vari argomenti, che toccheranno poi punti sparsi di questa lista.

Beh. Una lista niente male.

Quindi, iniziamo nell’ottobre del 2013, dopo il primo titolo di Nubarin “Kusoge Story” (letteralmente, ‘Storia terribile’, essendo “Kusoge” un termine giapponese per un videogioco terribile) di cui non ho neanche attuali tracce se non la pagina di Freem!

Credo che oggi la Storia Del Prodotto sarà bella lunga… Oh mamma, è da dividere in parti.

Parte 1: 2013: Un inizio medio per un gioco medio.

2013

“Cloé’s Requiem è stato rilasciato”

Il gioco uscì il 2 Ottobre del 2013, rilasciato su Freem! come molti altri del genere, ed è 11° nei rank di download del sito.

Anche qui, sappiamo l’identità delle autrici del gioco… O almeno come si fanno chiamare: Nubarin e Nanashi No Chiyo (anche se personalmente, dato che viene chiamata Chiyo Nanashi in molte interviste, sospetto che Chiyo Nanashi sia il vero nome del secondo membro di Buriki Clock, il team che formano queste due autrici).

Secondo la pagina Wikipedia Giapponese:

“La produzione è iniziata alla fine di luglio 2013 e Nubarin ha dichiarato di “voler realizzare un gioco horror utilizzando un edificio in stile occidentale.” All’inizio dello sviluppo, il protagonista doveva essere uno scultore, ma poiché Nanashi studiava musica a scuola, è cambiato in un musicista e il gioco è diventato un’opera con il tema della musica classica.”

Inoltre, sembra che Nubarin sia stata ispirata da The Witch’s House.
Cosa diavolo ha a che fare questo gioco con The Witch’s House a livello di sostanza? Non lo capirò mai.

In ogni caso, dopo l’uscita il gioco prese moltissima popolarità.

“E perché mai?”

Beh…

2013

“Cloé’s Requiem vincitore del ‘Fighting Fighting Award (Horror Classic Award)” al Nico Nico Self-made Game Festival 2”

Ecco qua il perché!

Cloé’s Requiem ha partecipato al NicoNico Self-made Game Festival. Esso è un evento di showcase per giochi indipendenti; a quanto ho letto dalle regole, tutti possono parteciparvici… Così come il nostro team Buriki Clock.

Ottenne il “Fighting Spirit Award” (O “Classic Horror Award” o “Fighting Fighting award” … Vorrei davvero sapere il giapponese per queste cose) e seppur per vedere il titolo bisogna passare per molti altri giochi che hanno vinto in questa categoria, sembra che questo premio all’evento online organizzato da NicoNico dedicato agli indie games abbia dato a Buriki Clock la spinta necessaria per aver fatto la sua sottospecie di boom o, in generale, più visibilità.

E infatti…

2013

“Cloé’s Requiem viene introdotto al pubblico, venendo messo sul mensile ‘Comptiq’”

 

PROBABILMENTE questo numero, essendo uscito il gioco a inizio Ottobre, ed essendo questo un numero stampato a inizio ottobre

Comptiq è una rivista giapponese che tratta principalmente di giochi per computer, pubblicata da Kadokawa Shoten.

“Chi?”

Si chiederà chi non bazzica molto nel panorama nipponico riguardante la promozione/pubblicazione di opere di finzione.

Da Wikipedia: Kadokawa Shoten è un editore e divisione giapponese di Kadokawa Future Publishing con sede a Tokyo, Giappone. Kadokawa pubblica manga, light novel, manga serializzati come Monthly Asuka e Monthly Shōnen Ace e riviste di intrattenimento come Newtype. Dalla sua fondazione, Kadokawa si è espansa nel settore multimediale, in particolare nei videogiochi (come Kadokawa Games) e nei film live-action e animati (come Kadokawa Pictures).

Abbiamo già citato questa… Multinazionale, sembra, nell’articolo su Yume Nikki. Ma tenetela a mente, ci servirà soprattutto per la seconda parte di quest’articolo, nel Rapporto Autore-Opera, assieme all’Enterbrain.

Quindi, seppur non mi sia chiaro quanto spazio abbia avuto, se è stato scritto solo un breve articolo o un’intera scheda di presentazione, nel 2013 (ho cercato disperatamente il mese tramite le copertine delle edizioni di Comptiq che uscirono in quell’anno, ma non ho trovato nulla data anche la mia nessuna conoscenza del giapponese) Cloé’s Requiem comincia ad espandersi in Giappone, fino a…

Parte 2 – 2014: La Supernova.

La partecipazione al festival di NicoNico e il successivo articolo (immagino) su Comptiq hanno portato, come dicevo, Cloé’s Requiem ad una visibilità più che buona, fino a…

2014

“Intervista per Nico Nico Self-made Game Festival Game Creator”
“Intervista per Famitsu”

“Cloé’s Requiem allo stand NicoNico del Tokyo Game Show 2014”

Secondo la sezione “Media” della pagina Wikipedia giapponese, nella sezione NicoNico del Tokyo Game Show del 2014 è stato esibito proprio questo gioco:

 

O meglio, la light novel che lo riassume, di cui parleremo più tardi.

Con tanto di articolo che porta il nome di:

…Discuteremo di questo nel Rapporto Autore-Opera, però.

Ma inoltre… Okay, davvero? Dopo così poco tempo dall’articolo su The Forest Of Drizzling Rain devo ri-fare questa stupida scenetta in cui elenco ogni singolo modo in cui i poveri giochi di cui trattiamo vengono spremuti?

Va bene, va bene, fa ridere… Geez…

Inspirate assieme a me…

Un’apparizione nella Mezamashi TV Giapponese (oh, è nuova questa), due novel (a mio avviso, entrambe… Con poche parole con cui descriverle. Una l’avete vista nell’immagine sul Tokyo Game Show), un piccolo comic sulla rivista “Almost Free Game Magazine”, circa tre interviste (aggiungiamo un’intervista per Mole Games, dopo il Tokyo Game Show), una parte della Casa Stregata del NicoNico Chokaigi del 2015 (l’abbiamo già citata con The Witch’s House e Ao Oni), un manga chiamato “Cloé’s Requiem -rêveur-” (che racconta però tutta un’altra storia, eh?!), una collaborazione con il Princess Cafè di Tokyo e-

Che? Non mi credete? Sono serissima! Queste cose vanno forte in Giappone!

Ahem, quindi… Mi avete interrotta proprio quando dicevo il pezzo forte…

AAAHHHH!

Scusate, mi si gela il sangue solo a vederlo.

Capirete meglio il perché più avanti… Io vi posso solo dire che, come vedete, i due gatti introdotti anche poco nel gioco sono stati umanizzati.

Si, non cercate di trovare il senso in queste operazioni di marketing, non spremetevi le meningi sul senso di questo elemento narrativo…Non ancora.

Okay… Quindi, avete ormai capito che Cloé’s Requiem nel 2014 ha avuto praticamente ogni tipo di successo possibile, tanto da generare anche uno spin off/storia extra.

Dato questo, volevo parlare ancora del fenomeno della “Supernova”.
Ne aveva già parlato mia sorella nell’articolo su Mad Father, e si basa su una domanda molto semplice.

“Il successo è continuato?”

Nel caso di Cloé’s Requiem…

No. Ve lo dico in modo secco.

Il successo della casa di produzione, dopo i primi due anni dall’uscita di Cloé’s Requiem non è continuato, seppur Buriki Clock abbia continuato a fare giochi.

(Questo è più probabile che lo conosciate anche perché è stato tradotto in inglese: Fantasy Maiden’s Odd Hideout)

Questo gioco si chiama Trauma Traum.
Vi dico solo che se lo conoscete, avete il mio stesso bisogno impellente di stalking per gli autori degli RPG Horror.
(Beh, scrivo io la Storia Del Prodotto per un motivo)

Cosa sono questi giochi, quindi, nella storia di Buriki Clock?

Voglio considerarli, purtroppo, tentativi disperati di continuare ad essere una casa di produzione vera e propria, e non solo delle autrici che hanno avuto “fortuna” (capirete nella seconda parte il perché di quelle virgolette) con il loro primo titolo e l’hanno spremuto fino all’ultimo.

Ma fino all’ultimo davvero.
(Immagine dal profilo Twitter di Buriki Clock, che ci mostra Pierre che improvvisamente ha dimenticato tutta la frustrazione repressa e l’isteria che ci viene mostrata nel gioco…)

Certo, anche questi altri due titoli hanno avuto del merchandise: Fantasy Maiden’s Odd Hideout ebbe una novel, assieme ad altri gadget come spille eccetera nello store ufficiale di Buriki Clock, Trauma Traum persino un… CD? Credo sia un cd cantato, ma in ogni caso hanno avuto i loro eventi e anche finanziamenti…

Ma dopo il 2014 l’era di decaduta di Buriki Clock è iniziata.

Potete accertarvi di questo se rispondete ad un’altra domanda semplicissima che vi porgo.

Voi avete mai sentito parlare, fuori dalla corrente RPG Horror e al di fuori di Cloé’s Requiem, di Buriki Clock?

Ma a parte questa domanda, che lascio aperta anche se tutti ne sappiamo la risposta…

Torniamo per un attimo nel 2013, l’inizio dell’era d’oro per Nubarin e Chiyo.
Cosa, quindi, 7 anni fa ha portato Cloé’s Requiem dove è adesso…
Probabilmente?

Sfondi lugubri, musica classica, storia ambientata nel passato…È un titolo che sicuramente ha la sua classe, non c’è che dire.

Questo non sono sicura di quanto possa dirsi per l’inizio. C’è il logo della Buriki, e poi si inizia direttamente a vestire i panni di Michel, incredibilmente tranquillo dopo aver compiuto il suo terzo omicidio a sangue freddo, che se la a gambe prima che la pula del tempo gli dia la caccia (dettasi anche la sbirraglia, o come direbbero alcuni, per non farsi mettere in gattabuia dal becco cit.[1]).

Ma questo ve lo abbiamo anticipato noi, per farvi capire come, anche qui come in altri giochi, la consistenza narrativa non sia certo il cavallo di battaglia del titolo. In realtà quello che si mostra nel gioco come introduzione è il ragazzo che scappa da qualcosa andando, tramite il passaggio di un cocchiere, in una casa sconosciuta. E questo è quanto.

Possiamo però notare, prima che ci venga introdotta la nuova magione…

…Sì, insomma, questa sorta di fortezza medievale…

Okay, da qui possiamo notare due cose: la prima è che viene introdotta da qui quella che sarà la co-protagonista della vicenda (no, non è la protagonista principale perché non seguiamo tanto il cambiamento dei suoi atteggiamenti nel corso della storia quanto lo fa Michel), la seconda cosa che invece comprendiamo è che sicuramente si tratta di una persona che non è molto a posto con la testa.

Ma ciò che ci interessa sapere sappiate che avviene a seguito del primo flashback che ci verrà introdotto dal gioco. Apparentemente le parole che ci sono state introdotte non riguardano la trama principale, sembrerebbero fuori contesto, ma il gioco ci costringe a ricrederci dando finalmente un’identità a questa voce misteriosa!

Eccolo qui, nella sua magnifica sprite. Questo spiega perché nella seconda parte del gioco le ragazze hanno preferito sfruttare la sua silhouette invece che disegnare nuove figure di adulti.

Il punto è che una volta terminato il flashback abbiamo queste tre battute:

Hey, ma allora quel pazzo maniaco è suo padre!

Cacchio che uomo schifoso. Perché…. È questo, alla fine dei conti, il personaggio più disturbato. No?

Oh-oh-oh, ebbene finalmente dopo aver tanto procrastinato…

…Dopo aver solo citato l’argomento anche quando sarebbe stato il caso parlarne….

Possiamo finalmente parlare di una storia character driven dove i personaggi vengono valorizzati come si deve!

Cerchiamo di introdurre un po’ di teoria. Probabilmente molti di voi già potranno intuire cosa si indica con questa definizione: parliamo essenzialmente di un tipo di storia che va avanti sulla base delle azioni che compiono i personaggi. Mi rendo conto che a primo attrito può essere difficile distinguere bene le storie a sviluppo orizzontale da quello verticale, quindi cercherò di portarvi degli esempi.

Le storie dallo sviluppo orizzontale contano molto sugli input esterni che spingono i personaggi ad agire, almeno questo è quanto ho notato. Nulla toglie che spesso gli espedienti e quindi le categorizzazioni si mescolano, ma per quello che riguarda gli RPG Horror ho notato che questo non me è mai accaduto, quindi posso portarvi degli esempi più concreti: prendete Mad Father e The Forest of Drizzling Rain.

Da una parte la storia inizia per via di una maledizione, quindi Monika che l’ha scatenata è l’antagonista della vicenda e muove la storia per Aya, che dovrà destreggiarsi tra gli zombie. Mad Father è tra l’altro molto facile da classificare in un tipo di storytelling orizzontale anche per via di tutte le sequenze d’azione e di gameplay particolare che lo caratterizzano.

The Forest Of Drizzling Rain potremmo definirlo allo stesso modo, gli eventi sono principalmente incentrati sul background del villaggio in cui Shiori e Suga sono coinvolti. The Witch’s House poteva essere una storia character driven?

Dunque, sicuramente i personaggi sono più attivi, Ellen è stata quella che ha ucciso i suoi genitori e ha fatto il patto col demone a partire da una sua motivazione interiore e un ambiente esterno piuttosto statico, tuttavia se dovremmo considerare il videogioco nel suo contesto non mi azzarderei proprio a dire che ha l’intenzione di raccontarti una storia, il titolo sembra piuttosto ancorato al suo gameplay prima di mettere in luce il background.

Ancora, c’è The Crooked Man con cui avevamo affrontato la faccenda del viaggio dell’eroe. È vero, viene dato molto spazio alle intenzioni dei personaggi e per quanto sia sottile in realtà la definizione di “character driven” potrei anche affermare che questo gioco lo sia. Tuttavia c’è qualcosa che mi frena da definirlo come tale, ed è la presenza costante dell’antagonista, l’uomo storto, che è il vero motore dell’azione ed è quello che spinge David a partire. Se vi ricordate lo schema del viaggio dell’eroe prevede un doppio rapporto con la chiamata all’avventura in cui è spinto: prima la rifiuta e poi la accetta, così si indaga sulle personalità dei personaggi principali. È vero che l’uomo storto sarebbe una metafora dello stato attuale di David, ma non possiamo negare che Duke esiste davvero (anzi, è esistito davvero) ed è per questo che dobbiamo tenere in considerazione tutti i suoi interventi che hanno condizionato le azioni del protagonista.

Ed è per questo che inserisco l’intreccio di Cloé’s Requiem ricadere perfettamente nella tipologia del character driven. Difatti se ci pensate il tipo di background in cui si trovano i personaggi è piuttosto statico, sarebbe molto più facile immaginarsi una storia più sullo stile slice-of-life che una trama di genere horror, questo perché sicuramente la scelta di lavorare su un’opera in costume ha determinato in parte la natura di “titolo storico” del prodotto (anche se, per essere un gioco ambientato in Francia dai nostri “cugini europei”, l’immaginario storico si riscontra davvero poco –soprattutto per alcuni elementi –, e da questo punto di vista è poco attendibile. In ogni caso, sì, questo piccolo scivolone è accaduto anche con Mad Father –ma forse non dovremmo insistere più di tanto se il loro target di riferimento era l’audience nipponica–).

Quindi, proprio perché si tratta di un background statico tutto quello che i personaggi compiono deriva da riflessioni interiori e cambiamenti psicologici sul loro stato individuale e sociale.

Ma non sarò io a parlarvi nel dettaglio dei personaggi ragazzi, ci sarà Ele nella seconda parte dell’Asso della Manica (spoiler: lei è quella tra le due che aveva parlato del caso di Satoshi in Corpse Party, non che è la responsabile della scrittura dei nostri personaggi, quindi vi lascerò in buone mani per questo).

Comunque non mi ricordo nemmeno da quale articolo ci fosse questa caratteristica, credo in The Witch’s House, ma anche per Cloé’s Requiem abbiamo due assi nella manica in uno, e –a questo punto dovreste averlo capito, anzi, forse potrebbe quasi sembrarvi scontato– il character development è uno di questi.

Io assieme a voi mi focalizzerò sul secondo punto, la regia. Parliamo di una regia che ha permesso di amare e rendere memorabile una trama confusionaria e dal background sovrannaturale più impreciso di quello di Corpse Party!

Quindi mi sa per un po’ dovrete avere la suspense sul discorso legato a quei tre screenshot…

…E sulla mentalità contorta che sviluppa questo piccolo infame nel corso del gioco.

Quindi, tornando a noi. La regia di questo titolo è in realtà molto molto particolare, perché risponde tante volte allo stile del gioco che si basa principalmente sulla narrazione degli eventi (e non) in wall of text. Praticamente una bestialità di Satana, se conoscete quanto condanniamo questa pratica negli articoli.

Però Nubarin e Chiyo sono riuscite a sfruttare questa “limitazione dello stile” inserendo tutta la tensione emotiva tra le righe di testo del gioco. Posso dire che sono riuscite a farlo egregiamente, ed era un compito davvero davvero difficile. Saper fare una buona regia non è per niente scontato, figuriamoci come avranno fatto loro che non avevano nemmeno il supporto visivo da valorizzare: tutto viene dalla lettura dei testi e dal repertorio sonoro. I problemi sono iniziati quando hanno iniziato ad andare di fretta e a caricare di testi i contenuti principali fino al finale…

Ma di questo ne parleremo meglio in futuro. Quindi cerchiamo di concentrarci sui punti focali e cerchiamo di fare, come non facevamo da Blood Covered, un’analisi approfondita su un campione specifico.

La scena che vi propongo è questa.

Molti di voi la ricorderanno come “la scena della madre” o  “il diario della madre”. Sì, parliamo di quello, uno degli archi narrativi aperti meravigliosamente, sviluppati male e conclusi peggio.

Perché dico conclusi peggio? Beh, insomma…

Vi pare un modo decente per concludere una sotto-trama?

Non vi preoccupate, proprio a partire da questa scena poi ne analizzeremo il perché parlandone meglio nei Difetti dell’Opera.

Torniamo comunque a parlare dei punti positivi. Come ho accennato prima la scena incentrata sul diario della madre è a mio parere tra le migliori di tutto il gioco.

Dunque, tanto per cominciare noi abbiamo già incontrato Cloé al piano di sopra.

Ah, e tengo a notare in particolare come quella che abbiamo visto durante l’inseguimento…

Lei, eccola qui. Anche se possiamo intuire , dato anche  il suggerimento di Michel, che questa  “cosa” che abbiamo visto assomiglia a Cloé, ci viene presentata  in maniera del tutto separata (parlo di una separazione fisica, nel senso letterale del termine) e ovviamente da una personalità totalmente sconnessa rispetto a quella incontrata al piano di sopra.

In questo punto della storia al giocatore verrebbe più facile interfacciarsi con il lato “carino e coccoloso” della ragazzina che ha appena incontrato…

…E poi invece viene introdotto questo…

Come abbiamo detto prima, questa sarà un’analisi del testo nel senso più letterale del termine.

Anzitutto: la “musica” utilizzata in questa parte potrei definirla come un richiamo a dei coltelli con cui si ha l’intenzione di perforarti le orecchie. La metafora a cui sto rimandando si riferiva, da parte di un particolare libro di testo sulla regia (di cui attualmente non ricordo il nome), alla musica che compare nei titoli di testa del famosissimo Psycho di Alfred Hitchcock.

Ecco che cosa intendevo quando dicevo che la regia di questo titolo è ottima. Si offre un sacco di spessore emotivo sui testi, che contano tanto quanto il lato visivo del titolo e anzi lo completano. Senza i testi di Cloé’s Requiem non potremmo mai comprendere i suoi significati a tutto tondo (…anzi, purtroppo i fraintendimenti e le incomprensioni sono avvenute lo stesso, ma di questo ne discuteremo in futuro).

La madre di Cloé ci racconta i suoi sentimenti nei confronti di sua figlia…

Perfettamente plausibili, dato non solo la trama del gioco ma anche i contesti del tempo. Per chi non lo sapesse stiamo parlando di un tipo di società dove normalmente le ragazzine di buona famiglia, raggiunta una certa età, erano pronte per entrare in società, vale a dire essere maritate, quindi quando le agghindavano per le feste a cercare un buon partito chi non dice che le madri, a loro volta sposate giovanissime nella maggior parte dei casi, non potessero provare un senso di competizione nei confronti delle figlie?

…Ecco appunto.

Non sono una storica, quel che so deriva da alcuni approfondimenti personali che ho avuto modo di realizzare sull’epoca.

Ovviamente, in ogni caso, con sentimenti “perfettamente plausibili” intendo il sentimento dell’invidia. Quello che c’è scritto dopo in realtà non è così normale…

Tenete a mente questo screenshot in particolare….

Questo viene prima di quello di sopra. Vi servirà dopo per quello che vi racconterà Ele su Cloé

Possiamo notare, sicuramente un elemento interessante, che la visione che ha di sua figlia è quello di un orsacchiotto di pezza.

