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Angels Of Death – S.A.L.S. AOD-2

Angels Of Death – Severe Acute Laziness Syndrome (SALS AOD-2)

Buongiorno! Rieccoci tornati con la rubrica Back To The Future, è EleRantula che vi scrive!

Come sa chi ci segue, in questa rubrica si ripercorre passo passo, da gioco a gioco, la storia della corrente Horror RPG (abbreviata in HOR-RPG molte volte) …

Questo sarà l’ultimo articolo. Per noi, la Generazione dello Storytelling Focus finisce qui. Ci saranno molte domande da parte vostra, tra cui:

“Ma ci sono e ci saranno tanti altri giochi che faranno la storia dell’Horror RPG, non potete fermarvi al 2016! Ad esempio, c’è Omori che-““Di quello se ne parlerà a tempo debito…”

(Sul Tin Coffee Pot Time, dove vedrete queste faccette carine!)

 

Tutta questa perifrasi è per dire che la macchina del tempo di Back To The Future si ferma ad Angels of Death perché, anche se sicuramente direte di no, moltissimi (se non tutti) altri giochi odierni prendono ispirazione da questo titolo.

Quindi, che sia per metodi di commercializzazione o dal punto di vista del development vero e proprio del gioco… Angels Of Death è stato un blueprint.
Quello da cui ormai moltissimi prendono ispirazione e che anche autori trattati qui in Back To The Future usano per svecchiarsi.

Quello che, però, consideriamo un “virus” (citando, anche impropriamente volendo, la pandemia in corso) per questa corrente.

Usiamo per un’ultima volta la macchina del tempo: per via di tutti i nostri viaggi si è un po’ ammaccata, ma questo è l’ultimo sforzo che dovrà fare per portarci al…

2015.

Storia Del Prodotto

Si, al 2015.

“Ma Google dice 2016!”

Come se ci dovessimo fidare delle uscite su Steam come inizio dell’intera Storia del Prodotto…

Se cercate su una qualunque Wikipedia, si può trovare quest’informazione:

E quindi da questo possiamo tirare fuori una sola conclusione, che abbiamo trovato anche nel caso di Cloé’s Requiem…

Ragazzi, dobbiamo rassegnarci: l’era del “gioco pubblicato singolarmente da un autorino indipendente che poi è diventato popolare per via del suo valore!” è FINITA e anche da un bel pezzo.

Vediamo un attimo cos’è il… “Denfa Minico Game Magazine”.

O forse dovremmo dire “Den Fami Nico Game Magazine”!

(La pagina da cui viene questo screenshot è stata creata per pubblicizzare il manga sul gioco nel 2017, ma riporta alla pagina originale del Den Fami Nico Game Magazine, dove sembra sia stato pubblicizzato per la prima volta, anche prima dell’uscita della versione multilingua su Steam)

Ok, quindi il Den Fami è un sito di distribuzione di giochi indie…

Come potete vedere ha inizialmente rilasciato anche dei giochi che nella corrente “Indie-RPGMAKER-Horror” ora in Giappone sono di punta, tra cui The Case Book Of Arne e Noel And The Mortal Fate…

Ma vediamo chi ci lavora a questo… Magazine.

La compagnia sembra chiamarsi Vaka. Vediamo la loro pagina “About Us”.

That’s how mafia indie game developing works.

Quindi, tornando a come è iniziato Angels Of Death…

Si, anche in questo caso è andato avanti per via di contatti.

Non è nuovo per Sanada, abbiamo saputo dal caso di The Forest Of Drizzling Rain che aveva conoscenze con chi era nel campo dei manga.

Ma soprattutto questo modo di lavorare non è neanche nuovo per il campo creativo in generale. Le reti di contatti sono alla base di tutto, bisogna conoscere persone, mettersi in giri, fare affiliazioni… Insomma, un gran casino se chiedete cosa ne penso.

Quindi, sicuramente per il pubblico giapponese la sponsorizzazione di questo gioco, rilasciato inizialmente come free (si può scaricare ancora una vecchia versione giapponese infatti) c’è stata dal 2015…

E da questo è derivato tutto il mio preludio, che voleva anche solo confermare quel che abbiamo citato nell’articolo su Cloé’s Requiem e che approfondiremo successivamente…

Ma come tutti sappiamo è stato conosciuto nel mondo nel 2016 tramite Steam.

E qui le cose interessanti da dire sulla development history del gioco sono finite.

Davvero, è quasi noioso il quanto è andato avanti normalmente questo gioco.

Recensioni positive…

Negative… (Si, ho filtrato le recensioni negative perché ce ne sono solo 193 a fronte di quelle positive, più di 2000)

Ma, in generale, la sua uscita non ha suscitato tanto scalpore nel pubblico: è stato un normale gioco che per un bel po’ di tempo è andato di moda ed è piaciuto a molti.

Almeno, in Occidente…

A quanto so, nella nostra fetta di mondo abbiamo avuto a malapena la Collector’s Edition della versione Switch del gioco, con tanto di action figures.

Ma in Giappone… Oh mamma, in Giappone.
Qui abbiamo a che fare con un COLOSSO.

E sapete che quando cito la ricezione nel mondo esterno, se non prendo commenti interessanti da video o recensioni cito tutti i riconoscimenti che il gioco ha avuto, per darvi una minima idea della sua diffusione.

Oggi farò questo elenco in maniera molto più concitata prima di tutto perché è l’ultima volta…

Ma soprattutto perché è il caso più incredibile e clamoroso ad oggi.

MANGA! 12 VOLUMI!!

MANGA PREQUEL! 4 VOLUMI!!

RACCOLTA DI STRISCE PARODICHE!! (sul genere di “My Hero Academia: Smash!!” o “One Piece PARTY”) 5 VOLUMI!!

NOVEL!! 3 VOLUMI!!
(Con il secondo volume che ha lo stesso sottotitolo del secondo Deadly Premonition…?)

Queste… Altre due cose qua… Quindi NON UNO, MA BEN DUE ARTBOOK!!
(Anche se uno è un Fan Book… Non ho capito benissimo come funziona…)

E alla fine…

UN ANIMEEE!

E qui siamo arrivati a punti altissimi!!

Pensate sia finita con l’anime?! Pensavate che AoD non sia cresciuto ancora di più?!

Ma ovviamente no! L’anime ha portato tutti i benefici che ha avere una serie animata da uno studio affermato in Giappone…

(In foto la doppiatrice Haruka Chisuga e il doppiatore Nobuhiko Okamoto, doppiatori di Ray e Zack nell’anime)

E non ho contato i negozi di merchandise!

Quindi ragazzi, dopo aver scoperto tutto questo impero che si è creato quello che era un gioco indie neanche così virtuoso (come abbiamo visto con Pocket Mirror) con troppi contatti a supportarlo… Mi sembra quasi strano parlare di QUESTO GIOCO su una rubrica in cui si è scritto di quel piccolo pescetto che era Cloé’s Requiem, di Mad Father e The Witch’s House che dopo il rilascio su Switch sono rimasti in uno stallo lunghissimo a livello di fandom.

Questa è la lista più lunga di… Riconoscimenti? Chiamiamoli così, che io abbia mai fatto in tutta questa rubrica.

Dovrei, generalmente, passare la palla a mia sorella chiedendovi come, secondo voi, Angels Of Death sia diventato un così grande colosso commerciale tanto malleabile dalle grandi corporation… Ma, dato che è l’ultimo articolo, vorrei concludere in un certo modo l’ultima volta che si vedrà mai questa sezione Di Back To The Future.

“Storia Del Prodotto” in questi… Quanti, due anni? Ha subito degli alti e dei bassi.

Questo lo considererei uno dei bassi, in realtà. Davvero, prima del development del gioco… Non c’è stato, onestamente, nulla. O meglio, nulla che io riesca a trovare o che io consideri interessante. È iniziato come progetto dopo The Forest Of Drizzling Rain, si sono avuti contatti con Vaka che ha pensato alla distribuzione… E finisce qui. Non ho trovato nulla che mi possa far fare teorie come nel caso di Cloé’s Requiem, né una ricezione contrastante come Mogeko Castle o persino un qualche tipo di traccia proveniente da anni e anni prima che fosse pubblicato il gioco, come nei casi di Pocket Mirror o Corpse Party.

Si, è stata molto spesso corta e scommetto che chi legge questi articoli molte volte la salti anche.

Nell’introduzione della rubrica Back To The Future diciamo, a proposito di questa sezione:

A volte potrebbe comprendere la ricerca e l’analisi della storia dell’opera dalla sua creazione a distribuzione, ma nella maggior parte dei casi saranno analizzati (spesso per mancanza di dati) l’impatto che questa ha avuto sul pubblico –grande pubblico– e in che contesto è stata lanciata. Parliamo di “grande pubblico” quando intendiamo tutti quei tipi di spettatori o giocatori che con la community di RPG Maker non hanno niente a che fare, che spesso nemmeno sanno cosa sia questo tool. Il pubblico diventa quindi per noi un metro di misurazione dell’impatto dell’opera nel “mondo esterno” , analizzare che tipi di fandom sono nati dai titoli che sono diventati un’icona della corrente, quindi diventano in certi casi veri e propri fenomeni mediatici.

E in generale ci chiediamo sempre questa domanda:

Davvero l’universo RPG Maker è relegato ad essere un fenomeno amatoriale? O si potrebbe investire su un nuovo mercato?

Per rispondere non possiamo solo relegarci all’analizzare pregi e difetti del gioco e/o analizzarlo in maniera interna assieme a quel che definiamo il “Rapporto con l’autor*”, cioè il come tratta la sua opera.

Per sapere se si può investire su mercati nuovi, se dall’indie RPG Maker si può andare oltre, come ha fatto Undertale nel caso di Game Maker… Bisogna conoscere secondo noi tutto il contesto che c’era dietro; inizio, sviluppo e conclusione della storia del development di quel che poi analizzeremo. Serve a capire in che situazione era chi “ce l’ha fatta” a fare qualcosa di completo, oppure serve a capire perché “certi titoli non hanno avuto il successo che meritavano” senza dare per forza la colpa ai “poteri forti che vogliono solo le loro cose” oppure il “pubblico idiota che ingurgita solo prodotti scadenti o commerciali”: abbiamo visto nel caso di Mogeko Castle che, anche se era davvero un titolo valido per una grande commercializzazione (al pari di quella di Angels Of Death, ci metto la mano sul fuoco!)… Non è stato mai fatto nulla, perché nelle mie ricerche non ho notato una distribuzione davvero grande o intensa del gioco.

Perché per analizzare un fenomeno si devono prima spendere ore e ore al pc su Wiki varie, Wikipedia giapponese con annesso traduttore, siti ufficiali, forum, siti di distribuzione di indie game giapponesi (io fino a quando non ho scritto in questa rubrica non avevo idea di siti come freegame.mugen e Freem!)…
Scendere sempre di più nella tana del Bianconiglio fino a quando dici “okay, credo siano abbastanza informazioni per scrivere!” anche se sai bene che non avrai mai la conoscenza assoluta, sai bene che hai sicuramente mancato un dettaglio o due perché non eri lì ad analizzare il fenomeno mentre accadeva e sei arrivato tardi o anche solo per via di barriere linguistiche o culturali…

Ma queste ricerche, alla fine, devono essere sempre abbastanza per costruire un discorso. Per sapere perché diavolo “questo gioco è andato così” nel mercato o anche perché “questo gioco È così”, perché saprete sicuramente che molte volte la sostanza di un gioco deriva fortemente dal contesto in cui è stato fatto, per dare una base su cui può fondarsi tutto quel che viene scritto nelle altre sezioni degli articoli di questa rubrica.

È secondo me la più faticosa di Back To The Future, non per vantarmi o fare la vittima (Ele ha scritto tutti i paragrafi sulla Storia Del Prodotto), perché c’è da fare tanta ricerca e poi filtrare informazioni, sapere quali sono ancora valide, interessanti, inutili, valutare ciò di cui vale la pena parlare e rende un caso di studio interessante e ciò che è in realtà normale da fare, sapere se delle fonti sono ancora attendibili e/o il come ci si può costruire un discorso sopra tutte le ricerche fatte.

Ma non me ne sono mai pentita di aver ricercato. Ho scoperto un sacco di scoop scrivendo per Back To The Future, approfondendo questa corrente il più che posso tramite tutte queste “development histories”. Mi hanno fatto imparare un sacco su come può funzionare un mercato (e ne sentirete delle belle nelle sezioni successive, ve lo dico io!), come è possibile sponsorizzarsi, quanto si può arrivare lontano e molte altre cose di cui farò sicuramente tesoro durante il lavoro che il team Ludi Tarantula sta facendo per il suo gioco, che abbiamo citato qualche volta qui sugli Archives.

Io ancora non vi saluto, perché sicuramente ci sarò nelle sezioni successive di quest’altro grande articolo che segnerà la fine della rubrica Back To The Future e possibilmente la fine dei Ludi Tarantula Archives assieme a quel che sarà l’articolo sul “Selfish Confort Dilemma” …

Ma in ogni caso, come quando nelle strade viene la fine della giornata e i primi negozi iniziano a chiudere, la Storia Dei Prodotti degli RPG Horror più influenti si chiude qui, con uno di quei giochi che è riuscito a salire ai piani più alti che abbiamo mai conosciuto qui nel campo degli Indie game.

A questo punto, spieghiamo il perché le corporation hanno potuto dare tanto spazio ad Angels Of Death!

Diciamolo subito…

È perché è l’RPG Horror che più si avvicina al prodotto anime. Davvero, anche a chi è piaciuto lo pensa!

Ne parleremo dopo in questo paragrafo del perché, ma riflettiamo proprio su questa cosa. Perché un prodotto somigliante a un anime è diventato tanto popolare?

La ragione è più banale di quanto pensate. Ne avevamo giù discusso quando nella rubrica delle recensioni abbiamo parlato di Midnight Train e tireremo fuori questo discorso anche nell’ultima parte di questo articolo…

Purtroppo, da quel che abbiamo notato, soprattutto la corrente degli RPG Horror è seguita prevalentemente da spettatori passivi, pur essendo essi dei videogiochi.

(…)
Quindi si è iniziato a valutare gli RPG Horror come se fossero solo le loro storie, come se fossero ad esempio un anime o simili.

Il fenomeno Angels Of Death è una diretta conseguenza di questo, semplicemente. Come abbiamo detto in quell’articolo, questa “passive-invasion” (si, prendo ispirazione dalla british invasion degli anni 60’) ovvero l’invasione da parte di spettatori passivi del mondo videoludico ha portato proprio all’esaltazione di tipi di prodotti che hanno come maestri le grandi opere passive!

Quindi Angels Of Death ha potuto prendere una fetta di pubblico larghissima… Infatti, per GIOCARE Angels Of Death non si deve neanche più essere giocatori! Tanto, è uno shonen/seinen di serie B fatto su RPG Maker alla fine!

E questo è stato un buon fattore scatenante per renderlo quello che è oggi.

Ma cosa lo ha effettivamente reso un anime un po’ più edgy e fatto su un engine per videogiochi?
Divideremo questa risposta in due punti, come abbiamo fatto per i registri di Mogeko Castle.

-I personaggi

Se non la trama (anche è completamente commercializzabile anch’essa), molti dicono che il punto forte di Angels Of Death siano i personaggi.

Dal punto di vista personale posso dirvi che sono, dal primo all’ultimo, stereotipati e anche molto fastidiosi… Ma il punto è in realtà questo.

Sono strani. Sono dei pazzi assassini, ma dato che sono messi giù in un certo modo sono glamour.

Parliamo, ad esempio, di questo balordo.

Zack o Isaac Foster. Anche prima di entrare nella… Costruzione degli Angeli? (Non ha esattamente un nome, ho inventato qualcosa su due piedi) È sempre stato un assassino per via di un passato problematico, che gli ha portato anche tutte quelle bende sul corpo.

(Da V For Vendetta di James McTeigue, 2006)
Si, il perché Zack abbia quelle bende è questo alla fine, no?

Quindi noi, da persone sane di mente, diamo per scontato che un assassino è qualcuno che l’opera dovrebbe farci sentire come distante, qualcuno con cui non possiamo simpatizzare o, in ogni caso, avrebbe il ruolo di un antieroe o personaggi simili.

Giusto una piccola parentesi…

In realtà io apprezzo il come sia quasi più idiota nel gioco, rispetto al manga e all’anime.

(Delle sue quotes mi fanno genuinamente ridere, lo ammetto)

Per quanto allo stato attuale non abbia troppo senso con la sua natura da assassino, questo contrasto avrebbe potuto creare un buon personaggio secondo me: appunto, con il ruolo di antieroe che citavo prima.

Ma parlando di praticamente tutte le scene serie del gioco e tutti gli adattamenti di questo titolo…

Cosa ci viene enfatizzato di Zack?

…Letteralmente un “bad boy” con il cuore d’oro che ha il discutibile hobby di uccidere le persone ed essere in generale uno PSICOPATICO, impulsivo e problematico!

Ma questi ultimi tre tratti vengono tirati fuori solo quando la narrazione lo richiede.

Per il resto, Zack non sembra avere nessun tratto “non piacente” o che non sia giustificato.

(Ho preso in considerazione il manga, perché mostra le scene del suo passato in modo più palese)

Quindi il suo autodefinirsi “mostro” non diventa una dimostrazione di autocoscienza per cui, però, Zack rifiuta di migliorarsi… Ma semplicemente il tropos per cui l’educatore abusivo fa il lavaggio del cervello al bambino che porta poi queste idee su sé stesso da adulto.

E in questa scena, totalmente in contraddizione con lo psicopatico che è, Zack prova un qualche tipo di empatia verso Ray. Infatti lo fa “rivoltare” la visione distorta che Ray ha di lui come “Dio”.

Okay, ma a lui che importa?

IN TEORIA Ray non è più utile al suo scopo, Zack dovrebbe semplicemente… Lasciarla lì, non voglio essere cattiva.

Beh, questo in teoria.

Ma Angels Of Death nei suoi personaggi aveva bisogno di questi elementi:

-Design… Appariscente, per dire poco.

-Qualcosa che possa almeno somigliare all’ambiguità…

Nel caso di Zack un lato pazzo, che lo rende “frizzante” …

Ma è comunque in grado di provare empatia.

-Ma, nei casi come quello di Zack (e, nel manga e anime, Eddie) una storia drammatica e appassionante ad accompagnarlo, così che possiamo capirlo (a nostra detta) a 360°. Questo tema verrà approfondito nell’articolo sul “Selfish Confort Dilemma”

-Invece per molti altri personaggi, atteggiamenti tanto estremi da tenere sempre e comunque sveglio il pubblico.

Cathy è uno dei personaggi più “trash” ed estremi del gioco: ha uno dei capitoli più drammatici e lunghi e la sua personalità è letteralmente “HAHA! Che bella la tortura a chi considero feccia!” ovvero… Ehm, non si sa esattamente chi, ma in breve non devi fare antipatia a Cathy.

Infatti è un altro dei personaggi più apprezzati.

Vi dico, non è neanche una cosa sbagliata trattare o anche solo creare certi personaggi. Anche serie come Danganronpa usano per molti di questi il suddetto espediente per rendersi riconoscibile.

Nagito Komaeda è uno dei personaggi più contorti della serie, anche più di Kokichi Ouma da Danganronpa V3. E indovinate un po’? È uno dei miei preferiti e le sue azioni improvvise mi hanno intrattenuto nel corso di Danganronpa 2 Goodbye Despair.

Genocide Jack (o Genocider Syo) altra personalità di Toko Fukawa, assassina di “ragazzi carini” diventa uno dei twist principali del secondo capitolo del gioco. È uno dei personaggi più iconici del primo Danganronpa e viene approfondita ulteriormente in Ultra Despair Girls.

Angie Yonaga, la ragazza al centro dell’immagine, ruota attorno allo stereotipo dell’estrema religiosa, in generale. Nel capitolo 3 diventa motivo principale di “movimento” e conflitto.

Quindi possiamo concludere che la “personalità” del gioco ruota tutto sui personaggi e il quanto possono essere estremi o anche solo strani. Li rende oggettivamente più accattivanti e il loro essere eccentrici convince lo spettatore di una loro imprevedibilità, così che sia più convinto a seguire l’opera anche solo per vedere come agiranno i suddetti. Questo titolo ha solo esteso questo concetto a tutti i personaggi del gioco.

Quindi i personaggi di Angels Of Death possono essere scritti bene o meno, ma bisogna riconoscere che diamine, funzionano davvero bene.

Un altro elemento che molti sembrano ignorare in un gioco dato che viene preso per scontato, quando invece secondo me è CRUCIALE per renderlo commercializzabile…

La regia.

Abbiamo già parlato di regia con Mad Father e Cloé’s Requiem, e ne parleremo in quello che sarà l’ultimissimo articolo dei Ludi Tarantula Archives.

La regia è praticamente uno dei mezzi per segnare se un’opera è adatta ad un pubblico largo oppure se si tratta di un prodotto d’autore. Una regia di un prodotto commercializzabile dà il più possibile allo spettatore a livello di emozioni: ad esempio una scena triste ha una musica strappalacrime, piagnistei da parte di tanti personaggi (nei casi più estremi o persino, nel negativo, over-drammatici) … In breve, si esagera l’emozione per saperla comunicare al meglio allo spettatore. Questo è quel che una regia più tipica di un prodotto d’autore, oppure semplicemente una regia più asciutta non fa.

Da persona che si è occupata per un bel tempo della regia di cutscene, vi dico che è difficilissimo per alcuni (ad esempio me stessa) riuscire a fare il primo tipo di regia. Si ha paura di scadere nel ridicolo, nel semplice over-dramma, di far sembrare la scena finta…

(Ho preso questa scena d’esempio perché appunto drammatica e piana di pathos grazie alla musica)

Ma mio Dio, devo imparare che IL DRAMMA FUNZIONA!

Abbiamo anche parlato dell’ispirazione da opere passive nel caso di Mogeko Castle…

E abbiamo già parlato di regia drammatica nel caso di Mad Father. Lo considero ancora uno dei più grandi esponenti nel campo RPG Horror che è riuscito a fare una regia drammatica… Chiamata “cheesy” da molti.

Diamine, dite che non vi piace Mad Father e basta, perché anche Angels Of Death offre dei picchi di dramma non male.

Anche se l’uso di grafica pixel-2D non rende giustizia a quella che può essere l’inquadratura di un anime, abbiamo capito che in termini di regia, Angels Of Death fa davvero il suo lavoro.

Questo è dato anche dal fatto che lo stile di disegno di Makoto Sanada mi piace davvero tanto, ma mi è piaciuto come i due “Mostra immagine” sono apparsi in termini di ritmo…

Così come la parte in cui la scena d’azione è finita e Cathy è morta: in breve, quando si esce dal piano B3. Si sente tutta l’atmosfera di un “aftermath”, la musica rende moltissimo mentre si scoprono le ultime info su Cathy e si fanno gli ultimi riti per andare al prossimo ascensore.

Per questo secondo caso, dopo la scena concitata Sanada non fa andare la musica in fade e/o ci lascia in pieno silenzio per queste ultime parti, cosa che ad esempio io avrei fatto tanto tempo fa, quando stavo imparando a dirigere cutscene, ma ci accompagna ancora con la musica.

Dai tipi di scene che si vengono a creare (la tanta azione che dà la storia aiuta in questo, ecco cosa intendo con “trama commercializzabile”), i vari espedienti e anche le musiche usate che, anche se scopriremo nel Rapporto Autore-Opera una cosa abbastanza brutta sulle musiche di Angels Of Death che ci farà un po’ cadere la magia, sono davvero azzeccate e, ripeto, anche questa cosa non è da poco azzeccarla

È tutto così anime, quindi positivamente drammatizzato all’estremo che le scene, anche da parte di chi il gioco non è piaciuto (come me) sono sempre e comunque impossibili da ignorare e colpiscono molto a livello di impressione, anche se i concetti che comunicano possono far parte di una scrittura problematica.

Tutto quel che sto dicendo sembrerà davvero poco, o per alcuni sembreranno appunti stupidi… Ma abbiamo visto con Pocket Mirror e altri giochi con regia disastrosa che creare una “classica scena anime” ripeto che non è per nulla semplice e azzeccare qualcosa come musiche e ritmi è ogni volta una cosa da apprezzare.

Quindi, abbiamo parlato di cosa fa funzionare Angels Of Death. Ho scritto relativamente poco, rispetto a quanto ci sarà nei Difetti Dell’Opera… Ma guardiamo in faccia alla realtà.

Ai tempi di oggi, personaggi accattivanti e regia drammatica che dà emozioni esagerate sono le uniche due cose che importano. Vedremo meglio questa cosa tramite tutti i difetti che Angels Of Death ha ma…

Negli Archives sono stati scritti tantissimi pregi di tantissimi giochi diversi. Abbiamo sicuramente dato molte volte contesto alle parole che scrivevamo: i pregi che elencavamo erano appunto dati anche dall’opinione comune che le persone avevano nei giochi…

Ora per gli enigmi (Ao Oni), ora per la suggestività (Pocket Mirror), ora proprio per la profondità dei personaggi (Cloé’s Requiem – Ai personaggi di Nubarin e Nanashi No Chiyo abbiamo dedicato un’appendice intero!).

Come dice anche l’introduzione alla rubrica Back To The Future, lo scopo dell’Asso Nella Manica era scoprire il come il gioco trattato si è posizionato nella timeline degli RPG Horror, il perché sia stato un caso più iconico, splendente o quel che volete rispetto a tanti altri giochi che vengono considerati minori. In breve, come si rende riconoscibile nel mare sconfinato che è questa corrente videoludica.

Con Angels Of Death abbiamo raggiunto la fine. Gli unici motivi per cui ora un gioco dal pubblico viene apprezzato sono una regia che funziona e che dà quel che deve dare a livello di emozioni e personaggi accattivanti, problematici ma allo stesso tempo perfetti abbastanza così che possano provocare vari effetti positivi su vari tipi di pubblico. E questo è uno dei motivi per cui per noi la storia dell’Horror RPG finisce con Angels Of Death.

Perché se dovremmo descrivere per tanti altri giochi di oggi qual è il loro modo per costruirsi una linea di riconoscibilità, dovremmo ogni volta elencare le stesse due cose.

Ma ora, con questa seconda categoria di Back To The Future conclusa, andiamo a quel che possiamo definire…

Termometro della… Professionalità?

Termometro della Professionalità

Rispetto agli altri articoli, dove c’era PaoGun a passare per i punti che compongono il Termometro della Professionalità, per quest’ultimo articolo… Passerete ancora più tempo con me!

…E non equivale ad un piacere, di certo.

 

Ecco, già iniziamo benissimo con un bel fumo nero al posto del solito Termometro…

Come potete vedere, nel corso degli ultimi articoli esso ha subito dei bei colpi, fino ad arrivare a questo punto.

 

Bene, bene…

Come nell’articolo su Cloé’s Requiem, le sezioni avranno un ordine differente.

Sapete che di solito seguiamo quest’ordine: Packaging -> Rapporto Autore/Opera -> Difetti dell’Opera.

Sempre per comodità del discorso, anche oggi stravolgeremo queste regole.

Ci saranno prima i Difetti dell’Opera, poi verrà il Packaging, poi il Rapporto Autore-Opera

A pensarci, quest’importanza sempre più maggiore del Rapporto Autore-Opera rispetto ai Difetti del gioco stesso ci fa davvero pensare a quanto, nel mercato di oggi, importi di più una storia interessante o anche la personalità di un autore dietro a un prodotto, rispetto al giudicare l’opera stessa.

Ma di questo ne parleremo nel Packaging e nel Rapporto Autore-Opera, tutto insieme.

Per adesso, dopo aver detto il perché Angels Of Death funziona…
Diciamo le cose per cui effettivamente come prodotto, per quanto ci stia bene nel mercato, non lo rendono un “blockbuster” videoludico, perché impattano sulla qualità generale del gioco.

Difetti dell’Opera

Si, ci sono ancora io anche in questa sezione! Proprio non voglio togliermi dai piedi, eh?

Passeremo insieme anche per i difetti di Angels Of Death, quindi…

Diciamo subito che sarò obbiettiva: non mi piacciono MOLTE cose di questo gioco, ma commenterò oggettivamente anche quelli che, anche se io li trovo molto fastidiosi, si considerano difetti minori, come l’ultimo di cui parleremo. Questi tipi di difetti impattano poco sull’esperienza di gioco generale e solo se si va a ri-giocare, analizzare o anche solo riguardare il titolo una seconda volta, si possono vedere.
Ma Angels Of Death soffre anche di ben due problemi che secondo noi, entrambe le componenti del Ludi Tarantula Team, hanno un impatto enorme quando si gioca anche per la prima volta.

Togliamoci subito il problema più doloroso.

Sapete, l’illogicità (di cui parleremo praticamente alla fine dei Difetti Dell’Opera) non è la cosa peggiore che possa capitare a questo gioco.

Questo è in realtà un grande difetto che ha notato mia sorella, ma sono d’accordo con lei sul fatto che sia il più grande peccato ed errore del gioco intero, assieme al gameplay (di cui parleremo dopo).

Gli sbalzi di toni ingiustificati.

Dal piano B6 al piano B3 abbiamo un andamento piuttosto lineare. La trama accattivante che abbiamo descritto sopra, con la regia che abbiamo descritto sopra. Tutto okay, un’opera dark abbastanza edgy, ma anche godibile, lo ammetto.

Dal piano B2, non so cosa diavolo Sanada stesse pensando, parte una fase lunga…

Ma lunga…

MA LUNGA…

MA LUNGHISSIMA…

FASE DI ALLUCINOGENI E SEGHE MENTALI SU DIO QUANDO L’UNICA COSA CHE DOVEVAMO FARE ERA TROVARE UNA DIAVOLO DI MEDICINA PER UN CRISTIANO (E’ IL CASO DI DIRLO) CHE STA MORENDO DISSANGUATO!

Davvero, queste fasi non servono A NULLA a livello dello sviluppo della trama, le medicine (dato che dall’inizio del gioco abbiamo Zack che SA che questa è una struttura di assassini) potevano essere prese già da subito quando eravamo ancora al piano B5: sai no, giusto per essere cauti!

Quindi, oltre alla totale inutilità di queste fasi, che vorrebbe solo offrire un minimo di puzzle e “gameplay” che non abbiamo avuto PER L’INTERO GIOCO (ma ne parleremo dopo) …

No…

No, no, no…

Ma… Ma non ha senso, ma perché…

(Notare come Gray in questo punto, prima della scena del prossimo screenshot, VITTIMIZZI quelli che sono in realtà degli assassini per incolpare Ray senza alcun diavolo di senso. Dovrebbe essere qualcosa che rende quest’opera controversa? Provocatoria? Quando in realtà manda solo un messaggio disgustoso verso quelli che sono dei pluriomicidi perché la narrazione… Per essere brevi, fa schifo a mandare un messaggio controverso che dovrebbe essere quello dell’intero gioco. Ma torniamo a noi, che si fa notte.)

Sanada, pensavo fossi cresciuto da questa cosa…

Esattamente! Un totale cambio di toni che rende la parte del gioco dedicata al piano B2 inutilmente astratta in un bieco tentativo nel provare miseramente a rendere quest’opera profonda, intelligente o in generale che vuole trattare grandi temi!

Diavolo, siamo passati dal tagliare una mano ad una donna con nonchalance e anzi, quest’azione viene addirittura glorificata e/o resa “figa” e d’azione…

Allo scenario di un tribunale? Con il GIUDIZIO DI DIO?!

Seriamente? L’intero gioco fino al B2 è stata una GLORIFICAZIONE del rompimento di uno dei 10 Comandamenti delle tavole di Mosè: Non uccidere. L’abbiamo detto: i personaggi degli assassini sono stati resi belli, glamour e accattivanti con lo scienziato pazzo con la storia del doppio occhio: ooh interessante! Il bambino becchino che è innamorato di Ray anche se vuole ucciderla: che bel contrasto tra l’amore infantile e il voler uccidere! Wow, dualità tra qualcosa di infantile e qualcosa di grave e IMMORALE! Cathy tratta la tortura come qualcosa da spettacolarizzare! Wow, malatissimo!
(Monokuma lo faceva dal 2012, ma tralascerò…)

Zack stesso… Praticamente un “assassino con i motivi” con cui dovremmo SIMPATIZZARE con lui perché caro spettatore, anche tu vuoi uccidere chiunque pensi sia di morali deplorevoli…

Ora TU Sanada, che hai fatto andare avanti il gioco nell’edgy d’azione totale, ci hai reso belli ai nostri occhi degli assassini, facendoci dare per scontato che Angels Of Death è una di quelle opere sopra le righe che sconvolge o semplicemente ignora anche quelle che sono le morali comuni quando si è dal punto di vista di persone malate (o in ogni caso non tanto stabili) …

Esempio: in Danganronpa V3 Killing Harmony, è implicata una relazione incestuosa tra Korekiyo Shinguuji e sua sorella. Questa è una cosa sbagliata e Korekiyo infatti è sempre visto (anche e soprattutto in questo momento) come una persona inquietante.

Ci distorci TUTTA LA VISIONE CHE DOBBIAMO AVERE DELL’OPERA, per fare un bel discorsetto sul volere di Dio, sul “nostro volere”, su cosa è giusto, cosa è sbagliato…?

Ma aspetta, a farci questi tipi di discorsi belli complicati e reali, o anche solo farci pensare a questi…

Non dovrebbero farlo opere che nascono come già COMPLICATE?

Eh no Angels Of Death! Commerciale “trash” (con trash intendo qualcosa di più “leggero”, non so se mi spiego) sei nato e commerciale trash rimani! Non funzionano così i toni di una narrazione!

Che diavolo è ora, all’ultimo momento, questa simbologia pseudo-ambigua (ma che, in realtà ha poco e nessun senso) degli assassini come “angeli della morte” e che quindi sono da giustificare?

Anche Kira era un angelo della morte allora, Sanada? È questa la visione che il gioco vuole fornire su chi compie dei maledetti GENOCIDI?

Cavolo! Light Yagami esisteva per essere contrastato da L! Light Yagami rappresentava la tentazione dell’uomo nell’avere il potere sulla vita degli altri e come l’uomo possa essere CORROTTO da essa…

Death Note su questo tema crea tutt’un discorso, dal primo all’ultimo episodio!
Ci sono simbologie costanti alla chiesa, a Dio… Ma lì va bene.
Perché l’intero incipit e concept dell’opera parte da un paradosso umano interessante e si studia quel paradosso, anche senza dare alcuna risposta… Perché a questi temi una risposta certa universalmente presa non c’è, almeno non totalmente.

Davvero Sanada, che diavolo è questo tuo vizio di mettere i discorsoni in trame di entertainment puro? Nell’Asso Nella Manica sono stata buona, i tuoi personaggi funzionano bene, ne ho capito il meccanismo (se non si fosse visto abbastanza, sono fan di Danganronpa, quindi ci sono anche abituata a questi personaggi “estremi”)…

Ma questi sbalzi di toni non si giustificano con un “hmm, sei troppo critica”. Mi hanno disturbata un sacco anche la prima volta che giocai ad Angels Of Death. Che ti aspettavi? Che non sarei stata lì a skippare i dialoghi durante tutto il filosofeggiare di Gray e gli altri personaggi su chi è Dio, su cosa vuole Dio, sugli impuri, sui puri…

Non ho aperto il gioco per questo! Non sono venuto qui per questo!

Quindi, diamine, come devo prendere Angels Of Death?

Non lo saprò mai! Perché da un lato abbiamo i primi 3 piani che ci dimostrano che è un’opera sopra le righe, frizzante, d’azione…

Dall’altro abbiamo gli ultimi due che sono pienissimi di seghe mentali su grandi temi…

Quindi: Angels Of Death è profondo o no?

(Cioè, io vi direi di no perché i “grandi temi” si limitano a chili e chili di dialoghi inutili da parte dei personaggi e nessuna trattazione seria, perché il gioco ha sempre e comunque la cornice “trash” dei primi tre piani, che rende questo titolo inadatto a trattare i grandi temi… Ma beh, lascio la domanda aperta!)

E come se non bastasse… C’è da discutere anche il gameplay. Si, neanche quello è al sicuro dalla mia perenne ira.

…Anche se molte altre persone hanno avuto le stesse sensazioni che ho avuto io.

In altri giochi che abbiamo visto il gameplay era fatto bene, con problemi di comunicazione (Akemi Tan, Ao Oni), costrettissimo e fallace (come abbiamo visto qui sui Ludi Tarantula Archives nella recensione molto vecchia di “A Figment Of Discord”) o tanto standard da non avere nulla da dire a riguardo.

…Il gameplay in Angels Of Death non c’è.

L’esperienza è praticamente questa: dopo una cutscene anche bella lunga, si fanno CINQUE PASSI contati… E ne parte subito un’altra!

Dato che parliamo di gameplay, mettiamo a confronto Angels Of Death con un altro gameplay che abbiamo analizzato:

Abbiamo visto con Mad Father che il modo in cui si arriva alle scene madre funziona davvero molto bene: fornisce sempre e comunque ostacoli coerenti con la trama e/o il contesto in cui siamo, assieme ad un’integrazione dell’esplorazione della magione immensa dei Drevis tramite cui troviamo i mezzi per andare avanti. Questo crea una grandissima fase in cui il giocatore è libero di fare praticamente quel che gli pare, anche se sa che l’obbiettivo è andare avanti nella storia tramite l’eliminazione dell’ostacolo (che può essere un enigma, o anche solo qualcosa che non ci fa andare avanti in generale come uno spirito). Anche se, in ogni caso, il giocatore non sente di essersi perso in una “fase di gameplay” totalmente staccata dalla storia, perché le fasi in cui giochi sono connesse in modo fortissimo con quella che, se no, sarebbe stata una lunghissima e noiosa cutscene.

Questo fa restare il giocatore attivo, questo gli fa avere senso di esistere perché appunto fa il suo compito: aiutare Aya a contrastare gli effetti della maledizione. È letteralmente quel che un gioco deve fare e il motivo principale per cui si gioca ad un videogioco e non si guarda un’opera passiva! L’interazione del giocatore stesso con il mondo di gioco, l’IMMERSIONE data anche dal “sentirsi protagonisti”!

“La trama deve andare avanti in qualche modo”

Ma davvero si può fare solo e soltanto con delle stupide cutscene?
Mad Father ci dice proprio di no, pur essendo uno story-driven quanto Angels Of Death.

Ma anche se non si vuole fare un gameplay come quello di Mad Father…

Posso farvi davvero un sacco di esempi su come si poteva tenere il giocatore sveglio, anche se una storia stava venendo raccontata, ma ne citerò solo uno.

Questa è la scena iniziale di “What Remains Of Edith Finch”, vincitore nel 2018 di un premio per la Migliore Narrativa ai British Academy Games Awards.

Nel gioco si punta infatti ad una narrativa piuttosto impegnata e a quanto posso capire (come gioco, mea culpa, devo recuperarlo) non sembrano esserci momenti più “free roaming” dove il giocatore è totalmente solo. Il gioco stesso è stato considerato un walking simulator.

Ma anche solo a vedere questa scena iniziale, posso capire che qualcuno di capace ha lavorato a questo titolo. È stato puntato tutto sul reparto artistico e la suggestione, facendo camminare il giocatore in un ambiente che, anche se è conosciuto ad Edith, al giocatore è nuovo.

So benissimo che questa scena, rispetto a quelle mostrate in Angels Of Death, dovrebbe essere appunto una scena iniziale, molto evocativa, di presentazione. Ma ci tengo in particolare ad un elemento…

Il gioco con la narrazione della ragazza a presentare piano piano il contesto in cui si muoverà poi la storia, lascia interagire il giocatore con l’ambiente quasi da ogni punto di vista. Come giocatori sappiamo che c’è un percorso lineare che possiamo seguire, ma in ogni caso possiamo guardarci intorno, tornare indietro… E il gioco non ci ferma dal farlo.

La narrazione è spinta DAL GIOCATORE. Il gioco aspetta il giocatore per andare avanti, lo lascia andare per i suoi tempi. Alla fine, è proprio chi gioca che deve guidare Edith, che senso ha bloccarlo?

Possiamo concludere da questo che nei titoli fatti bene non ci si mettono i razzi sulla schiena perché senza cutscene o in generale scene massicce l’atmosfera si perde.

La persona che vive l’esperienza non viene sballottata a destra e a sinistra dal gioco perché “la trama deve andare avanti”, non viene tirata via perché devono fare tutto i personaggi. Nei titoli fatti bene il gioco si fida di te, perché alla fine TU devi guidare il protagonista.

E un gioco fatto bene te lo lascia fare.

E questo dà nell’esperienza un bellissimo effetto: si ha sempre un certo tipo di controllo di quel che si sta facendo, si ha sempre il cervello attivo, anche se ci si immerge completamente nel gioco e nella sua narrazione (per i titoli story-driven). Considero questo il bello dei videogiochi e che, da game developer, vi dico che è molto difficile da fare: se non si trova l’espediente pigro della “fase con i puzzle” bisogna avere un’abilità mostruosa nell’integrare tutto senza far andare il giocatore troppo fuori strada ma allo stesso tempo non farlo sentire costretto.

E ho tirato fuori tutte queste belle parole da quello che è considerato un walking simulator. Quindi, in automatico, un gameplay semplicissimo. Ma c’è e si sente dal punto di vista dell’immersione.

Quindi vi sembra ancora accettabile che una narrazione possa andare avanti solo a cutscene e che l’unico motivo per farvi camminare un po’ in giro è risolvere qualche puzzle o anche solo darvi quei cinque minuti per salvare, perché dopo cinque passi la narrazione va ancora avanti?

Perché davvero, io questo non lo considero guidare dei giocatori, ma trascinare degli zombie!

“Il lavoro del dipendente #427 era semplice: sedeva alla sua scrivania nella stanza 427 e premeva dei pulsanti su una tastiera. Gli ordini gli arrivavano attraverso un monitor sulla sua scrivania che gli diceva quali pulsanti spingere, per quanto tempo spingerli e in quale ordine. Anche se altri avrebbero potuto considerarlo straziante, Stanley assaporava ogni momento in cui gli ordini arrivavano, come se fosse stato fatto esattamente per questo lavoro. E Stanley era felice.”
-Introduzione di The Stanley Parable, titolo del 2013 sviluppato da Galactic Cafe

Davvero, ogni volta che gioco Angels Of Death mi sento esattamente così.
Sto esagerando? Non credo proprio.

Ma perché questo è un problema?

Questo discorso l’ho già fatto durante la recensione di Midnight Train, titolo minore dell’autrice Lydia.

Cominciamo col dire che le varie difficoltà da superare nel gioco non sono direttamente collegati in un certo modo alla trama… Ma ne sembrano un mero contorno!

C’è un motivo per tutto ciò, però.

Purtroppo, da quel che abbiamo notato, soprattutto la corrente degli RPG Horror è seguita prevalentemente da spettatori passivi, pur essendo essi dei videogiochi.

Grazie agli youtuber, prevalentemente, si sono potuti avvicinare a questi titoli fan, ad esempio, di anime, serie TV, film eccetera, perché anche se i video trattavano videogiochi… Gli spettatori erano passivi sempre e comunque, dato che giocava qualcun altro.

Quindi si è iniziato a valutare gli RPG Horror come se fossero solo le loro storie, come se fossero ad esempio un anime (eh, quante volte si sono visti tentativi di rendere animate le cutscene di Ib, ad esempio?) o simili, ma questo grazie anche ad un gameplay che in molti casi (tra cui anche due dei “master” Ib e Mad Father) era legato strettamente alla storia e agli ambienti, quindi indivisibile da essa, e anche parte integrante delle atmosfere.

Questo “svalutamento videoludico” dell’RPG Horror, questo quasi abbassarlo solo ad “una bella storia” e basta ha portato a questo: persone mai state videogiocatrici che “pretendono” di fare prodotti per videogiocatori.

Ma qui il problema è ancora più grande.
Lydia era un’autrice indipendente che, da sola, ha partorito quel pargolo deforme che è Midnight Train. Ma, appunto, Lydia è stata vittima della svalutazione dell’RPG Horror in generale e, nell’incoscienza, ha dato vita ad un gameplay davvero pigro.

Ma, appunto, l’ha fatto nell’incoscienza.

Angels Of Death ha avuto dei professionisti dietro la sua pubblicizzazione, quindi suppongo che è stato supervisionato da un team considerevole di persone anche durante il suo development: le risorse non erano per niente limitate e la conoscenza del mercato e/o la conoscenza su come atteggiarsi quando si sviluppa un videogioco non era limitata. Le persone dietro Angels Of Death erano perfettamente consce di tutto quello che stavano facendo, ma chi si è occupato del gioco non è importato niente di… Renderlo videogioco.

E questa è una delle ragioni del titolo dell’articolo, il perché è stata tirata fuori la “pigrizia”. Quelli che vogliono affermarsi come professionisti stanno letteralmente dicendo, mentre stanno sviluppando un VIDEOGIOCO che non è importante giocare!