Ed è per questo che associare poi il tema dell’orsacchiotto di pezza anche alle cameriere ci è sembrato veramente confusionario, anche se le ha uccise. Questo perché era un tema che sembrava davvero “speciale”; unico, legato strettamente a sua figlia e, ancora più interessante, questa descrizione che la mamma ci dà di Cloé si riscontra molto bene con il design “dolce” e “rotondetto” della ragazzina. Hanno sfruttato qui a tutto tondo il character design assegnato a Cloé, non è affatto fine a sé stesso.

Aggiungiamo un punto a favore di questa magnifica scena: la sua continuazione al di fuori del diario. Difatti abbiamo il pettegolezzo tra le cameriere che poi si manifestano nei due orsacchiotti di pezza.

Ecco allora che colleghiamo il tutto alla perfezione: una cameriera ha assistito alla disfatta dei vestiti di sua figlia e la signora ha pensato bene di farla fuori. La scena continua finché non vai a controllare il quadro della donna che è invecchiata.

Questo rapporto col testo è comunque diverso dal tipo di rapporto che ci viene offerto col testo in Faust’s Alptraum: uno perché ci sono delle immagini da commentare che vengono semplicemente descritte, e poi perché la vedo più come un esperimento per tentare di replicare un tipo di narrazione più “letteraria” o come “manifestazione di erudizione” che con l’intenzione di trasmettere delle sensazioni emotive (questo è uno dei motivi per cui per quanto sia tra i miei giochi preferiti non posso certamente prenderlo come esempio per parlare di titoli narrativi).

Prima che Ele possa introdurvi il tema principale del gioco, vorrei citare un’altra scena in cui la regia, anzi, la direzione della fotografia è stata fenomenale.

Questo particolare momento del gioco mi ha insegnato molto per quanto riguarda la resa evocativa delle scene. La tinta schermo che si fa prima scura e poi sempre più rossa supporta la visione della realtà estremamente psicologizzata del ragazzino, perché in questo punto particolare della trama la regia è tutta è incentrata sui personaggi che sono le vere star del gioco. Più ancora di quanto non era accaduto in The Crooked Man, qui l’ambiente si modella sulla base di come il personaggio in questione sta vivendo la sua personale situazione.

…Di conseguenza, questo lavoro sopraffino di drammatizzazione delle vicende permette di fare a noi giocatori, spettatori e in questa sede a me ed Ele come critiche (se pensiate abbiamo la facoltà per essere definite tali) un soddisfacente lavoro di interpretazione.

Già, ricorderete dell’articolo di Mad Father, questa sarà la seconda volta che lo cito nel corso del nostro percorso sul Ludi Tarantula Archives.

Se l’opera ci concede di interpretarla allora noi potremo finalmente costruire i nostri significati sulla base del linguaggio su cui siamo stati istruiti. Quindi, ecco che mi prendo la libertà di lavorare sull’interpretazione del segno di quello che riguarda per me un tema (un tema qualsiasi, non il tema principale. Vedremo in futuro perché tengo a fare questa differenza) che si può estrapolare dal gioco. Lo estrapolerò, ad esempio, esaminando l’uso del colore rosso in questo gioco e poi lo collegherò ad altri elementi.

Prima di tutto, come potreste intuire non lo sto scegliendo casualmente, poiché non solo il rosso ci appare con violenza sullo schermo ogni qual volta ci viene introdotto una dimensione distorta della personalità di Michel, ma ci sono altri particolari che insistono su questo colore.

Potremmo parlare delle scritte rosse, usate quando si vuole mettere in evidenza un concetto distorto espresso dai personaggi come si può vedere dallo stesso screen lì sopra, ma possiamo generalmente soffermarci su numerosi esempi.

Gli occhi rossi da cui il ragazzino è perseguitato nella stanza delle cameriere…

…Il ritorno con l’occhio rosso di Charlotte (ed il senso di essere osservati e controllati), quando si rivela nella stanza grigia, collegato questa volta con la sua maledizione…Questo possiamo collegarlo al tema della possessione (in questo caso sia applicata che subita da parte di Michel)

Quando Alain rivela di voler uccidere sua figlia, scena che è avvenuta poco dopo che avevamo visto il “salvataggio” compiuto da Michel (un atto di gelosia, probabilmente -anche qui torna il tema della possessione, tenetelo a mente per l’Appendice-)

Oppure, beh, in questo punto particolare in cui possiamo vedere una Cloé selvatica (hey, per una volta tanto non usiamo questa espressione come meme) con un vestito rosso. Qui possiamo notare i suoi occhi o i suoi capelli, di colore bianco, servano per costruire per noi un’altra associazione con la maledizione strettamente collegata a Blanc, per l’appunto.

È un’immagine molto molto esplicativa in realtà questa, il termine “Cloé selvatica” non l’abbiamo usato a caso. E questo proprio perché associamo questi due colori che si rendono rappresentanti di due tematiche specifiche che vengono quindi strettamente collegate nel titolo: la passione e la morte.

Ahahahahahah, sì. La passione. La passione.
Detta così mi rendo conto che ora sembra che io stia parlando di una telenovela, dopotutto il registro drammatico iper-intenso del gioco non fa altro che valorizzare questa bizzarra tesi. Ma vi giuro che vi sto dicendo queste cose con cognizione di causa, sono consapevole che se non mi esprimo al meglio rischio di far passare le belle tematiche che affronta il gioco per una marea di cazzate.

Rimandiamo a questa immagine in cui la si vede per la prima volta…

Ecco. Qui domina l’uso del bianco. Bianco e rosso.

Voglio citare un altro momento che si può ottenere se, rimanendo in modalità “pazzo assassino” con Michel e uccidi il gatto bianco si può vedere come questo, secondo la descrizione, sembra avere la possibilità di muoversi ancora, a differenza di quello nero.

Proviamo a riflettere su una cosa: il fatto che nel punto in cui viene mostrata nel gioco Cloé si sia inselvatichita vorrebbe sottolineare che ciò di cui è diventata vittima è stato l’accumularsi e la perdita del controllo su tutte le sue passioni più negative.

Badate che quando uso questo termine mi riferisco in particolare specialmente alla concezione classica, se non ricordo erroneamente parliamo di un’idea che deriva sin dall’Antica Grecia, che quello che riguarda il tema della “passionalità” intende comprendere il termine in un’accezione molto negativa e che si oppone alla “purezza d’animo” contraddistinta invece dalla razionalità assoluta.

Ecco, ora che mi sono ricordata bene sono sicura di ciò che dico: era Platone che usava la metafora del cavallo bianco e del cavallo nero (qui come “cavallo nero” abbiamo il gatto bianco, che per chi non lo sa nella cultura giapponese è un colore associato alla morte), e sono anche abbastanza sicura di aver utilizzato già spesso l’uso di questa metafora durante qualche delirio per conto mio suppongo. Ma non preoccupatevi, non intendo farvi un pippone su questo discorso.

Quello che ci interessa ora capire è che Cloé, oltre che vittima delle proprie passioni più negative…

Come ci mostra questo screen in cui tappezzava le pareti con le sue manine sporche di sangue…

Potremmo dire che è stata vittima, anzitutto, della passionalità sfrenata dei suoi genitori. Non a caso da un lato c’è la lussuria, dall’altro l’invidia, temi cari al cristianesimo per quanto riguarda il trattamento dei peccati capitali.

Sì, poi, se a questo ci aggiungiamo un breve accenno all’ira…

…Possiamo dire che siamo piuttosto a cavallo con tutto il resto del cast.

Okay, tralasciando queste digressioni cretine (il peccato capitale e il cristianesimo non c’entrano un emerito cavolo con quello che voglio dirvi, non vorrei confondervi le idee), perché vi faccio questo discorso? Cerchiamo di arrivare al punto. Dalla forte associazione che abbiamo visto all’interno del gioco possiamo dire che non mantenere il controllo del proprio stato emotivo porta inesorabilmente alla morte, ma il gatto bianco che non sembra subire la stessa sorte di quello nero e la diffusione della “maledizione di Cloé” in tutta la casa prima che questa ci lasci definitivamente le penne vorrebbe suggerirci che una volta che questi forti sentimenti si sono generati difficilmente tenderanno a morire.

Dopotutto, le maledizioni in Cloé’s Requiem sono emozioni negative in grado di prendere vita propria, no?

Il gatto bianco è destinato a sopravvivere, si espande per l’ambiente e nelle menti delle persone, è incredibilmente attivo e la sua indole distruttiva è estremamente contagiosa. Questo a differenza del suo alter ego, il gatto nero che una volta ucciso non si ridesta più, decretando così lo statuto di essere passivo e strettamente legato ad una condizione di morte, di oggetto che subisce.

Beh, eccovi lo Yin e lo Yang. Questi concetti non dovrebbero essere estranei alle nostre ragazze. Ahahah, Noir e Blanc. Che simpatiche, cazzo.

E quindi?

Già. Quindi, beh, questo penso che dovrebbe spiegare finalmente (almeno in parte) il motivo per cui la prima cosa che abbiamo fatto in questo articolo è stato associare Cloé’s Requiem a “Lo strano caso del Dottor Jekyll & Mr.Hyde” del caro vecchio Stevenson.

Nel libro ci veniva presentato come queste specie di mostro, gobbo (zoppo, orbo e sordo e via dicendo, per citare Quasimodo come un altro disgraziato della letteratura del XIX secolo) …Un mostro sì, un demone capace di calpestare una bambina.

Una delle scene più amate dagli illustratori del secolo!

E poi, suvvia, come si fa a non cadere ai piedi di questo grand’uomo?

Non vedete che splendore?

Insomma, questa rappresentazione e continuo distanziamento che il libro prende, sotto forma di titolo investigativo, dal beneamato da tutti Dott. Jekyll, potrebbe ricordarci sicuramente il livello di distanziamento e demonizzazione che si fa delle maledizioni.

…Che in questo caso, collegando Cloé’s Requiem a Lo strano caso del Dott.Jekyll a Mr.Hyde diventa: poni controllo alle tue passioni (sentimenti negativi) o sarai causa di tragedia e morte.

Jekyll tiene le distanze da Hyde disconoscendolo come Cloé tiene le distanze dalla Rambo-Cloé, che viene trattata come un nemico da sconfiggere.

Sì, la si può sconfiggere con un abbraccio, ok, ma è comunque una bestia di Satana da sconfiggere.

Che dire, è questa la visione che ai tempi la puritana società vittoriana aveva delle proprie passioni.

Se la società che diceva di tenere a bada e avere paura dei propri lati più negativi era perché era la struttura sociale stessa che diceva di mantenere l’ordine.

E come potete vedere ora vi sarà sicuramente più chiaro anche la nostra insistenza sul brano “Façade”, o almeno lo spero.

Aldilà che qui si parli di società vittoriana, la Francia si è generalmente differenziata da questo atteggiamento proprio per essere “più all’avanguardia” se vogliamo dire così; non parliamo tanto di precisazioni storiche quanto di vicinanze tematiche con il titolo. Infatti, nel contesto sociale vittoriamo che  stiamo presentando per l’articolo si creavano delle maschere perché la società basava i suoi principi su modelli irraggiungibili che non riusciva a trovare riscontro nella realtà quotidiana dei fatti ma nessuno aveva il coraggio di farlo notare. Era il lato povero della società a cui si attribuivano i comportamenti “eccentrici”, dopotutto.

Erano loro la gente pericolosa che meritava di essere maltrattata (“punita”) ed emarginata, no? Non i signori appartenenti all’alta società. Era una scusa per giustificare la distinzione tra classi ed è questo che il classico letterario denunciava.

O meglio, non l’ha denunciato completamente. Ai tempi già era uno scandalo che si associasse all’idea del perfetto gentiluomo inglese una figura bestiale. Figurati se poi li avesse fatti confrontare in maniera più diretta.

…Però nel musical di cui vi parliamo è successa una cosa.
Nel musical c’è una canzone come Alive! – E vi consiglio di cliccare sul link poiché questo vi rimanda direttamente alla versione cantata da Anthony Warlow, voce anche del Fantasma dell’Opera per chi fosse interessato.

(Immagini dalla produzione di Jekyll&Hyde del 2012 con David Hasselhoff)

In questa scena finalmente possiamo vedere come Hyde non solo sia strettamente collegato a Jekyll dato l’omicidio di individui che, in fin dei conti, vediamo sin dal prologo che gli stavano sulle scatole, ma in particolare vediamo che nella trasformazione finalmente ha dato sfogo a tutte le sue frustrazioni.

Urla al mondo della sua gioia di vivere (sentite che liberazione dal min 3.42!) anche se questo vuol dire accogliere in sé le forze del male (cito il lyrics), e allora così potremmo anche interpretare la pozione come un semplice stimolante, niente di più che una droga artificiale, forse. Un eccitante.

Tutto quello che aveva represso qui viene alla luce, compreso lo strano feticismo verso Lucy che potete sentire a minuto 1.49 del primo link che vi ho passato (che ci crediate o meno la sotto trama di questa prostituta la citeremo anche più avanti). Ve ne renderete conto da soli, se fate attenzione potete sentire come sembra che annusi l’aria come farebbe un animale, ma il punto è che, diamine, possiamo renderci conto che quello che canta non è un demone come gli altri, ma lo stesso Jekyll! In fin dei conti, non esiste nessun Edward Hyde.

….

….Ah, beh, cosa vi aspettate che vi dica a questo punto?

Per me, il discorso è chiaro: una delle caratteristiche migliori di Cloé’s Requiem è che permette di lasciare i suoi personaggi totalmente a briglie sciolte.

Sì. Esattamente.

Ecco, ma proprio totalmente, anzi forse anche troppo. D’accordo, cosa sto cercando di dirvi?

Che prima di tutto anche se il nemico finale da sconfiggere è Cloé stessa alla fine è l’unica che si trasforma, che sembra avere una metamorfosi e nemmeno completa come la morfologia di Hyde. In breve…

…Ragazzi, ricordiamoci assieme di una cosa.

Quello a sinistra e quello dell’immagine di destra sono la stessa persona.

Anche qui, il ragazzino dell’immagine a sinistra e quello dell’immagine di destra sono la stessa persona. È così evidente.

Cambiano solo le espressioni, non compiono metamorfosi, semplicemente mutano nel tempo ed è questo che li rende dei personaggi meravigliosi, dal nostro punto di vista, che sono stati in grado perfino di superare il mito che il classico letterario ha lanciato. Come promesso difatti più avanti dedicheremo un’appendice proprio per loro.

Come concludere allora questo discorso? Vediamo un po’.

Stevenson sembra dirci, col suicidio di Jekyll, che l’unico modo di scampare a questo conflitto esistenziale è la morte. Non c’è via di scampo.

In questo la Buriki ha preferito proporre una soluzione alternativa: con la crescita ed il riconoscimento dell’errore è possibile purificarsi dal morbo e tornare a provare empatia nei confronti del prossimo, razionalizzando i propri sbagli e riprendendo la retta via.

Questo è accaduto anche con un altro personaggio del team, nell’opera di Fantasy Maiden’s Odd Hideout a cui qui farò solo una menzione: Ange.

…Diciamo che Cloé-selvatica non è stato l’unico personaggio “animalizzato” del loro titolo.

Ecco, questa CG in cui la vedete piangere sull’erba l’avevate incontrata prima nel corso della lettura dell’articolo quando si era vista la copertina del gioco. Ebbene, sappiate che sta piangendo, per chi non lo sa, perché si è appena ricordata di aver compiuto un crimine giusto un pochiiino grave come l’infanticidio di massa. Nel suo gioco di provenienza uno dei sotto testi più ricorrenti era quello dell’istinto primordiale del nutrimento (oh beh, si parla di vampiri e non poteva essere altrimenti). Oltre, anche qui, alla trama della crescita interiore.
Non sembrerà, ma questo titolo aveva tutte le carte in regola per essere definito come un’ottima opera thriller!

Si, sembra proprio essere una caratteristica dei personaggi della Buriki Clock confrontarsi con i loro lati più primitivi.

E si, si confrontano con questi. E ci soffrono.

Eccome se ci soffrono.

Eccovi dunque uno dei temi che affronta il gioco, secondo la mia interpretazione: l’accettazione di sé stessi affrontando il proprio lato peggiore. Quindi, ricollegandoci al discorso iniziato prima, lo yin (il nostro lato passivo, collegato al raziocinio) e yang (la parte attiva, l’energia caotica e irrazionale dei nostri comportamenti) devono coesistere in maniera equilibrata nelle nostre scelte di vita.

E finalmente ragazzi ho finito di divagare, mi toglierò dalle scatole a breve.

Come avete potuto vedere ho parlato di altri temi in questa prima parte dell’Asso nella manica su cui il gioco non sembra nemmeno insistere così tanto alla fine, è stato un altro il vero oggetto d’interesse della Buriki Clock.

Tuttavia sappiate che tutti questi modi in cui ho potuto leggere l’opera derivano dai tanti piccoli indizi lasciati per strada dal gioco stesso. In ogni caso è pur sempre alla base della critica lavorare sui significati del testo sulla base delle medesime lettere impresse sulla carta.

Vi ricordate? Avevamo già parlato di questo argomento nell’articolo su “Rpg Horror e Storytelling”.

In breve, ecco che ho potuto interpretare un tema trattato dagli elementi della regia e della messinscena; come avevamo anticipato sin dall’articolo di Mad Father è qui che possiamo renderci conto di tutto quello che può fare un’opera profonda.  È questa tutta la bellezza e la potenzialità di interfacciarsi con una storia che non si ferma alle prime apparenze.

(Ah- e aggiungo: le tematiche come potete vedere si intrecciano costantemente con gli avvenimenti della trama principale ed i suoi personaggi, giusto Sanada?)

Ora, abbiamo anche detto che oltre alla regia il SECONDO asso nella manica sono i personaggi. E con questo capirete il perché nel corso di tutte le precedenti analisi abbiamo scelto di non focalizzarci sullo sviluppo di personaggi che altre storie narrative ci hanno presentato.

E questo ci rimanda, volendo, alla parte introduttiva di questo paragrafo quando la prima cosa che abbiamo messo in evidenza è stata dire che questa è una storia character driven.

Non abbiamo analizzato altri personaggi in questa rubrica proprio perché tutte le altre opere che abbiamo analizzato non volevano centrare il focus sui personaggi ma, appunto, soffermarsi più sulle loro “avventure” che vivevano (la ricerca del padre, la fuga dalla Galleria, il puro gameplay in The Witch’s House ect ect ect…).

Per parlare dei personaggi è necessario interpretare le loro sfaccettature emotive.

…Perché è estremamente importante, davvero, vitale, che in un lavoro di interpretazione si lavori con dei dettagli che ci vengano già forniti nell’opera presa in analisi, per non rischiare di fare delle teorie e “over-analisi” fini a sé stesse.

Avremmo potuto anche formulare delle interpretazioni libere, ma difatti sui contrasti di comportamenti dei personaggi, ad esempio, ci viene detto poco.

Un primo elemento che abbiamo notato degli altri personaggi in Back To The Future è che il conflitto delle loro personalità, se c’è, viene più trattato come un evento eccezionale che un vero e proprio percorso di crescita.

Prendiamo Mary in Ib, per esempio, nel finale “A Painting’s Demise”.

Sì, qui la vediamo come “vittima del suo ambiente di appartenenza” che corre per le stanze e infine chiama il nome di suo padre.

Però, questo è un finale. Perché non guardiamo per un attimo come si comporta in altri contesti?

Anche se si volesse rivelare il lato da “bambina bisognosa di amore” comunque questo è costantemente in conflitto con la tensione emotiva, poiché siamo dal punto di vista di Ib, secondo la quale stiamo avendo a che fare con una probabile pazza assassina.

… Questo accade per la maggior parte delle volte in cui appare in scena.

Prendiamo un esempio pratico?

Guardate cosa succede nel finale più classico, “Promise of  Reunion”.

Voi avreste risparmiato la sua vita con quello sguardo assatanato?

Davvero, ditemi se in tanti punti del gioco non è trattata soltanto come funzionale al suo ruolo da antagonista utile soltanto a fare andare avanti la trama.

Ecco, non mi stupisce che in questa parte chissà perché invece di empatizzare con lei molti fan si siano limitati a notare “oh, no! Questa pazza sta assassinando il nostro amatissimo Garry!”

Kouri sarà stato certamente stratosferico nell’offrire il conflitto emotivo dell’audience nei confronti di un personaggio che tutto sommato è borderline (non è poi così tanto un’antagonista fine a sé stessa), ma non basta.

Un personaggio nella maggior parte dei casi cambia nel corso di una storia, un personaggio ha bisogno di un percorso da affrontare, ed è il principale motivo per cui nell’articolo su Corpse Party non avevamo parlato proprio dei personaggi (perché anche se avevano un’ambivalenza di personalità questa non era trattata all’interno di uno sviluppo specifico).

Quindi quello che sto cercando di spiegare in questo punto non è farvi la carrellata di personaggi per capire “chi è il migliore” ma capire chi tra tutti questi ha lo sviluppo più lineare all’interno della propria trama di appartenenza. Vi sto semplicemente spiegando i motivi per cui non abbiamo trattato negli Archives tutti i personaggi con cui ci siamo confrontati nel corso della rubrica.