Quindi, in breve, disirrispettano il videogioco a favore di un’opera passiva, come appunto un anime.

Quindi, ancora più in breve, (mi permetto di dirlo) se ne sono sbattuti le palle del media di riferimento e hanno usato il videogioco non come modo principale per raccontare la loro storia, ma solo come uno stupido mezzo per arrivare a quel che volevano veramente: una serie animata!

E lo sapete il problema?

Questa mentalità non si limita solo a questo titolo.

…Ma questo lo vedremo nel rapporto autore-opera.

Prima di passare a quello, parliamo dell’ultimo problema.

La scrittura.

Diciamocelo, chiunque potrebbe dirci che la scrittura di Angels Of Death è incompleta, problematica e si basa per molti elementi su approfondimenti dati dal manga o in generale opere derivate.

Davvero, Eddie è stato davvero sconfitto in modo idiota nel gioco ma si voleva avere la scusa per far vedere la sua faccia… Quindi si vede nell’anime e nel manga.

Ma… Si, dal fatto che abbiamo messo questo punto alla fine capirete che questo non è il peggio, anche se sarò molto, MOLTO provata.

Dato che dobbiamo parlare per esempi indicativi, metteremo giù questo problema della scrittura… Non proprio eccellente (che si riscontra in realtà in molteplici parti del gioco) con uno degli esempi più gravi.

Quindi tramite il collegamento tra questo…

E questo.

Io… Non ho bisogno neanche di spiegarvelo. Solo a vedere questi due screenshot potete vedere questo gigantesco buco di trama.

“Viene detto che Ray tutto questo tempo ha mentito!”

Eh no! Non è stata Ray a dire a Zack che lei sia un sacrificio e anche se fosse, a noi viene detto esplicitamente che RAY È UN SACRIFICIO. Non ci sono neanche degli indizi, degli elementi che possano portarci sulla strada per cui Ray non sia un normale sacrificio nella… Costruzione, bensì una padrona di un piano!

No, ci viene detto per l’intero gioco che lei è un sacrificio e viene trattata da TUTTI come un sacrificio! Io vi sfido a rigiocarvi Angels Of Death e trovare un minimo elemento prima del piano B2 che possa minimamente ricondurvi ad un’origine di Ray come padrona di un piano!

“E se è stato tutto architettato per far credere anche a noi che lei era un sacrificio? E se Ray si fosse ‘messa d’accordo’ con tutto il sistema per farla trattare come un sacrificio?”

La mia risposta rimane la stessa: non ci sono indizi sul fatto che lei sia una padrona del piano… ANCHE NEI MOMENTI IN CUI È SOLA. Perché dovrebbe fingere quando è sola?! Perché non c’è neanche alcun tipo di foreshadowing? Almeno per mostrare che quello di Ray non è un caso normale, è un caso anomalo, qualcosa!

Non mi interessa se ste’ cose vengono “spiegate nel manga”, “spiegate nel prequel”, spiegate chissà dove. Nel gioco rimane un BUCO DI TRAMA, il più grande nell’intero titolo, che già non vanta una scrittura eccelsa, l’abbiamo detto prima.

Packaging

Okay, abbiamo un menu che personalmente a me non piace.

Ma c’è da dire che un logo di QUELLE DIMENSIONI e semplici “New Game” “Load Game” “Exit”, con una macchia di sangue che ci immergono subito nell’ “edgyness” dell’intero gioco danno subito l’idea di brand, a cui dobbiamo affezionarci, perché dobbiamo COMPRARE, i giochi che hanno quel logo!

Okay, deliri isterici a parte, abbiamo parlato anche fin troppo di un menu così scarno.

Passiamo all’UI!

Okay… Si è tenuta la stessa da The Forest Of Drizzling Rain, ma stavolta non si vede la mappa dietro…
Pensavo che il passaggio a team e publisher più affermati facesse fare un upgrade al gioco anche da questo punto di vista…

Sapete, per un gioco fatto da professionisti almeno io mi aspetto di più, no…?

Invece si è voluti rimanere sul semplice, con solo il mezzo busto di Ray a dominare il la schermata, per compensare dei menu ancora una volta scarni.

Dai ragazzi, che Angels Of Death è un gioco professionale… Vediamo le mappe!

Quelle, anche se non molto citate da mia sorella in questo paragrafo, fanno anche parte del packaging perché hanno un ruolo importantissimo nello stile dell’intero titolo che si va poi a giocare, è dove appunto il giocatore si muoverà, dove accadono le scene, letteralmente quel che compone la scenografia degli avvenimenti-

Ehm… Cioè…

La fotografia e certi elementi di scena sporadici, come i riflessi delle finestre e la luna nelle mappe degli ultimi episodi sicuramente smorzano l’effetto…

Ma se togliamo la fotografia, otteniamo questo:

E… E la mia reazione rimane sempre questa…!

“12 euro? 25.000 lire per sta’ merdina qua? Ma è una follia!”
“Ma che follia! Non lo sai che è di Sanada sta’ mappa? Uno dei più grandi developer viventi nella corrente RPG Horror?”
“Ma developer che cosa, che il mio map designer con 5.000 lire la fa meglio!”

(Valori opportunamente cambiati per adattarli alla situazione… Perché 30.000 lire è poco più del prezzo del gioco.)

E infatti vi posso dimostrare che giochi che hanno avuto la metà della visibilità, il successo, il DENARO E PERSONE che ha avuto e guadagnato Angels of Death dimostrano molto più impegno riguardo la trattazione degli scenari di gioco!

Accha, da madlad che è, ha totalmente cambiato la prospettiva di RPG Maker: perché a lei NON PIACEVA, lei voleva il gioco a scorrimento orizzontale perché era più bello da vedere e l’ha fatto! Infatti le mappe sono bellissime!

Adesso, passando ad un altro titolo, vediamo delle mappe di The Witch’s House senza fotografia, per favore!

The Witch’s House, anche nella sua prima versione, ha delle belle mappe: anche in questo gioco alcune non reggono il paragone con molti titoli di oggi, ma io vedo un certo gusto nella composizione generale di questi ambienti…

O perlomeno dei tileset delle finestre DECENTI!

(Con cosa sono disegnati questi? Paint?!)

Diavolo, vogliamo parlare di Sen?

Dudley and The Mysterious Tower non ha avuto successo, diciamo anche che è stato un flop colossale… Ma nelle mappe ha subito messo giù uno stile chiaro, con tileset ben personalizzati e stilosi, così come le sprite.

E il remake di Mad Father?
…E a questo punto contiamo anche quello di The Witch’s House, dato che hanno fatto la stessa cosa.

Sen e Fummy hanno sentito che le mappe delle versioni gratuite dei loro giochi NON ERANO ADATTE PER UN GIOCO COMMERCIALE, quindi si sono presi (forse assieme ad altri; spero vivamente siano stati aiutati) l’impegno di rendere presentabile su Nintendo Switch e Steam il gioco, con rimodernamenti grafici che non scherzano!

Vedete? Nel caso di Sen… Poteva lasciare Mad Father così com’era, lo poteva distribuire a 10 euro su Nintendo Switch così, senza curarsi dell’aspetto delle mappe (per dire, The Crooked Man è stato messo su Steam a pagamento con tutte le vecchie risorse usate da Uri…). Ma Sen è un bravo developer (davvero, rinnoviamo la nostra stima per lui, anche con tutte le cose strane che ha aggiunto alla trama di Mad Father…) e ci ha PENSATO a come vengono presentati gli ambienti e l’impatto che questi hanno sul giocatore. Perché Sen ci teneva al progetto e il fatto che voleva rendere migliore l’esperienza a chi pagava il gioco… Secondo me dimostra che ci rispetta.

Makoto Sanada invece, rispetto anche al suo omonimo Kedouin (che citiamo anche perché anche lui ha accettato un modo per svecchiare il suo gioco molto dignitoso, per quel che poteva essere un Corpse Party più moderno), non ci ha tenuto al suo progetto. E non ci ha tenuto neanche a noi e ai nostri soldi.

Ma vediamo questi rapporti spinosi ora, nel Rapporto Autore-Opera… E soprattutto il perché sia così.

Prepariamoci quindi ad una delle provocazioni più grandi che faremo in questa sede… Che ha a che fare, di nuovo, direttamente con KADOKAWA, Enterbrain e tutti questi bei nomi.

Rapporto Autore-Opera

Quindi…

Abbiamo finito il paragrafo del packaging con un’accusa non male.

“Makoto Sanada non ci teneva al suo progetto e non ci teneva neanche a noi”.

Pensate che io abbia riassunto così il Rapporto Autore-Opera che concerne quest’ultimo gioco della corrente Horror RPG come la conosciamo, vero?

Non è così. In questa sezione, rispetto a tutti gli altri articoli, non parleremo di “un autore”, tramite interviste o cose del genere.

Davvero, l’unica intervista interessante fatta a Makoto Sanada mi ha solo fatto provare un ammontare di cringe assurdo quando è stato detto che la sua regia delle cutscene deriva “dal teatro” e non dal più classico degli anime misto a regia classica da RPG Horror…

E poi, in generale, tutte le cose che diceva erano così generiche che se dovessi basare questa sezione su quest’intervista ci spenderei due righe, poi andrei direttamente in pausa pranzo.

Diamine, di particolare su di lui sappiamo solo che si è laureato in teatro (e questo sembra dargli il diritto di dire che le sue cutscene siano riconducibili al teatro… Okay…?). Per il resto, sempre le solite cose.
“Giocavo fin da piccolo”
“Ho scoperto i free game grazie ad Ao Oni”
“Mi è sempre piaciuto fare storie, lo facevo dalle elementari”

In ogni caso non sembra esistere alcun “rapporto” tra Autore e Opera per Angels Of Death. L’abbiamo già visto anche per The Forest Of Drizzling Rain.

Quindi… Oggi a noi non interessa il come l’autore si approcci alla sua opera.
L’autore in questo caso è freddo, ininfluente e che si mantiene sul generico.
Non sento nessun attaccamento alle sue opere. E questa non è una cosa buona, né cattiva. È semplicemente molto strano per un titolo indipendente, dove tutti noi ci sentiamo di “mettere noi stessi completamente” in quel che creiamo.

Quello di Sanada a me sembra, invece, come si comporterebbe qualcuno di una compagnia più grande.

Ah, le grandi compagnie. Ogni developer indie vuole fare un’affiliazione con qualcuno che può esportare ad un pubblico immenso la propria opera.

Nei film vediamo la “compagnia” o anche solo qualunque persona che abbia a che fare con il marketing come qualcuno/qualcosa di brutto, cattivo e che vuole solo fare soldi sporchi tramite il lavoro dei “giovani artisti”, che sfruttano con condizioni inumane e abusi…

(Il primo esempio che mi è venuto in mente è lo Zio Ian della serie di Alvin Superstar, quando i Chipmunk diventano famosi e quando vuole far fare successo alle Chipettes dimostra ogni volta, da bravo villain caricaturale, la sua avarizia e attaccamento al successo tramite lo sfruttamento)

Li vediamo sempre come dei tiranni, di cui capiamo sempre e comunque ogni passo cattivo ma che non possiamo battere, perché sono “troppo forti”.

Ma dopo aver fatto questo bel discorsetto…

Dico che in realtà neanche noi abbiamo fatto né faremo un bel lavoro nel dare il messaggio di non demonizzare completamente le figure legate al marketing.

(Cloè’s Requiem PT2 “Six Characters In Search Of An Author)

Ma in ogni caso, vale questo discorso:

“In effetti, volevamo chiarire una cosa: non vorremmo farvi pensare che siamo soddisfatte delle conclusioni che vi abbiamo portato in questo articolo. Non ci accontentiamo perché in genere non ci piacciono le formule semplicistiche: quello che vogliamo dirvi non è: “Kadokawa è Satana!“, ci sono tante dinamiche da tenere in considerazione e poi, accidenti, se è un’importante multinazionale un motivo ci può essere, chissà in quanti “reparti/campi” (non conosco il termine professionale) è diviso.”
(Cloè’s Requiem PT2 “Six Characters In Search Of An Author)

Quindi… Sappiamo bene che parlare di grandi corporazioni come Kadokawa-Enterbrain è rischioso, dato anche che non abbiamo le risorse per studiarle completamente dall’interno.

(…)

Ma c’è un perché abbiamo detto queste frasi e introdotto quest’argomento.
Siamo abbastanza sicure di quella che, per molti, potrebbe essere un motivo per non prenderci più seriamente, per darci delle complottiste e denigrare qualunque cosa abbiamo da dire, quando e se quest’articolo verrà condiviso a tal punto da arrivare ad un certo numero di persone.

Ma a noi non importa. Abbiamo sentito che tutti i pezzi combaciavano.

Quindi, a questo punto, approfondiamo il grande fenomeno che ha colpito Cloé’s Requiem e che ha come rappresentante Angels Of Death, il perché di questa frase nella Storia Del Prodotto:

“Ragazzi, dobbiamo rassegnarci: l’era del “gioco pubblicato singolarmente da un autorino indipendente che poi è diventato popolare per via del suo valore!” è FINITA e anche da un bel pezzo.”

E soprattutto, il perché Angels Of Death con tutto questo ha portato con sé quel che consideriamo un virus, che si è espanso per tutti i titoli futuri:

La Severe Acute Lazyness Syndrome.
In codice “SALS AOD-2”.

 

Dall’inizio di quest’articolo avrete notato il come abbiamo sempre sottolineato che chi ha lavorato ad Angels Of Death consideriamo siano stati professionisti.
Per il titolo precedente di Sanada, The Forest Of Drizzling Rain, non abbiamo parlato in questi termini.

Anche se c’è da dire che quel che lo differenzia da altri casi è che lui non sia partito dal niente. È risaputo che avesse già alcuni contatti minori per aiutarlo con la distribuzione del suo titolo.

E questa distribuzione, come abbiamo visto nell’articolo del gioco sopracitato, gli ha dato una buona ricezione in Giappone.

Voi pensate che possa finire qui.

“Sanada aveva già dei contatti, ha usato gli stessi con Angels Of Death!”

Può anche essere che li abbia usati. È possibile che sia riuscito ad arrivare a questo…

Tramite i contatti che già aveva.
Infatti io non dò per scontato che, assieme a quel che diremo successivamente, Vaka abbia aiutato moltissimo nella “raccomandazione” del gioco a case di produzione più grandi.

Ma in questi casi, secondo me, c’è da ri-tirare fuori il caso di Cloé’s Requiem.

In Cloé’s Requiem c’è secondo me una dimostrazione ancora più clamorosa delle operazioni di Kadokawa-Enterbrain sugli indie game.

Nubarin e Nanashi No Chiyo erano due ragazzine che usando RPG Maker avevano fatto un gioco… Anche piuttosto scadente.

A quanto so, non ha avuto tutta questa grande reach per arrivare persino a due interviste e l’invito al Tokyo Game Show.

Quindi ora c’è da tirare fuori il tool e come è stato usato in tutti i progetti che hanno avuto questo “successo improvviso”.

Questo è RPG Maker VX ACE, l’engine su cui è stato creato Angels Of Death.

Potete vedere che in quest’immagine ci sono già sprite, alberi e una stradina.

Ciò è perché, da RPG Maker VX in poi, si affermò Degica come publisher delle varie versioni dell’engine.

“Degica non solo tradusse l’engine, ma gli diede anche una bella spinta: si impegnò a costruire una comunità attorno al prodotto.

(…)

Ma Degica impose anche nuove regole abbastanza rigide da seguire, per la community di allora.

Non si aveva più la manica tanto larga per la pirateria e lo sfruttare risorse di altri, il che significava “niente più giochi di fan che utilizzavano materiale protetto da copyright”. I giorni di gloria e saccheggio erano finiti.

Per ciò vennero in “aiuto” gli RTP (Run Time Packages) dati da Degica, che incoraggiava la comunità a creare giochi che potessero usare queste risorse, per colmare la mancanza di tileset e sprite.”

Questo pezzo proviene da un articolo piuttosto vecchio sulla storia di RPG Maker che scrissi quando ero redattrice per la rivista online ICrewPlay.

Ecco, questi sono dei file che compongono gli RTP di RPG Maker VX, engine di Cloé’s Requiem:

Notate una somiglianza?

Ha praticamente usato tutti gli asset degli RTP.

Cloé’s Requiem per il suo sviluppo ha quindi usato INTERAMENTE tileset forniti da Degica. Gli unici asset originali sono le sprite e le immagini, assieme ad alcune musiche (a parte quelle di musica classica).

Brava Buriki Clock, brava.

Andiamo ad Angels Of Death…

Questi sono gli RTP di RPG Maker VX Ace.

Notate una certa somiglianza?

Hey! So a cosa state pensando!

“Ugh! Ma è solo il 10% della mappa!”

Certo, sicuramente…

Ora vi faccio vedere una delle mappe più apprezzate di Sanada, per spiegarmi meglio.

Bella eh? È stata complimentata anche durante l’intervista che abbiamo citato prima.

“Non può essere di quei tileset.”

Mi direte.

No, infatti non lo è.

Ora vedete più somiglianze?

Ecco.

Secondo voi quelli sono tileset presi da internet o in generale qualche risorsa free che si può usare liberamente, il che renderebbe il caso Angels Of Death totalmente distaccabile da Cloé’s Requiem?

Sanada ha semplicemente usato dei DLC.

E se vediamo anche nei file di gioco, il 90% dei tileset di gioco sono tutti DLC rilasciati da Degica.

Cartella “tilesets” del capitolo 1 del gioco.
(4
墓場 Sembra voler dire “4 Cimitero”

La mia teoria si rafforza sempre di più quando vediamo quali tipi di tileset sono attualmente disegnati da Sanada o in generale qualcuno nel team di sviluppo del gioco.

Questi hanno solo dei nomi in giapponese.

Abbastanza fuori stile, rispetto ai tileset dettagliati che vediamo per tutte le mappe di gioco, vero?

Quindi possiamo dire che, per un buon 90% del gioco Sanada ha usato religiosamente SOLO materiale per cui ha pagato Enterbrain/Kadokawa dal punto di vista dei tileset…

(Joel Steudler è uno dei compositori che riesco a riconoscere che ha lavorato per il pack di BGM distribuito da Degica)

E anche un po’ delle musiche sembra che provengano da zia Degica.

Vi sta venendo qualche dubbio?

Bene, questi possono essere confermati dal caso di Mogeko Castle.

Per me questo titolo, con un po’ di modifiche, avrebbe potuto surclassare Angels Of Death senza problemi.

La grafica in generale è davvero bella, curata e soprattutto stilosa ed accattivante, dai disegni (dalle CG, molto professionali a livello di disegno, fino ai potrait dallo stile subito riconoscibile) fino ai tileset e le sprite fatti interamente da zero in pixel art; la trama è d’avventura con molta azione, è basata su una struttura a piani e ha tanti registri diversi (come abbiamo visto nell’articolo su questo titolo sempre in Back To The Future) e soprattutto personaggi diversi, strani, mai noiosi e ambigui esattamente come Angels Of Death (se non meglio, considero Moge-Ko molto meglio scritta rispetto a Cathy) e ha anche un intero mondo e società da esplorare con sequel e prequel – attesissimo dai fan del gioco è Mogeko Castle Gaiden!

…Ma i giochi di Funamusea, purtroppo, hanno solo del merchandise e dei manga fatti dall’autrice del gioco.

Intendo, è una cosa buona, non è male come cosa se la gente li compra… Ma secondo me questa creator non ha raggiunto tutto il successo che meritava.

Eppure il gioco è fatto con RPG Maker VX ACE. Non stiamo parlando di Mad Father (fatto con Wolf RPG Editor). Sarebbe stato perfetto per farlo pubblicizzare…

Ma no, Funamusea ha saputo crearsi tutte le risorse del gioco da sola e Degica non l’ha vista come una buona possibilità per farla diventare un fenomeno quanto quei balordi di Buriki Clock (in Giappone) e Sanada.

E sapete perché?

È perchè Sanada e Buriki Clock hanno usato l’engine “come si dovrebbe”, come è stato sempre preveduto da chi ha creato RPG Maker: fare qualcosa di creativo… Ma con i pacchetti dati dalle aziende di riferimento.

Proprio come si tentava di fare disperatamente nel 2007 con molta più goffaggine e molti meno artisti.

Quindi, dato che ci si è resi conto che nel 2007 questa cosa ha portato il tool allo sfacelo, si è sfruttato il fatto che gli Horror RPG avevano in parte salvato RPG Maker dal totale sbeffeggiamento (che subisce però ancora oggi…) da parte di utenti di altri engine e si è deciso di premiare quelli che, nel suolo nipponico ovviamente, riuscivano a usare le risorse date dal programma stesso o da Degica tramite DLC per fare qualcosa che almeno assomigliasse ad un bel RPG narrativo minimamente (ma proprio minimamente, considerando il caso di Cloé’s Requiem…) commercializzabile, per dimostrare al mondo che “tutti possiamo essere artisti” con il LORO engine.

L’ho già premesso. Non so nulla delle dinamiche interne a chi supporta certi tipi di progetti. Quindi non so esattamente che cosa è successo per far scoprire Angels Of Death e… Cloé’s Requiem, rispetto a Mogeko Castle.

Ma a me sembra che volevano dimostrarci che valeva la pena spendere 60 euro (e più, inclusi i DLC!) per il loro prodotto…

Perché ci dava la possibilità di essere i nuovi fenomeni virali, anche se non abbiamo i mezzi e/o le abilità per creare quello che sta diventando uno dei mezzi di narrazione moderni più potenti degli ultimi anni.

E qui andiamo al titolo dell’articolo, che è direttamente collegato al perché il Termometro della Professionalità è ormai distrutto.

Mettiamo a confronto i due termometri di Cloé’s Requiem e Mogeko Castle.

A parte il fatto che uno è disegnato meglio, uno è disegnato peggio…

Tramite questi giudizi si poteva prevedere che Mogeko Castle avrebbe fatto molto più successo, almeno in casa. Si poteva prevedere che qualche publisher lo prendesse in considerazione, almeno per metterlo su Steam.

Invece…

E, nel caso analizzato oggi…

Qui non stiamo parlando di casi come quello di Pocket Mirror, dove c’è un ragionamento sensato per cui dovrebbe essere altamente commercializzabile, dove (anche se non nella narrazione) c’è stato un grande impegno nello sviluppo del gioco per renderlo più appetibile possibile ad un pubblico.