Prendiamo un altro esempio: Ellen.

Ellen, Ellen, Ellen.

Simpatica, no? Tutti vogliamo bene ad Ellen. Anche in questo gioco, uno dei pochi momenti in cui sembra rivelare i motivi dei suoi omicidi e dei suoi inganni sembra forse il diario, ma sinceramente azzarderei quasi a dire che il personaggio di Ellen è davvero irrecuperabile. Converrete con me, per chiunque sia rimasto traumatizzato la prima volta nel finale di The Witch’s House, che questa ragazza incarna il pessimismo nel genere umano.

Già soltanto per il fatto che vive come un parassita nel corpo di un’altra persona. Sicuramente sarebbe molto interessante studiare in altri ambiti come si sia formata la sua sociopatia (come avevamo già detto nell’articolo dedicato) ma essendo che qui siamo sul Ludi Tarantula Archives, un sito su cui intendiamo soffermarci sui punti focali delle analisi interne al gioco nel senso più stretto del termine (un punto su cui vi avremmo rincoglionito già a sufficienza, suppongo) non ci pareva semplicemente il caso approfondire.

Ecco il motivo per cui vi ho parlato dell’importanza degli indizi interni, ed ecco perché l’unica che forse si avvicina di più ai requisiti per un’analisi sul personaggio per essere definita complessa come i personaggi di Cloé’s Requiem è Aya, non a caso avevamo aperto una parentesi sul suo percorso di crescita nell’articolo su Mad Father.

Chi altri abbiamo, David? Di David semplicemente sentivamo che non avevamo nulla da aggiungere a quello che il gioco The Crooked Man aveva già detto. Dello strano caso dei personaggi di Corpse Party lo abbiamo citato poco fa! Ne avevamo già parlato nel loro articolo dedicato, mentre per quello che riguarda Mogeko Castle, per quanto possano essere interessanti le teorie da elaborare sui personaggi, non riusciamo a capire come potevamo dedicare delle analisi particolarmente approfondite su di loro.

Ma, guardate, se proprio avete ancora dei dubbi, vi propongo un esempio su un tema affine che riguarda la rappresentazione dei personaggi sulla scena.

Eccovi un esempio pratico pratico su come questi due potrebbero, tutto sommato e a primo attrito, apparirvi entrambi come delle brutte facce proposte come jumpscare ma che in realtà sono trattati molto diversamente.

Questa, ormai conoscete l’immagine a memoria, è Cloé maledetta prima della battaglia. Primo piano, occhiaie. La risata possiamo sentirla soprattutto in background e la scena in fin dei conti è statica.

Questo è Alfred durante l’inseguimento finale. Un potrait che occupa tutto lo schermo sbuca fuori con una risata spacca-timpani pronto ad aprirci il deretano con la sua motosega rombante.

Ed è così che si è conclusa tutta questa lunga giustificazione sul perché questo è stato il primo caso in cui ci siamo soffermate sui personaggi di un’opera.

Ma vedetela così.

Da questo momento in poi si sono praticamente spalancate le porte dell’Inferno e queste lunghissime parentesi sulle analisi dei personaggi e delle tematiche all’interno di un’opera videoludica narrativa torneranno sicuramente più volte negli articoli futuri.

Perché da questa generazione i titoli sono usciti fuori sempre più fottuti.

Okay, okay, aldilà di tutto sto facendo una generalizzazione perché comunque questi saranno pure gli esponenti ma non abbiamo mai analizzato tuuutti i titoli usciti in questi periodi.

Quello che sto cercando di dire è che quest’oggi abbiamo fatto un passo fondamentale che sicuramente ci servirà per il futuro, soprattutto per le ultime due recensioni che abbiamo in serbo (quindi, attenzione che non parliamo della rubrica Back To The Future) che ci mostreranno, per contro, come non si fa la scrittura di un personaggio, consideratelo come un grande regalo che vi offriamo per quando ci avvicineremo alla fine della nostra attività da recensirtici.

Ma ora credo di star davvero divagando troppo, sto spoilerando più del dovuto.

Per questo, dopo avervi esaurito soltanto con quello che è stato alla fine un cappello introduttivo per iniziare ad approcciarci con lo stile del gioco ed il modo in cui ha trattato i personaggi, posso finalmente lasciare la parola ad Ele, che finalmente si dedicherà alla loro analisi interna.

Eccoli allora finalmente solo per voi, Charlotte, Pierre, Cloé e Michel!

…Musica maestro…

“The ladies an’ gents ‘ere before you –
Which none of ‘em ever admits –
May ‘ave saintly looks –
But they’re sinners an’ crooks!

Hypocrites!
Hypocrites!”

 

[1]Direttamente in riferimento dal lunaticissimo, magnifico ed elegantissimo gentleman dei malfattori Jack Dawkins detto il Dodger!

Perché se si tratta di opere in costume non mi tirerò certo indietro da tutte le citazioni possibili e immaginabili. Ah-Ah-Ah. Ahh. Cacchio.

Cat In The Box – Recensione

Cat In The Box – Recensione

Buona Vigilia di Natale, e buon lockdown per chi se la passa a casa!

Dato che la protagonista di Cat In The Box, invece, è potuta uscire da casa sua (seppur il gioco sia di quest’anno…) ha deciso, per fare la splendida nel suo canale… Youtube? Dailymotion? Nicovideo? Di esplorare la casa che giorni prima apparteneva ad una setta.

Volete saperne di più sulla trama? PaoGun ha già parlato dello storytelling di questo gioco nel secondo articolo del Tin Coffee Pot Time: “Storytelling – Tre modi alternativi per raccontare una storia”!

Io, Ele, mi occuperò principalmente di parlare delle meccaniche e del gameplay in generale di questo titolo, per cui abbiamo deciso di dedicare questo articolo specifico.

Gameplay – Elementi survival ed inseguimenti divini

In generale Cat In The Box è davvero piacevole da giocare, le fasi di esplorazione non sono mai noiose e, per fortuna, si trovano costantemente i nastri per la nostra videocamera, così che il giocatore non imprechi solo per salvare la partita e non perdere ore e ore di gioco, così come la cioccolata per non far addormentare il giocatore sulla tastiera per la velocità iniziale della protagonista.

Come avrete già notato dal titolo e da cosa ha detto PaoGun, Cat In The Box è un RPG Horror molto più “occidentale” rispetto a molti che siamo tutti abituati a vedere, seppur la ragazza protagonista sia disegnata in uno stile più o meno anime.

Ma andiamo nel dettaglio, partiamo dalle fasi di esplorazione. Perché ho scritto che è un prodotto che sembra di stampo molto occidentale rispetto ad altri del genere?

Perché, secondo me, il gameplay di Cat In The Box pende sul fronte del survival, tipico sottogenere del gioco horror che si produce tipicamente da noi, rispetto all’RPG Horror tipico giapponese a cui siamo stati tutti abituati.

Il primo elemento che lo rende differente sono gli oggetti limitati per salvare e correre…

Si, ragazzi, so benissimo che Faust Alptraum anche ha la cioccolata per farti correre, stavo spiegando-

Si, conosco anch’io CaNDLE e il suo sistema della candela ansiogeno!

Mio Dio, fatemi spiegare…

Metteremo proprio a confronto questi due titoli con Cat In The Box.

I primi due, o per via di una cattiva disposizione degli oggetti (in CaNDLE non puoi finire il gioco se non prendi le prime tre candele che si trovano all’inizio) o semplicemente per la meccanica in generale, creano un’ansia costante nel giocatore che dovrà costantemente controllare il livello della candela di Ca o l’energia di Elisabeth.

Ora, non parlerò del come poteva essere fatto meglio questo sistema nel dettaglio, ma dico solo che in entrambi i giochi quest’ansia dell’avere un game over vero e proprio da un momento all’altro per via degli oggetti limitati… Rende entrambi i titoli semplicemente più ansiosi e con giocatori più propensi al ragequit, se mi permetto di esagerare. Questo è perché mettono la situazione sempre “sul filo di un rasoio”, soprattutto CaNDLE (vorrei precisare che Faust Alptraum soffre molto meno di questo problema rispetto a CaNDLE, avendo un posizionamento degli oggetti indispensabili discreto).

Quindi Cat In The Box cosa ha fatto?

Si è semplicemente reso maestro di questo sistema, dando come oggetti limitati la velocità e la possibilità di salvataggio. È stata una scelta intelligente, onestamente, perché non ci si ritrova nel ritmo perenne in cui rischi di avere un game over in ogni secondo e bisogna controllare costantemente dei livelli di qualcosa, senza goderti nulla del titolo, che ha anche delle belle atmosfere.

Ma l’effetto di ansia è papabile lo stesso, dato che viene limitata una cosa vitale come il salvataggio. Quindi il giocatore non si ritrova oppresso dalla meccanica, ma si ritrova una vera e propria sfida… Come dovrebbe essere.
Se non ci si gestisce bene l’uso dei nastri, sei costretto a continuare a giocare finchè non ne trovi un altro (il che non è mai troppo tardi, avendo il gioco una buona disposizione degli oggetti). L’esperienza non viene dagli avvertimenti che successivamente ti danno un game over di botto, bensì dalle conseguenze se non gestisci bene la situazione in cui sei.

E questo, per me, lo rende più “survival” degli altri due titoli che ho citato. Il survival si basa perennemente sul gestire la propria situazione attuale, avendo conseguenze certo scomode, ma che non ti fanno finire la partita istantaneamente…

Come può fare un inseguimento contro, probabilmente, una versione di te stessa da un’altra linea temporale.

 

Ecco, siamo arrivati al secondo punto di questo paragrafo della recensione.

Come diceva il titolo, ho adorato gli inseguimenti in questo gioco.
A livello più tecnico, il fatto che il gioco ci da una stamina l
imitata aggiunge molto, dato che non potremo sempre andare sempre e comunque full-speed, quindi se non abbiamo rimedi per la stamina (molto rari, io ne avrò trovato uno durante la mia giocata) dobbiamo imparare a dosare bene la velocità… Ma dato che gli inseguimenti (permettetemi l’assolutismo, seriamente. Ho giocato così tanti giochi inutilmente difficili che queste cose mi rendono esageratamente felice.) sono stati fatti bene, questa cosa non rende il gioco più incline a far salire l’isteria a persone come me, ma semplicemente aggiunge sfida!

 

Ma oltre a una bellissima giocabilità, la cosa che ho apprezzato di più è, esco dal mio campo, il concept di molti degli inseguimenti, in generale.

Molti sono stati aiutati, a livello di idee, dal fatto che l’antica divinità evocata dalla setta citata nel gioco è la causa di tutto questo loop temporale…

(Quella sopra è più una fase stealth che ho ugualmente apprezzato molto)

Ma soprattutto quelli che hanno a che fare in qualche modo con le copie della protagonista…

…Sono diventati un elemento vincente, dato l’espediente quasi “meta” delle linee temporali.

Ma oltre alle belle, inquietanti, mai troppo invasive, mai troppo banali… E che fanno anche foreshadowing sul plot twist principale, visuali in cui facciamo correre la protagonista, molti altri elementi di Cat In The Box si basano sul tema delle anomalie temporali.

Infatti, tornando per qualche secondo sugli inseguimenti, quando si viene catturati succede sempre qualcosa di strano al livello del gioco vero e proprio.

Ecco un esempio.

(In realtà questo cambiamento della schermata del titolo avviene anche se si va semplicemente al menu principale tramite il menu di gioco, se si è “fortunati”, ma almeno a me è successo quando sono stata catturata dalla copia della protagonista)

E se si clicca la prima voce… Il gioco non è che si chiude solo, o qualcosa di più semplice… Bensì crasha dopo questa schermata con testo scorrevole.

“Un crash obbligato, che figata è?! Cioè non è solo uno ‘SceneManager.exit’*, crasha proprio!!”

Io appena ho avuto questo game over, visibilmente emozionata.

*chiamata script usata su RPG Maker VX Ace per chiudere direttamente il gioco

Da qui apriamo il capitolo che finisce questo spezzone molto entusiasta della recensione: gli easter egg e i segreti.

Questi sono… Semplicemente tantissimi! Davvero, c’è persino un video di un intero minigioco inutilizzato che collega Cat In The Box a Stygian, il gioco precedente a questo, sempre della PsychoFlux Entertainment!

 

Se volete vederli tutti, vi lascio il video di quello che è praticamente l’idolo di ogni fan di RPG Horror nel 2020: ManlyBadassHero.

Ma in quest’articolo ve ne lascio un assaggio.

Se controllate quest’armadio quando il primo killer è morto…

E dopo aver provato ad usare più forza, senza successo…

…Ottenete l’ascia e poi, prima di andare al piano di sopra tornate a questo armadio…

…Hmm, già, perchè ha un nastro per la videocamera e ha i nostri stessi vestiti?

Oh, otterrete un nastro per la videocamera! Che fortuna!

…Ah, questo gioco è bellissimo, non ho davvero dubbi su questo.

 

Dopo le nostre prime due recensioni cariche d’odio e amarezza (spoiler: ci sarà più odio successivamente, just you wait) e il nostro apprezzamento per Purgatory, abbiamo trovato in un gioco di quest’anno davvero un’altra perla.

Con un inizio da tipico film slasher, con un plot twist che ha attorno degli elementi di foreshadowing a tratti anche incredibili, assieme ad un gameplay ben pensato, equilibrato e mai lasciato all’approssimazione perché “tanto è un RPG Horror” ed un aesthetic quasi occidentale, per noi Cat In The Box rimarrà per lungo tempo un importante punto di riferimento e confronto.

Cat In The Box – Review

Cat In The Box – Review

Happy Christmas Eve, and happy lockdown for who’s home!

Since the protagonist of Cat In The Box, instead, was able to leave her house (even if the game was released this year…) she decided, to be popular on her… Youtube? Dailymotion? Nicovideo channel? To explore the house that days before belonged to a cult.

Want to know more about the plot? PaoGun has already talked about the storytelling of this game in the second article of Tin Coffee Pot Time: “Storytelling – Three alternative ways to tell a story”!

I, Ele, will mainly take care of speaking of the game mechanics and gameplay in general of this title, for which we decided to dedicate this specific article.

Gameplay – Elements of survival and divine chases

In general Cat In The Box is really enjoyable to play , the exploration phases are never boring and, luckily, we constantly find the tapes for our camera, so that the player does not rage-quit just to save the game and doesn’t waste precious game hours, as well as chocolate to keep the player from falling asleep on the keyboard due to the initial speed of the protagonist.

As you may have already noticed from the title and what PaoGun said, Cat In The Box is a much more “Western” Horror RPG than many that we are all used to seeing, although the girl protagonist is drawn in a more or less anime style.

But let’s go into detail, let’s start from the exploration. Why did I write that it is a product that looks very Western compared to others of its kind?

Because, in my opinion, the Cat In The Box gameplay hangs on the survival front , a typical sub-genre of the horror game that is typically produced by us in the West, compared to the typical Japanese Horror RPG we have all been used to.

The first element that makes it different are the limited objects to save and run…

Yes, guys, I know very well that Faust Alptraum has chocolate to make you run, I was explaining-

Yes, I also know CaNDLE and its anxiety-inducing candle system!

My God, let me explain…

We will compare these two titles with Cat In The Box.

The first two, or due to a bad arrangement of objects (in CaNDLE you cannot finish the game if you don’t take the first three candles that are at the beginning) or simply for the mechanic in general, create a constant anxiety in the player who will have to constantly check the level of Ca’s candle or Elisabeth’s energy.

Now, I won’t talk about how this system could have been better in detail, but I just say that in both games the anxiety of having a real game over at any moment due to the limited objects… Makes both titles simply more anxiety-inducing and with players more inclined to ragequit, if I allow myself to exaggerate. This is because they always put the situation “on a razor’s edge” , especially CaNDLE (I would like to point out that Faust Alptraum suffers much less from this problem than CaNDLE, having a discrete positioning of the indispensable objects).

Then what did Cat In The Box do?

It has simply mastered this system, giving as limited objects the speed and the possibility of saving . It was a smart choice, honestly, because you don’t find yourself in the perennial rhythm in which you risk having a game over every second and you have to constantly check the levels of something, without enjoying anything of the title, which also has a nice atmosphere.

But the effect of anxiety is still eligible , since something as vital as saving is limited. So the player isn’t overwhelmed by the mechanics, but finds a real challenge… As it should be.
If you do not use tapes well, you are forced to continue playing until you find another one of them (which is never too late, since the game has a good arrangement of objects). The experience does not come from the warnings that subsequently give you a game over suddenly, but from the consequences if you do not manage in the right way the situation you are in.

And this, for me, it makes this game more “survival” than the other two titles I mentioned . Survival is perpetually based on managing your current situation, having inconvenient consequences, but don’t give you a game over instantly…

…Like a chase against probably a version of yourself from another timeline can do.

 

Here, we have come to the second point of this paragraph of the review.

As the title said, I loved the chases in this game.
On a more technical level, the fact that the game gives us a limitated stamina
 adds a lot, as we won’t always be able to go full-speed, so if we don’t have any remedies for stamina (very rare, I have found only one of them during my play) we must learn to dose speed well… But since the chases (allow me absolutism, seriously. I’ve played so many unnecessarily difficult games that these things make me exaggeratedly happy.) have been done right, this element doesn’t make the game more inclined to give hysteria to people like me, but just adds challenge!

But besides a beautiful gameplay , the thing I liked the most is, I get out of my field, the concept of many of the chases, in general.

Many of tham have been helped, in terms of ideas , by the fact that the ancient deity evoked by the cult mentioned in the game is the cause of all this time loop…

(The one above is more of a stealth phase which I also really appreciated)

But especially those who have to do in somehow with the copies of the protagonist…

…Have become a winning element , given the almost “meta” expedient of the timelines.

But besides beautiful, disturbing, never too invasive, never too trivial … And also foreshadowing the main plot twist, visuals in which we make the protagonist run, many other elements of Cat In The Box are based on the theme of temporal anomalies.

Indeed, returning for a few seconds on the chases, when you get caught something weird always happens at the actual game level.

Here’s an example.

(Actually this screen change of the title happens even if you simply go to the main menu via the game menu, if you are “lucky”, but at least it happened to me when I was captured by the copy of the protagonist)

And if you click the first choice… The game doesn’t just close, or something simpler… It crashes after this scrolling text screen.

“An obliged crash, how cool is that?! That is, it’s not just a ‘SceneManager.exit’ * , it just crashes!!”

I just got this game over, visibly excited.

* script call used on RPG Maker VX Ace to force-close the game

From here we open the chapter that ends this very excited paragraph in this review: the easter eggs and secrets.

These are… Simply a lot! Really, there’s even a video of an entire unused minigame connecting Cat In The Box to Stygian, a game precedent to this, also from PsychoFlux Entertainment!

If you want to see them all, I leave you the video of what is practically the idol of every Horror RPG fan in 2020: ManlyBadassHero.

But in this article I leave you a tasting.

If you check this cabinet when the first killer is dead …

And after trying to use more force, without success …

…You get the ax and then, before you go upstairs go back to this closet…

…Hmm, yeah, why it has a camrecorder and has the same clothes as us?

Oh, you will get a tape for the camera! Lucky you!

…Ah, this game is beautiful, I really don’t have doubts about this.

After our first two reviews full of hatred and bitterness (spoiler: there will be more hate later, just you wait ) and our appreciation for Purgatory, we found another gem in this year’s game.

With a typical slasher film start, with a plot twist that has around some elements of foreshadowing, at times even incredible, together with a well thought out and balanced gameplay, also never left to approximation because “eh, it’s Horror RPG anyway” and an almost western aesthetic, for us Cat In The Box will remain for a long time an important point of reference and comparison.

RPG Horror and Storytelling – Three Alternative Ways to Tell a Story!

And precisely because it is coming, that activity that we would all dream of doing at least once in our life returns: listening to stories in front of the fireplace, especially when they have to do with the world of mystery!

So, you will have understood what I am talking about, of course, about storytelling in the context of Horror RPGs! Well, after all, it was also the title of the article. Yup.

What to say, we started this year’s season with a lot of premises and discussions but finally we will be able to begin to resume together the slightly more theoretical approaches, in the article on Purgatory I had badly run away … I was looking forward to this one!

What are the premises for this article?

To begin with, the advice I propose is that I am not a scholar of some kind of videogame storytelling class. Everything I will say here is based only on the observation I had the opportunity to make during my experience with Horror RPGs.

What I noticed in general, even though I’m ignorant on the subject, was that in the world of video games the narration has never been an element for which the media has distinguished itself and the complexity of a plot is also scarcely considered in a proper manner, not to mention the issue of multiple endings. It is not only in the context of RPG Horror or in Japanese titles such as the various visual novels and route models, many Western titles also seem to take advantage of this method. I could mention titles like Detroit: Become Human which are based on numerous endings depending on the game choices. Many have considered it as an admirable operation and to be commended, I can understand why, but. There is a but.

It seems to me a “too comfortable” move. What I ask myself is how much it is worth staggering the responsibility of entrusting the player with the progress of a story, I would see it as an excuse to never make a final decision. Leaving aside the cases where the story is linear and technically only an ending is right, I take advantage of this premise to state that the theme of the endings is the last thing we will worry about in this article .

I know it had to be said, because it is now one of the key features for which RPG Horror is known, indeed, one of the few formalities in the narrative field for which the genre is recognized.

By making a short historical re-cap we try to remember one of the key elements of this genre: the clues inherent to the storyline are discovered during the exploratory phase which often distances itself from the part of a story in which there are cutscenes. Good.

Then we will remember that Mad Father introduced and made the public recognize the basics of linear narration in which the discovery of the clues of a story are strictly limited to a precise context. Let us remember, perfectly introduced the theme of linear narration in an area as wide as the videogame one  in which everything is in the hands of the player.

Let’s review this concept for a moment, I leave you this outline here.

… Ahem.

 


Here, good young lady, calmly go back to work.

So, yes, our assistant has speeded things up a bit too much, we’ll deal with the three screens later …

Rather let’s see the scheme he proposes before concluding the speech on Mad Father.

We have the unique narrative line, the parallel dotted lines you see are all those clues and flashbacks that are scattered throughout the game, but then as you can see they all come back to a single narrative line that never stops being only one and stable and based on the cause-effect relationship [1] , a feature that is already distinguished by the fact that the gameplay phase the level of action and understanding of the story is, however, different from the “big scenes” that carry on the plot. And this goes on until the final act, to be exact the reaching of the breakpoint in which the endings branch out only in the context of the conclusive climax, these lines as you can see go well with the scheme on the free gameplay that Ele had done in the article dedicated to Mad Father.

 

 

……So….Here’s my scheme again.

As you can see I marked the endings with thinner lines to indicate the little impact on the main narrative line, the game makes you understand very well the chosen path. The various “bad ends” are different consequences to types of events, do not distort the personality of the characters.

At this point you must have understood one thing: the narration I am referring to refers only to the text . The text is the game itself and is read, understood and interpreted just as one reads a sentence.

What we will do in Back to the future as soon as we get back to the rubric is compare the text with the paratexts . Actually we already do, we talk about paratexts whenever we talk about packaging , but now you can realize how much the relationship between text and paratext will be extremely important for the generation of storytelling, Pocket Mirror has just met a collision between these two elements, for example, causing a drop in a certain type of audience expectations; they are “road accidents” that can be encountered in the context of the creation of an audiovisual product. It will be one of the many parentheses that we will open on storytelling because the art of narrative in the audiovisual market is closely linked to the production sphere , therefore it will be inevitable to consider the context and the production intentions that have a significant influence on the language adopted by the telling a story.

We had a great example in Corpse Party, from the ’96 version made for a contest by an independent author, he just concentrates the information in the finale in order to bring the gaming experience to the fore. While in the version later marketed the priority is to categorize the characters and expand in a more deterministic and clear clues to the plot : let’s take for example the death of Sachiko, the more evident example. In the 1996 version it is summarized in a wall of text , in its commercial alter ego it is shown to be clear and understandable to as many users as possible.

So, after having also concluded our parenthesis, why then are we proposing this article? Why talk about alternative techniques to linear storytelling?

Let’s try to take up a concept mentioned in Mad Father.

Even if the linearity certainly allows to have a wider and potentially interested audience in the story, this does not take away the potential interest of public in more sophisticated style of narration (for example with construction of subtexts) that can be used not only as an alternative style of narration but also as a complementary line to the main plot.

Our long introduction finally concluded …

… We can finally start talking about the three ways adopted by Horror RPGs to propose a story!

Dreaming Mary – The narration IS the gameplay

… What is this music?

Certainly the one of the main title of Dreaming Mary!

In fact, it could only be the best game to start talking about. Do you see how designs and colors are used to immediately create a very strong imagery ?

I’ll start with this bold statement: Dreaming Mary doesn’t have a narrative line, storytelling “doesn’t exist” in this game. The environment and the gameplay phases coincide with the story to such an extent that they become the true form of narration .

Let’s try to remember how it starts.

Here is little Mary. The preface, written in the sky, is really short, the heart of the narrative is all in the gameplay from this point on.

So, we said that storytelling here “does not exist” but it does not mean that there is not a story as for Ao Oni for example wanted to be. The radio speaks as we move and what appears to be instructions for the player already provide elements for the key to the story.

The staging speaks more than any kind of cutscene could , indeed, these are really stripped down and only useful for introducing you to the games of the four characters to face.

Do you see how the characters present themselves? They are extremely communicative with their designs already. Let’s start with the bunny, for example, who will limit herself to welcoming us (or rather, welcome back) and then immediately put us to the test with her minigame and the others will do the same.

There has already been a time when we talked about Dreaming Mary

We were comparing it to a title that did not present a minimum of directing effort in the scenes we were about to see, perhaps we were brazenly comparing two extremes.

Here we said, starting from the environments everything becomes a clue, it is the whole game that performs the communicative function .

Now the gameplay is divided into three major cycles. Play with Bunnilda, Foxanne, Penn Guindel and then go to Boaris, repeat this flow one more time until the third game gets harder. Then the infringement must be completed and you enter the picture that leads to the world of nightmares, where all the solutions to the games are found and you will have to escape from a threatening shadow.

Then after winning these, collect the seeds and keys (in the nightmare area) that will lead you to the final pursuit that will awaken you in reality where Mari will find the key to be able to get out of the room where she was locked up by her father.

You have noticed, right? There is no cutscene. There is no need to introduce characters, specific contexts, narrative arcs. That’s why I reaffirm convinced that the narration is the gameplay , an even more sophisticated and subtle coordination than the Mad Father gameplay functionality in which there was still a sort of division between cutscenes and gameplay.

We know the father as an antagonistic and abusive figure:

  • Through the conversations with Boaris
  • By shadow you run away from in a chase
  • From the room where Mari wakes up showing us her sad situation.

There are, for example, no cutscenes in which the character is presented to you as happens in Cloé’s Requiem which we will discuss, another title that adopts linear narrative. We do not have the presentation of the character as such as happens in titles such as Angels of Death or Midnight Train, the presence of the father figure is articulated as a threatening aura that takes different forms, from Mari’s dreams to her nightmares and is never even shown to us in reality .

The game is really very explicit in its intentions without ever having to disturb a wall of text and in general without ever resorting to dialogue . The dialogues we have are captured in their essential form, what matters is everything around them, in fact it is difficult to dissect Dreaming Mary into scenes and appreciate only one over the other, the whole game is considered in its essence.

A small masterpiece in the field not only of the Horror RPG video game but I would venture to say in the field of the entire videogame narrative, a type of playful interweaving so brilliant that I have only seen it overcome for a short time by Body Elements .

There are many games that, especially from Generation 0, have tried to communicate only with their “very essence” (music, style, gameplay breakdown) and are among the titles for which I nurture my deepest esteem and admiration: Faust’s Alptraum , Body Elements and then there’s Dreaming Mary. The latter title managed to close perfectly and with great ingenuity a narrative plot that risked never ending or not explaining anything as happened for the other two titles, whose symbolism has taken a turn, overwhelming the importance of “ have something to say ”.

We know that Mary has to act in her dreams and the reason is explained towards the end, the endings of the game do not take deviations from an already decided linear path but deepen the sense of danger of the environment when we see the little girl fall down into her nightmares.

Let’s show a possible narrative scheme of Dreaming Mary and compare it with Mad Father:

Here is the scheme: the narrative continues like a spiral, the dotted lines correspond to the minigames that the characters propose to us three times up to the final part that exposes the protagonist’s objective…

Do you see how different they are? These are all the potentials that can be extracted without necessarily following a standard approach.

I want to conclude this first part with a consideration before moving on to the next title: Dreaming Mary is the only one of these three cases that not only shows an alternative technique to linear narration (“narration is gameplay” , absence of descriptive cutscene or based on linear events) but above all it demonstrates the theme of complementarity . The staging of any audiovisual product can and must act as a complementary feature to the linear narrative thus enriching the meanings of what the main plot shows us .

The genius of this title lies precisely in having based its narrative only on this.

Now let’s finally move on to the next game that-

So yes, Cat in the Box , a game to which we will also dedicate a review. But why talk about it in this space?

Let’s look at it for a moment: it doesn’t even have such a homogeneous aesthetic! The maps compared to those drawn by Dreaming Mary are pure gray stones set with excessive brightness!

We could mention for a moment the lines above on paratexts and packaging in general, it does not seem a title absolutely aimed at a large target and even less at a target of potential spectators as well as players.

Yet Cat in the Box blew me away. Let’s see why together.

Cat in the box – Looking for clues

This game is all that was needed, reaching the state of nirvana where you finally see what Generation 0 can promise in terms of narrative techniques .

There is a resumption of linearity and this phenomenon of “Generation 0 in modern times” we had already mentioned in Purgatory.

The protagonist to whom we will assign the name wants to leave the abandoned structure in which she sneaked in to impress the web. With an excellent diegetic expedient (speaking to a video camera), we learn that the place where she infiltrated belonged to a Masonic company that was arrested a few days ago.

We also know, in the course of the game experience, that the sect has managed to evoke an ancient divinity that we could define as the cause of all the supernatural facets of the title.

Perhaps following this whole series of information, you would think that a long story with dramatic tones lies ahead, which perhaps like Corpse Party starts from the events of the protagonists to extend attention to the background … But no.

Let’s see together the narrative scheme that the title proposes:

The parallel dotted lines are the actions we perform in the gameplay while the vertical lines indicate some major discoveries.

So here is a rather short straight line from which many parallel lines start that join towards an end point, a term, not towards a conclusive narrative line. The dotted lines as we have done so far represent the actions that we are going to perform with the girl and that join towards a point that would be the end, these follow a linearity that lead to a speech , we want to communicate something specific that materializes in the final image . We can see the difference of this approach with what was with titles like Akemi Tan where there was only linearity in the gameplay with cutscenes to fill the clues, here instead it’s all based about exploration and the elements you find .

We do not have cutscenes in the classic sense of the term even in this second analyzed case. We are presented with the suspense against an unknown presence in the house, but also the scene in which we learn who this presence is is a clue like any other within the plot branch, We never a melodramatic approach that just wants to suggest an intention to tell a story. In this you will understand that is also different from The Witch’s House .

The “cutscene” pauses are certainly shorter than Mad Father’s (well, in the diagram I should have drawn longer lines for Mad Father). The point is that in The Witch’s House, however, there was a background that was then brought to the foreground . In Cat In The Box you don’t have this, there is never a real decisive cutscene in which all the weight and the meaning of the story shifts , the only one there is just a clue as were the other clues of the game….

…That combined with the CG shown in the finale perfectly closes the narrative framework (this one comes from the end where our protagonist escaped from the house).

We see the creature appearing during the chases that happen in the nightmares of the girl, that we spoiled on Twitter, for example.

It is not an unexplained phenomenon or left to itself, we could easily interpret it as all the spirits of the girl who in the other timelines have died in the structure and are now trying to possess the body in the present. Such content would have been treated as an extremely dramatic reveal in other narrative titles, not here. They just exist, they only seem to have the function of “monsters chasing you” until the final scene and the image that concludes the title serve as an explanation that allows you to fit all the pieces of the puzzle together.

We could define it as a title that has applied very well and in its own way the lessons we learned from Dreaming Mary: the gameplay phases coincide with the in-depth narrative that the protagonist faces through our control in the exploration phases.

And where is the ingenious move in all of this?

The sobriety . Indeed, the structure. Pure and simple structure that is bared in front of us showing us how it supports the build-game .

The staging does not lend itself much to a communicative function for the title neither with the maps nor with the direction that seems to distance itself from the events and to be very very dry, and that is why the clues you discover assume fundamental importance in the tell the story within the game. Everything happens not “during the exploration phase” but only during the exploration phase , the I consider almost virtuous the way in which the clues have been released and linked together without ever making too much prevail over each other, in fact all the elements of the story are given the same importance until there let’s compare with the answer to the question that the title wanted to launch from the introduction, closing as Dreaming Mary with a message expressed by an excellent circular narrative structure in which the ending matches and responds to prefaces that were made at the beginning.

Dear Red – Ramification to the extreme

So, let’s get back to us. Here I promised to speak of three methods alternative to linear fiction. Gentlemen, the one that breaks the mold the most in this sense is definitely Dear Red and takes up the theme of our preface: the endings .

But this title doesn’t do it like the others.

Thus, there are various methods of considering a Horror RPG with multiple endings. These can be a minor alternative to the main line as in Mad Father and numerous other narrative titles, diversifications on the knowledge a player has about a story as in The Witch’s House , events for their own sake as in Hello Hell … or? or The Dark Side Of Red Riding Hood before reaching the finale or, as in Dear Red a way to broaden the knowledge of the background .

I’m certainly not the first person to notice the potential of the method that Sang Gameboy has chosen to tell his story. Here, too, the use of introducing the title with a short sentence that serves as an introduction: otherwise we know very little about the girl when she is in front of the door with the intention of killing her parents’ killer.

A story is not ending, a story is starting.

The actions that can be performed lead us to different scenarios that make us discover a new piece of history. There is no real ending or the right one to go through, if not discovering the one that deepens the plot the most.

The technique has not been deepened enough and that is why the paragraph on this game is likely to be short. But it does not surprise me that the product has had a well deserved success, this is because the method that he has discovered has so much potential and if mixed with others, perhaps combined with a type of linear narrative, it could offer many opportunities to create possible masterpieces.

 

 

…………

 

[1] As any manual says: Events happen in reaction to something.

RPG Horror e Storytelling – Tre modi alternativi per raccontare una storia!

L’inverno sta arrivando.

E proprio perché sta arrivando ecco che torna quell’attività che tutti sogneremmo di fare almeno una volta nella vita: ascoltare storie davanti al caminetto, sopratutto quando hanno a che fare con il mondo del mistero!

Ele: Credevo che quello che piace di fare di più di inverno fosse strafogarsi di cioccolata calda e dormire sotto le coperte.

Pao: Non dovevo occuparmi io di questo articolo?

Ele: Avevo pensato di fare un salto per salutare i ragazzi.

Ele: *Ciaaao ragazzi.*

Pao: Sparisci di qui.

Dunque, avrete capito di che sto parlando, ma certo, dello storytelling nell’ambito degli RPG Horror! Beh del resto era anche il titolo dell’articolo. Sì.

Cosa dire, abbiamo iniziato la stagione di quest’anno con un sacco di premesse e discussioni ma finalmente potremo iniziare a riprendere assieme gli approcci un po’ più teorici, nell’articolo su Purgatory me l’ero malamente data a gambe…Non vedevo l’ora!

Quali sono le premesse per questo articolo?

Tanto per cominciare l’avviso che vi propongo è che non sono una studiosa dello storytelling videoludico. Tutto quello che dirò in questa sede è basato soltanto sull’osservazione che ho avuto modo di fare durante la mia esperienza con gli RPG Horror.

Quello che ho notato in via generale, da ignorante in materia è stato considerare come da un lato nel mondo dei videogiochi la narrazione non solo non sia mai stata un elemento per cui il media si è contraddistinto ma sia anche scarsamente considerata la complessità di un intreccio narrativo, senza parlare poi della questione dei finali multipli. Non è solo nell’ambito dell’RPG Horror o nei titoli giapponesi come le varie visual novel e i modelli delle route, anche molti titoli occidentali sembrano sfruttare questo metodo. A naso potrei citare titoli come Detroit: Become Human che si basano su numerosi finali a seconda delle scelte di gioco. Molti l’hanno considerata come un’operazione ammirevole e da elogiare, posso capire il perchè, ma c’è un ma.

Mi sembra una mossa “fin troppo comoda”. Quello che mi chiedo è quanto valga la pena scaglionare la responsabilità di affidare al giocatore l’andamento di una storia, la vedrei come una scusa per non prendere mai una decisione definitiva. Tralasciando i casi in cui la storia è lineare e tecnicamente solo un finale è giusto ne approfitto di questa premessa per affermare che il tema dei finali è l’ultima cosa di cui ci preoccuperemo in questo articolo.

So che era necessario dirlo, perché è una delle caratteristiche chiave ormai per cui l’RPG Horror è conosciuto, anzi, una delle poche formalità in campo narrativo per cui il genere è riconosciuto.

Facendo un breve re-cap storico cerchiamo di ricordarci uno degli elementi chiave di questo genere: gli indizi inerenti la storyline si scoprono durante la fase esplorativa che spesso si distanzia rispetto alla parte di una storia in cui si assistono a delle cutscene. Bene.

Poi ricorderemo che Mad Father ha introdotto e fatto riconoscere al pubblico le basi della narrazione lineare in cui la scoperta degli indizi di una storia sono strettamente circoscritti ad un preciso contesto. Ha introdotto, ricordiamo, alla perfezione il tema della narrazione lineare in un ambito tanto largo come quello videoludico in cui è tutto nelle mani del giocatore.

Ripassiamo per un attimo questo concetto, vi lascio qui questo schema.

…Ahem.

Pao: Si, mi servirebbero carta e penna ma non li trovo…

Libreria: Ecco il tuo schema!

Pao: Ah! Ma da dove diavolo..Che cosa…

Libreria: Avevo visto che lo stavi disegnando, quindi ho pensato di finirlo io!

Libreria: Forse eri tanto impegnata che non potevi finirlo…

Pao: Ah..Grazie! Davvero un ottimo lavoro.

Libreria: “E ho anche qui tutti e tre gli screen richiesti per l’incontro di oggi”

Libreria: E’ stato molto semplice trovarli e quasi mi sarei aspettata per il discorso che avreste dovuto fare…


Pao: Ma te ne abbiamo mai parlato.

Libreria: Lo so! Ho dovuto controllare i file del tuo computer! il lavoro è una cosa importante, non potevo essere impreparata…

Pao: Ah-ehm. Guarda, Novella, è arrivato qualcuno!

Libreria: Eh? Ah!

Ecco, brava signorina, torna tranquilla tranquilla a lavorare.

Dunque, sì, la nostra asisstente ha velocizzato un po’ troppo le cose, dei tre screen ce ne occuperemo più tardi…

Piuttosto vediamo lo schema che propone prima di concludere il discorso su Mad Father.

Abbiamo la linea narrativa unica, le linee parallele tratteggiate che vedete sono tutti quegli indizi e flashback che si trovano in maniera sparsa durante il gioco, ma poi come potete vedere si riconducono ad un’unica linea narrativa che non smette mai di essere unica e stabile e basata sul rapporto causa-effetto[1], una caratteristica che si contraddistingue già dal fatto che la fase di gameplay a livello di azioni e comprensione della storia è comunque spearata rispetto alle “grandi scene” che portano avanti la trama. E questo va avanti fino all’atto finale, per esattezza il raggiungimento del breakpoint in cui i finali si diramano solo nell’ambito del climax conclusivo, queste linee come potrete vedere si sposano bene con lo schema sul gameplay libero che Ele aveva fatto nell’articolo dedicato a Mad Father.

….Quindi….Tornando al nostro schema….

Come potete vedere ho segnato i finali con delle linee più sottili per indicare lo scarso impatto sulla linea narrativa principale, il gioco fa capire molto bene la strada scelta. I vari “bad end” sono diverse conseguenze a tipi di eventi, non stravolgono i caratteri dei personaggi.

A questo punto del discorso dovrete aver capito una cosa: la narrazione a cui sto facendo riferimento rimanda unicamente al testo. Il testo è il gioco stesso e si legge, comprende e interpreta proprio come si legge una frase.

Quello che faremo in Back to the future non appena riprenderemo in mano la rubrica sarà confrontare il testo con i paratesti. In realtà lo facciamo già, parliamo dei paratesti ogni qualvolta parliamo del packaging, ma adesso potrete rendervi conto di quanto il rapporto tra testo e paratesto sarà estreamente importante per la generazione dello storytelling, Pocket Mirror ha incontrato proprio una collisione tra questi due elementi per esempio, causando un calo di un certo tipo di aspettative da parte del pubblico; sono incidenti di percorso che si possono incontrare nell’ambito della realizzazione di un prodotto audiovisivo. Sarà una delle tante parentesti che apriremo sullo storytelling perché l’arte della narrativa nel mercato dell’audiovisivo è strettamente legata alla sfera produttiva, quindi sarà inevitabile considerare il contesto e le intenzioni produttive influiscono notevolmente sul linguaggio adottato dalla narrazione di una storia.

Abbiamo avuto in Corpse Party un ottimo esempio, dalla versione del ’96 realizzata per un contest da un autore indipendente si limita a concentrare le informazioni nel finale al fine di mettere in primo piano l’esperienza di gioco, mentre nella versione in seguito commercializzata la priorità è categorizzare i personaggi ed espandere in maniera più deterministica e chiara gli indizi sulla trama: prendiamo ad esempio la morte di Sachiko, l’esempio più evidente. Nel ’96 viene riassunta in un wall of text, nel suo alter ego commerciale viene mostrata per poter essere chiara e comprensibile a più utenti possibili.

Quindi, dopo aver concluso anche la nostra parentesi, perché allora proponiamo questo articolo? Perché parlare di tecniche alternative alla narrazione lineare?

Cerchiamo di riprendere un concetto citato in Mad Father.