Qui stiamo parlando di titoli che ottengono il massimo risultato da quello che è considerabile il minimo sforzo, rispetto a tipi di autori come Astralshift, Funamusea e… Si, mi brucia pronunciare anche solo questo nome ma devo dirlo per forza, anche team come quello di Omocat nello sviluppo di OMORI.

Sempre per la nostra stessa motivazione, ovvero che non sappiamo le dinamiche precise che ci sono in questi grandissimi giri di denaro e contatti, non sappiamo dire quanto sia comune questo fenomeno in Giappone o da parte di KADOKAWA (e/o collaboratori) in generale. Non sappiamo esattamente quanti giochi in Giappone siano stati trattati con questo metodo, di conseguenza non sappiamo neanche quanto venga usato rispetto ad altre manovre di marketing che una corporazione grande come KADOKAWA può permettersi. Quindi si può dire che parliamo dal nostro piccolo…

Ma posso dirvi che anche dai nostri occhi, quelli di semplici videogiocatrici… Che alla fine sono diventate lo stesso tipo di developer che Funamusea è stata… (Non in termini di qualità, non ci permetteremmo mai di dircelo da sole, ma dal punto di vista di quanto personalizzati sono gli asset del gioco, quindi un fattore puramente tecnico)…

Abbiamo onestamente paura.

Letteralmente una distesa di legno nero, con una libreria e due sedie giusto all’angolo. In generale una mappa vuotissima, con tileset che riconosco da un miglio (vengono dai primi RTP di RPG Maker VX o VX ACE), coperta solo dai due potrait di turno e la finestra di dialogo.

Devo davvero commentare? Anche qui mappa vuota, monocolore e monotema, colonne giusto per incorniciare il casino di pietra che stiamo vedendo, nella scena un fuoco che sembra della stessa qualità delle esplosioni dei primi episodi di South Park, potrait TAGLIATI, tileset che sono totalmente fuori stile rispetto alle sprite e in generale non capisco dove diavolo si svolge la scena.

 

 

L’effetto del sole fa praticamente l’intera scena e le da un po’ di atmosfera assieme alla fotografia. Anche qui le sprite e i potrait meritavano mappe totalmente diverse, ma con i tileset (anche se non capisco bene da dove vengano, purtroppo) si è andati DAVVERO a risparmio e senza neanche fare un certo tipo di lavoro con le diavolo di proporzioni: le lampade sono minuscole rispetto alle sprite, così come le macchinette, l’albero e la grande costruzione a sinistra. Kanawo, non facevi mappe così brutte per Blank Dream!

 

E per un attimo mi affaccio anch’io, PaoGun, per farvi notare una cosa.

Quasi è ironico pensare che molti autori si vantino si “superare i limiti di RPG Maker”, “offrire oltre quelle che sono le possibilità dell’engine” (se volete ridere, una cosa del genere l’ha detta anche Sanada nell’intervista che vi abbiamo citato), e altre frasi simili quando probabilmente è stato tutto pensato per essere così fin dall’inizio. Ora, andando oltre la scissione tra le nostre ipotesi e la realtà, voglio lanciare questa provocazione e lasciar scorrere l’immaginazione…

Immaginiamo che questi producer ci stiano dicendo: “Sì, sì, siamo noi sbagliati! Potete rimediare a questo se ci mettete alla prova, sperimentate quanto potreste essere in gamba!” sfruttando quella che potrebbe essere stata una cattiva reputazione per rigirare la frittata e farne la propria strategia di marketing a prescindere da quanto poi un titolo possa essere scadente o meno. Chi se ne importa alla fine si abbassano le aspettative dell’audience per un’opera di qualità! L’importante è coccolare per bene i propri consumer e viziarli.

Quindi ora parlo a voi autori, sì sì, a tutti quelli che continuano a pensare di poter essere i nuovi “grandi creativi” del secolo mostrandosi come gli eroi che hanno rivoluzionato l’engine: l’Enterbrain, Degica e Kadokawa ve l’hanno messo per bene in quel posto, anzi, l’hanno fatta a tutti noi.

Conclusione

(Questa volta per sempre, o forse no?)

E con questo, il nostro viaggio si chiude. 

Ed è proprio in queste circostanze, nell’ultimo articolo di Back to The Future, ci siamo rese conto che non abbiamo in realtà concluso nulla di rilevante, se non aprire portoni ancora più grandi. Probabilmente con tutte le nostre istigazioni a quest’ora vi stiamo facendo prudere le mani, magari perché vorreste che l’argomento venga sviscerato come si deve, approfondito, e non lasciato a mere spettacolarizzazioni come abbiamo fatto in questo articolo.

Vi sveliamo una piccola confessione: in un futuro un nostro grande desiderio sarebbe realizzare un bell’articolo-inchiesta su quest’argomento.
Ma sono quei progetti per cui ci vuole tempo, ci vogliono dati, ci vogliono risorse. Non sappiamo se riusciremo mai a realizzare qualcosa del genere, ma sarebbe quello di cui, sentiamo il bisogno che venga realizzato. Ma non perdendoci in chiacchiere, forse potreste esservi fatti questa domanda se ci avete seguiti dall’introduzione della rubrica:

Ma insomma, alla fine si è consolidato o no un mercato? 

Insomma, come lo definiamo…Mercato degli indie game? Mercato della corrente Horror RPG? Mercato dei titoli narrativi indie..?

Beh, voi cosa ne pensate? Ve lo abbiamo mostrato per tutto questo tempo, lo abbiamo descritto negli articoli di questa rubrica…

La risposta è sì. 

Neanche è nato e ha già sviluppato nel corso di questi anni tante sfaccettature e tutte molto complesse. Possiamo affermare che è rimasta la possibilità di poter vivere di questo, ovvero facendo gli sviluppatori senza avere particolari conoscenze di programmazione? I fatti vi direbbero di no, o che le probabilità oggi sono più scarse che in passato e che gli unici casi in cui pare che si sia aperta una strada per costruire un business rilevante (e da cui ci si possano aspettare delle fonti di ricavo rilevanti da poter farsi bastare solo quello) siano stati il caso Corpse Party nel ’96 e il caso Anges of Death, quasi per assurdo esattamente 20 anni dopo, nel 2016.

Io vorrei insistere su una cosa, a me stupisce già solo il fatto che si sia creato un fenomeno del genere.
Viviamo in un’epoca in cui i percorsi lineari si stanno sfaldando a vista d’occhio, vi ho citato più volte questo argomento in qualche articolo e soprattutto in quello sulla Astralshift e Pocket Mirror. Molte volte potreste esservi sentiti dire queste parole: “se studi questo vuol dire che a questo corrisponderà il tuo mestiere”, nel nostro caso, “si diventa creativi solo per raccomandazioni dall’ambiente o si diventa programmatori di videogiochi solo se si studia quello e ci si specializza”.

Ora, che noi abbiamo criticato questi autori o meno non conta, perché tutte le persone di cui abbiamo parlato sugli Archives (e non solo in Back to The Future) hanno costruito un prodotto diventando responsabili di numerose aree del settore creativo per poterlo far fruire pubblicamente ad altre persone. Alcune di queste persone sono riuscite ad ottenere un risultato più rilevante di quello che ci si poteva immaginare, provate solo a farvi scorrere le immagini di tutti i titoli che ci sono passati davanti nel corso di questi quindici anni e pensate a quanto questa cosa col tempo sia diventata sempre più scontata ai nostri occhi.

Impressionante, vero? 

Tra tutte le ingiurie che abbiamo lanciato a questi titoli e alle persone che li hanno realizzati stiamo parlando comunque di opere fatte e finite che sono arrivati a un pubblico, hanno generato dei fandom, e questi di cui abbiamo parlato sono solo dei chicchi di riso rispetto a fenomeni molto più grossi e in ambiti diversi.

Ci siamo lamentate tante volte di diverse cose, ma noi crediamo ancora alle possibilità di poter generare dei nuovi drivers in questo ambiente, in questo mercato così insolito. E visto che questo è l’ultimo articolo per la rubrica e ci sentiamo romantici, John Bon Jovi cantava: “Shot through the heart, and you’re to blame. Darling, you give love a bad name”.

Gli autori del passato e i produttori dell’engine hanno formato da un lato un sogno, quello che ogni opera narrativa già offriva donandoci esperienze, poi storie e personaggi con cui poter evadere dal nostro quotidiano. Poi questo sogno è diventato più grande, illudendoci di poter diventare a nostra volta qualcosa, diventare famosi parlando di noi, delle nostre parole e delle nostre idee tramite i loro strumenti. Ci hanno mostrato qualcosa e ci hanno fatto credere in qualche possibilità, non crediamo che questo sia impossibile. Quello che vi abbiamo mostrato durante questi articoli lo definisco semplicemente un “brutto nome”, ma il lyrics è chiaro: sempre di amore si parla, come sempre di arte si parlerà, che se ne vanti l’aspetto più sofisticato o più esuberante per l’entertainment qui stiamo facendo riferimento all’arte di comunicare, una possibilità che si presenta sotto i nostri occhi a costo zero (più o meno), a tutto tondo, potendo sfruttare tutte le possibilità che un’opera creativa videoludica possa fare.

Per questo, diciamo a chiunque voglia lanciarsi e sia stato scoraggiato da quanto abbiamo scritto, afferrate quest’onda e costruite la vostra strada perché siamo le prime illuse a credere in queste ultime possibilità e non potremmo perdonarci di aver abbattuto le speranze di qualcuno.

E con questo, spegniamo il motore e scendiamo dall’auto. Le luci si spengono.

Ancora una volta, grazie per aver passato il vostro tempo con noi.

-PaoGun & Ele, Ludi Tarantula Team

Pocket Mirror – “The cake is a lie”

Bentornati! Dopo ben tre articoli dedicati a Cloé’s Requiem torneremo a parlare di un titolo di cui attualmente v’importa qualcosa!

Siamo usciti dal teatro…

O meglio, dalle più classiche maschere teatrali che abbiamo dimostrato e tolto durante l’analisi del titolo di Buriki Clock…

Ma oggi torniamo ad usare la parola “spettacolo” grazie al team Astralshift Pro.

Nei precedenti articoli abbiamo quasi sempre parlato di un developer solitario o di un duo… Ma oggi allargheremo il nostro campo d’azione ad un team intero. A Pocket Mirror ci hanno lavorato circa 8 persone.

Ma perché torniamo ad usare il termine “spettacolo” con loro, come abbiamo fatto con Mad Father e Cloé’s Requiem, seppur in due contesti differenti?

Beh, ragazzi, per rispondere dobbiamo prima guardarci in faccia.
Perché Pocket Mirror vi è piaciuto?
Guardate il potrait della protagonista, la cornice, la mappa, le luci…

Mio Dio, sono quasi stucchevoli.

Già da questa semplicistica analisi di uno screenshot possiamo intuire che siamo arrivati al titolo che nella corrente RPG Horror rappresenta un’era che va avanti fino ai tempi odierni. È maledetta da tanti e allo stesso tempo osannata da altrettanti, inconsciamente o meno.

Essa è l’era dello spettacolo prettamente visivo, della cosiddetta “grafica”, che ormai è diventato elemento principale (assieme alle metafore, non dimentichiamo quelle!) per valutare un videogioco come “arte” o come marciume da gettare ai cani! In quest’articolo inizieremo a parlare di questo, ragazzi!

Ma tralasciamo queste introduzioni, ora.

Diciamocelo, introducono in modo fin troppo generico tutto ciò di cui tratteremo…
Alla fine servono solo ad attirarvi, a costringervi per un motivo o per l’altro (chissà, qualcuno anche per vedere a quanto arriva una nostra probabile pretenziosità) a sedervi per ore a leggere tutto quest’articolo, per poi guadagnarci solo le nostre analisi nella vostra testa, e riflessioni che possono essere giuste o sbagliate…

Non so voi, ma in tutto questo ci trovo delle certe somiglianze con…

Pocket Mirror.

 

STORIA DEL PRODOTTO

Ma adesso, iniziamo le danze!

Dati i miei smanettamenti nella Wayback Machine, possiamo dire che il development è iniziato verso il 2013. I primi segni di vita sull’internet del team Astralshift sono su Tumblr, dove iniziavano già a fare update settimanali.

…E alcune anticipazioni su cosa sarebbe stato esattamente il gioco.

(…Lo scritto continua, cliccare sull’immagine per il link)

Quindi il team dietro Pocket Mirror, rispetto ad altri developer che abbiamo trattato qui negli Archives, non ha iniziato la sua attività con il rilascio del gioco, facendo fare la sua storia ai giocatori. Astralshift ha iniziato a mettere hype già da quando il gioco era al 10% di development.

Anche se non sembra, essendo il “fenomeno dell’hype pregressa” nuovo nel panorama RPG Horror generalista, questo rende la Storia del Prodotto di Pocket Mirror molto importante per il nostro studio della corrente in questa rubrica. Questo gioco ha dato secondo noi una spinta più professionale ai team di developers che sarebbero venuti dopo di loro. Ma approfondiremo quanto e perché Pocket Mirror sia stato importante nella corrente nell’Asso Nella Manica, che oggi sarà un po’ diverso, oltre che nel Rapporto Autore-Opera.

Tornando al lontano 2013 e all’ask blog bianco e blu.

Pubblicavano informazioni sul gioco e rispondevano alle domande dei fan, che già non aspettavano altro che vedere più contenuti…

Ma è possibile fare qualche teoria sul modo esatto in cui sono cresciuti così tanto da Tumblr dai primi ask che hanno avuto.

(Si, per completezza ho riportato l’intero scambio)

“Anonimo. Noi stiamo chiedendo di VOLONTARI.”

Può essere una teoria che la diffusione di post o qualunque cosa che avesse a che fare con l’assunzione di volontari abbia reso famoso il team, dato che per alcuni loro siti già avevano dimostrato di avere artisti molto capaci nel loro primo team principale in stato di early development; anche se non è da escludere che dopo una iniziale ascesa su Tumblr abbiano chiesto l’aiuto di volontari solo lì, le ipotesi sono solo queste due.

Quindi, in generale, è possibile immaginare che siano andati avanti così per un po’, tra alti…

E qualche basso…

Fino ad arrivare al 2014.

22 Gennaio 2014, la demo di Pocket Mirror viene rilasciata.

Per la già citata qualità grafica, per le premesse che per molti sono sembrate interessanti e per il fatto che ci si potesse già mettere mano grazie ad una demo, Pocket Mirror già da quell’anno si è guadagnato commenti perlopiù positivi.

Così come vari gameplay, e in generale tutto il progresso che abbiamo già osservato, studiato e ri-studiato tramite tantissimi altri titoli divenuti popolari…

E tutto ciò già dalla sua demo.

E qui torniamo al discorso che avevo citato precedentemente, sull’hype pregressa e la popolarità di un gioco ancor prima che esca, abbandonando totalmente i canoni dello “sviluppatore indipendente che fuori dal nulla pubblica un videogioco”.

Quindi Pocket Mirror, per via di queste più elaborate operazioni di distribuzione, diventa molto famoso… Ma gli autori non svaniscono nel nulla.

Oddio, mi sto commuovendo!

Infatti ragazzi! Il passo fatto da Astralshift è più grande di quanto pensiamo! Data la grande possibilità di creare contenuti grazie al buon numero di persone che lavorava al progetto, il team si è sempre tenuto attivo sui social tra contenuti creati da loro stessi e dai fan, che si sono sempre tenuti stretti con costanti post e persino degli stream!

Si sono quindi comportati come una grande casa di produzione.

Il loro lavoro è stato quindi propriamente ripagato, con fan che considerano il gioco un “masterpiece”, il “miglior RPG Horror della nostra epoca” e altre frasi assolutistiche simili che, come vedremo nei Difetti Dell’Opera, possono essere tranquillamente smentite.

Questo grande successo li ha portati a creare un prequel a Pocket Mirror:
Little Goody Two Shoes, ancora in stato di development, ma che già vuole farci vedere come Astralshift abbia tirato fuori ancora di più le big guns, e darà prova di concetti che presenterò nella conclusione di questa Storia del Prodotto.

Quindi ragazzi, dato che Little Goody Two Shoes è ancora in development, quindi non può essere giudicato in modo completo, questo brevissimo riassunto di un successo costruito in circa 4-5 anni finisce qui.

Posso dirvi che la Development History di questo gioco la considero un po’ borderline. Astralshift non è stata tanto nell’anonimato come i vari developers giapponesi che abbiamo trattato qui, ma Pocket Mirror non è stato neanche un caso mediatico grande quanto il titolo che tratteremo per la fine di Back To The Future, Angels Of Death.

Dunque… Considerate questo gioco come un grande ponte tra due prospettive differenti di game development nella corrente RPG Horror.

Nella nostra linea del tempo abbiamo scelto Pocket Mirror come articolo successivo a Cloé’s Requiem e precedente ad Angels Of Death per via del fatto che nella storia che comprende i titoli più significativi della corrente HOR-RPG (da quanto non usavo quest’abbreviazione?) questo fu il titolo che ha fatto avvicinare questa corrente a qualcosa meno di nicchia, qualcosa di più vicino al panorama degli indie game in generale, e più lontano dall’immaginario che si era creato attorno a questi titoli horror fatti con RPG Maker (prevalentemente) con tutte le loro caratteristiche.

Ma non sarò io ad analizzare al meglio questo grande passo avanti.

Pao, a te!

Va bene, ci sono.

Dunque, abbiamo detto che questo paragrafo sarà piuttosto differente da quello di cui abbiamo discusso finora; come mai?

Sappiate solo che in questo preciso momento sto ascoltando malinconicamente Keith Mansfield – Funky Fanfare per farmi forza mentre rimpiango lo schifo di Asso nella manica che ho scritto per Ib. Ai tempi feci un discorso sul contesto che è andato veramente troppo fuori, togliendo un sacco di spazio all’analisi interna del titolo…Penso di averlo un po’ trascurato.

In ogni caso, insomma, non potevo non farmi prendere dalla nostalgia perché sappiate che il paragrafo “Asso nella manica” per Pocket Mirror sarà trattato allo stesso modo. Davvero, è stato un passaggio importante ragazzi.

Ora, fermo restando che a me questo gioco fa innervosire sotto vari aspetti e per questo ci sono varie ragioni per cui non appoggio il progetto, ma non posso non riconoscere che hanno gettato delle nuove aspettative nel pubblico.

Sputerò subito il rospo perché è inutile per tutti girarci intorno: l’asso nella manica di Pocket Mirror, la caratteristica che l’ha reso unico agli occhi dell’audience, è stata la spettacolarità delle grafiche.

Ecco, e ora che finalmente ho sfornato una sentenza che possa essere più chiara possibile fin dalla prima lettura possiamo sbracarci e chiacchierare insieme un po’ del contesto storico.

In genere bisogna considerare come al giorno d’oggi i tipi di titoli che spopolano sono quelli, ad esempio, che usano dei tileset più ricercati (più o meno, è un argomento un po’ spinoso in realtà questo) ma soprattutto nei potraits (busti dei personaggi) mostrino delle grafiche anime che siano in qualche modo riconoscibili come dei normalissimi prodotti commercializzabili.

Proviamo soltanto a dare un’occhiata insieme e cerchiamo di dare un prima e un dopo.

2011 – 2013

(Dall’alto verso il basso: Paranoiac – Versione originale, Hello Hell…O?, Seven Mysteries, Sukuttee)

2012/2014
(Versione originale/Remake che conosciamo tutti)

Se vi ricordate, avevamo parlato di quanto la prima generazione sia stata caratterizzata da una certa variabilità nei titoli, con ad esempio stili di disegno sempre differenti…

Mentre i giochi più vecchi, oppure diventati classici nello stesso periodo, si occupavano di andare al passo con il progresso e “commercializzarsi” di più, come vedremo tra poco.

2014-2020 (Presente)

(Angelic Syndrome, The Case Book Of Arne, Noel And The Mortal Fate, Claroscuro. Non siamo ad oggi sicure se Arne sia un RPG Horror della corrente effettivo, ma viene considerato tale, così come Noel And The Mortal Fate.)

Ecco, avevamo anticipato questo discorso con Mad Father. Mad Father possiamo dire che è stato il pioniere in questo senso, Pocket Mirror è stato un degno successore.

Possiamo dire che questo è stato un altro importante passo che ha iniziato a definire il tool come “un buon mezzo per raccontare le proprie storie”; e soprattutto questo è accaduto tramite la corrente degli RPG Horror.

Vedremo le conseguenze di questo in futuro, l’ultimo articolo sarà sul gioco-anime per eccellenza in questo panorama, Angels of Death, titolo finito anch’esso sotto le ali della Kadokawa che lo ha sfruttato al massimo l’idea per infondere la speranza, ai giovani sviluppatori, “di poter produrre degli anime a basso costo con il tool dell’Enterbrain!”.

Per il momento non possiamo dare certamente la colpa a Pocket Mirror, che ha voluto spingere al massimo le proprie risorse cercando, a detta degli stessi autori, di produrre dei “pezzi d’arte”. Quindi proviamo a fare un re-cap della situazione: non solo dobbiamo ringraziare Pocket Mirror per aver dimostrato, ancora una volta e con l’evoluzione della grafica, di poter produrre dei titoli di largo valore commerciale, ma dobbiamo anche ringraziare per la qualità estetica di questi rinnovamenti.

Ora parlo a chi usa il tool RPG Maker. Dai ragazzi, siamo onesti, quanti di noi li hanno invidiati vedendo come avessero alzato le aspettative per la grafica di un videogioco indipendente?

Ci sono delle imperfezioni che lo rendono un titolo piuttosto amatoriale in realtà e sono le ragioni per cui è invecchiato davvero male, lo vedremo nei difetti dell’opera, ma per la natura completa del progetto, per l’identikit professionale che si sono costruiti i suoi autori e per l’inusuale sfogo creativo degli artisti che ci hanno lavorato hanno contribuito a nobilitare la natura dei titoli videoludici amatoriali, in 2D per lo meno (no, non conosco così bene il panorama dei titoli indipendenti in 3D).

La spettacolarizzazione ha invaso un po’ troppo la struttura narrativa principale, ma le impressioni generali sulla rivoluzione qualitativa dell’opera hanno fatto certamente il loro lavoro. Per premiare l’alzamento dell’asticella che si è conseguito mi limiterò a citare i momenti memorabili che hanno caratterizzato l’arco di Lisette, che rappresenta per noi il miglior riassunto di ciò che pensiamo si sia distinto di questo gioco e di cui immaginiamo sicuramente gli autori siano molto soddisfatti.