Anche se la linearità permette di avere certamente un’audience più ampia e potenzialmente interessata ad una storia ciò non toglie il potenziale interesse del pubblico per la ricerca di uno stile narrativo più sofisticato (ad esempio con la costruzione di sottotesti) che possa essere utilizzato non solo come stile di narrazione alternativo ma anche come una linea narrativa complementare alla trama principale.

Conclusa finalmente la nostra lunga premessa…

…Possiamo finalmente iniziare a parlare dei tre modi adottati dagli RPG Horror per proporre una storia!

Pao: Si lo so, finalmente ci siamo arrivati. Sapete, e che questi discorsi li faccio sempre da sola o con Ele e…

Pao: Insomma, diciamo che vomitarli tutti in una volta per un articolo è stata un’esperienza liberatoria.

Libreria: Oh, ti capisco, anche io sono sempre sola

Pao: Ho appena detto che ne parlo anche con El-

Libreria: Non bisogna vergognarsi della propria solitudine, morire soli e dimenticati in questo mondo è un atto di coraggio prima della totale estinzione dell’umanità.

Pao: …Cerchiamo di capire piuttosto da dove iniziare.

Dreaming Mary – La narrazione è il gameplay

…Ma cos’è questa musica che sento?

Certamente quella del titolo di Dreaming Mary!

Difatti non potrebbe che essere il titolo migliore di cui iniziare a parlare. Vedete come i disegni e i colori sono usati per creare fin da subito un immaginario molto molto forte?

Comincerò con questa azzardata affermazione: Dreaming Mary non ha una linea narrativa, lo storytelling “non esiste” in questo gioco. L’ambiente e le fasi di gameplay coincidono con la storia a tal punto che diventano la vera forma di narrazione.

Cerchiamo di ricordarci come inizia.

Lirbreria: Ecco il suo screen-sign! Oh ma che ragazzina adorabile!

Ecco la piccola Mary. La prefazione, ovvero le scritte in cielo che appaiono, è davvero corta, il cuore della narrazione è tutto nel gameplay da questo punto in poi.

Dunque, dicevamo che lo storytelling qui “non esiste” ma non vuol dire che non ci sia una storia come voleva essere per Ao Oni ad esempio. La radio parla mentre ci muoviamo e quelle che sembrano istruzioni per il giocatore già forniscono elementi per la chiave di lettura della storia.

La messa in scena parla più di quanto potrebbe farlo qualsiasi tipo di cutscene, anzi, queste sono davvero ridotte all’osso e utili solo per introdurti i giochi dei quattro personaggi da affrontare.

Vedete come si presentano i personaggi? Sono estremamente comunicativi già con i loro design. Cominciamo dalla coniglietta per esempio, che si limiterà a farci  convenevoli di benvenuto (anzi, bentornato) e poi ci metterà subito alla prova con il suo minigioco e allo stesso modo faranno gli altri.

C’è stata già un’occasione in cui abbiamo parlato di Dreaming Mary

La stavamo mettendo a confronto proprio con un titolo che non presentava un minimo sforzo di regia nelle scene che ci apprestavamo a vedere, forse stavamo sfacciatamente mettendo a confronto due estremi.

Qui dicevamo, già a partire dagli ambienti tutto diventa un indizio, è il gioco intero a svolgere la funzione comunicativa.

Ora il gameplay si articola in tre grandi cicli. Gioca con Bunnilda, Foxanne, Penn Guindel e poi vai da Boaris, ripeti questo flusso un’altra volta finché la terza i giochi non si faranno più difficili. Allora va compiuta l’infrazione e si entra nel quadro che porta nel mondo degli incubi, dove si trovano tutte le soluzioni ai giochi e dovrai scappare da un’ombra minacciosa.

Allora dopo aver vinto a questi raccogli i semi e le chiavi (nella zona degli incubi) che ti porteranno all’inseguimento finale che ti faranno risvegliare nella realtà dove Mari troverà la chiave per poter uscire dalla stanza dove era stata rinchiusa da suo padre.

Ve ne siete accorti, no? Non c’è alcuna cutscene. Non c’è bisogno che si presentino personaggi, contesti specifici, archi narrativi. Ecco perché riaffermo convinta che la narrazione è il gameplay, un coordinamento ancora più sofisticato e sottile rispetto alla funzionalità del gameplay di Mad Father in cui c’era comunque una sorta di divisione tra cutscenes e gameplay.

Noi conosciamo il padre come figura antagonista e abusiva:

  • Tramite i dialoghi con Boaris
  • Tramite ombra da cui scappi via tramite un inseguimento
  • Dalla stanza in cui Mari si risveglia mostrandoci la sua triste situazione.

Non ci sono, ad esempio, cutscene in cui ti viene presentato il personaggio come accade in Cloé’s Requiem di cui parleremo, un altro titolo che adotta la narrazione lineare. Non abbiamo la presentazione del personaggio come tale come avviene in titoli qual Angels of Death o Midnight Train, la presenza della figura paterna si articola come aura minacciosa che prende diverse forme, dai suoi sogni ai suoi incubi e nemmeno ci viene mai mostrato nella realtà.

Il gioco è davvero molto esplicito nelle sue intenzioni senza mai dover scomodare un wall of text e in generale senza né mai ricorrere ai dialoghi. I dialoghi che abbiamo sono colti nella forma essenziale, ciò che conta è tutto quello che c’è attorno, difatti è difficile sezionare Dreaming Mary in scene e apprezzarne solo una rispetto all’altra, tutto il gioco viene considerato nella sua essenza.

Un piccolo capolavoro nell’ambito non solo del video gioco RPG Horror ma azzarderei a dire nel campo dell’intera narrazione videoludica, un tipo di intreccio ludico tanto geniale che ho visto solo superare per poco da Body Elements.

Ci sono tanti giochi che, soprattutto da parte della Generazione 0, hanno cercato di comunicare soltanto con la loro “stessa essenza” (musiche, stile, scioglimento del gameplay) e sono tra i titoli per cui nutro la mia più profonda stima e ammirazione: Faust’s Alptraum, Body Elements e poi c’è Dreaming Mary. Quest’ultimo titolo è riuscito a chiudere perfettamente e con grande ingegno un intreccio narrativo che rischiava di non chiudersi mai o non spiegare nulla come è accaduto per gli altri due titoli, il cui simbolismo ha preso piega sovrastando l’importanza dell’ “aver qualcosa da dire”.

Sappiamo che Mary deve agire nei suoi sogni ed il motivo viene esplicitato verso la fine, i finali del gioco non prendono deviazioni da una strada lineare già decisa ma approfondiscono il senso di pericolo dell’ambiente quando vediamo la piccina cadere giù nei suoi incubi.

Mostriamo un possibile schema narrativo di Dreaming Mary e confrontiamolo con quello di Mad Father:

Ecco lo schema: la narrazione prosegue come una spirale, la le linee tratteggiate corrispondono ai minigiochi che i personaggi ci propongono per tre volte fino ad arrivare alla parte finale che espone l’obiettivo della protagonista…

Vedete quanto sono diversi? Queste sono tutte le potenzialità che si possono estrarre senza dover seguire per forza un approccio standard.

Voglio concludere questa prima parte con una considerazione prima di passare al prossimo titolo: Dreaming Mary è l’unico di questi tre casi che non solo mostra una tecnica alternativa alla narrazione lineare (“la narrazione è il gameplay”, assenza di cutscene di stampo descrittivo o basata su eventi lineari) ma soprattutto ci dimostra il tema della complementarità. La messinscena di un qualsiasi prodotto audiovisivo può e deve fungere da caratteristica complementare alla narrazione lineare arricchendo così i significati di ciò che la main plot ci mostra.

La genialità di questo titolo sta proprio nell’aver basato la sua narrazione solo su questo.

Ora passiamo finalmente al prossimo gioco che-

Ele: Io! Voglio proporre io!

Pao: Ah sì?

Ele: Penso che Cat In The Box ci stia bene per l’articolo!

Pao: Lo dici per caso solo per le meccaniche che ha introdotto?

Ele: Sei seria? Parliamo totalmente di qualcos altro e pensi che l’abbia proposto per le meccaniche?

Pao: Oh. Okay, scusami.

Ele: Avrò spazio nella recensione per parlare delle meccaniche di gioco, e dai.

Pao: D’accordo, okay, scusa…

Ele: Mi hai davvero deluso.

Paola: Ho detto che mi spiace.

Dunque sì, Cat in the Box, un gioco a cui dedicheremo anche una recensione. Ma perché parlarne in questo spazio?

Guardiamolo un attimo: non ha nemmeno un’estetica così omogenea! Le mappe a confronto di quelle disegnate da Dreaming Mary sono pure pietre grigie messe ad un livello di brightness troppo alto!

Potremmo accennare per un momento al discorso di prima sui paratesti e in genere sul packaging, non sembra un titolo assolutamente rivolto a un largo target e ancora di meno ad un target di potenziali spettatori oltre che giocatori.

Eppure Cat in the Box mi ha spiazzato. Vediamo insieme il perché.

Cat in the box – Raccolta di indizi

Questo gioco è tutto quello di cui c’era bisogno, il raggiungimento dello stato del nirvana in cui si vede finalmente cosa la Generazione 0 può promettere in termini di tecniche narrative.

C’è una ripresa della linearità e questo fenomeno della “Generazione 0 nei tempi moderni” l’avevamo già accennata in Purgatory.

La protagonista a cui assegneremo il nome vuole uscire dalla struttura abbandonata in cui si è introdotta furtivamente per fare colpo sul web. Con un ottimo espediente diegetico, ovvero parlando ad una videocamera, veniamo a sapere che il luogo in cui si è infiltrata apparteneva ad una società massonica che è stata arrestata pochi giorni fa.

Sappiamo anche, nel corso dell’esperienza di gioco, che la setta è riuscita ad evocare una divinità antica che potremmo definire come la causa di tutte le sfaccettature sovrannaturali del titolo.

Magari a seguito di tutta questa serie di informazioni pensereste che si prospetta una storia lunga e con toni drammatici, che magari come Corpse Party parte dalle vicende dei protagonisti per estendere l’attenzione sul background…E invece no.

Vediamo insieme lo schema narrativo che propone il titolo:

Le linee tratteggiate parallele sono le azioni che compiamo nel gameplay mentre le linee verticali indicano alcune scoperte principali.

Quindi ecco una linea retta piuttosto corta da cui partono tante linee parallele che congiungono verso un punto finale, un termine, non verso una linea narrativa conclusiva. Le linee tratteggiate come abbiamo fatto finora rappresentano le azioni che andiamo a compiere con la ragazza e che congiungono verso un punto che sarebbe il finale, queste seguono una linearità che portano ad un discorso, si vuole comunicare qualcosa di preciso che si concretizza nell’immagine finale. Possiamo vedere la differenza di questo approccio con quello che c’era con titoli come Akemi Tan in cui c’era solo linearità nel gameplay con delle cutscene per colmare gli indizi, qui invece è tutto basato sull’esplorazione e gli elementi che trovi.

Non abbiamo delle cutscene nel senso classico del termine nemmeno in questo secondo caso analizzato. Ci viene presentata la suspense nei confronti di una presenza sconosciuta nella casa, ma anche la scena in cui si viene a conoscenza di chi questa presenza sia è un indizio come un altro all’interno della diramazione della trama, non abbiamo mai un approccio melodrammatico che voglia anche solo suggerire l’intenzione di raccontare una storia. In questo potrete ben capire che è diverso anche da The Witch’s House.

Le pause “per le cutscene” sono certamente più corte rispetto a quelle di Mad Father (beh, nello schema avrei forse dovuto disegnare quelle linee più lunghe in Mad Father). Il punto è che in The Witch’s House comunque c’era un background che poi è stato portato in primo piano. Qui no, non c’è mai una vera e propria cutscene risolutiva in cui si sposta tutto il peso e il significato della storia, l’unica che c’è è solo un indizio come lo sono stati gli altri indizi del gioco.

…Che uniti alla CG mostrata nel finale chiudono perfettamente il quadro narrativo (questa si trova nel finale in cui la protagonista riesce a scappare dalla casa).

Vediamo la creatura che appare durante gli inseguimenti che avvengono nei suoi incubi che avevamo spoilerato su Twitter, ad esempio.

Non è un fenomeno inspiegato o lasciato a se stesso, potremmo facilmente interpretarlo come tutti gli spiriti della ragazza che nelle altre linee temporali sono morte nella struttura e ora cercano di possedere il corpo nel presente. Un contenuto del genere sarebbe stato trattato come una reveal estremamente drammatica in altri titoli narrativi, qui no. Loro esistono e basta, sembrano avere solo la funzione di “mostri che ti inseguono” finché la scena finale e l’immagine che conclude il titolo non fungono da spiegazione che ti permette di incastrare tutti i pezzi del puzzle.

Potremo definirlo un titolo che ha applicato egregiamente e a modo suo gli insegnamenti che abbiamo tratto da Dreaming Mary: le fasi di gameplay coincidono con l’approfondimento narrativo che la protagonista affronta tramite il nostro controllo nelle fasi di esplorazione.

E dov’è la mossa geniale in tutto questo?

La sobrietà. Anzi, la struttura. Purissima e semplice struttura che si denuda davanti a noi mostrandoci come sostiene egregiamente l’edificio-gioco.

La messa in scena non si presta molto ad una funzione comunicativa per il titolo né con le mappe né con la regia che sembra prendere le distanze dagli eventi ed essere molto molto asciutta, ed è per questo gli indizi che scopri assumono un’importanza fondamentale nel raccontare la storia all’interno del gioco. Il tutto avviene non “durante la fase d’esplorazione” ma solo durante la fase d’esplorazione, lo considererei  quasi virtuoso il modo in cui sono stati rilasciati gli indizi e concatenati tra loro senza mai far prevalere troppo l’uno sull’altro, difatti a tutti gli elementi della storia viene fornita la stessa importanza finché non ci confrontiamo con la risposta alla domanda che il titolo voleva lanciare dall’introduzione, chiudendosi come Dreaming Mary con un messaggio espresso da un’ottima struttura narrativa circolare in cui il finale combacia e risponde alle prefazioni che sono state fatte all’inizio.

Pao: Anche se avrei una riflessione da fare su questo gioco e cioè come sembra spostarsi su quella che è un’estetica “più occidentale”, per vedere come si differenzia negli stili. Insomma, sono coreani ma… Sia i due autori che la società distributrice sembrano piuttosto orientati all’estero…

Ele: Heeeeey, avremo una recensione per parlare di questo aspetto.

Pao: Sì, sì, lo so, era per dire. Mi sembrava solo strano notare come da “una parte del mondo” ci fosse più attenzione allo stile di un prodotto e alla sua estetica mentre “dall’altra parte” il focus sembri spostarsi sui meccanismi di gameplay e sulla struttura interna di un titolo anche a costo di sacrificare lo stile…Voglio dire…Le tendenze sembrano quelle.

Ele: Eh? Meccanismi di gameplay? Non si parlava di *storytelling* qui? Vuoi metterti a parlare di gameplay anche tu adesso?

Pao: Quindi? Mi vorresti zittire?

Lib: Uh… Ehm…

Ele: Assolutamente si! Ho per caso torto? Hai qualche problema se ti zittisco mentre fai il mio lavoro?!

Pao: Se devo essere franca, il primissimo problema da considerare è che stai invadendo lo spazio che-

Libr: Su-Suvvia…Non è certo il momento di litigare…

Pao: …

Ele: …Comunque non ci provare più a-

Libr: Ah! Guardate! Una simpatica ragazza con un coltello!

Ele: Woo… Ne dovevi parlare?

Pao: Si, ne dovevo parlare… Prima che mi interrompessi.

Libr: Vado a prendere il materiale…

Dear Red – La ramificazione all’estremo

Allora, torniamo a noi. Qui vi avevo promesso di parlare difatti di tre metodi alternativi alla narrativa lineare. Signori, quello che rompe più gli schemi in assoluto in questo senso è sicuramente Dear Red e riprende il tema della nostra prefazione: i finali.

Ma questo titolo non lo fa come gli altri.

Ele: Hm… Che casino.

Pao: Lasciami lavorare e vedrai….

Dunque, ci sono vari metodi di considerare un RPG Horror a finali multipli. Possono essere questi un’alternativa minore alla linea principale come in Mad Father e numerosi altri titoli narrativi, delle diversificazioni sulle conoscenze che un giocatore ha su una storia come in The Witch’s House, degli eventi fini a se stessi come in Hello Hell…o? o The Dark Side Of Red Riding Hood prima di giungere al finale oppure, come in Dear Red un modo per allargare la conoscenza del background.

Sicuramente non sono la prima persona che nota la potenzialità del metodo che Sang Gameboy ha scelto per raccontare la sua storia. Anche qui non viene perso l’uso di introdurre il titolo con una breve frase che funge da introduzione ma per il resto sappiamo davvero poco della ragazza quando è di fronte la porta con l’intenzione di uccidere l’assassino dei suoi genitori.

Non si sta concludendo una storia, la si sta iniziando.

Le azioni da poter compiere ci conducono verso differenti scenari che ci fanno scoprire un nuovo pezzo di storia. Non c’è un vero e proprio finale o uno giusto da percorrere, se non scoprire quello che approfondisce di più la trama.

La tecnica non è stata approfondita a sufficienza ed è per questo che il paragrafo su questo gioco rischia di risultare corto. Ma non mi stupisce che il prodotto abbia avuto un buon successo del tutto meritato, questo perché il un metodo che ha scoperto ha davvero tante potenzialità e se mischiato ad altri, forse unito ad un tipo di narrazione lineare, potrebbe offrire tante opportunità per creare dei possibili capolavori.

Pao: Okay ammetto che mi sono fermata qui, perché dall’ultima volta che ci siamo informate l’autore stava aggiungendo altri finali e non sappiamo com’è andata a finire la produzione di questo titolo.

Ele: Perché non dici che in realtà sei pigra e non avevi voglia di approfondire la versione Extended di Dear Red, quella che è su Steam?

Pao: Perché non è vero, non sapevo neanche che fosse stata effettivamente rilasciata la versione aggiornata del gioco!


Pao: …Sto perdendo la pazienza. Smettila di mettermi a disagio!

Libreria: Io..Ho finito il turno per oggi?

Ele: Ahahah! A disagio? Perché per una volta che ti lascio da sola non hai tutte le informazioni?

Pao: Oggi… Ho avuto fin troppo di cui occuparmi, ecco.

 

Ele: So cosa stai pensando, Novy. Vai pure, no problem. Sono davvero dispiaciuta che il tuo turno di oggi sia stato così corto e poco remunerativo

Libreria: Oh ma non è così importante, dopotutto è il primo giorno e…

 

Pao: Verrai retribuita ugualmente, non preoccuparti. Hai finito per oggi.

…………

 

Pao: …Sai cosa? Voglio proprio vedere come hai intenzione di portare avanti il tuo articolo la prossima volta.

Ele: Sicuramente non facendo cadere le braccia ai lettori con paragrafi e paragrafi di nozioni, su nozioni, su nozioni… Ugh!

Ele: Saprò catturarli sicuramente più di te!

Ele: Mmh… No, non dovrei dirlo io. Ragazzi, perchè non giudicate voi? Tenetevi aggiornati con il Ludi Tarantula Archives!

[1] Come dice qualsiasi manuale: gli eventi accadono in reazione a qualcosa.

Purgatory – Review

Hello, annoying little internet flies. Your disgusting spider from moldy houses and your slimy snake from the smelliest sewers are ready to return here in the Archives to start this new season more charged than ever and ready to release our poisons.

The first review of this site was a very pissed off with a lot of flame in the background, then we continued with another not too positive review and this would perhaps indicate that our fate involves feeling anger in life. Perhaps some of you will have got used to our attitude…

Why are we talking about it now? Simple! Because with Back To The Future we are approaching the generation of the story-telling focus!

And that is precisely why we will resume our activities by reviewing Purgatory

Yes, it has to do with everything. It has something to do with everything.

Purgatory is a really good game that we discovered this year, so why are we talking like we’re possessed by Satan?

Understand one thing.

The discourse of videogame narrativity, how this is perceived by a fandom and many other discourses related to it … It is really a macro-theme to deal with, a tough row to hoe for us.

All the articles scheduled until this spring will cover this topic, if not all of them. Let’s say almost everyone apart from one will come across this topic, they are simply divided into three different sections because we have found a way to dissect this year’s big theme through numerous analyzes of other games, for better…

…And for worse.

What we are approaching is not only about writing, but as we have already anticipated also the history of the various productions of these games. You will realize how the subjects change from those we have presented so far in Back to The Future. The world of Horror RPGs, and why not, of independent videogame production is about to change.

Now we can finally introduce what role this year’s “Reviews” category will play in all this. Therefore, three out of four reviews will deal with games that seem to approach the structure of Generation 0, which we remember was the Generation in which each game, even before trying to emerge, tried to convey sensations to the player.