Ecco, questo screen ve l’avevo citato nell’articolo precedente. Anche se non vuol dire un cazzo di nulla nel suo significato è sicuramente lodevole inserire un’animazione di questo tipo all’interno di un RPG Horror; mi rimandano agli esperimenti che la Disney conduceva con Fantasia per cercare di rivoluzionare la concezione comune che si aveva nei confronti dell’animazione.

Per anticiparvi sui tempi: la Lisette gigante nel suo contesto ha poco senso e poi vedremo il motivo; in Fantasia della Walt Disney ricordiamoci che c’era come idea di base l’accompagnamento musicale; era quello il vero filo rosso della pellicola, l’animazione serviva principalmente a valorizzare la musica classica.

 

Per esempio in questa parte come altre (anche se è una parte di transizione tra l’arco di Harpae e quello di Lisette) ci sono in genere esempi di una bella animazione data solo dall’uso delle immagini su RPG Maker.

E a proposito di menzioni riguardanti l’arco di Harpae se ne merita una quest’area.
Ci tenevo a citare questa zona esplorabile perché la ritengo personalmente una delle più belle nell’arco narrativo più bello del gioco a livello visivo; e poi qui c’è uno dei miei pezzi preferiti della soundtrack.

Un’altra menzione speciale va a questo momento.

 

Ecco, già, l’inseguimento. Lo cito perché è stato considerato da alcuni una vera piaga da affrontare. In altri contesti ci si potrebbe arrabbiare per l’apparente infattibilità nel risolverlo, perché davvero era impossibile capire a primo impatto come orientarsi; ma in questo caso voleva essere una mera scusa per fare qualcosa di diverso e stimolare il giocatore a provare un tipo di esperienza differente dal normale, bisogna dargliene atto.

Questo paragrafo si conclude con due considerazioni finali.

Anzitutto citerò qui per la prima volta il concetto di Market Driver, lo inaugurerò con questo articolo per due ragioni.
La prima ragione è che si tratta di un termine che ho appreso quest’anno (molto semplicemente, un upgrade culturale); la seconda ragione è che in questa generazione sarà sempre più frequente trovare dei titoli a pagamento, quindi possiamo difatti iniziare a definire un mercato nel senso più teorico del termine: scambio di servizi o prodotti in cambio di denaro.
In realtà su questo potremmo fare una riflessione e ripercorrere gli altri contesti in cui abbiamo trattato il Rapporto Autore-Opera in termini di merchandising e capire effettivamente gli anni o i periodi in cui si è diffusa la pratica anche per i titoli relativamente più vecchi, per cercare di contestualizzarla.

Ecco, cominciamo con il ricordarvi che nel 2014 è uscita la demo di Pocket Mirror e nel 2016 è avvenuto il rilascio ufficiale. Riguardiamo un po’ assieme cos’era successo durante questo arco di tempo.

Per dire: ora si vende questo.


Davvero Fummy? Ma che caz- Cioè, ma come cacchio ti è venuto in mente?

Questo per farvi capire che, in attesa di mutazioni che possano ancora di più estendere e professionalizzare questo mondo, siamo arrivati a parlare appunto di una corrente che, nata da autori casuali distribuita su delle piattaforme gratuitamente ora si è arrivati ad avere dei referenti su cui si possa fare del merchandising sopra, cosa che per il momento negli Archives ci eravamo limitate a fare degli elenchi che ora, se ci pensate, acquistano un significato.
Prima di passare alla seconda considerazione, probabilmente l’avrete intuito da voi, ma vi spiego di cosa parliamo quando introduciamo un termine come “Market driver”: questo fa riferimento nientepopodimeno ai nuovi indicatori che caratterizzano un mercato e Pocket Mirror è stato in questo senso un agente attivo perché, come abbiamo detto, ha cambiato l’approccio dell’audience alla corrente. Prima esistevano gli autori casuali, anonimi, ora ci sono i team di produzione che si presentano con dei chiari loghi per essere riconoscibili. Prima andavano bene titoli come Ao Oni o Akemi Tan in cui bastava giocare e scappare da un mostro per divertirsi; ora si vuole la centralità di un personaggio di cui seguire le vicende MA NON SOLO: il prodotto deve essere confezionato in un certo modo e possibilmente deve vantare una certa profondità, perché al giorno d’oggi ci sono dei giocatori che definiscono “cheesy” le cutscene di Mad Father.
Parleremo ancora una volta del contesto produttivo per fare altre riflessioni, perché per il momento ci soffermeremo su questo secondo aspetto per fare la nostra seconda considerazione.

…E questa è a proposito della profondità.

Forse alcuni di voi potrebbero essere rimasti perplessi che non sia stato inserito, come Asso nella manica, il “simbolismo” che questo titolo vantava di avere: la mia risposta è, anzitutto, che qui non c’è nessun tipo di simbolismo da raccontare.

Fermi con i forconi, ci eravamo già arrivate da tempo che qui si parla principalmente di frantumazione delle identità.

Anzi, vi dirò di più: per quanto gli autori o dei fan potrebbero venire qui a parlarmi del significato di una scena, per quanto potreste parlarmi dei significati delle video-presentazioni dei personaggi o dirmi “heey, guarda! Lei ha fatto la promessa con Harpae perché non si fidava della sua isteria crescente rappresentata da Lisette! Questa è una grande metafora sulla costrizione sociale e la costruzione della nostra identità! Ed è una santarellina perché il suo lato di “Fleta” da piccola è stato represso!” io non mi lascerò mai convincere che esista del simbolismo in questo gioco perché in primis non è stato MAI contestualizzato.

Non c’è alcuna forma di coerenza tra un arco d’esplorazione e l’altro, tutto è fine a sé stesso. Per cercare di farvi capire io la prendo un po’ come la sottotrama della Kotori Obake in The Forest of The Drizzling Rain: che la storia parli della maternità e degli abusi subiti non serve nulla alla trama principale; ma questa non è la sezione per parlarne perché i problemi di Pocket Mirror li affronteremo successivamente. Il motivo per cui vi propongo questa seconda considerazione è perché abbiamo notato con Ele una crescente richiesta di domanda, da parte dei consumatori della corrente, di seguire “trame” di titoli che si manifestano tramite simboli e dettagli da scoprire; sembra che da un lato si cerchi una “bella esperienza così da far passare delle belle ore, senza impegno” e dall’altro si cerchi invece “la grande opera dalle molteplici sfaccettature e significati che NOI dobbiamo capire così che NOI facciamo le nostre teorie e NOI usiamo la NOSTRA fantasia con una base data da qualcun altro”. Si vede che ci ha messo lo zampino Ele in questa parte, eh? Sempre così aggressiva…

Bene, avete visto sottolineata la parola “noi”, “nostra” … No, non è per un qualche tipo di tendenza filo-comunista, ma è per un discorso che tratteremo più nel dettaglio nell’articolo dedicato al rapporto Audience-Opera… Dove parleremo anche di un titolo che sta prendendo molto piede di questi tempi.

Quindi, insomma, Pocket Mirror ha soddisfatto un desiderio molto recente oggi, quello del “ragionare sull’opera”: gli autori l’hanno sempre trattato come un gioco metaforico e i fan gli hanno creduto sulla parola, così hanno provato a raccattare quel che si poteva, si è trovato un significato profondo… E improvvisamente il gioco è diventato un masterpiece. Come dicevo, su questo intero discorso ci torneremo, ma per adesso possiamo solo dire…

Well played, Astralshift. Well played.

 

TERMOMETRO DELLA PROFESSIONALITÀ

Molto alto.

Molto alto perché, come sapete, quando ci approcciamo con il termometro della professionalità questo si riferisce non solo ai singoli titoli ma al modo in cui è trattato tutto quello che viene prima e dopo di questi…

Ed in questo senso gli si deve riconoscere: sono dei professionisti che si sono fatti da soli. Quindi per questa occasione il termometro non si distrugge. L’abbiamo incerottato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come aveva osservato Ele nella Storia del prodotto possiamo renderci conto degli approcci, appunto, veramente professionali che hanno della loro personalità creativa. Basta che guardiamo al modo in cui usano le piattaforme social: sanno che hanno fatto un prodotto innovativo per i suoi tempi e lo riconoscono, vogliono valorizzarlo e sanno farlo bene, si sanno vendere.

È una cosa che tenevamo a valorizzare perché ci rendiamo conto quanto cavolo sia difficile costruire un’identità pubblica. Ma di questo ne parleremo meglio nel Rapporto Autore-Opera, perché è un tema piuttosto scottante al giorno d’oggi.

 

PACKAGING

Ovviamente il packaging è un riassunto di quanto abbiamo detto finora.

Perfetto: già dal menù una grafica spettacolare invade il tuo schermo, con tanto di frammenti di vetro volanti, l’occhietto di Goldia che si apre…

Anche se a mio parere questo menù è poco adatto ad un videogioco semplicemente perché così le scelte diventano “poco visibili” e poco pragmatiche nel loro utilizzo. Quindi niente, in breve è davvero poco pratico. Sì lo so che è uno script, ma utilizzato in questo modo è quasi infattibile secondo noi. Cioè, davvero è tutto sovrastato dall’immagine che ti si piazza davanti.

Per quello che poi riguarda il menu principale e quello degli item…

Fa sorridere che abbiano usato anche qui degli script a cui hanno solo aggiunto degli arricchimenti grafici. Guardate, lo script che hanno usato è quello di Moghunter. Vedete? Anche Midnight Train ce l’ha uguale.

 

Cioè, è quello davvero, lo hanno arricchito con delle cornicette. Riconosco che hanno un bel senso estetico ma a questo punto perché non hanno fatto un menù con le variabili?

Così, chiedo. Giusto perché visto che questo è un titolo che vuole spingere i suoi limiti e l’ho preso in parola.

RAPPORTO AUTORE-OPERA

Eccoci qua; ultimamente devo dire che questo paragrafo è sempre più… “Acceso” da qualche articolo a questa parte.

Qui in realtà non stiamo facendo altro che sottolineare l’approccio “lineare” che ha Back To The Future: riprendere in mano un discorso che avevamo fatto già con i primi titoli delle prime generazioni. Vi ricordate, no, quanti paragrafi spesi su Ib e Mad Father per parlare dei nuovi contesti produttivi in cui erano nati e le nuove caratteristiche che avevano portato alla corrente HOR-RPG?

Quando parlavamo poi del Rapporto Autore-Opera erano per lo più rapporti abbastanza complicati, legati soprattutto al fatto che dopo il primo titolo, il loro “nome” moriva. Avevamo parlato del problema di sen e dell’effetto super nova che puoi avere su Internet, soprattutto di qualcosa che non è ben stabilizzato; abbiamo parlato anche dell’effetto che può avere se un developer si affida ad un’azienda di distribuzione più potente: qui è davvero valida la tenacia con cui il brand cerca di sopravvivere.

Questi commenti sono stati postati sotto il trailer del titolo presentato al concorso – AstralShift, a proposito: questo io lo definirei semplicemente un ottimo gioco commercializzabile; suvvia, non c’è nulla di male nel non definirlo artistico. Davvero, non è artistico è…Semplicemente molto molto professionale e vi faccio già i complimenti per questo.

Eh, che dire ragazzi, altrimenti perché secondo voi avrebbero partecipato ad un concorso?

Sono attività che normalmente si fanno per essere notati da un editore, si partecipa per cercare più visibilità certo ma soprattutto per ottenere degli appoggi esterni: per la distribuzione e soprattutto per cercare una sorta di stabilità (e questa è un’ulteriore ragione per cui ritenevamo importante interessarsi al mondo degli editori) …E sappiamo benissimo cosa significa questo.

Questo periodo storico è diverso da tutti gli altri, è un’epoca di cambiamento dove si affacciano nuove professioni che non sempre si conoscono soprattutto se si affronta quella fase della propria vita in cui si cerca di capire quale sarà la tua identità professionale. Nell’ambito creativo poi, non ne parliamo.

Come dicevamo prima, è davvero tanto difficile prendere consapevolezza del proprio prodotto e capire…

“Ma che io distribuisco questa cosa in pubblico, cosa voglio comunicare agli altri?”.

Non è una procedura scontata, nella nuova descrizione di “What are Archives” l’abbiamo dichiarato: anche noi per avere la consapevolezza che pensiamo di avere adesso gli Archives hanno svolto un ruolo fondamentale perché ci hanno sempre costretto ad approfondire altre realtà che non ci appartenevano. E poi provando in genere in prima persona l’esperienza: anche capire come monitorare al meglio gli strumenti mediatici che si hanno a disposizione ed essere attivi su questi per cercare di mantenere una facciata più professionale possibile non è una favoletta.

Tutto questo discorso ci può portare ad una riflessione interessante sul rapporto che AstralShift aveva con Pocket Mirror, nonché potrebbe portarci a scoprire insieme con quali intenzioni abbiano prodotto il gioco…

Ovvero come una fuga psicotica dall’amatorialità.

La ricerca di volontari, le grafiche di alta qualità, lo stile di disegno manifestato nei video, i tentativi costanti di produrre un titolo che fosse esagerato e non da meno è stato accettare i fraintendimenti e le incomprensioni affermando che questo sia un titolo simbolico pur di mantenere tutti gli elementi di immersiva spettacolarità al suo interno.

In breve quello che posso interpretare da questi atteggiamenti è che Pocket Mirror in realtà non vuole davvero raccontare qualcosa, non vuole affrontare un qualche tipo di tema al suo interno ma è un semplice tentativo disperato, a cui ci si è aggrappati con le unghie e con i denti, per dimostrare che si è in grado di rivoluzionare il panorama videoludico indipendente. Un gioco nato per dimostrare qualcosa a qualcuno.

Anche il numero delle persone coinvolte sembra un punto a favore della mia tesi; il ché, riflettendo assieme a voi su tutto quel deprimente discorso che abbiamo affrontato non può che farmeli guardare con grande ammirazione. Vogliono dimostrarci che è possibile trattare il panorama creativo indipendente delle opere audiovisive e videoludiche come un lavoro dignitoso e da cui si potrà realizzare una professione in grado di darci stabilità.

Ele nella storia del prodotto aveva già detto in fondo quello che contava dire:

“Questo fu il titolo che ha fatto avvicinare questa corrente a qualcosa meno di nicchia, qualcosa di più vicino al panorama degli indie game in generale, e più lontano dall’immaginario che si era creato attorno a questi titoli horror fatti con RPG Maker (prevalentemente) con tutte le loro caratteristiche.”

Per questo, da parte nostra come developers, vi porgiamo un enorme grazie, nonostante saremo molto, molto severe nella sezione “Difetti dell’opera” e avremo le nostre ragioni per esserlo.

DIFETTI DELL’OPERA

D’accordo ragazzi, prima di passare questa parte dell’articolo ad Ele che vi dirà delle cose molto molto importanti preferisco che per questa volta possiamo cavarci subito il dente e rivelarvi subito il difetto principale di Pocket Mirror.

Ebbene…Il difetto più grande è stato nella struttura.

Ohh, sapete cosa significa quando c’è un difetto nella struttura vero? Quando c’è un difetto nella struttura ci sono i tipi di conseguenze più gravi, non ne esci più; è come ferirsi ad un’arteria: queste vanno dalle semplici incomprensioni al vero e proprio fraintendimento.

Avete presente quel senso di vuoto con cui vi siete ritrovati a confrontarvi con il finale?

Provate a indovinare un po’ il motivo: non è altro che l’esito di una storia, vagamente definibile come tale, raccontata per frammenti riempita da fasi esplorative vuote.

Quindi qual è il problema principale? Dov’è il fraintendimento?

Ebbene, in questo caso il fraintendimento sta nelle aspettative. Infatti, una buona parte dei giocatori e degli spettatori che hanno seguito il percorso di Goldia si aspettavano uno sviluppo degli eventi.

E finalmente arriviamo a parlare del problema principale.

È una questione davvero curiosa, perché il modo in cui sponsorizzano i loro prodotti sembra voler raggiungere il famigerato “grande pubblico”: commerciabilità, affezionamento ai personaggi, “lovely artstyle” e via dicendo; tante premesse che poi nei fatti non sono state rispettate.

Ecco, avevo citato il problema già da qui. Ora lo sviscereremo insieme.

Iniziamo con le nostre premesse.

Dunque, come vi avevo già detto recentemente, sempre nella seconda parte dell’articolo di Cloé’s Requiem, una struttura narrativa, o in genere la struttura di un prodotto ha a che fare con la nostra fruizione, dunque con le emozioni che mettiamo a disposizione nel consumo di quel titolo. È lo scheletro che sorregge la logica dei nostri pianti o delle nostre risate, è il cuore che pompa il sangue e mette in vita l’opera per giungere poi dritto al nostro cuore ed è tanto responsabile quanto la buona regia. Le arterie sono quella regia; che trasportano le emozioni verso di noi. Le emozioni sono quel sangue.

Okay, perdonatemi questa piccola citazione e no, onestamente l’adattamento di Coppola non mi piace nemmeno così tanto.

Quindi…

Come dicevamo prima, abbiamo detto che il problema principale di Pocket Mirror, il motivo della “grande bugia”, è che ha tradito certe aspettative da parte dell’audience…Infatti gli autori hanno cercato di giustificarsi in questo modo.

Va bene, va bene EvilHairBrush, rivediamo pure assieme cosa succede in questo gioco. Okay?

Dunque. Eccoci, siamo delle giocatrici alla terza run che si sono riviste questo titolo a distanza di tempo per poterci scrivere un articolo.

Tanto per cominciare abbiamo certamente appurato che noi stiamo viaggiando nella testa di Goldia, no? Attendiamo una conferma da parte del gioco…

Ahh, già, certo, il demone che dovrebbe averle rubato l’identità-

Sì, sì, la povera martire Lisette che si incazza con lei…

(Questo e altri screenshot sono stati presi dai video “Walkthrough | No Commentary” su Pocket Mirror di Soldier-Puffs)

Sì, le citazioni ad Alice in Wonderland; mio Dio, ma volete rispondere alla domanda?

Siamo o non siamo nella testa di Goldia?

Oh, okay. Grazie mille.

Così eh, chiedevo per essere sicura.

Mi date conferma che avete parlato di lei e della sua malattia patologica?

Ohhhhh, okay! PERFETTO.

E allora, scusate, mi spiegate perché, tanto per cominciare, questa ragazza non l’abbiamo vista evolvere nemmeno una volta nel corso della trama?

“Ma vedi che si evolve!!

Piange per Lisette…

Si riconcilia con Harpae…

Affronta Fleta!”

Scusate, io vorrei farvi focalizzare invece su un’altra cosa. Provate a seguirmi.

Arco di Fleta

Arco di Harpae

Arco di Lisette

(Nell’arco di Lisette alla tristezza di Goldia è dedicata una CG, più che un solo potrait singolo… Ma credo sia un buon equivalente)

Ecco, e qui torna il tema della coerenza. Ancora una volta, ne avevamo già parlato in Cloé’s Requiem, per quello che riguardava il legame molto grezzo e poco curato tra un comportamento da pazzoide di Michel e un comportamento normale.

Ma il punto è che qui c’è una variazione tra comportamenti da mettere a confronto. Ricordate?

Fatta male, ma c’è.

E questa…

Valorizza un cambiamento nella trama: c’era solo dopo che avevamo visto un cambiamento di questo tipo. Era un’immagine che rappresentava sollievo perché si era concluso il faticoso percorso di redenzione che i due ragazzi avevano affrontato.

Per spiegarvi ancora meglio di quello di cui parlo:

Io se prima vedo queste tre sequenze di immagini mi commuovo, perché so che è stato affrontato qualcosa, che si è risolto un conflitto. Vedete anche qua che è possibile intercettare un prima e un dopo intervallati da una presa di posizione e di coscienza. Qui la presa di posizione è data dalla lettura del diario di Cloé per cui cambia la visione nei suoi confronti.

Invece se vedo questa sequenza di: allucinogeni a cui si sussegue a caso una sottospecie di confronto in cui vengono usate sempre le stesse espressioni e nemmeno una forma di cambiamento in quella che dovrebbe essere la protagonista principale nonché la mastermind che in primis, assieme al demone forse, ha creato questo fottutissimo mondo delle meraviglie, io onestamente non riesco a commuovermi. Ceeerto, possiamo meravigliarci per le grafiche ma onestamente che ora Goldia pianga la morte di Lisette a me che me frega? Questa nei nostri confronti è stata solo una bulla per cui dover provare un po’ di pietà alla fine, non ci sono mostrate abbastanza reazioni o prese di posizione da parte di Goldia che possano valorizzare questo cambiamento.

Per spiegarvi ancora meglio: nell’immagine di sopra avete questo.

PRIMA: Michel spacca le librerie a casa di Cloé, sempre Michel legge il diario che gli fa cambiare visione delle cose e piange; e nel finale viene premiato con un’immagine “spettacolarizzata” il suo percorso di crescita. Nell’immagine di sotto abbiamo quest’altra situazione.

PRIMA: Abbiamo Goldia che vaga da una mappa all’altra con la vaga intenzione di affrontare Lisette, allucinogeni, allucinogeni, qualche reveal sul background, allucinogeni, qualche dialogo vago…Ho già detto allucinogeni?

Poi abbiamo la scena in cui è crocefissa e si confrontano e infine il pianto di Goldia che dice di amare Lisette come le sue altre personalità.

Vi pare uno sviluppo decente di un personaggio questo?

Ecco perché ho citato la coerenza.
In questo arco narrativo Goldia interagisce davvero poco con la situazione che sta affrontando! Se ci fate caso lei diventa un giocattolino nelle mani di Lisette. Non abbiamo una riflessione, non una presa di posizione, non accade nulla che giustifichi la presenza della scena centrale (“voglio guardarti con i miei occhi, voglio capirti”), ma soprattutto tengo a farvi notare che in primis non c’ è la presenza di alcun espediente narrativo che dovrebbe giustificare questo cambiamento nella loro relazione. In breve, vuoto totale fino al pity-party finale.

Inoltre oltre al problema della coerenza tra comportamenti, che abbiamo già visto essere un punto chiave per le storie guidate principalmente dalle azioni dei personaggi, si ripresenta, ancora una volta, un altro grande problema che è quello del rilascio delle informazioni.

Quindi cosa faremo ora? Come abbiamo fatto con Cloé’s Requiem infatti ci preoccuperemo di rimettere in ordine delle informazioni che nel corso del gioco ci sono arrivate a una distanza eccessiva l’una dall’altra e in maniera del tutto casuale.

 

Pronti? VIA! Ecco spiegata al volo la trama di Pocket Mirror. 

A) Questa donna…Madre…Ragazza-madre ha venduto i suoi figli a un demone.

 Se non si fosse capito c’è il crocefisso girato per farti capire che è SATANA.

B) Quindi lei è impazzita dopo il patto, presumibilmente, perché tormentata dai sensi di colpa. 

Infatti questa sua cazzata fatta in gioventù ha portato a delle gravi conseguenze…

Quindi, vuoi per il contesto repressivo del XIX secolo, vuoi perché questa è una bimba di Satana, la nostra piccola Goldia non poteva crescere tanto sana di mente: sono nate le personalità ribelline sin da quando era piccola. Per questo Goldia ha generato la personalità di Harpae per fermare il casino che combinavano Fleta e Lisette. Harpae è diventata quindi una vittima sacrificale a sottostare alla buona educazione e al galateo, sforzandosi di far passare Goldia come una brava signorina mentre Lisette è stata repressa e nascosta nel subconscio di Goldia -si si parla proprio di sacrificio che Harpae fa; e meno male che non è nata in una famiglia povera! Da notare il cigno nero come dettaglio…Ci torneremo più tardi.

Per il momento proseguiamo con la trama.
C) Da quando inizia il gioco; quindi da quando Goldia inizia il suo viaggio psichedelico deve cercare di confrontarsi con tutte le sue personalità

D) E quando dopo aver concluso narrativo con Lisette, Goldia è pronta per affrontare il big boss finale e confrontarsi con Enjel, creata appositamente dal demone secondo quanto ci dice il suo video di presentazione.

(Mi interrompo per farvi notare come torni insistentemente il tema del patto con il demone. Se abbiamo imparato qualcosa dal vecchio articolo su Cloé’s Requiem sappiamo che quando degli autori  mettono più volte, in maniera poco decontestualizzata, uno stesso dettaglio di trama vuol dire che si trattava di un elemento importante che non sapevano come spiegare. In questo caso possiamo spostare questa difficoltà dalla comprensione nel senso più stretto del termine, alla memorizzazione. Infatti AstralShift tenta costantemente di ricordarti le cose fondamentali da memorizzare sulla trama cercando disperatamente di rimettertele in mezzo in vari punti del gioco anche quando si sta parlando di tutt’altro, come in queste scene che si contestualizzano nel bel mezzo dello scontro tra Goldia e Lisette e si ripetano frasi dette in realtà dall’inizio del gioco.)

…Ma tornando al significato dello specchietto portatile e al piano malvagio di Satana

(‘Sto figlio di puttana gliel’ha distrutto)

TAC, avventura finita: abbiamo sconfitto la personalità artificiale e Goldiancina si è svegliata dal coma. Sette ore a girare intorno a queste quattro chiacchiere.

Ecco, questa era la trama (abbiamo escluso per il momento gli altri finali possibili per cercare di fare un riassunto più lineare possibile). Abbiamo tralasciato qualcosa? Probabilmente sì, ma il punto è che si tratta di elementi minori rispetto a quella che dovrebbe essere “la main plot”.

Posso dire una cosa? È normale che per me Cloé’s Requiem sia stato molto più chiaro in fatto di tematiche?

CLOE’S REQUIEM. CHIARO CLOE’S REQUIEMdue righe e ti ha riassunto il problema principale, rendiamoci conto.

-E da qui, Elerantula al vostro servizio!

Per approfondire il tema della coerenza nei comportamenti di Goldia e spiegare meglio del perché la struttura narrativa di Pocket Mirror non funziona cerchiamo di fare una pausa, respirare un attimo e allargarci.

Partiamo dalla trattazione della DID, Disturbo di Identità Dissociativa, che avevamo già avuto modo di trattare in Cloé’s Requiem.

Ricapitolando: Enjel è un elemento intruso nella testa di Goldia, creato dal demone per “prendere il controllo” della sua testa/anima, per così poterla controllare come è stato fatto con suo fratello (così sembra).

…Ed è stata creata per sfruttare la dissociazione che Goldia faceva con le sue altre personalità che volevano prendere il controllo del cervello tramite lo specchietto.

Quindi quello che dovremmo cercare di estrapolare dalla trama è la battaglia per la conquista del proprio cervello in pasto ad un demone, e per fare questo era necessario affrontare un percorso di cura dalla propria malattia.

“Dissociation”

Okay, dunque, cominciamo con il parlare di questa dissociazione…

Ragazzi, non pensavo di ritornare su questa malattia dall’appendice sui personaggi di Cloé’s Requiem.

Perché queste ragazze “si addormentano” o persino muoiono, come a dare l’idea che non si ripresenteranno mai più?
Da quel che so, un percorso per la trattazione di un caso di DID è far vivere in modo pacifico tutte le cosiddette personalità all’interno di uno stesso cosiddetto “sistema”, ovvero la persona che originariamente aveva il corpo (prima di esperienze traumatiche o, se è il caso, qualunque cosa abbia favorito lo sviluppo della malattia). In breve, è un percorso di pacificazione tra personalità per fare in modo che non possano far del male agli altri. In breve, vedere queste ragazze morire… Ci fa interpretare nel modo sbagliato la trattazione della malattia.

Inoltre, il discorso del “prendere il controllo” su cui tanto si spinge con Lisette non ha il minimo senso, se parliamo davvero di un caso di DID, perché chi ha questa malattia deve essere trattato professionalmente proprio perché, dopo una fase di dissociazione mentale, altre personalità possono prendere il controllo all’improvviso, senza preavviso. Non c’è una gerarchia, non c’è la filosofia del “prendere il controllo” come si usurpa un trono. È esattamente questa la cosa che può rendere la vita di un paziente non trattato molto difficile.

Ora vi faccio vedere una bella citazione di un sintomo di DID, con una pulzella che abbiamo già avuto modo di studiare:

Quella che lei chiama “maledizione” si presenta all’improvviso, senza che lei ricordi alcun conflitto. Non ci sono frasi come “Oh, lei ha preso il controllo!” o simili. Semplicemente non ricorda alcuni giorni, perché (essendo anche Cloé non trattata, poveretta) la cosiddetta maledizione si è presentata “senza passare dal via”.

(Vi riportiamo di nuovo queste immagini per farvi notare quanto sia inquietante vedere sempre la stessa persona sullo schermo, cosa che in questo titolo invece non abbiamo mai visto)

Semplicemente non funziona nel modo in cui è descritto in Pocket Mirror, non è così semplice: non è che queste altre persone non si ripresentino mai più nel sistema dopo un percorso di cura anche mezzo improvvisato! Il DID non si cura in modo così completo!

Ricordiamoci tutti: Cloé per non soffrire più è dovuta morire.

“Ma c’è il fattore soprannaturale, Cloé soffriva da sola, Goldia aveva la possibilità di confrontarsi con le sue personalità grazie al… Mind palace creato dal demone!”
(Si, mi permetto una citazione a Sherlock)

Va bene. Se si voleva mostrare come l’intrusione di un demone abbia permesso a Goldia di affrontare sé stessa in un modo così diretto… Si doveva dare più contrasto con il mondo reale, in cui Goldia aveva a che fare con una malattia vera, e il suo percorso nel… Mind palace per, appunto, infine curarsi.

Ma il fatto che per amor dell’horror classico tutte le ragazze in realtà abbiano un lato “con gli occhi rossi fosforescenti” rende tutto ancora più confusionario!

Sono tutte personalità possibilmente pericolose quindi!? Non era solo Lisette quella instabile?!

Quindi il gioco stesso non aiuta, se Astralshift voleva andare in questa direzione! Noi non sappiamo mai quanto è davvero disturbata Goldia e quanto è opera del demone nella sua testa, se non Enjel.
E no, se Goldia è una ragazza malata, io non credo che ogni cosa cattiva che accade nella sua testa sia colpa del demone.

Dunque, per prima cosa, come “peccato minore”, diremmo che la malattia è stata trattata in maniera approssimativa. Ma quello che ci rimane è comunque un viaggio mentale; potreste infatti constatare che malattia o non malattia non possiamo aspettarci di vedere una sorta di chiarezza espositiva degli eventi se siamo nella testa di una persona. Infatti quel che Pocket Mirror ci dice è questo: “Sei nella testa di Goldia, DUH.”

Molto interessante. Quindi abbiamo a che fare direttamente con il funzionamento di un “sistema”.

Ma qui torniamo all’elemento della coerenza che vi avevamo anticipato prima.

Perché vi riparliamo della coerenza dei comportamenti? Semplicemente perché noi non conosciamo la cosiddetta “vera Goldia”, neanche nei momenti più intimi o interni nelle sue personalità.

Vi copia-incollo questa parte intera dai miei appunti…Molto brutali, non prendeteli come pensieri totalmente lucidi come modo di parlare, ma credo siano più significativi di una qualsiasi formalizzazione che posso fare scrivendo un giorno dopo aver appuntato.

…Di sto sistema non conosciamo un CAZZO di personalità. Cioè, siamo nella sua testa, ma lei sopporta TUTTO, come se fosse in un diobono di ambiente ESTERNO, quando quella è LA SUA TESTA, che dovrebbe essere condizionata dai suoi processi mentali.

MA QUESTA TIPA NON PENSA, NON HA PROCESSI MENTALI.

Quel che succede non è dettato da suoi pensieri, dal subconscio, da NIENTE, perché sono ambienti magici a cazzo di cane, che non hanno alcun collegamento con una possibile realtà in cui ha vissuto, quindi è tutto molto in realtà estraniante e POCO CREDIBILE: se una personalità “muore” nella scena vediamo “il simbolo” ma se facciamo più attenzione possiamo dire:

“Hey ma nella testa di Goldia sta’ cosa NON HA SENSO”

Cioè è tutto così esterno che se una persona si piglia la febbre non è perché, che ne so, Goldia vuole sopprimere il più possibile una certa parte di sé… No, è perché sta personalità si è presa una frescata.

Okay, spieghiamo questo esempio apparentemente idiota, prendendoci una bella dose di calmante, di quello per gli elefanti.

Con quel ragionamento mezzo delirante intendevo questo: si, prendiamo sempre l’esempio della cosiddetta “frescata” che fa venire a una delle personalità la febbre.

Noi giocatori/spettatori non dobbiamo considerare quella solo e soltanto come una “scena che superficialmente è inutile ma che nasconde un messaggio profondissimo che io non riesco a capire per adesso, perché ci vuole una seconda run”. Assolutamente no, azzardo a dire che facendo così un developer non rispetta il giocatore.

Semplicemente, se qualcosa succede, è perché deve essere funzionale alla narrazione.

In un sacco di opere certo, si vuole dare un certo messaggio con delle scene, ma bisogna avere un contesto, bisogna avere una base, bisogna far avere un senso a queste scene.

Torna ancora una volta questo paragrafo di cui vi abbiamo sempre parlato nel corso di tanti altri articoli.

Bisogna pensare prima di tutto alla struttura narrativa in superficie, quanto sia avvincente ma soprattutto logica.

Ecco, per presentare questo problema avete notato che non ho fatto esempi di scene particolari?

È perché purtroppo, se vogliamo esagerare, questo grande errore si propaga per l’intero Pocket Mirror! Io non sono un’esperta, ma da giocatrice ho avuto una brutta esperienza, ovvero quella per cui sentivo di non andare avanti in niente e quindi di sprecare tempo! E la cosa peggiore è che tutti questi errori, soprattutto la correlazione tra eventi e comportamenti di Goldia, sono stati mascherati come “narrativa non convenzionale”.

…E qui adesso iniziamo a trattare un tema scottante, ma per farlo cominceremo con un esempio.

Il nome della ragazza che comandiamo per tutto il gioco, Goldia.

Questo problema da risolvere ci viene presentato, come molti RPG Horror classici, dai primi minuti di gioco. Quindi dobbiamo “scoprire il nome di questa ragazza”. Ma perché dobbiamo? Shakespeare diceva che “una rosa con un altro nome restava sempre del medesimo profumo”…

Okay, bando alle ciance. V’aiuto un attimo. Nelle opere di finzione lo “scoprire il nome” è per scoprire in realtà una vera e propria identità: un passato particolare a cui il nome/cognome è legato, oppure di quale nobile sei la figlia sperduta.

Ma il nome “Goldia” non è collegato a niente.

Non mi tirate fuori il pippone sulla nobiltà d’animo: tanto buona era e buona è rimasta, che lei ne abbia acquisito la consapevolezza non cambia assolutamente nulla dall’inizio alla fine del gioco. Questa qui non ci viene presentata come personaggio differente da come appare, neanche tramite altri che la raccontano, così che possiamo (se siamo furbi) fare già collegamenti tra questa fantomatica “Goldia” e la nostra protagonista. Mostrarci altre ragazze che dovrebbero rappresentare lei non conta davvero niente se poi non troviamo una conferma a questo tramite i suoi comportamenti.

Un buon esempio non è difficile da trovare, ma dato che con mia sorella stiamo recentemente leggendo I Miserabili, il classico di Victor Hugo-

Va bene ragazzi, vi lascio cantare: Do you hear the people sing? Sing the song of angry men… Okay, finiamo questo teatrino.

E prendiamo proprio Jean Valjean.

Nel libro, per nascondere la sua identità, dopo una serie di eventi si fa chiamare Pére Madeleine: questo Madeleine viene descritto come un uomo buono, che dona tutto a tutti, in generale un santo. Tutto il contrario di quello che abbiamo visto con Jean Valjean, presentato invece come un pericoloso ex galeotto che nell’ultimo capitolo in cui appare con questo nome è disperato perché ha capito la sua condizione di “miserabile”.

Per metterla giù in maniera più generale quindi, nel romanzo prima conosciamo Jean Valjean per un bel po’ di tempo quando era un galeotto…

…Ma abbiamo poi delle persone che descrivono Pére Madeleine. Chi conosce la storia sa già che Valjean cambia vita… Ma secondo il funzionamento dell’opera, che secondo me ha originato quello che ormai è uno stereotipo, quello di “far cambiare vita in modo così radicale ad un personaggio” …

(Personalmente l’adattamento musical del 2012 non lo digerisco proprio, ma è per farvi prendere familiarità su chi stiamo parlando)

Ecco, lo “stereotipo” dice che noi dovremmo sorprenderci che Madeleine sia in realtà Valjean… Ma perché c’è un discorso intero sull’identità in ogni suo punto di vista che si porta dietro!

Goldia chi è?

E la ragazza che comandiamo per tutto il gioco anche prima di saperne il nome, chi è?

Se non la stessa identica persona!

E dunque…

“Ok, si chiama Goldia quindi, è scritto sul cancello”

“Piacere Goldia, io sono Maurizio”

Ecco, ci siamo arrivati. Questo abbiamo voluto portarlo come esempio perché è uno dei temi più ricorrenti nel corso del gioco, ma soprattutto perché la sua trattazione avviene tramite “rappresentazioni simboliche”, era questo il punto del discorso. Da come potrete aver visto: questo gioco non può essere simbolico, perché non porta neanche un tema di base.

-Okay Ele, da qui ritorno io, PaoGun. Facciamo tornare con calma il lettore alle nostre premesse.

Mettiamo il caso che io scelga una chiave di lettura e riesca a dare un significato a tutti gli archi narrativi: la maturazione di Goldia, come abbiamo detto.

Il mondo di Egliette e Fleta è il mondo dei giochi, dove lei da bambina si sentiva una principessa; il mondo dove vive Harpae, in un luogo principalmente chiuso che va da sottoterra alle soffitte, rappresenta la società repressiva e ipocrita del tempo (soprattutto nell’enigma con gli abiti) mentre la sala del pittore, quella in cui si possono risolvere i problemi scolastici, erano le attività che Harpae svolgeva e dunque che erano previste per l’educazione di Goldia alla buona società, e per finire il “mondo” in cui si trova Lisette è…Beh, c’è scritto “Inferno” a un certo punto. Suppongo che sia il subconscio di Goldia finito nelle mani di Satana allora: deduco, dunque, che si tratti semplicemente di un incubo considerando il ritmo della scena. L’arco di Enjel non lo conto perché ha una sottotrama a sé.

Ma, se consideriamo che nella critica specializzata delle opere di finzione si cerchi sempre di mettere in correlazione tutti gli elementi per trovare un tema che li colleghi, perché gli atteggiamenti e i comportamenti di Goldia sembrano più attinenti per un’avventura di tipo esterno? Come se si trattasse di una linea narrativa orizzontale (eventi) invece che verticale (azioni dei personaggi)?

Goldia non ha nostalgie del mondo dei giochi, non si incupisce all’ipocrisia dei manifestata dagli invitati-vestiti, non urla mai e né si lascia terrorizzare dell’incubo che vive con Lisette.

Questa incongruenza annulla ogni tipo di tema se partiamo dalla semplice concezione, come dicevamo prima, che siamo nella sua testa.

Dunque tornando a noi: su un tema che non c’è, che simboli si dovrebbero inserire? Questi si rivelano soltanto essere un’accozzaglia di idee.

Avendovi esposto questi esempi possiamo iniziare a capire meglio quello che intendevamo quando parlavamo del conflitto tra testo e paratesto. Ovvero: se si voleva fare un gioco solo simbolico e in qualche modo destinato a ristrette nicchie di pubblico prima di tutto non me lo si metteva in una storia così lineare e in secondo luogo non lo si promuoveva come una sorta di “gioco-evento”, perché quello in genere è un’operazione che lo si fa con “titoli blockbuster”, sapete no, dei titoli che hanno per davvero l’obiettivo di parlare a tutti e quindi l’approccio plateale è cento volte più giustificato.

Per questo ne approfitto per fare questa piccola digressione: per quanto possano essere “cheesy” le cutscene di Mad Father, o per quanto “trash” possano essere i personaggi di Misao almeno sen è un autore che a nostro parere sa cosa vuol dire fare entertainment prima di tutto, ci piace molto nella sua pragmaticità, e questo era un concetto di cui avevo già parlato nell’articolo di Cloé’s Requiem. L’entertainment è qualcosa che viene prima del simbolismo anche in una grande opera profonda: entertainment vuol dire proprio saper parlare a più pubblici e renderli PARTECITIPI di un’esperienza “unica”, unica nel senso “uguale = comprensibile per tutti”.

E dunque…

Ah sì? Ne siete così sicuri? Cavolo, avevamo i nuovi Tarantino tra la corrente e non lo sapevamo. 

Ora, premettendo che “rivoluzione dello storytelling” nel cinema è un argomento un po’ difficile di cui parlare perché “lo storytelling” è un elemento dei film che cambiava a seconda del contesto storico e della funzione del film; quindi…Ecco, non credo che si sia mai parlato di storytelling come una “caratteristica rivoluzionaria”, era più qualcosa che apparteneva ad Hollywood. Tuttavia il motivo per cui sto citando Tarantino è Pulp Fiction: io posso dire che c’è una narrazione non convenzionale perché gli eventi che hanno portato allo sviluppo di una storia sono stati raccontati in maniera non lineare e continuativamente frammentata.

Lo storytelling si fa con il tempo, con una timeline a portata di mano, okay? Non con gli spazi. Cioè, sì, lo spazio è un elemento centrale perché contribuisce al modo in cui può essere colta una certa informazione, ma è principalmente con la distribuzione delle informazioni nel corso del tempo che si costruisce una storia. Una storia è una consecuzione di eventi, no?

Ne vorrei approfittare un momento per parlare della struttura nei termini più generali: la intendo ora come le intenzioni del gioco ed il genere in cui definirlo.

Prendiamo Yume Nikki, prendiamo Ao Oni e prendiamo Mad Father. Okay, ci siamo?

Yume Nikki: so che devo esplorare ambienti per avere un’esperienza estraniante e allucinogena: la mia esperienza dipende da me.

Ao Oni: devo risolvere degli enigmi per finire il gioco e nel frattempo fuggire dal demone blu: mi aspetto jumpscare e inseguimenti.

Mad Father: una lunghissima cutscene introduttiva ci fa capire che il nostro obiettivo sarà soddisfare i desideri di Aya e aiutarla a liberare suo padre dagli zombie. Supereremo gli ostacoli, esploreremo la casa e nel frattempo sappiamo che dovremo fare tutto questo immedesimandoci a tutto tondo con un altro personaggio.

Sono troppo deterministica? Io non credo.

Guardate, voglio farvi un esempio da italiana vera: conoscete La Dolce Vita? Per gli appassionati di cinema non conoscerlo è praticamente un’eresia.

Ecco, perfino lì nella frammentarietà della struttura (perché; hey, un film d’autore si rivolge prima di tutto al suo pubblico e sa come parlargli) si parlava di un personaggio le cui azioni nel tempo erano coerenti con la sua caratterizzazione e percorso di corruzione interiore.

Abbiamo la festa in cui Marcello va dietro alla VIP, Sylvia.
“Marcello, come here!”. Per farvi capire di chi parliamo.

Abbiamo la chiesa come immediato contrasto in cui incontra in chiesa il suo amico scrittore, padre di famiglia, santissimo Steiner – Con tanto di crocifisso al lato dell’inquadratura che mette in evidenza la sua natura da santo.

L’amico si suicida.
“Forse aveva paura di sé stesso” dice Marcello, prima di andare ad un altro festino.

Festino finale.

Ecco che il povero Marcellazzo non riesce ad ascoltare più la voce della bambina che aveva incontrato ad un certo punto del film, ovvero la voce dell’innocenza.

Ed ecco spiegato La Dolce Vita. Bella critica che sono, eh? Ecco, questo è il motivo per cui non mi definisco critica del cinema.

Ho voluto portarvi questo esempio perché questo film nell’immaginario comune è considerato una delle forme di espressione più completa dell’individualità. Qualcosa relegato all’idea che pochi veri amanti del genere e “pochi eletti” possono comprendere tutti i simboli che vi ci sono all’interno, e come privano la comprensione ad un pubblico esteso? Cambiando la regia, asciugando dei particolari momenti sulla scena, evitando di raccontare una storia lineare con un conflitto dichiaratamente aperto e che sia da risolvere perché certo, un’opera d’autore non è un titolo di Hollywood; deve pur cambiare il modo in cui ti viene comunicato qualcosa.

Ma lo vedete che pure qui la coerenza tra i vari elementi, il filo rosso, la struttura che dà vita all’opera non manca?

Quindi è questa principalmente la ragione per cui credo che argomentazioni come “un gioco che sia da riscoprire a più giocate” in questo ambito non abbia davvero senso. Il replay value è un arricchimento in un prodotto del genere: si dovrebbero scoprire informazioni che si ignoravano, non cercare di comprendere qualcosa che non si è compreso bene fin dall’inizio; e nemmeno si dovrebbe cercare di comprendere solo in un secondo momento dove volesse andare a parare l’opera e con che tipo di linguaggio.