Even if it is “only” fear, everyone has tried to do it in their own way, continuously looking for a style and numerous and varied methods …

(In the pictures: Ao Oni, Yume Nikki, Body Elements)

…To try to convey something so primordial.
The reviews section will be really important at this time, because it will be our ground of comparison with the titles analyzed in Back To The Future and also with the title that we will analyze in a very special way not in a normal review or in the Back section To The Future, but in the new rubric…

So now that we’ve made our further introductions we can finally get closer to the title in question.

Purgatory

Plot

The game starts in a room full of corpses and blood where our protagonist falls. The design may not be the most eye-catching or well-finished, but like a good old-fashioned RPG Horror, it can introduce you to the action in a few minutes.
From the first exploration it appears to be a prison basement. Well, it is actually a prison.

The truth is that, as we will see by continuing the exploration, it is a slaughterhouse. The chosen setting was made in a very special way as the gray and dark palettes mix with the floors covered with flesh and walls of flesh that immediately trigger strong feelings of disorientation and desolation.
With the first rounds of exploration with Ele I was almost led to believe, given the scenario, that it was a sort of dystopia and for this I admit that I was a bit disappointed when in the end it turned out to be just an abandoned structure that the characters involved found themselves exploring out of pure curiosity.

We’ll know the explanation of how Enri (the name of our protagonist) ended up there little by little with flashbacks. The way in which the first flashback happens is clear, as the girl moves to the next area we see her in a different environment and with different clothes, while we are then introduced to Emma, one of the kids who will push her to enter the facility first. to make her search the place.

We said this environment looks like a butcher’s shop …

…With a machine to cut the meat into slices.

And if it’s a slaughterhouse, a butcher couldn’t be missing.

Among the various game overs and bad ends will also include an ending in which Enri will be able to get out using the tool of a strange ax that will give her a demonic status with which she can defeat him and escape.

In reality, I wouldn’t have much to say about the story, there isn’t a plot to unravel and with which I can get my hands dirty. What matters in this game is suggestiveness.

The author managed to bring to the public a game so suggestive that it deserves an equally complex plot. Even if the few events that are told to us are clear and told with transparent linearity, these unfortunately would not be enough to be able to boast the construction of a valid narrative plot, without neglecting the numerous background elements that there would be to explain and I’m not so sure that a Purgatory 2 could do so.

However, I do not totally disdain the type of plot we came across, especially since this makes the supernatural oddities that arise along the way even more evocative. With a little effort, it would probably be possible to build on a good narrative framework that can explain the phenomena we observe during gameplay without having to give up their elusive and paranormal nature.

The next game we will review we will find ourselves in front of a more interesting and multifaceted case of videogame storytelling in the clues to be grasped during the exploration of the environment …

Speaking of this, it is appropriate to leave the article in Ele’s hands.

Yes, I admit that you spent very little time with me during this article, but with you we will have the opportunity to see each other in the next ones.

You will see me, you will see me

Gameplay

Good evening! Good evening! It is Ele (or EleRantula if you prefer) now that speaks to you!

What can I say… Paola has more or less summarized part of what I will say in this part of the review:

“… Like a good old-fashioned Horror RPG, it can introduce you to the action in a few minutes.”

Yes, as we said for The Crooked Man in Back To The Future, here too we have a return to the Horror Experience Generation.

But if in the title of Uri it seems that we only had a jolt of this generation, since it was mainly given by the atmosphere of the game, in Purgatory we can have a nice full-immersion in this generation, albeit in a more “modern” key.

Now you will understand what I mean, with a key question you might ask yourself:

“Why do you think a 2017 game has such great inspiration from a current of HOR-RPG that started practically in the mid 90’s?”

Guys, it will be a common answer, but just play.

The start of the game, as my sister told you, catapults you directly into the action.
No introduction of the background (for now) or of a particular situation by any means, an unknown and above all silent protagonist …

But let’s get away from those mountains of corpses and explore the place where the girl was taken so suddenly.

…………………

…………..

……………

During the exploration, do you not hear a certain… Silence?
No precise OSTs to accompany us in the horror atmosphere of this prison / butchery subspecies, only ambient sounds and the occasional (more frequent in the early stages of the game) Enri’s steps in the various lakes and pools of blood (which, if we want be very meticulous, at the level of realisticness I found exaggerated, even if they help a lot to build the atmosphere) present … This sense of peace, also given by the fact that, in fact, Enri seems to be a mute girl (or, if not, very taciturn ) so her point of view isn’t really shown through thoughts or dialogues ...
What does it make you feel?
As always, I tell you: isolated. As isolated from the rest of the world like Enri, since you are locked in there with her. This complete participation and immersion on the part of the player in the environment and atmosphere … Does it remind you of something, longtime fans?

 

For those new to the Ludi Tarantula Archives, this text is taken from the article dedicated to Ao Oni in the “Back to the Future” section. We treated Ao Oni it in the so-called “Generation 0” that I am talking about so much in this review. There is more information on this in the very first Back To The Future article on CORPSE-PARTY, but even just reading this review you will have understood what kind of titles we are talking about.

So yes, ladies and gentlemen, we can confirm that in 2017 a title came out that seems very inspired by the atmosphere of about … How much, twelve years ago?

Moving on to the actual gameplay, this too is partly a consequence of this great inspiration from the Horror Experience generation.
In fact, in the game you have a pure exploration of the various environments, no precise puzzles but more than anything else a finding of objects to move forward, even if obviously you never find yourself in too dispersive environments, being the “butcher’s” sectioned into various environments always precise with some difference between them, divided by shutters that must be opened each time to progress in the game.

As they say, you don’t change a team that wins: even with this rather simple basic gameplay, Purgatory is not boring at all and Nama (author of the game) has almost always managed, especially from the second section onwards, to find imaginative ideas to let players find the “green keys” they need from start to finish.

But now let’s talk about the reason why at the beginning of this part of the review I mentioned a full-immersion in Generation 0 in a modern way. These that I will list will be precisely the reasons why this title in 2017 (and in 2020) holds up very well, despite being inspired by very old titles and while not being some kind of cult: linearity.

As I said above, the butchery is divided into various areas which in turn are divided into smaller areas (the various rooms within a macro-area, in short), which we do not have all available immediately: we have to unlock them one at a time.
Already compared to Ao Oni, where we have a nice multitude of rooms available from the beginning, or even Akemi Tan, this small element adds to Purgatory a type of procedure in the game more similar, for example, to the early stages of Ib.
Ib is from Generation 1: The Character Drama.

But in addition to puzzles and traps … We have said that in this butcher’s shop there is also a butcher. In fact, this title also includes a number of chases with this very nice meat-slicer, ready to kill us (as the slasher horror films say since the 80s).

Also from this point of view Purgatory moves away from titles like Ao Oni, where the chases are random and the Oni can appear from any angle, because the chases with the butcher are all scripted.
What is to be noted is not the very fact that the player knows when exactly the butcher appears, but the fact that scripted chases are typical of more driven games and with much more “plot dictated” chases; Purgatory could handle chases like Ao Oni, since the main enemy almost never has anything to do with the story, so whether it appears randomly or just and only at certain times it wouldn’t make much difference.

But it didn’t, and it was also a good choice, in my opinion. It made it easier to create imaginative ways to escape from… That massive man.

This case, for example.

This little … “Puzzle”? In short, it consists of pulling one of the levers and going to the corresponding button (which will be visible through the fact that it is a brighter red) as quickly as possible: if the player does not make it in time, the lever must be pulled again.

Here, after solving the riddle in this quieter room and having rigorously saved before entering the door that will take us to the next room, this happens.

The player thinks: “Oh yeah, I have to do this like I did before!”

I really enjoyed this chase: many times when there are these types of chases (or even actual boss fights), they seem much more difficult than normal fights… But simply because it is very likely that the player will take longer to understand what the heck do they have to do in order not to be killed, than actually do it. And it’s… Annoying.

This chase, I tell you, was long enough for me. But I knew what I had to do, it was the actual difficulty of the chase that made it long and even at times complicated, given the added difficulty of the butcher who, in fact, chases Enri who in the meantime has to go from one button to another, from one lever to another…

So, citing this case, in short I appreciated the Purgatory chases in general, and the choice of making them scripted, which in many other games (such as Yume Nikki: Dream Diary) makes everything much more boring, predictable, and even anticlimatic, in this case it was a winner, given the general creativity there was for the game from a gameplay point of view.

Another thing that certainly makes the game more enjoyable to some kind of players, even if there are all those elements of gameplay and atmosphere of the constantly mentioned Generation 0, to explain the plot (why Enri ended up in the butcher shop, mainly), flashbacks are used in the form of cutscene, with obviously have also an alternative potrait for Enri to show what she was like before falling into that bad situation.

This scene, which you get when you are about to go to the second game zone, is also accompanied by music. There is the presentation of another character (Emma), who we will see in the following cutscenes and will be recognized for her false innocence and sneakiness, which will then be one of the main reasons (if not THE main reason) why Enri is in the Butcher’s shop.

During these scenes it can be seen that a story, however simple, is being told in all respects. There is not an introduction just to explain where we are, like in Ao Oni, but events told with potraits that also vary in expression (in some games this characteristic is absent, so I think it seemed right to say it). These are all small features that help to give a more precise context to everything we are doing with Enri in the present day and it helps a lot not to leave us that feeling of emptiness that you normally feel while playing a title of the generation from which the gameplay of this game takes inspiration.

Therefore Purgatory, for these reasons, is a really good title for the nostalgic of the Horror Experience that the puzzle solving phases of Ao Oni brought us in 2004, or even the first phases of Akemi Tan in 2012, along with other minor titles. (I take Body Elements as an example, with Kona5 as a developer) but at the same time, through some pretty good artwork and a small sufficiently logical background added to everything, it manages to be more enjoyable than other titles of the same type even for players more used to more linear games from the point of view of the storyline and gameplay, therefore also to the most novice Horror RPG players.

We can therefore define this title as “A piece of the past inserted into modernity”.

Mogeko Castle – More floors, more styles, more personalities

Welcome to Mogeko Castle, the only castle where you can be threatened by yellow cats and fight them with the power of prosciutto!

While the protagonist of the game goes to her last train stop, this is for us the last stop of the first generation with the time machine for “Back to the future”.

This title spread in 2014 and has been recognized as one of the most bizarre HOR-RPGs.

Some call it a parody of this current. Well, when a parody of something materializes, it means that the latter has developed elements that characterize it.

Let’s see together how the parodic RPG par excellence was born and raised.

 

Okay, this is one of the cases in which the various wikis on the game are fairly well-informed, and you don’t have to look for who knows what site to know the release date of Mogeko Castle in Japan: March 5, 2014 …

No, that’s wrong!

Do you recognize this game screenshot?
Remember the epic battles we all fought in Mogeko Castle?
No?

Of course you don’t remember them, because the wikis are also provided enough to tell us that the very first release of the game was on April 1st, 2012 (how ironic to release a parodic game on April 1st?), In a version made on RPG Maker 2000, untraceable today on official sites, which precisely as a substantial difference compared to the game we all played and seen on Youtube, had battles at certain moments of the game. So we should start the development history of Mogeko Castle from 2012

…If only it had something to offer.

It seems that only one channel, Alex Lu, has brought (even without any commentary) the first version of the game on youtube. Even in its homeland the game wasn’t well known, having perhaps even been less “publicized” by the author herself.

It would not even be such a risky hypothesis, given that as of today it is still not clear to me how the 2014 version was so well known both in Japan and in the West, given that it also had no advertising in Japan: I haven’t found other sites to download it, only the author’s site.

After having had its space, in one way or another, in the Japanese Horror RPG community, this title (or rather, its remake, having been even more popular in the community in general) was eventually discovered by our dear Kate (VgPerson) and translated into English. Needless to say, the usual gameplay rallies started from that translation as has happened with many other titles, but Mogeko Castle had different reasons for being popular in the world HOR-RPG community.

In these three comments we had three different types of reception for the game.

Surely there are those who have appreciated the various elements that we will analyze in the Ace in the Sleeve, as well as the most surreal elements of the game … And who has been even a minimum disturbed perhaps by the same strange elements that made other players laugh or bewildered ( of this type of comments and why they are not all like this, even if we know what the game is about, we will explain it better in the Ace in the Sleeve).

In general, however, the reception on the game has been very positive in the HOR-RPG community, due to a factor that we will explain below.

Mogeko Castle has joined three genres together: adventure, horror and demential.

The demential genre is generated to break traditional narrative schemes, to act as a parody. And in our case Mogeko Castle is a game out of the box of what has become over time a full-fledged current: it already had its clichés, elements of vague similarity between one game and another (let’s take the example of the classic girl protagonist), atmospheres, types of plots. A current already formed thanks to the two generations that we have already treated – mainly the first one, not the Generation 0- at this point needed a parody that would ridicule them with “dangerous” monsters that at the dinner time bell turn into ridiculous beings (this it also makes them very ambiguous to the player), strange customs and strange other characters that we will find in the castle in general, together with the situations we will face.

So how did Mogeko Castle made its way into the global HOR-RPG community?

Mogeko Castle is first of all an adventure, it faces a journey in the true sense of the term (and not The Hero’s Journey we mentioned in the previous article): the goal of Yonaka is to find a safe exit from the castle, and in doing so he will come across all its different areas and varieties of inhabitants.

In this regard I would like to make a note on the gameplay of this game.
Although devoid of innovative mechanics, real puzzles (you only have a little difficulty in some pursuits, such as that of multiple doors) and in general enough if not much, lackluster, has an element that makes the game still enjoyable: interaction with the environment. In fact, we have many possibilities to interact, sometimes even in ways other than just talking, with the various types of Mogeko that we will meet, to activate mechanisms in the castle (although in many cases they will cause a game over or a bad end) or even simply collect items to the right and left, among vomit-filled rubbish bags to “fluffy books”.

Going instead from the narrative point of view of the game, given that the gameplay does not really offer anything, to be honest, during the History of the Product we talked before about the wide sphere of emotions that this title has provoked in gamers. This turns out to be its main Trump Card.

More precisely, the main strength of Mogeko Castle is the multitude of used registers and the management of them.

Above we said that this title is a demential adventure, right?

…Absolutely

In the game we can remember these types of scenes, present above all at the beginning of the game but which are distributed for almost its entire duration, but also…

Not to mention the numerous and sometimes disturbing Bad Ends.

In short, if we talk about atmospheres and, as mentioned above, registers, Mogeko Castle really has everything. But how have all these different registers been managed to make them a Trump CArd, and not simple vibe inconsistencies that would have gone straight into the Work Defects? Let’s examine the three basic registers one by one.

-Demential Register.

As mentioned above, it is the predominant register in many parts of the game, especially at the beginning.

It’s pretty much what players came up with and are still fascinated by. I would like to speak in these paragraphs of the “style” of Mogeko Castle’s demential moments with regard to the situations and the background presented, comparing it with various Japanese works that may come close to the comedy of this title.

Let’s start by narrowing the field of action, and concentrating on demential works from a specific land: Japan. This is simply because Mogeko Castle greatly embraces the typical Japanese comedy which, in fact, relies heavily on demential. If you take any Japanese fictional work (but also many television games, the most popular, Takeshi’s Castle) many comic moments always have a demential nuance or simply leave the viewer glued to the screen just to see how out of the world the situation presented can become.

A high school girl confesses her love to a green creature with vaguely humanoid behaviors and they decide to be together forever, in spite of all their initial goals.

Two cat-form beings have an epic fencing battle.
It doesn’t need further descriptions.

We will take an example of a comic-demential anime for a theme that is quite recurrent in Mogeko Castle: the “sexual” theme (presented by the Mogekos on many occasions, in the form of statues or not, and there are also some elements of the game that at least allude to this theme). From this comparison we will then come up with points that will make us better understand why in general the comedy of Mogeko Castle has attracted so much: there are so many comic games with a demential nature, why has this been lucky?

Okay, so… The subject of sexuality is presented to us by the yellow creatures almost constantly.

The various dialogues or burst of anger that we could have between the Mogekos, with the Mogekos or by the Mogekos I think can express that I mean.

And…

Recall the comment that we got to see in the Product History:

“Any attempt at comedy that the game would have liked to have is a little ruined by the fact that we are watching mascot rapist characters whose main motivation is to rape a high school girl […]”

So why, apart from some more serious comments, did the general public laugh while playing Mogeko Castle? Here the choice of the register together with the staging were fundamental.

Due to the register used, the demential one, in many of the moments when referring directly to sex we almost never has the “possibility” of seeing it in a too lousy or disturbing way: in this the characters of the Mogekos also help a lot, from the design up to the ridiculous attitudes, which we will discuss later.

This is why Mogeko Castle was able to treat this theme for 90% of the game in a grotesque way, at times dirty, but never too serious to be taken as disrespectful or of bad taste.

Now, this way of dealing with the “sexual” theme at times reminded me of an anime that I saw a few episodes long ago, when I was just getting closer to the world of anime and manga.

Here is Ayame Kajou, one of the main characters of the anime and dystopian-ecchi manga Shimoneta (also known as “Shimoseka: A boring world where the concept of dirty jokes does not exist“).

By replaying Mogeko Castle and remembering the scenes of this anime, I was able to find various similarities in the marginal treatment of the sexual topic in the two works, especially at the level of first reaction by an average spectator (myself, in this case).

But let’s take just one specific example.

In the image above you can see Ayame’s very first entry. Here, through her “uniform” for the terrorist acts of the organization SOX, she is immediately presented to us as a bloated girl and in general “dirty” for society.

In what scene of Mogeko Castle are we finally presented the Mogeko as “dirty” characters, instead?

But apart from the presentation of two types of “obscene” characters, which are similar to these two scenes?

Both, in addition to having their powerful staging, have a strong context behind them, making them more iconic.

Think about it: why is Ayame’s arrival on the scene so bizarre and it makes our eyes widen in Shimoneta?

You have to know that the anime is set in a dystopia in which the Japanese authorities punish anyone who uses even mildly sexual language or distributes obscene materials, to the point that all citizens are forced to wear peacemakers for the analysis of their every word and movement.

Here, after the presentation of this prohibitive context, we find this girl with underpants on her face, a cloth that could only get up with a minimum of wind and in the act of screaming dirty words to the four winds. Having become accustomed to the environment presented initially, we are surprised to see a character like Ayame.

In Mogeko Castle we are presented up to that point of the game with a mysterious train stop, with no controller, a girl lost in an unknown environment, where there is someone watching her… In the Mogeko forest, then, Yonaka had to escape from beings in her eyes even disturbing…

Who in the end argue like children about who … Must go first, yeah.
Here the Mogeko are presented to us for the first time as ridiculous characters, and the player can not help but laugh at this vibe break, where the game has gone from presenting the Mogeko Castle as something mysterious, together with its inhabitants , to presenting the Mogekos as actually childish and ridiculous beings even on conventionally more “thorny” subjects.

So, having taken the first completely comical scene from the game as an example, why does the whole comedy of Mogeko Castle works?

I said it above: because it has a specific context behind it. First of all, Yonaka’s (and player’s) main objective is to explore a castle to find an escape route. Adventure is the genre that is the backdrop to this game in particular, building an excellent base for resting on the demential approach that the game wants to follow. For example, we remember all the parts in which we are told the background of the castle, also through the seven Mogeko Specials (of which we enjoyed the scenes in which they are presented, very effective thanks to the theme that returns for each of them) .

-“Dramatic” Register, with which the plot continues.

There is not much to say about this. Do you know why?

Simply because we have already treated the backbone of this register here in Back to the Future: Mad Father.

Although the comical style is predominant, Mogeko Castle doesn’t give up on treating with certain seriousness certain important scenes of the plot which however develops a type of narrative plot progression (remember what we said before about the “adventure” genre and the several narrative registers).

The use of music, certain movements of sprites, tactics of the CG at certain times (although in Mogeko Castle there are many more, and with more variations, something that I, Ele, I really appreciated) Mad Father and Mogeko Castle share, given that they had the same inspiration, which many RPG Horror titles of today (for better or for worse) are also taking: the audiovisual work.

Mogeko Castle and Mad Father owe a good part of their professionalism to the directing level precisely for this inspiration from the audiovisual work.

On the one hand the presentation of a character who will enter the scene shortly by choosing to show it with a certain pathos, on the other a more “emotional and dramatic” scene from Mad Father

These two shots have clearly taken inspiration from those kind of works, and in many cases with this type of direction actually they manage to have a certain effect on the viewers, and therefore even the games that use these types of direction in many cases (not all cases,pay attention) succeed to give certain emotions to the player.

We can also take as an example the scene of the fight between King Mogeko and Nega-Mogeko.

Come on, how many times in any audiovisual work (at first friction has it reminded me of some type of Shonen anime) that has a minimum of action have you seen this type of shot?

It actually gives a sense of epicity, even if the fight is between two round beings with cat ears.

Mogeko Castle has therefore exploited, a bit like Mad Father did some time before, the “drama”, or to be more general, that type of direction coming from anime series (in this case action or adventure), making it work perfectly in the scenes it wanted to represent.

-Horror Register

The horror register used in Mogeko Castle has no particular characteristics compared to many other titles that we have already had the opportunity to analyze.
What makes it worthy of analysis is the direct comparison with its opposite: the demential register.

In this they certainly help the main danger that Yonaka has to face: the Mogeko species (and Moge-Ko, their dictator on the fourth floor).