Quindi, rispondiamo assieme alla domanda: perché Pocket Mirror aveva tutte le intenzioni di raccontare una storia senza avere la minima idea di come farlo?

Perché, come abbiamo prima, per delle informazioni che ci sono arrivate solo alla fine del gioco quella che abbiamo vissuto tutto il tempo è una storia avvenuta nella testa di Goldia ed abbiamo affrontato un qualche tipo di viaggio interiore per farla maturare, per il ricorrente background; ma anche per il discorso che Goldia avesse un’identità da scoprire e questo dettaglio lo conoscessimo fin dall’inizio del gioco contribuisce ad alimentare delle aspettative per uno sviluppo narrativo. Il punto è che non c’è neanche una protagonista muta nel gioco, oppure un rapporto particolare che si crea con il giocatore come in Hello Charlotte che ci dovrebbe suggerire una qualche idea che questo volesse essere un titolo sperimentale. NO, questa è la vicenda personale di una ragazza che deve scoprire sé stessa raccontata in maniera lineare, tramite degli archi narrativi

Quando poi di fatto non c’è uno sviluppo che sia chiaro. Dovremmo proseguire a giocare questo titolo come se affrontassimo una gita turistica.

Perché, ribadisco, Ele si è frustrata molto giocando, ma a me rivedere i video per cercare gli screenshot per l’articolo è piaciuto, tutto sommato. Se ci togliamo gli elementi filler come quel cazzo di enigma dell’omicidio dei vestiti, la luuuuunga parte nella sala da ballo nell’arco di Fleta e chi più ne ha ne metta, le scene dopotutto sono effettivamente molto belle ed evocative, ne ho parlato nell’Asso nella manica delle nuove aspettative che si sono alzate per chi prova questo titolo ed è un validissimo terreno di confronto per i creator del domani.
MA doveva essere più chiaro con se stesso.

Facciamo altri esempi di simbolismo decontestualizzato tramite il quale hanno cercato di mascherare la promessa non mantenuta con i giocatori.

Prendiamo la corona di spine di Lisette, che è stata inserita invece di spiegarti nel concreto cosa lei abbia subito: mi sembra un tantino esagerato come simbolo per una personalità tutto sommato isterica.
Non per dirti nulla figlia mia ma sarai martire ma fino a un certo punto, cioè, il senso della Bibbia è che Gesù era una persona pura che si accollava peccati che non gli appartenevano, o sbaglio?

Non so se in questi casi scomodare addirittura la Bibbia in questi discorsi ci trovate la ridicolaggine che ci sto trovando io.

E così con gli altri esempi che abbiamo fatto: Il lago dei cigni, l’opera di Pëtr Il’ič Čajkovskij, un’opera che parlava di tutt’altro usata qui per dirci che Harpae era il cigno nero perché non era “la vera Goldia”, in mezzo a tanti altri cigni bianchi e puri mostrati nell’immagine… Oppure volevano dire che si era sporcata perché si stava stressando ed era sempre meno puro per questo.

Voi conoscete la vera storia, no? Odile, la figlia cattiva di Rothbart ovvero il mago che ha trasformato Odette in cigno, era riuscita tramite un incantesimo ad ingannare il principe che l’avrebbe creduta Odette e le avrebbe quindi dichiarato il suo amore, come conseguenza Odette muore per il dolore. Qua invece come dovremmo interpretare la cosa?

Oppure per fare un altro esempio, il tema dell’oro e del nome “bagnato nell’oro” che indica nobiltà d’animo, la nobiltà dell’ “identità originale” trattato come una qualche sorta di scoperta per una tizia che alla fine rimane uguale prima e dopo averlo scoperto…

Sì, sì! Va bene! Gliel’aveva rubato il demone il nome per via del patto ma allora perché cappero questo non interviene mai? Ripeto: che razza di demone sei? Il gatto nero di Ellen era più efficiente di te in fatto di inganni, come famiglio teneva più d’occhio lui la sua strega che non tu le tue vittime, porca miseria!

Per questo alla domanda che alcuni potrebbero chiedersi: è un gioco sopravvalutato? No, o non ne avremo parlato nemmeno come un pezzo storico in Back To The Future. I meriti vanno riconosciuti tutti. Ma queste ripeto sono cose che dovrebbero suggerire una maggiore riflessione su cosa definire masterpiece o no: nella mia opinione un masterpiece non esclude la sua audience dalla sua comprensione. Si stabilisce sempre un patto tra lettore e autore, spettatore e autori, giocatori e programmatori.

Anche Alice nel Paese delle Meraviglie di Caroll usa l’espediente del coniglio bianco che ti conduce nel buco per indicarti che qui sta iniziando una storiaPerfino in Yume Nikki vediamo che Madotsuki va a dormire prima di venire trasportati nel suo mondo allucinogeno!

Ad esempio, perché non ci avete mostrato dall’inizio del gioco che questa era appena entrata in coma? Magari con degli accenni al fatto che non respirava bene, che aveva gli incubi, non so magari un parente preoccupato per lei che le stava vicino (tipo: il papà che fine ha fatto?)

E dunque noi sappiamo che questa è caduta addormentata in una stanza di un manicomio, prima di tutto, e che siamo entrati nella sua testa.

Dai, quanto sarebbe stata angosciante questa scena se avessimo saputo tutto fin dall’inizio? A me sarebbe venuto il magone personalmente, ipotizzando la possibilità in cui non si sarebbe mai svegliata. Vi ho preso questa come riferimento perché è praticamente la stessa stanza da manicomio del finale, lo abbiamo visto assieme prima.

…Magari, perché no, l’avventura che vivevamo avveniva nel corso di una notte. Una nottata travagliata in un manicomio.

Comunque, niente, ora sto sognando troppo.

In conclusione, questa è stata la nostra spiegazione sul peccato capitale compiuto da Pocket Mirror, “la grande bugia”: adottare un’identità che non gli apparteneva.

E questo ha avuto delle conseguenze, perché ad ogni azione corrisponde una reazione, perché se c’è stato chi ha osannato l’esperienza vissuta ignorando totalmente le premesse narrative e cercando di dimenticarsi che stava percorrendo una storia; ci sono state anche persone che, addirittura fin dall’inizio della storia di produzione del gioco, sono rimaste frustrate dalla poca chiarezza di questo progetto.

(Ah, a proposito di coerenza e consistenza negli intenti onestamente mi chiedo come faranno a far coesistere l’universo fiabesco di Little Goodie Two Shoes con la coesistenza di elementi quali manicomi e realtà mediche di un certo periodo storico che si trovavano in Pocket Mirror).

Al ché si è aggiunta poi la potentissima Trump Card data dal desiderio di rinnovamento; quello di cui abbiamo parlato prima insomma.
Associare un’intenzione così nobile ad un errore così madornale rende le conseguenze anche più gravi, per un capostipite di questo tipo, nel definire i nuovi “market drivers” della corrente RPG Horror; che dallo spingere a rinnovarsi diventa un: “cerchiamo gli artisti, chissenefrega se non si capisce nulla”, o detta in maniera più formale ci si preoccupa sempre di meno di capire che tipo di scheletro si vuole assegnare ai propri prodotti rendendo questi molto più confusionari o deboli. Oppure…Accozzaglie. Tanto, l’importante è raccattare più tipo di pubblico possibile (vero Omocat? -oh, vedete che avremo le nostre ragioni per parlare anche del suo videogioco). Le cose essenziali non sono più rappresentate da frasi come: voglio parlare a questo pubblico. L’importante diventa questo: “voglio farmi conoscere da tutti; e per coinvolgere più persone possibili devo stupirle(aggiungo: devo stupirle visto che non conosco altri modi per rendere il mio titolo più accattivante).

Diciamo che qui possiamo dire ufficialmente che si è aperta la generazione dello “story-telling focus”; o il voler creare delle strutture narrative perfino forzatamente se queste funzionano per attirare del pubblico. Questo è il rovescio della medaglia per cui adesso parleremo dei vari difetti minori.

Questi hanno danneggiato in qualche modo la fruizione del gioco? Assolutamente no.

L’esperienza che si vive con questo titolo è di per sé molto godibile e le musiche fanno bene il loro lavoro. Questa serie di punti che elencheremo sono da considerarsi più come una lista di rimproveri che poniamo alla AstralShift con la dura severità che si fa nei confronti di uno studente modello che ha ancora, a nostro modestissimo parere, tanta arroganza da lasciarsi alle spalle.

Volevate fare un gioco “artistico e dalla ricca esperienza sensoriale?”. Bene, guardiamo a vari difetti minori che rendono questo titolo lontano anni luce dall’etichetta di “eccellenza” che si assegna ad una vera opera d’arte.

-La parola ad Ele.

Ecco, ve lo spiega il ragno che non avete idea del veleno ha da iniettare quando ha rigiocato Pocket Mirror per quest’articolo!
Si, ho tanto veleno nelle tenaglie e non va mai via… Sono davvero divertente alle feste, ve lo giuro.

Andiamo all’inizio perché, appunto, io critico tutto apparentemente senza criterio quindi neanche iniziamo a giocare che io ho da dire le mie stupidaggini.

A parte un mio personale nitpick di regia, dove secondo me la musica doveva rimanere per un po’ di tempo prima di far vedere… Le uniche due battute per cui questa musica c’è nella scena, prima che sprofondiamo nel silenzio totale. Già, la musica che sfuma con una cattiveria inaudita.

Vediamo come sono state messe giù queste prime premesse.

Scritte all’inizio prima di presentarci una situazione estranea al giocatore?

Oh, cavolo! Mi chiedo dove io l’abbia mai vista!

(Giochi nelle foto: Ao Oni, The Forest Of Drizzling Rain, Dreaming Mary, Ib.
E con questi ultimi due, assieme a Pocket Mirror, siamo a quota 3 di madri che parlano alle figlie femmine di… Cose.)

…A voi le conclusioni.

Ragazzi, non per essere improfessionale, è l’unica volta che probabilmente userò un reaction video ma…

Questa è stata la mia reazione a rigiocarmi Pocket Mirror una settimana fa.

E questa reazione non la ebbi solo all’inizio, ma per tutta la parte che ho ri-giocato, soprattutto nell’ambito della regia. Dunque, nell’ambito dell’esperienza sensoriale che il titolo vanta.

Si, mi sto permettendo di dire che per essere un gioco “metaforico”, Pocket Mirror ha una regia estremamente media (salvo nell’arco di Lisette, dove semplicemente si è andato per lo spettacolo totale perché Astralshift è migliorata ad usare RPG Maker, e quindi ha sfruttato i suoi artisti ancora di più; e nella scena del grammofono in biblioteca, dove semplicemente l’atmosfera della libreria e il suono hanno reso tutto meno smorto); anzi nelle prime fasi del gioco ai limiti del mediocre e in certe scene con elementi che sono stati presi e incollati da opere audiovisive passive!

Wow, pretenziosa oggi. Parlo persino di regia, quando non ho fatto alcun tipo di scuola!
Vi dico, da semplice consumatrice di opere di finzione posso farvi un esempio abbastanza insignificante di per sé, dato più che altro dalla scarsità di controllo da parte degli autori. È un esempio che mi fa capire che c’è un qualche problema alla base, soprattutto nel criterio in cui mettere certi “cliché” registici.

Metterò direttamente dei video delle scene singole con alcuni dei miei appunti, che verranno ripresi anche nella scrittura dell’articolo stesso… Ma queste altre precisazioni di regia, prima di tutto per la loro quantità, si collegheranno al discorso finale sulla regia di Pocket Mirror nella sua interezza.

Quindi…Eccolo qui. È un esempio molto stupido, ma che mi ha fatto personalmente ridere.

 

Sono solo io? Solo io ho notato qualcosa di strano… Soprattutto nel ritmo della scena?

Sarà una mia filosofia, ma quando si fa la regia di una scena anche su RPG Maker, è tutta questione di ritmo: se il ritmo non si può seguire, si scade nell’amatoriale.

Qui il ritmo si spezza, perché non si sono dati i tempi giusti al sound effect, quindi il potrait di Goldia appare dopo quest’ultimo, quando esso doveva servire ad enfatizzare la bambola che si muoveva da sola (che poi, neanche uno spostamento di inquadratura?).

Ecco. Con questa disattenzione (che, come dicevo, può anche essere data da semplice sbadataggine) e, nelle scene non “buggate” regia piuttosto classica… Si volevano fare delle “grandi scene”, perché questo è il “grande gioco”.

…Bene, sull’argomento che segue ci tenevo ad aprire una piccola parentesi.

Ecco, a voi questa scena sarà sembrata normale la prima volta che l’avete vista. Ma noi per The Rebirth Of Franklin Albrecht cerchiamo costantemente sound effect gratuiti che possiamo usare, quindi comprendiamo benissimo i problemi nel trovare sound effect

…Quindi sapendo che anche noi abbiamo vari problemi nel trovare i suoni giusti eccetera: ci voleva così tanto nel trovare una BGS (Background Sounds) che avesse più a che fare con un ambiente tutto al femminile più o meno aristocratico?

Dai ragazzi, avete tante persone, tante risorse, si poteva trovare qualcosa di più azzeccato!

Ecco. Con questa occasionale disattenzione (che, come dicevo, può anche essere data da semplice sbadataggine) da un lato e una regia piuttosto classica dall’altro… Si voleva comunque fare il “grande gioco”, o concetti del genere. Tutto questo inoltre mi dà l’idea che non siano state curate tutte le scene allo stesso modo.

A parte il comparto sonoro, andiamo a un altro problema nel dettaglio: più costante e anche volendo più grave. Ha a che fare con un espediente di regia molto usato da Astralshift in generale, anche nel trailer di Little Goody Two Shoes:

Le luci che, senza alcun motivo, si diradano quando devono farci vedere qualcosa.

Bella presentazione di un nuovo ambiente, vero?

No.

Non pensate, anche io me l’ero bevuta all’inizio, l’avevo presa un po’ come un “molto anime come presentazione del luogo magico…”. Ma pensandoci meglio per cinque minuti, dopo aver azionato il cervello con della sana caffeina, mi sono accorta che qualcosa non andava.

Ma le luci prima dov’erano? Se Goldia è caduta e poi si è risvegliata e gli animali già ballavano… Che senso ha farci questo tipo di presentazione?

TIPICAMENTE, in una scena di risveglio dopo una bella caduta l’ambiente si introduce con la musica, perché il personaggio è svenuto, e poi quando apre gli occhi c’è una situazione già cominciata.

La situazione è stata succube della regia, che non sapeva come diavolo introdurre in modo spettacolare l’ambiente della sala da ballo (per qualche ragione, perché davvero, era semplicissimo fare una scena del genere).

Qui torniamo al discorso sul senso delle scene e di tutti gli elementi che metti.
Questo espediente delle luci che si spostano/si diradano si usa quando effettivamente una luce viene accesa, così che si ha l’effetto “sorpresa” quando si presenta una cosa che è nuova allo spettatore…

…Ma una luce deve pur sempre accendersi, o il protagonista deve pur sempre avere una transizione tra il buio e la luce che abbia senso a livello concreto.

Ci ho tenuto così tanto a fare l’analista dei miei cog… Troppe parole scurrili? Siamo improfessionali? Va bene…

Quindi, ci ho tenuto a fare la precisina e ho fatto, seppur in poco tempo e non in modo tanto egregio come Astralshift potrebbe permettersi, una sottospecie di storyboard su come poteva essere resa la scena.

Non è obbligatorio vederlo, è stato fatto davvero in poco tempo, ma intanto spero dia un’idea generale.

Ma tornando a noi, perché questo problema di regia è più grave? Perché prima di tutto non è dato dalla distrazione, c’è proprio un problema nell’idea di base su come doveva essere resa la presentazione della sala da ballo…

E poi perché viene continuamente usato nel gioco senza vergogna e, ripeto, senza senso…

(Nota: secondo me, in alcuni casi un semplice alzamento di inquadratura sarebbe andato benissimo, come è stato fatto nella scena della morte di Egliette)

E infine perché non è considerato un brutto espediente dagli sviluppatori stessi. Questo lo vediamo nel trailer di Little Goody Two Shoes, minuto 2:34

Quindi parlando in generale, come gioco non ha scene troppo indimenticabili, se togliamo gli artisti e le musiche meravigliose. Se pensiamo solo al contenuto e al come è stato diretto, Pocket Mirror è, davvero, un gioco intercambiabile con tanti altri che vogliono atmosfere magiche e cose del genere.

Per dire: se Lydia, autrice di Aria’s Story, avesse avuto l’ammontare di artisti che ha avuto Pocket Mirror, per la sua storia avrebbe avuto idee molto simili (se non identiche) a livello di regia.

Ma ora basta crederci Kubrik.

A giocabilità e esperienza per il giocatore come siamo messi?

Non sprecherò neanche molte righe: dopotutto, non è una recensione vera e propria questa. Entrambi sono una delusione.

Per quanto Pao abbia molto lodato il lavoro di immersività fatto dal gioco, per me la cosiddetta “esperienza sensoriale” che descrive Astralshift nelle loro varie bio io non l’ho sentita moltissimo…

Dato che le mappe con cui interagiamo hanno molte volte un blur usato, secondo Pao, (map designer del nostro gioco, quindi ha già avuto a che fare con il modificare delle parallassi) in modo frettoloso, e una fotografia con toni caldi nella maggior parte dei casi (vedete lo sfarzo della sala dei vestiti nell’arco di Harpae o il mondo magico di Enjel) che vuole essere un’unione tra Alice In Wonderland e Dreaming Mary, in versione ancora più “magica” … E se possiamo permetterci anche più trash, nel riuscito tentativo (perché a molti sono piaciute, Pao ai primi anni di development di The Rebirth Of Franklin Albrecht aveva le mappe di Astralshift come riferimento) di essere accattivante.

Le fasi di esplorazione hanno atmosfere uguali ad altri giochi: cambi musica, cambi contesto e puoi avere, uso sempre quest’esempio in modo molto dispregiativo (io non degno a questo titolo neanche un briciolo di rispetto per le mie ragioni), Aria’s Story.

Quindi come esperienza, possiamo dire che un casual gamer può esserne molto attirato, uno che ha visto tante volte atmosfere “magiche” tipiche in tante opere diverse… Un po’ meno.

Il gameplay… È uno “scopri la cutscene” con enigmi decontestualizzati da tutto il resto. Punto. E durante le cutscene subisci passivamente gli avvenimenti quanto lo fa Goldia. E questo non è neanche un punto in più per “immedesimazione per il giocatore”, perché ricordiamo che siamo nella testa di Goldia stessa.

Praticamente è il gameplay di Angels Of Death, abbastanza criticato su Steam.

“Ma con Little Goody Two Shoes hanno fatto le cose in grande, infatti nella loro bio Astralshift dice di voler portare un gameplay innovativo!”

Okay, riguardiamoci insieme il trailer, magari si introduce un qualche tipo di meccanica nuova!

Ah-ha. Ok, esplorazione tipica che sarà sicuramente nella foresta e nella casa di qualcuno per far andare avanti la trama, “misteri da scoprire” … Che è un modo più bello per dire ancora una volta che la trama è bella, character routes effetto visual novel che avremo con i vari personaggi… Per qualche ragione…? E i vari finali che ci portiamo dietro da Ib che saranno tipo un true, un bad, un good ending e magari se le “relazioni” con gli altri personaggi saranno sviluppate si avranno certi tipi di fine-route anche con loro…

Quindi anche combinare items…

Seppur questa cosa mi faccia venire qualche dubbio, può essere ok avere del crafting: è l’unica cosa che effettivamente non so esattamente per cosa verrà usata e sono curiosa.

Poi vengono citate anche “scelte strategiche” e ancora una volta le relazioni con altri personaggi.

E infine…

…Il trailer finisce così. Con… Con delle luci che ci mostrano ste’ zucche così, per farci prendere un infarto.

…“Aridaje”, si dice a Roma.

Quindi, che dire?

Uhm… Considerando che sono quasi sicura di tutte le mie teorie sul contesto in cui verranno usate tutte le features presentate nel trailer di Little Goody Two Shoes…

Su cosa volete concentrarvi? Che meccaniche volete innovare? Per rendere un gameplay ricco non serve solo mettere più features possibili: è qualcosa che moltissimi indie game molto minori (alcuni che sono su rpgmaker.net o altri portali) provano a fare da anni, senza arrivare alla fine a nessun risultato davvero soddisfacente…

Allora, da gameplay director del team Ludi Tarantula riconosco che è impossibile creare fuori dal niente meccaniche nuove. Io anche brancolo totalmente nel buio qualche volta quando devo offrire più interazione possibile al giocatore in un gioco molto, molto story-driven. Riconosco che farsi valere per gameplay rivoluzionari non è per niente facile, questo devo dirlo spezzando una lancia a loro favore.

Però questo problema secondo me si può a tratti ovviare mettendo certe meccaniche in un bel contesto particolare, reinterpretate in un certo modo proprio per via di quel che servono alla storia… In generale, rendere speciali meccaniche normalissime perché sono nel tuo progetto, che ha un certo immaginario molto forte che re-immagina gli stessi funzionamenti ma in luci diverse.

Ma, forse è anche perché è solo un trailer, io non ho ancora visto da parte di Astralshift contesti talmente forti da re-immaginare totalmente delle meccaniche, “rivoluzionandole” come dicono.

A dirla tutta, io per adesso ho visto solo molti miglioramenti grafici da Pocket Mirror: lo stile di disegno cambiato, così come l’engine, quindi anche un tipo di prospettiva diversa a livello di mappe, lipsynch, cornicette per i dialoghi, menù totalmente personalizzato…

Quindi ogni volta che vedo questo nuovo progetto ho sempre una sensazione sola:

Mi sembra che non importa quanto si evolvano con engine, meccaniche e tutto… Qualcosa mi dice che anche il prequel a Pocket Mirror sarà, alla fine, tutto spettacolo fine a sé stesso.

Quindi, ora che avete sentito tutte queste critiche alla bellezza grafica assoluta, e beltà del genere, urlerete…

“Se pensate che tutto ciò non abbia senso, allora dobbiamo essere col fucile puntato qualsiasi cosa un minimo spettacolare vediamo?!”

NO.

Abbiamo ripetuto questo discorso molte volte.
Nella mia ultima frase “spettacolo fine a sé stesso”, volevo intendere questo concetto, che ci piacerebbe comunicare anche a tutti gli aspiranti game developer là fuori:

Il metro di giudizio deve essere il criterio delle scelte. Perché ciò che differisce una cosa fatta bene e fatta male è che nelle opere fatte bene è tutto funzionale; quando una cosa è spettacolare e basta te ne rendi conto perché le cose ci sono perché le ha volute Dio.