As I said a few paragraphs ago, they are very ambiguous characters, and they are of every possible form, especially in function of the plan they occupy.

Normal Mogekos are, as I said, beings as stupid and childish as they are lethal. What makes them immediately disturbing is precisely the contrast between these two characteristics, which creates beings who for their whims also practice cannibalism among themselves (many dead Mogeko who are also found before the fourth floor prove it), and in general they are willing to do anything.

[……]

Here we have the perfect example of the contrast that is perennial in the Mogeko species: the words of this little creature may seem, from the tones that it uses, a simple childish whim.
But if we remember that it’s talking about destroying the entire castle (here also a very common hyperbole comes into play when “you get a tantrum”) and in the end take advantage of Yonaka’s corpse… You stop laughing for a moment.

Furthermore, as mentioned above, there are various types of Mogeko. The ones that are used most often to create a horror atmosphere (and are also the protagonists of a bad end) are Mad Mogekos.

…But the horror effect is also given by the indole of the human (or humanoid) characters that we will meet along our way, what they are able to do and what they actually do in various situations.

From these types of expressions in certain moments of the game when we open the menu, we can see that Yonaka is also a fairly ambiguous character, which also makes her disturbing in certain situations.

So Mogeko Castle, with three different registers that alternate, is the demonstration of how important is the way you can tell a story.
At this juncture, we were able to see the same characters every time with a different facet, in addition to the environment itself which often changed shape.
For example, in games like The Crooked Man or others that we have analyzed in Back To The Future, these continuous mutations during the game do not occur, or do not occur so often or between genres that are so different from each other.

But the time has come to ask ourselves: would Mogeko Castle be able to survive in the market?

We are pleased to find ourselves in front of a perfectly marketable title.

Later we will analyze more deeply those characteristics that at least for us weaken the maximum level on the thermometer.

The personality of the game is strong, with an effective promotion and distribution campaign it could easily reach large numbers.

 

 

 

 

PACKAGING

If you remember the previous article, we had talked about how dark and dull the colors had gone.

Well, here we have a new spark. To represent the extravagance of Mogeko Castle we have first of all the enlarged tilesets and sprites.

We are often given CG, of which the most brittle ones (in the literal sense of the term or when you meet them the first time) are to represent the bizarre Mogeko.

Light blue maps, bloody maps, all devoted to exaggeration to ensure that this is certainly an adventure not to be forgotten and, in any case, also presenting numerous variations for the choice of environments. Also for the title screen.

The latter is dark, with Yonaka in the center and a red eye watching the player.

The menu has very large facades, with many little stars around that accompany the names of the rescues.

 

RAPPORTO AUTORE – OPERA

I would have to make a note about it: if this game had been in the hands of a professional company, it would have hit the mark.

If on the one hand having done the work of a production company in terms of personalizing the work certainly gives the author many points, on the other hand there was the distribution.

As we have mentioned before, a professional company would perhaps have been able to make the most of it: there is no advantage for the author to remain in the shadows. Such a strong game deserves an equally strong personality, building a myth of the author would certainly have played in his favor.

DIFETTI DELL’OPERA

This title has perhaps one big flaw regarding the ending.

Once Mogeko Defective dies, the plot seems to get lost in delusional events that would like to suggest us to play the sequel that the author has been preparing for years.

The ending could have been an excellent opportunity to close the numerous narrative circles that had opened (above all of explanations on the background of the castle), thus maintaining the linearity of the title until the end it would have remained more easily active, at least in my opinion, player’s attention.

We are not talking only of those endings that leave possibility and interpretation to open questions, but a real hallucinogenic delusion that compromise the comprehensibility of a narrative work, which in this case had little to do with its demented aspect.

To make a small comparison: such a scene we expect it for such a work …

…This instead a little less. Especially after a succession of dramatic scenes in which we wonder if Yonaka managed to return home or had only illusions.

Yet despite this, it is difficult to remember this title without a smile for the memories it evokes among fans of the horror current among RPGs.

And with this the First Generation ends.

We could extrapolate a keyword to describe the Horror RPGs of this period, the years in which playing these titles was a trend: variability.

From the variability shown in Mogeko Castle, or the style of The Crooked Man which opposes Mad Father’s exaggerated family drama; from Ib’s minimalism to the sumptuous maps of The Witch’s House the current has stabilized and has found its own way, offering possibilities for wider teams, increasingly intense collaborations with publishers and more defined work agreements. These, dear readers, will be the production stories of Generation 2 titles: storytelling-focus.

Mogeko Castle – Più piani, più stili, più personalità

Benvenuti al Mogeko Castle, l’unico castello dove potrai essere minacciato da gatti gialli e combatterli con il potere del prosciutto!

Mentre la protagonista del gioco fa la sua fermata dal treno, questa è per noi l’ultima fermata della prima generazione con la macchina del tempo per la rubrica “Ritorno al futuro”.

Questo titolo ha spopolato nel 2014 ed è stato riconosciuto come uno degli HOR-RPG più bizzarri.

Alcuni lo definiscono come una parodia di questa corrente. Ebbene, dal momento in cui viene a concretizzarsi una parodia di qualcosa significa che quest’ultima ha sviluppato degli elementi che la caratterizzano.

Vediamo insieme allora come è nato e cresciuto l’RPG parodico per eccellenza.

Okay, questo è uno dei casi in cui le varie wiki sul gioco sono abbastanza fornite di informazioni, e non si deve cercare chissà che sito per sapere la data d’uscita di Mogeko Castle in Giappone: 5 Marzo, 2014…

Eh, no! È qui che ci sbagliamo!

Riconoscete questo screenshot del gioco?
Ricordate le epiche battaglie che abbiamo tutti combattuto in Mogeko Castle?
No?

Certo che non le ricordate, perché le wiki sono anche abbastanza fornite per dirci che la primissima uscita del gioco fu il 1 Aprile 2012 (quant’è ironico rilasciare un gioco parodico il 1 Aprile?), in una versione fatta su RPG Maker 2000, a oggi introvabile su siti ufficiali, che appunto come sostanziale differenza rispetto al gioco che abbiamo tutti giocato e visto su Youtube, aveva delle battaglie in certi momenti del gioco. Quindi dovremmo cominciare la development history di Mogeko Castle dal 2012

…Se solo avesse qualcosa da offrire.

Sembra che solo un canale, quello di Alex Lu, abbia portato (anche senza alcun commentary) la prima versione del gioco su youtube. Anche nella sua terra di provenienza non ha fatto molta fortuna, essendo forse stato anche meno “pubblicizzato” dall’autrice stessa.

Non sarebbe neanche un’ipotesi tanto azzardata, dato che a oggi ancora non mi è chiaro come sia stata tanto conosciuta la versione del 2014 sia in Oriente sia in Occidente, dato che anch’essa in Giappone non ha avuto chissà che pubblicità: non ho trovato altri siti per scaricarla, se non quello dell’autrice.

Dopo aver avuto il suo spazio, in un modo o nell’altro, nella community RPG Horror giapponese, anche questo titolo (o meglio, il suo remake, essendo stato anche più popolare nella community in generale) è stato eventualmente scoperto dalla nostra cara Kate (VgPerson) e tradotto in inglese. Inutile dire che da quella traduzione sono partite le solite sfilze di gameplay come è successo per moltissimi altri titoli, ma Mogeko Castle aveva motivi diversi per l’essere popolare nella community mondiale degli HOR-RPG.

“Un gioco che riesce ad essere carinissimo e anche fortemente disturbante allo stesso tempo. Mi piace già un sacco.”

“Questo gioco è così… Ma che cazz…?”

“Qualsiasi tentativo di comicità che il gioco avrebbe voluto avere è un po’ rovinato dal fatto che stiamo guardando personaggi mascotte di stupratori omicidi la cui motivazione principale è quella di stuprare una ragazza delle superiori. È un po’ inquietante.”

In questi tre commenti abbiamo avuto tre tipi di ricezione diverse del gioco.

Sicuramente c’è chi ha apprezzato i vari elementi che analizzeremo nell’Asso Nella Manica, così come gli elementi più surreali del gioco… E chi è stato anche solo un minimo disturbato magari dagli stessi elementi strani che hanno fatto ridere o stranito altri giocatori (di questo tipo di commenti e il perché non siano tutti così, anche se conosciamo di cosa tratta il gioco, lo spiegheremo meglio nell’Asso Nella Manica).

In generale però, la ricezione sul gioco è stata molto positiva nella community HOR-RPG, per via di un fattore che spiegheremo subito sotto.

Mogeko Castle ha unito tre generi: l’horror, l’avventura e il demenziale.

Il demenziale è generato per rompere gli schemi narrativi tradizionali, per farne da parodia. E nel nostro caso Mogeko Castle è un gioco fuori dagli schemi di quella che è diventata nel corso una corrente fatta e finita: aveva già i suoi clichè, elementi di vaga somiglianza tra un gioco e l’altro (prendiamo l’esempio della classica ragazza protagonista), atmosfere, tipi di trame. Una corrente già formata grazie alle due generazioni che abbiamo già trattato – prevalentemente la 1 – aveva a questo punto bisogno di una parodia che li mettesse in ridicolo con mostriciattoli “pericolosi” che alla campanella dell’ora di cena si trasformano in esseri ridicoli (ciò li rende anche molto ambigui al giocatore), strane usanze e strani altri personaggi che troveremo nel castello in generale, assieme alle situazioni che affronteremo.

Quindi come si è fatto strada nella community HOR-RPG mondiale?

Mogeko Castle è prima di tutto un’avventura, affronta un viaggio nel vero senso del termine (e non il viaggio dell’eroe di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente): l’obiettivo di Yonaka è quello di trovare un’uscita sicura dal castello, e nel farlo si imbatterà in tutte le sue diverse aree e varietà di abitanti.

A questo proposito vorrei fare un appunto sul gameplay di questo gioco.
Anche se privo di meccaniche innovative, enigmi veri e propri (si ha solo un po’ di difficoltà in alcuni inseguimenti, come quello delle porte multiple) e in generale abbastanza se non molto, scarno ha un elemento che rende il gioco ancora godibile: l’interazione con l’ambiente. Abbiamo infatti molte possibilità di interagire, a volte anche in modi diversi dal semplice parlarci, con i vari tipi di Mogeko che incontreremo, far attivare meccanismi nel castello (anche se in molti casi daranno vita ad un game over o un bad end) o anche semplicemente collezionare oggetti a destra e manca, tra sacchi della spazzatura pieni di vomito a “libri morbidosi”.

Andando invece dal punto di vista narrativo del gioco, dato che appunto il gameplay non offre davvero nulla, ad essere onesti, durante la Storia del Prodotto abbiamo parlato prima dell’ampia sfera di emozioni che questo titolo ha provocato nei videogiocatori. Questo si rivela essere il suo principale Asso Nella Manica.

Più precisamente, il punto di forza principale di Mogeko Castle è la moltitudine di registri usati e la gestione di essi.

Sopra dicevamo che questo titolo è un’avventura demenziale, giusto?

…Assolutamente si.

Nel gioco possiamo ricordare questi tipi di scene, presenti soprattutto all’inizio del gioco ma che si distribuiscono per quasi tutta la sua durata, ma anche…

Senza contare i numerosi e a tratti disturbanti Bad End.

In breve, a livello di atmosfere e, come detto sopra, registri, Mogeko Castle ha davvero di tutto. Ma come sono stati gestiti tutti questi diversi registri per renderli un Asso Nella Manica, e non semplici inconsistenze di vibe che sarebbero andate dritte a finire nei Difetti Dell’Opera? Esaminiamo i tre registri di base uno a uno.

-Registro Demenziale.

Come detto sopra è il registro predominante in molte parti del gioco, soprattutto all’inizio.

È praticamente quello per cui i giocatori si sono avvicinati ad esso e ne restano ancora affascinati. Vorrei parlare in questi paragrafi dello “stile” della demenzialità di Mogeko Castle riguardo alle situazioni e il background presentati, mettendolo a confronto con varie opere giapponesi che possono avvicinarsi alla comicità di questo titolo.

Iniziamo con il restringere il campo d’azione, e concentrarci su opere demenziali provenienti da una terra precisa: il Giappone. Questo semplicemente perché Mogeko Castle abbraccia molto la tipica comicità giapponese che, appunto, si basa molto sulla demenzialità. Se si prende una qualunque opera di finzione giapponese (ma anche molti giochi televisivi, il più popolare Takeshi’s Castle) molti momenti comici hanno sempre una sfumatura demenziale oppure semplicemente lasciano lo spettatore incollato allo schermo solo per vedere quanto può diventare fuori dal mondo la situazione presentata.

Una ragazzina delle superiori confessa il suo amore ad un esserino verde dai comportamenti vagamente umanoidi e decidono di stare insieme per sempre, in barba a tutti i loro obbiettivi iniziali.

Due esseri gatti-formi hanno un’epica battaglia di scherma.
Non ha bisogno di ulteriori descrizioni, fa ridere già così.

Prenderemo un esempio di un anime comico-demenziale per un tema che è abbastanza ricorrente in Mogeko Castle: il tema “sessuale” (presentato dai Mogeko in molte occasioni, sottoforma di statue o meno, e sono presenti anche alcuni elementi del gioco che almeno alludono a questo tema). Da questo confronto tireremo poi fuori punti che potranno farci capire meglio perché in generale la comicità di Mogeko Castle ha attirato così tanto: esistono tanti giochi comici di stampo demenziale, perché proprio questo ha avuto fortuna?

Okay, quindi… Il tema della sessualità ci viene presentato dagli esserini gialli in modo quasi costante.

I vari dialoghi o scleri che potremmo avere tra i Mogeko, con i Mogeko o da parte dei Mogeko credo possano esprimere che intendo.

Tra cui…

Ricordiamo il commento che abbiamo avuto modo di vedere nella Storia Del Prodotto:

“Qualsiasi tentativo di comicità che il gioco avrebbe voluto avere è un po’ rovinato dal fatto che stiamo guardando personaggi mascotte di stupratori omicidi la cui motivazione principale è quella di stuprare una ragazza delle superiori […]”

Allora perché, a parte alcuni commenti più seri, il grande pubblico ha riso mentre giocava Mogeko Castle? Qui la scelta del registro assieme alla messa in scena sono state fondamentali.

Per via del registro usato, quello demenziale, in molti dei momenti in cui si fa direttamente riferimento al sesso non si ha quasi mai la “possibilità” di vederlo in maniera troppo schifosa o inquietante: in questo aiutano molto anche i personaggi dei Mogeko, dal design fino agli atteggiamenti ridicoli, di cui parleremo dopo.

Per questo Mogeko Castle ha potuto trattare questo tema per il 90% del gioco in modo grottesco, a tratti sporco, ma mai troppo serio per essere preso come irrispettoso o di cattivo gusto.

Ecco, questo modo di trattare il tema “sessuale” a tratti mi ha ricordato un’anime di cui vidi qualche episodio molto tempo fa, quando mi stavo appena avvicinando al mondo degli anime e manga.

Ecco a voi Ayame Kajou, uno dei personaggi principali dell’anime e manga distopico-ecchi Shimoneta (altresì noto come “Shimoseka: Un mondo noioso dove il concetto di battute sconce non esiste”).

Rigiocando Mogeko Castle e ricordando le scene di quest’anime, ho potuto trovare varie similitudini nella trattazione marginale dell’argomento sessuale nelle due opere, soprattutto a livello di prima reazione da parte di uno spettatore medio (me stessa, in questo caso).

Ma prendiamo un solo esempio preciso.

Nell’immagine sopra potete vedere la primissima entrata in scena di Ayame. Qui, tramite la sua “divisa” per gli atti terroristici dell’organizzazione SOX ci viene subito presentata come una ragazza sboccata e in generale “sporca” per la società.

In che scena di Mogeko Castle ci vengono presentati finalmente i Mogeko come personaggi “sporchi”, invece?

Ma a parte la presentazione di due tipi di personaggi “osceni”, che hanno di simile queste due scene?

Entrambe, oltre ad avere la loro potente messa in scena, hanno un contesto forte dietro che le regge, e le rende più iconiche.

Pensiamoci: perché l’entrata in scena di Ayame è così bizzarra e ci fa spalancare gli occhi in Shimoneta?

Dovete sapere che l’anime è ambientato in una distopia in cui le autorità giapponesi puniscono chiunque usi un linguaggio spinto o distribuisca materiali osceni, al punto che tutti i cittadini sono costretti a indossare dei peacemaker per l’analisi di ogni loro parola e movimento.

Ecco, dopo la presentazione di questo contesto tanto proibitivo ci ritroviamo questa ragazza con mutande in faccia, telo che potrebbe alzarsi solo con un minimo di vento e nell’atto di urlare parole sconce ai quattro venti. Essendoci abituati all’ambiente presentato inizialmente, noi ci sorprendiamo a vedere un personaggio come Ayame.

In Mogeko Castle, invece, ci viene presentata fino a quel punto del gioco una fermata del treno misteriosa, con nessun controllore, una ragazzina persa in un ambiente sconosciuto, dove c’è qualcuno che la guarda… Nella foresta Mogeko, poi, Yonaka è dovuta scappare da degli esseri ai suoi occhi anche inquietanti…

Che alla fine litigano come bambini su chi… Deve andare per primo, ecco.
Qui i Mogeko ci vengono presentati per la prima volta come personaggi ridicoli, e il giocatore non può fare altro che ridere semplicemente a questa rottura di vibe, dove si è passato dal presentare la dimensione del Mogeko Castle come qualcosa di misterioso, assieme ai suoi abitanti, al presentare i Mogeko come esseri in realtà bambineschi e ridicoli anche su argomenti convenzionalmente più spinosi.

Quindi, avendo preso d’esempio la prima scena completamente comica del gioco, perché l’intera comicità di Mogeko Castle funziona?

L’ho detto sopra: perché ha un preciso contesto dietro. Prima di tutto l’obiettivo principale di Yonaka (E del giocatore) è quello di esplorare un castello per trovare una via di fuga. È l’avventura il genere che fa da sfondo a questo gioco in particolare, costruendo un’ottima base per far poggiare sopra l’approccio demenziale che si vuole seguire. Ad esempio ricordiamo tutte le parti in cui ci viene raccontato il background del castello, anche tramite i sette Mogeko Speciali (di cui abbiamo apprezzato molto le scene in cui vengono presentati, molto d’effetto grazie anche alla theme che ritorna per ognuno di loro).

-Registro “Drammatico”, con cui la trama prosegue.

Su questo non c’è molto da dire. Sapete perché?

Semplicemente perché abbiamo già trattato qui in Ritorno Al Futuro la colonna portante di questo registro: Mad Father.

Per quanto lo stile comico sia predominante, il suddetto titolo non rinuncia a trattare con una certa serietà certe scene importanti della trama che comunque sviluppa un tipo di intreccio narrativo (ricordiamo ciò che abbiamo detto prima sul genere “avventura” e su come lasci poggiare i diversi registri narrativi).

L’uso di musiche, certi movimenti di sprite, tatticità delle CG in certi momenti (anche se in Mogeko Castle ce ne sono molte di più, e con più variazioni, cosa che io, Ele, ho molto apprezzato) accomuna questo gioco e Mad Father, dato che hanno avuto la stessa ispirazione, che molti titoli di oggi (nel bene o nel male) anche stanno prendendo: l’opera audiovisiva.

Mogeko Castle e Mad Father devono infatti buona parte della loro professionalità a livello registico proprio per quest’ispirazione dall’opera audiovisiva.

Da un lato la presentazione di un personaggio che entrerà a breve in scena scegliendo di mostrarlo con un certo pathos, dall’altro una scena più “emotiva e drammatica” di Mad Father

Queste due inquadrature hanno preso palesemente ispirazione da essa, che in molti casi con questo tipo di regia effettivamente riesce a sortire un certo effetto negli spettatori, e quindi anche i giochi che usano questi tipi di regia in molti casi (non tutti, attenzione) riescono a dare certe emozioni al giocatore.

Possiamo prendere come esempio anche la scena del combattimento tra il Re Mogeko e Nega-Mogeko.

Forza, quante volte in qualunque opera audiovisiva (a primo attrito a me ha ricordato un qualche tipo di anime shonen) che abbia un minimo d’azione avete visto questo tipo di inquadratura?

Essa effettivamente da un senso di epicità, anche se il combattimento è tra due esserini tondi con orecchie da gatto.

Mogeko Castle ha sfruttato quindi, un po’ come fece Mad Father qualche tempo prima, il “drama”, o per essere più generali, quel tipo di regia proveniente dalle serie anime (in questo caso d’azione o d’avventura), facendolo funzionare perfettamente nelle scene che ha voluto rappresentare.

-Registro horror

Il registro horror usato in Mogeko Castle non ha caratteristiche particolari rispetto a molti altri titoli che abbiamo già avuto modo di analizzare.
Ciò che lo rende degno di analisi è il diretto confronto con il suo opposto: il registro demenziale.

In questo aiutano sicuramente il pericolo principale che deve affrontare Yonaka: la specie dei Mogeko (e Moge-Ko, loro dittatrice al quarto piano).

Come dissi qualche paragrafo fa, essi sono personaggi molto ambigui, e ce ne sono di ogni forma possibile, soprattutto in funzione al piano che occupano.

I Mogeko normali sono, come ho già detto, esseri tanto stupidi e infantili, quanto letali. Ciò che ce li rende subito inquietanti è appunto il contrasto tra queste due caratteristiche, che crea esseri che per i loro capricci praticano anche cannibalismo tra di loro (molti Mogeko morti che si trovano anche prima del quarto piano lo dimostrano), e in generale sono disposti a fare davvero di tutto.

[……]

Qui abbiamo il perfetto esempio del contrasto che è perenne nei Mogeko: quello di questo esserino può sembrare, dai toni che usa, un semplice capriccio infantile.
Però se ricordiamo che sta parlando di distruggere l’intero castello (qui entra in gioco anche un’iperbole molto comune quando “si fanno i capricci”) e alla fine approfittare del cadavere di Yonaka… Si smette per un attimo di ridere.

Inoltre, come detto sopra, ci sono vari tipi di Mogeko. Quelli che vengono sfruttati più spesso per creare un’atmosfera horror (e sono anche protagonisti di un bad end) sono i Mogeko Pazzi.

…Ma l’effetto horror viene dato anche dalle indoli dei personaggi umani (o umanoidi) che incontreremo lungo la nostra strada, quello che sono in grado di fare e quel che effettivamente fanno in varie situazioni.

Da questi tipi di espressioni in certi momenti del gioco quando apriamo il menu, possiamo notare che anche Yonaka è un personaggio abbastanza ambiguo, ciò rende anche lei inquietante in certi frangenti.

Quindi Mogeko Castle, con ben tre registri differenti che si alternano, è la dimostrazione di come sia importante il modo in cui si racconta una storia.
In questo frangente abbiamo potuto vedere gli stessi personaggi ogni volta con una sfaccettatura diversa, oltre all’ambiente stesso che spesso cambiava forma.
Ad esempio, in giochi come The Crooked Man o altri che abbiamo analizzato in questa rubrica, queste continue mutazioni nel corso del gioco non avvengono, oppure non avvengono così spesso o tra generi così diversi tra loro.

Ma è arrivato il momento di chiederci: Mogeko Castle sarebbe in grado di sopravvivere nel mercato?

Abbiamo il piacere di trovarci davanti un titolo perfettamente commercializzabile.

Più tardi analizzeremo più a fondo quelle caratteristiche che almeno per noi indeboliscono il massimo livello sul termometro.

La personalità del gioco è forte, con un’efficace campagna di promozione e distribuzione potrebbe facilmente raggiungere i grandi numeri.

 

 

 

 

PACKAGING

Se ricordate l’articolo precedente avevamo parlato di quanto le tinte si fossero scurite e spente.

Ebbene, qui abbiamo una nuova scintilla. Per rappresentare la stravaganza del Mogeko Castle abbiamo innanzitutto i tileset e le sprites ingrandite.

Spesso ci vengono fornite CG, di cui quelle più sbrilluccicanti (nel senso letterale del termine o quando li incontri la prima volta) sono per rappresentare i bizzarri Mogeko.

Mappe celesti, mappe insanguinate, tutto votato all’esagerazione per far si che questa sia certamente un’avventura da non dimenticare e comunque presentando anche qui, per la scelta degli ambienti, numerose variabilità. Anche per la schermata del titolo.

Quest’ultima è scura, con Yonaka al centro e dall’occhio rosso che osserva il giocatore.

Il menù ha facciate molto larghe, con tante stelline in giro che accompagnano i nomi dei salvataggi.

 

 

RAPPORTO AUTORE – OPERA

Avrei da fare un appunto a riguardo: se questo gioco si fosse trovato in mano ad una compagnia di professionisti, avrebbe fatto centro.

Se da un lato l’aver fatto il lavoro di una compagnia di produzione a livello di personalizzazione dell’opera dà sicuramente molti punti all’autrice, dall’altro invece c’è stata la distribuzione.

Come abbiamo accennato prima una compagnia di professionisti forse avrebbe saputo valorizzarlo meglio: non ci troviamo nessun vantaggio per l’autrice di rimanere nell’ombra. Un gioco tanto forte merita una personalità altrettanto forte, costruirsi un mito dell’autore avrebbe sicuramente giocato in suo favore.

DIFETTI DELL’OPERA

Questo titolo ha forse un unico grande difetto che riguarda il finale.

Una volta che muore Mogeko Difettoso la trama sembra perdersi in eventi deliranti che vorrebbero suggerci di giocare il sequel che l’autrice sta preparando da anni.

Il finale poteva essere un’ottima opportunità per chiudere i numerosi cerchi narrativi che si erano aperti (soprattutto di spiegazioni sul background del castello), così mantenendo la linearità del titolo fino alla fine si sarebbe mantenuta più facilmente attiva, almeno a mio parere, l’attenzione del giocatore.

Non si parla solo di quei finali che lasciano possibilità ed interpretazione a domande aperte, ma un vero e proprio delirio allucinogeno che compromettono la comprensibilità di un’opera narrativa, che in questo caso poco aveva a che fare con il suo aspetto demenziale.

Per fare un piccolo confronto: una scena del genere ce l’aspettiamo per un’opera del genere…

…Questo invece un po’ meno. Soprattutto dopo una successione di scene drammatiche in cui ci chiediamo se Yonaka sia riuscita a tornare a casa o ha avuto solo delle illusioni.

Eppure, nonostante questo, è difficile ricordare questo titolo senza un sorriso per le memorie che rievoca tra gli appassionati della corrente horror tra gli RPG.

E con questo si chiude la Prima Generazione.

Abbiamo potuto estrapolare una parola chiave per descrivere gli Rpg Horror di questo periodo, gli anni in cui giocare questi titoli era una moda: la variabilità.

Da quella mostrata in Mogeko Castle, o allo stile di The Crooked Man che si oppone al dramma familiare esagerato di Mad Father; dal minimalismo di Ib alle sontuose mappe di The Witch’s House la corrente si è stabilizzata ed ha trovato la propria strada, offrendo delle possibilità a team più ampi, collaborazioni sempre più intense con i publisher e accordi di lavoro più definiti. Queste, cari lettori, saranno le storie di produzione dei titoli della Generazione 2: storytelling-focus.

The Crooked Man – The pain of living

Until now in this season of Back to the Future you have been able to appreciate with us the three great phenomena that would have helped to form the current Horror RPG for many elements, the so-called three “masters”: Ib, The Witch’s House and finally Mad Father.

In these games there has always been a common topic: the attempt to reach a more commercial language, the attempt to arrive to the general public and who knows, also have success and go higher, also with other media.

Ib with its “delayed” narrative, The Witch’s House with its light novel, Mad Father … With the whole game. But as anticipated in the article on sen’s title, we now have a return to the past, a title that made its fortune even if it was “released in the wrong generation”, an alternative to the dramatization given by the three RPG masters …

…Its name was The Crooked Man.

NOTE: In this article we will talk about the first version of The Crooked Man, the one that many players know and that reflects more than others the original spirit of the game. We will not take into account version 4, nor the Steam version.

Product History

“There was a crooked man walking on a crooked road” …
Okay, yes, you understand. But I tell you, I’m not quoting this historic nursery rhyme to talk about the game that currently uses it, we will talk about that in the paragraph of the Trump CArd and in the paragraphs dedicated to the Professionality Meter.
I would like to mention the “crooked” theme, because of my time spent on Google looking for as much information as possible, also in Japanese (bless automatic translators!) On the production history of this title: a forum where it was published for the first time, some kind of information about the production background…

Nothing, not even Uri’s Twitter profile tells me anything about this topic. I know she has a very nice dog, but I didn’t find anything relevant on the production history of the first Strange Man Series title.

Just to find out that the game came out in 2012 (we don’t even know on what month it was released!) I literally spent my time… To crook my back on the computer.
PaoGun is infecting me with bad jokes, huh?

Collecting the few info we have we can only take note of various updates to the game up to the so-called version 4, with some added music (we will talk more about it in the Ace in the Sleeve of this choice) and a few other things, together with the Steam version… That PLAYISM, the same PLAYISM that arrogantly took custody of Yume Nikki and the Mad Father remake, distributed without making too substantial changes to the most recent free version of the game, adding only Steam archievements and few other things. No comment.

Okay … So, given the limited amount of sources, we will skip the step of the first release of the game in its homeland and West, together with its peculiarities.

How was this title received by the public? For answering this question, the author’s twitter profile was helpful in summing up what led this title to being one of the masterpieces of the HOR-RPG.

The comment below, under Markiplier’s video, refers to the situation experienced by David’s mother in the game, introduced during the first scenes.

Okay, already from these two comments we can see that from the narrative point of view Uri has centered one thing: the themes and how much people can relate to them.
In the Ace In the Sleeve paragraph we will talk better about why the way some topics were covered in the game has affected so many people, let’s say for now that the staging has done its part.

But now let’s go to a reason much more “light” and suitable for the horror genre, namely the jumpscares.

When did we hear about jumpscare scaryness last time?

These three images say more than a thousand words.

Here we go to the speech said in the introduction: The Crooked Man was an isolated case of returning to the older generation of Horror RPG games. Even the gameplay of this title is in fact strongly based on pure exploration: although the story is very linear, we have the kind of gameplay that one would expect, in fact, from Akemi Tan, with the same types of strengths and weaknesses.

Having said that: so in detail, how an “old” title as this has paved its way on the generation of stardoms?

First of all there is one thing to consider: we can realize how Mad Father has built higher expectations regarding the narrative aspect of the RPG Horror.

And this in fact can be called a title with a very precise storyline, focused on an adventure that is nothing more than a metaphor for his inner journey.

The hero’s journey is a very old narrative scheme, it is possible to trace it in numerous works of fiction. The characteristics that distinguish it were analyzed and collected later between the 70s and 80s.
We have a call to adventure, namely a succession of phenomena that convince the main character, the hero, to abandon their ordinary world to embark on an adventure in an extraordinary, unknown world.

During the journey, which may include several stages, the hero encounters obstacles (in our case the crooked man), and helpers. Maybe Sissi, D and Fluffy will not be real helpers, but they are certainly allies who contribute to David’s personal growth.

So here we are at the critical point of the development preceded or succeeded by a revelation (all the memories of David will lead him more and more to identify with the figure of the Crooked Man) which is followed by the achievement of an awareness that leads the character to a transformation , it doesn’t matter if this is positive or negative. So the story ends, the hero returns home and can be said to be ready for a new trip.

As you can see it is a scheme that can be used in a very versatile way: fairy tale (the closest genre as well as the most transparent on the allegorical level: prince-sorcerer-defeats the dragon-free the princess), adventure-fantastic, dramatic work ( as we will see, for example, for this title), fantasy (see Frodo’s call to adventure, in The Lord of the Rings), and can narrate the most varied themes.

Well, Uri decided to adopt this scheme to talk about depression (or to give an interpretation of it, at least) on which she built a very precise and linear dramaturgical discourse to which she proposed her creative solution in the ending.

In any case it is an aspect on which we will not insist further, also because, a small note: this game is mainly focused on an awareness of the main character; the places explored and the events that follow one another have to do with a very internalized and personal reality: being this the generation of Character Drama and not being able to have deep insights into the contexts and the environments chosen, we preferred not to dwell more on the pattern narrative that in itself is nothing new: it is only very interesting that it has been exploited and also very well for a horror title, reconciling the journey (even physical, concrete) of our hero, in fact, and exploration which is the main feature of the HOR-RPG genre.

Well … Let’s move on to the main topic of this analysis. The style of representation.

Mario Alicata and Giuseppe De Santis in 1941 in the magazine “Cinema”, pushed to:

“Bring the camera on the streets, in the fields, in the ports, in the factories of our country to make our best film following the slow and tired step of the worker who returns to his home”

Stop! Don’t go away!

We will not mention other boring books on cinema or explain phenomena of the 60s to say what made The Crooked Man unique: you are still in my (Ele) hands, guys, here we think about facts! There is a reason which is very close to the game that explains why my dear sister recommended me to put this quote in this article … In fact, we let her speak for a few lines. For now I only know that these words have to do with a precise current of Italian cinema of the 1940s and 1950s: the so-called Neorealism.

Here I am, then. Paogun. If you have no idea what I’m talking about I will try to explain it briefly. I am referring to a film current in particular that developed after the Second World War, mainly in Italy, which assumed some recurring characteristics such as dramatic stories and social and personal defeats, representation of cities and towns in rubble told through a camera more unstable, “close to the actors” and “grainy film”.

We know what you are thinking: on the one hand a very specific cinematographic current that refers to a specific historical period, on the other a game that first of all is a horror title, then of adventure and exploration, which tells of dramatic events.

… And yet, it is precisely in the stylistic choice that this game stands out.

Like the Neorealism current (which in any case has spread widely both in Europe and in the world) has characterized itself as something alternative to the glittering Hollywood comedies, so The Crooked Man darkens the hues, chooses more busy themes and dries up the dramatization in opposition the extravagance and the brighter colors of Mary’s sketchbook, of the gardens of Drevis House and Ellen’s house full of talking flowers.

I (Ele, I’m back!) Was able to connect and find similarities in terms of types of stories, characters and atmospheres with the writings of the literary current of Realism that studied in middle school.

In short: focus on the life of low-class people and write about their stories… With always a thin layer of heaviness in the atmosphere, for one reason or another: poverty, misunderstanding on the part of society, many times by the characters themselves which can be influenced by these factors or not, etc. etc.

Here, in this regard we take David’s character.

Mr. Hoover is definitely not a rich man: this is shown to us by the small and cheap apartment he could afford, with a… Bed in the kitchen-dining room-living room.

Throughout the whole game David with every sentence that is not a more complex system message will make us sigh with sadness. He himself sees himself perpetually as a wretch who does not detach himself from his previous mistakes and is above all a very compliant person.

This type of protagonist can make us assume an adventure full of joy.

But there is not only David and his attitudes to make us understand what this game communicates. We reiterate what we have mentioned before: the choice of style and the overall atmosphere that derives from it.

Let’s compare an interior and an exterior of Uri’s game with an interior and an exterior of its total opposite: Mad Father.

Remember: both games use Wolf RPG Editor and in both places it was evening or night.

Even in these last two screens it is possible to see the huge difference in the management of the photography of the two games, even if the last image is in a daytime environment.

See how the colors of The Crooked Man are much less saturated?

It will seem strange to say, given that there are no particular lighting arrangements, but the very simple photograph of the maps of The Crooked Man communicates the heavy vibe of the game: abandoned places, a sad story of two sad men, surrounded by other characters with not too much… Crazyness, which are more anchored to reality than Mad Father’s ones, who had all sorts of oddities.

Also, continuing to talk about the atmosphere of The Crooked Man, apart from the cutscenes dedicated to the mother scenes of the game, during the gameplay there is no music.

At the beginning, I admit it, it seemed to me a choice that only made the game more boring, and at first friction I appreciated the choice of putting fixed music even during the gameplay in the 4th Version of the game, but continuing I realized that especially in the parts of abandoned places the lack of music in favor of loop ambience has a lot of effect, giving the sense of desolation that very respects the main genre of The Crooked Man, the horror genre.

Without forgetting how this choice makes certain cutscenes much more dramatic, to consider for example the initial scenes and the hospital one in particular.

So, as in most of the titles of generation 0 The Crooked Man explores the abnormality in everyday life, but unlike the previous titles it chooses a very specific theme, exposing it in a defined storyline, while not giving up the taste of exploration and isolation that characterized “its ancestors”.

Professionality meter

So. Yeah, the thermometer is more than half the height.

It is an excellent product, a story that is linear enough to be marketable even if it isn’t very accurate or strictly customized at the packaging level (for example, David’s sprite is not original, some parts of the UI remained the default ones and so on); moreover, it is the same style of the game and its very, very dry direction (we talked about it in the Trump Card) to reveal a double-edged sword as regards the binarism between “amateur game” and “professional game” which we are continuing to talk about.

 

 

 

 

Packaging

We mentioned something about the packaging of the game in the previous paragraph (about the “spartanity” of certain choices on the interfaces … Even the CGs, who want to adopt a “cinematographic framing” with numerous close-ups, have this defect), however is a game that has its style.

The title screen is in black and white with the monster on the side, it looks almost merged with the black background.

The image, the title, the nursery rhyme in the introduction: the game continues to promise us that we will see the story of a crooked man, so here it is presented in the next scene: David and his new home. We will discover the failures of his life as he runs away from the monster.

 

 

author-work relationship

So, to begin with this paragraph we could notice how Uri is a very present author for her games.

Uri’s updates, compared to those of other developers, are very recent and the last Tweet (as far as it is very much of “service”) on the Strange Man Series dates back to June 24: ten days ago! Do you remember the “author in mystery” discourse we made when we talked about Yume Nikki and other titles, together with how Kona5 broke this rule? We have a similar case.

Here, however, we have an addition: an ask-box.

We have already seen in this section that Kona5 also responded (even in a less detached way) to the various comments on rpgmaker.net, but this contact with fans and with the work in Uri’s case is more visible.

(In this and in the previous photo you can see that Uri answers both in Japanese and in English)

Although the games are now a few years old, due to her constant updates (other titles that she is planning to make, questions, more personal posts… Her dog…), Uri has found fans that are still active today, which also years after the release of the various Strange Men Anthology titles (another name for the Strange Man Series) they still ask any kind of questions about the characters.

…Really, any kind of questions. I love the internet.

In addition, Uri in 2013 told the story of how The Crooked Man was born. We will not talk about it in detail, but in short it derives from an experience of the author’s brother.

Here’s the link of the english version, translated by VgPerson

Link for the japanese version, if anyone is interested

It was strange to find that behind such a dark and heavy game there is one of the most open to the public authors that we have seen in Back To The Future (also compared to Kona5, given that Uri is still active on Twitter, while Kona5 disappeared from the eyes of their potential public like many other authors), breaking that tradition that many authors analyzed in Back to the Future so far, relegated to the idea of ghost figures.

work defects

Linear narration… Gameplay with good, well-made ideas and also some original ones …

We don’t think The Crooked Man has… Particularly serious flaws.

I know, it is from The Witch’s house that we continue with this.

Let’s try to understand why.

The defects of this work refer mainly to specific sections of the game:

° The start, and therefore the introductory cutscene inherent in the presentation of the events because of its slowness (which the style of representation that The Crooked Man has chosen does not help to dispose of at all) and the numerous cutscenes before you could actually start playing.

° The ending. So yes, the ending, since it has completely distorted the characters that meet along the way because of a plot twist that betrays the dramatic-realistic nature of the game, relying too much on the supernatural and canceling any freedom of interpretation, especially for how the three (four, including David) characters were presented: real people with their real problems united by the persecution of the Crooked Man. It would have been much more impactful to see how much this issue is not relegated to a single individual, but it can involve each of us in our countless daily contexts.

Speaking of the end of the game, the final scenes (from the confrontation with Duke onwards) adopt only one register, the dramatic one. A whole other thing compared to the beginning, where the succession of cutscene, however slow, integrates more “genres”: it is true that we have the scene with the mother in the hospital with only the noise of the air conditioner, but the night at David hear strange noises and disturbing footsteps, and here we are catapulted into the horror genre… But without losing homogeneity in the predominant chosen atmosphere. It is not a very serious defect or that considerably ruins the work, it simply makes it lose part of its charm, and for this reason we wanted to analyze the ending of the game in this paragraph.

But the “greatest value” of these types of defects…

In addition to the minor ones like some logic problems that can be solved with some changes to the lines of dialogue:

Why on earth did he refuse to have at least the name of the person he was looking for? In this case it would have been enough not to have any information about the mysterious man not even to the landlady, maybe she didn’t have his name on the documents for a reason or another, etc…

…Is that they are mainly divided into separate sections.

As you have read, we are talking about the beginning and end of the game. Not of the central development, not during the exploration of the abandoned places, so also David’s past, on which the heart of the title’s message focuses.

Small curiosity: around the web we happened to find conflicting opinions on David’s behavior towards the monster and any logic defects that would derive from unnatural reactions in his behavior.

Everyone can classify this defect in the level of gravity that they consider appropriate, for example we think it is a justifiable error because of the extremely “psychologized” reality that the work shows us (we talked about it in the Trump Card paragraph). So we can reconnect, for example his behaviors and almost “carelessness” towards the oddities that happen in his new home to his predominantly yielding attitude towards life. So here, in our opinion, his hesitation before embarking on the journey is also justified, without considering that in any case he tried at least to give an answer to the phenomena that happened (like when he calls Paul to ask for explanations on the writing on the mirror).

Conclusion

The Crooked Man was a title that surely left its mark in the period in which the HOR-RPG had become a fashion giving, with its peculiar style, the possibility for fans to be able to observe deeper and deeper facets in the games that with time were discovered on the web. The importance of treating this game in Back to the Future derives from showing the variety of styles and representations that these games had, while referring all to well-defined characteristics.
For us it was also certainly interesting to note how this game is perhaps unique and one of  the few “survivors” of its kind, while in the meantime some other lover of the current already preferred to retire in the demented and parodic tones of Mogeko Castle.