 

E una domanda che sorge spontanea è:

Perché? Che gusto si prova a fare quello che state criticando, ovvero il creare spettacolo senza dire una trama lineare “come le persone normali”?

Beh signori, è perché oggi siamo nell’era dei visionari.
Si, stiamo regredendo agli anni 60’, mi permetto di dirlo, anche se il prossimo gioco che tratteremo in Back To The Future rifletterà tutt’altra realtà…

Tutti siamo unici, tutti abbiamo delle idee particolari e bellissime che meritano di essere valorizzate e supportate dal maggior numero di professionisti possibili!

Ah, quante volte avete letto delle frasi così dette in buona fede?

In teoria sono per dare più sicurezza a chi non è sicuro di quel che fa e ha attualmente delle buone idee…

Ma tutti vogliono sentirsi consolati e complimentati nella vita, diciamoci la verità. Questi suggerimenti, questi concetti in generale vengono presi in considerazione e interiorizzati da chiunque si trovi in situazioni più o meno simili.

Un discorso più… Sociale e dal punto di vista del pubblico sarà fatto nell’articolo dedicato al Rapporto Audience-Opera, quindi preparatevi.

Ma parlando di autori… Ho introdotto quest’acida conclusione dei difetti dell’opera dicendo che “siamo tornati all’era dei visionari”.
Dovrebbe essere una cosa buona, no? I visionari sono questi cosiddetti “geni” che creano prodotti per cui il consumatore si chiede “ma come gli è venuto in mente?”.

In questo contesto vorrei interpretare il termine “visionario” da un punto di vista molto sprezzante, purtroppo. Riassumerò il mio punto di vista con la frase di uno youtuber che rispetto molto, Uricksaladbar.

“Se David Cage ha un’idea, lui ci arriverà!”
(parlando di Beyond Two Souls)

David Cage, avete presente? Beyond Two Souls, Heavy Rain, Detroit Become Human…

Quello che ormai un sacco di gente, tra il pubblico americano soprattutto, è criticato per le sue narrative con qualità a tratti questionabile, e simili a B-movie.
Proprio colui che voleva rendere “l’industria dei videogiochi più matura”.

Presente?

Ah, scusate. Ho sbagliato biografia. O forse no?

Ho usato la frase di Urick per introdurvi a questa visione parallela, che più scopro su Astralshift, più trovo calzante onestamente.

“…E in questa accozzaglia di schemi narrativi confusi ci rientra il simbolismo decontestualizzato con cui hanno voluto rattoppare i buchi narrativi.
Prendiamo la corona di spine di Lisette, che è stata inserita invece di spiegarti nel concreto cosa lei abbia subito: mi sembra un tantino esagerato come simbolo per una personalità tutto sommato isterica.
Non per dirti nulla figlia mia ma sarai martire ma fino a un certo punto, cioè, il senso della Bibbia è che Gesù era una persona pura che si accollava peccati che non gli appartenevano, o sbaglio?”

-Ludi Tarantula Archives

“La storia di Beyond Two Souls, quando è messa in modo cronologico, espone quanto senza significato fosse la scelta artistica! Scelte pseudo-artistiche del genere rendono un gioco maturo? Cristo!”
-Uricksaladbar

Per me queste due persone, David Cage e EvilHairBrush hanno lavorato allo stesso modo.
Hanno una grande idea da sviluppare, pensano gli altri elementi narrativi da introdurre, una storia generale con elementi e temi probabilmente visti da qualche opera meritevole… E un’idea artistica per “far distinguere il loro gioco” rispetto ad altri dello stesso genere, che se no avrebbero gli stessi vibe, gli stessi tipi di personaggi, le medesime scelte narrative.

Entrambi quindi, per valorizzare il più possibile la loro grande idea, si sono preoccupati dello charme da dare ai loro giochi, per renderli più simili a magari prodotti effettivamente maturi che loro stimano, quindi si sono preoccupati di trovare più supporto possibile, finanziario e di staff…

Perché loro sono dei geni. Loro sono dei “visionari”, che “hanno visto” quel di cui ha bisogno un’opera per essere considerata profonda, poetica, non-convenzionale, particolare, per essere considerata ARTE.

…Loro sanno distinguere un’“opera matura” dalla pletora di opere infantili, che sono meno cinematiche della loro o che non fanno dire al giocatore “wow” appena si vede la schermata del titolo… Opere che non hanno la loro stessa profondità, di loro che hanno trattato temi forti in modo incredibile e con una sensibilità davvero invidiabile!

È qui c’è il problema.

È come se in questi due progetti non si fosse compreso davvero il concetto di “editing” delle idee di base, per rendere tutto fruibile a degli esterni che non vivono nella testa di questi tipi di autori… Idee che meritavano un pesantissimo lavoro di editing. Da ogni punto di vista. Non si supera mai la fase di “ideazione” per questi tipi di sviluppatori.

Ed è così perché…

“L’arte è soggettiva!”,
“Se non ti piace, vattene!”,
“Come puoi giudicare tanto aspramente!? Cosa ne sai di cosa voleva dire l’autore?!”
“Ci ha messo tanto lavoro!”
“Tu non lo capisci!”

Torniamo a quel che dicevo all’inizio. Queste morali e concetti ormai sono arrivati agli sviluppatori di oggi, e continueranno ad essere tramandate a quelli del domani.

È esattamente questo uno dei motivi per cui esistono prodotti come Pocket Mirror.

Perché non c’è un minimo di autocoscienza, quando si tratta delle proprie idee artistiche.

CONCLUSIONE

Questo è stato un passaggio davvero importante e inevitabile del nostro viaggio con la macchina del tempo.

Ora che ci stiamo avvicinando alla fine mi sento quasi in dovere di parlarvi di più a cuore aperto, perché per il titolo finale, Angels of Death, avremo intenzione di fare un articolo spettacolare e per quello non so se ci soffermeremo a chiacchierare assieme come abbiamo sempre fatto, quindi ne approfitto della conclusione di questo articolo per trarre le mie ultime osservazioni.

Oggi ne abbiamo dette davvero tante, a mio parere anzi (PaoGun) abbiamo perfino esagerato…Ma questo perché tutto va guardato nel suo contesto. Infatti prima di arrivare alla conclusione di Back To The Future, con cui chiuderemo la stagione, ci soffermeremo per un po’ su altre rubriche come il Tin Coffee Pot Time (perché man mano che nella storia degli RPG Horror arriviamo “all’epoca contemporanea” possiamo riflettere sempre di più sulla realtà di produzione circostante).

Anche se sembriamo persone davvero cattive e acide quando scriviamo per gli Archives sappiate che nella realtà proviamo sempre tanta amarezza nel momento in cui parliamo di cose che ci fanno arrabbiare, questo sia quando lavoriamo sulle analisi interne dei titoli, sia nel parlare di realtà esterne ad un prodotto; perché effettivamente è davvero triste rendersi conto delle difficoltà che si devono affrontare in un contesto in cui si potrebbe apparentemente dire: “Hey! Oggi è diverso, tutti possono emergere con la loro creatività!” e invece non è affatto così.

Ma è proprio per questo che invece di affossarvi vorremmo tanto spingervi nella ricerca e nell’informazione. Perché siamo le prime a tirare in ballo numerosi argomenti senza approfondirli tutti a fondo.

Se riprendiamo un attimo le riflessioni sui contesti esterni e torniamo all’argomento sugli editori che avevamo introdotto negli scorsi articoli… Secondo me non abbiamo mai approfondito a fondo il percorso con cui tutto è iniziato: “Per Kedouin com’è andata? Qual è stato il suo rapporto con gli editori?”.

Per volere delle scadenze da rispettare, per volere di sintesi (associare la parola “sintesi” ai nostri articoli fa ridere, lo sappiamo, ma ci riferiamo soprattutto alla necessità del cervello umano di “sintetizzare dei concetti”); noi ci poniamo dei limiti su tanti argomenti che in genere meriterebbero di più approfondimento.

Vorremo far passare questo concetto: gli Archives sono solo l’inizio; è il tipo di mentalità che ci piacerebbe vedere più diffuso (incazzarci con gli altri? No, il comportamento che vorremo vedere più diffuso è farsi delle domande), e se abbiamo l’arroganza di dirlo è semplicemente perché ci siamo abituate a vedere che normalmente in questo panorama non è, appunto, molto diffuso come modello di pensiero.

Questo perché, almeno secondo quelle che sono le nostre esperienze di vita: essere obiettivi ti cambia per sempre. Cercare l’obiettività in tutto cambia il modo di vedere le cose soprattutto nel caso in cui si indaga su qualcosa, nel nostro caso,  ad esempio, che stiamo cercando di indagare sulle sorti di un mercato in cui, tutto sommato, stiamo riversando le nostre aspettative per un futuro professionale.

In breve, stiamo anticipando i nostri saluti qui, sperando che vivere questo lungo percorso assieme a noi iniziato nel 2019 possa rimanervi impresso a mente e stimolare a cercare sempre più informazioni. E quindi…

Grazie. Grazie mille per essere arrivati fino a qui.

Ci rivedremo a breve con voi nel Tin Coffee Pot Time, che Ele sta scalpitando per farsi una chiacchierata con voi.

 

Cloé’s Requiem (2° PARTE) – Il business dei fanciulli, quattro personaggi in cerca d’autore

Buonasera e bentornati.

Prego, andate al vostro posto designato…
La vostra sedia. O divano, se avete pagato il biglietto prioritario.

Ecco l’infame seconda parte dell’articolo su Cloé’s Requiem… Quella in cui dovevamo sputare fatti, quella in cui dovevamo esporre tutto il marcio che circonda questo gioco!

Emozionati? Spero di sì!
…Perché noi, in realtà, eravamo un po’ segnate dalla distanza di tempo tra la prima e la seconda parte di questa duologia di articoli.

“…Quindi vi scocciavate anche a scrivere?”

Sarà poco professionale dirlo nell’articolo stesso, ma… Più o meno!

Sapete, avevamo perso… Il fuoco, se mi spiego: abbiamo procrastinato davvero tanto prima di iniziare a scrivere (per dire io, Ele, sto scrivendo quest’introduzione il 21 Febbraio, e la data d’uscita sarà tra il 27 e 28 febbraio febbraio…) e ci hanno salvato moltissimo un sacco di appunti pregressi, che ci hanno ricordato di quelle sere di weekend insonni in cui commentavamo tutto il contesto di questo titolo e quanto abbiamo raschiato il fondo del barile per arrivare alle nostre “conclusioni shock” con affermazioni che neanche i peggiori talk show pomeridiani possono darvi.

Ma non temete. Avevamo perso foga semplicemente perché non ne abbiamo parlato per un po’…

Ma siamo tornate in carreggiata. Sentir parlare di nuovo di Nubarin, Nanashi No Chiyo, i loro scivoloni… Vedrete che ci faranno tornare con tutta la nostra energia, e prometto solennemente che soddisferemo tutta l’hype che abbiamo messo nell’articolo precedente per questa parte.

…Soprattutto, dal punto di vista della nostra rabbia.

Abbiamo finito di prendere sotto esame palesi psicopatici, dissociati mentali, madri solo insanamente gelose, o qualunque tipo di persona cui il manicomio sarebbe stata casa! Abbiamo finito di leggere diari per avere informazioni, analizzare nel dettaglio dialoghetti per notare la buona parte di genio che ha questo gioco!

Inizia la rabbia! Inizia da QUESTO ARTICOLO (si, non ho paura di mettere il caps lock) quella che per me è l’ultima, dolorosa… E intrattenente, per questi sadici bastardi dai mille occhi1, macro parte di articoli degli interi Ludi Tarantula Archives!

Da questo gioco andremo sempre più giù… Ma vedrete i palesi effetti di questo declino generale (da ogni singolo punto di vista) andando avanti con il tempo, fino all’ultimo articolo su Angels Of Death.

Per ora, con gatti parlanti, espressività asciugate, correttori per le occhiaie, contraddizioni ai messaggi dati dalle opere stesse…

…E divise scolastiche molto, molto francesi…

(Bello Michel con il gakuran giapponese e Pierre con il cardigan.)

Sedetevi ancora una volta e guardateci scorticare le idee che si possono avere su questo gioco come “titolo innocentemente salito in alto nelle classifiche”, di “oh, due autrici tanto giovani sono riuscite ad arrivare al top!”

Guardateci scorticare l’intera maschera che ha coperto e tutt’ora continua a coprire Cloé’s Requiem!

Cloé’s Requiem – Il business dei fanciulli
Seconda Parte: Quattro personaggi in cerca d’autore

Ma dopo questa boriosa introduzione, prendiamoci un attimo un calmante… Prima di arrivare alle rivelazioni più scottanti dell’articolo, per queste dobbiamo avere una base, giusto?

Partiamo da un’affermazione:

Cloé’s Requiem, fin dalla sua prima dimostrazione di popolarità, ha avuto aiuti esterni a destra e manca.

“Eh, sì! E i cerchi nel grano provano l’esistenza degli UFO! Non è potuto andare avanti da solo questo cavolo di titolo? Vedete sempre il marcio e marketing in tutto, lo sapevo!”

Grazie! Mi hai fatto arrivare in modo molto sciolto alla domanda che volevo porre, e a cui Pao risponderà tra breve…

“Perché questo gioco, in primis, non poteva andare avanti da solo?”

“Aspetta, e il rapporto autore-opera?”

L’avevo dimenticato! Solo per quest’articolo, per lasciarvi il meglio alla fine, le categorie saranno scambiate, quindi…

Pao, tira fuori la lista!

DIFETTI DELL’OPERA

Okay, eccomi finalmente tornata all’opera per affrontare insieme, ancora una volta, l’analisi più interna di questo gioco per iniziare la seconda parte di questo percorso!

E inoltre…Ahahah sì, Ele ha citato una lista. Già, una lista… Infatti come abbiamo fatto dalla prima recensione di Midnight Train, abbiamo pensato di stilare una piccola classifica dei difetti che hanno segnato Cloé’s Requiem.

Ma prima di introdurvela vi farò una delle mie solite premesse.

Io lo so. Lo so che da qualche parte mi starete maledicendo per aver riproposto ancora una volta questo dannato pezzo dall’articolo di Mad Father

Ed è arrivato il momento di fare la resa dei conti:

“La chiarezza della main plot è essenziale e il preferibile punto di partenza per tracciare il percorso principale […]”

Fino ad ora abbiamo infatti visto nei titoli che sono passati per la rubrica di Back to The Future fare per la maggior parte dei casi la grande ascesa al red carpet per la categoria di giochi che hanno fatto la storia della corrente e che avevano per la maggior parte dei casi i due assi nella manica essenziali per la riuscita di un titolo narrativo: narrazione e gameplay.

Abbiamo visto dunque per la maggior parte dei casi degli esempi positivi a cui rimandiamo sempre come modelli di ispirazione da cui prendere; dal gameplay sfruttato per ampliare il background in cui la trama si muove (questo sia in The Witch’s House che in Mad Father, oltre che il potenziale inespresso di Ib) ad una sceneggiatura chiara e lineare fin dal principio su cui il gameplay si è potuto appoggiare, parlo di Mad Father ed in un certo senso anche Misao potrebbe vantare questo.

Ragazzi, sapete una cosa? Se ci si “attacca” a certi titoli non è solo per lo stile, anzi credo che oggi sia un metro di giudizio che si deve superare se vogliamo iniziare a scavare e puntare sul valore di queste opere e trattarle con dignità come qualsiasi altra opera di finzione e non solo degli hobbies nostalgici che ci riportano all’infanzia, visto come si sono evoluti. Non possiamo rimanere ancorati soltanto alle luci che addobbano l’albero di Natale e lasciarci sfuggire la maestosità dell’abete che si trova giusto dinnanzi a noi, poco notato rispetto al bagliore degli aggeggi elettronici che dovrebbero valorizzarlo e non oscurarlo. Non possiamo permettercelo e nemmeno voi potete permettervelo; almeno qui, assieme a noi nel Ludi Tarantula Archives. Pensate per un attimo a Ib come qualcosa che va oltre lo stile “sofisticato ed elegante e con un’esperienza indimenticabile” o a The Witch’s House come diverso dal “gioco dei gameover creepy e pieno di animazioni”; Mad Father non è solo nei contenuti drammatici che esprime ispirati dai melodrammi famigliari.

Quello che ha reso i titoli di cui abbiamo parlato finora indimenticabili, forse dentro di voi lo sapete meglio di me che sto scrivendo o di Ele, è stata la loro qualità interna. Avevano una struttura solida, omogenea e dalle intenzioni chiare, sapevano sempre dove volevano andare a parare e tutto quello che voleva essere comunicato è stato comunicato. Nulla è stato lasciato al fraintendimento, o davvero molto poco; anzi: questa considerazione si è rivelata quasi sempre vera ai nostri occhi per la maggior parte dei giochi di cui abbiamo parlato bene.

La chiave è la struttura. Sempre.

E con questo stiamo in realtà anticipando uno dei temi che sarà poi affrontato nel dettaglio con l’articolo che abbiamo in programma subito dopo quello dedicato a Pocket Mirror (“Style: The Ultimate Trump Card?”), per cui sappiate che vi sto regalando uno spoiler gigantesco solo con questa premessa.

Ma tornando a noi.

Forse anche voi avrete storto il naso nel vedere “Cloé’s Requiem” nella time-line di Back To The Future, non è stato trattato esattamente come “tutti gli altri giochi” soprattutto per quello che è accaduto dalla Prima Generazione in poi in fatto di fama. Ci si sclerava sopra ma non troppo, gli youtuber ci giocavano ma a parte essere un po’ influenzati dalla “depressione da finale” non sembravano particolarmente attivi emotivamente, è stato portato avanti il brand ma la notizia non sembra avere avuto chissà che riscontro, la storia era davvero circoscritta e “chiusa” e spesso c’erano dei momenti in cui bene o male ognuno si approssimava per interpretarli come poteva.

Sembrava un po’ “il figlio bastardo”, quello fuori posto tra gli altri titoli in Back To The Future: perfino The Forest of Drizzling Rain si poteva perlomeno collegare all’autore che aveva prodotto Angels of Death.

E dunque, traete le vostre conclusioni.

Riflettete sulle 200 pagine che abbiamo scritto per parlare di questo titolo, su quanto entusiasmo ci abbiamo messo nel parlarne e sull’approfondimento dedicato ai suoi personaggi…

…E adesso provate ad accogliere con me il senso di rabbia interiore nell’immaginare questo gioco che non ha espresso al meglio il potenziale che aveva per colpa del suo fallimento per entrambe le due colonne portanti che dovrebbero contraddistinguere questi prodotti. Ogni giocatore o spettatore ha capito una cosa per un’altra, è stato sottovalutato perfino da parte delle autrici e dagli editori stessi qualcosa che poteva essere rivoluzionario. Di questo ne parlerò meglio quando affronterò un discorso nel paragrafo dedicato al rapporto Autore-Opera, posso promettervi e garantirvi che non sto usando questo termine a sproposito.

Narrazione e gameplay. Gameplay e narrazione.

Quindi, amico mio che ti sei impelagato nella lettura, seguimi ancora una volta nell’esplorare la struttura rovinosa di questo gioco cercando di interpretare queste parole alla lettera: come una visita in una bella casa poco sicura, perché potrebbe crollare da un momento all’altro.

– Classifica: dal 3° al 1° posto sul podio dei principali difetti di Cloé’s Requiem –

In realtà questa parte del paragrafo, come ho ribadito fino ad adesso, potrebbe riassumersi in una parola molto semplice che è la stabilità.

La stabilità si costruisce con tutti gli elementi che si vengono a concatenare, quindi è per questo che quasi inevitabilmente dovremo cercare di parlarne in maniera più approfondita.

 

3° POSTO: LA POCA CHIAREZZA

Questo difetto è dunque la prima componente della sua instabilità. Ma…Perché Cloé’s Requiem è un gioco poco chiaro?

Potreste dirmi: “hey sorella, guarda che non c’è chissà quale problema a livello di struttura! Sappiamo che dobbiamo liberare Cloé dalla maledizione con i buoni sentimenti suonando assieme, è una struttura narrativa organizzata tramite la scoperta dei piani della casa come in The Witch’s House e si scopre perfino il motivo per cui Michel è scappato all’inizio del gioco!”.

Ecco, ma il problema c’è laddove si volevano raccontare i personaggi. Per chi si fosse perso nella prima parte dell’articolo ricordi questo: questa è una storia character driven, quindi in primis le azioni che compiono e che definiscono i personaggi potremmo essere tutti d’accordo che non possono essere poco chiare allo spettatore/giocatore.

Questo problema lo relegherei a vari fattori, in primis…

  • La coerenza tra le informazioni.

Se per esempio, problema che ho già citato nella prima parte dell’articolo, vediamo Michel all’inizio del gioco non sembra affatto che abbia appena compiuto due omicidi a sangue freddo!

Se fosse stato un po’ più coerente si sarebbe dovuto rappresentare con degli elementi disturbanti che potessero caratterizzarlo sin dai dialoghi e non mostrare questo lato solo nei game over, come se fosse una caratteristica accessoria.
Perché se tratti quella che è stata per il personaggio un’importantissima svolta per la sua personalità o percezione del mondo come un elemento da mettere in secondo piano e poi invece nelle scene principali me lo mostri semplicemente come un normalissimo kuudere va a finire che il giocatore si confonde. Tu, autore, in questo modo stai deviando la percezione del personaggio agli occhi del pubblico perché una scena come questa:

E subito dopo una scena come questa:

Messe una di seguito all’altro sono davvero sconnesse tra di loro, se confrontate con il contesto che abbiamo visto finora!

Vi faccio capire meglio quello che intendo dire:

Se la scena del diario è il motivo per cui non ci saranno più scene come quella del game over allora me le devi mettere sullo stesso piano!

Il contrasto tra i suoi atteggiamenti lo dobbiamo vedere chiaramente nel corso della trama!

Per prendere Ellen come esempio: molti ragionavano sulla crudeltà della strega nei confronti di altri esseri viventi e creature della casa o sul famoso indizio dell’icona rossa nella stanza buia. Ma tutto questo era supportato sempre dall’apatia di fondo che si mostrava nel personaggio; qui non possiamo considerare inquietante il dettaglio sul protagonista che priva senza problemi una ragazzina dei suoi occhi se poi questi elementi non si riscontrano nella main plot.

Ed allora la mia domanda è: perché nel primo dialogo con Cloé non avete evidenziato questo suo lato disturbante? Con lei sembrava comportarsi davvero da bravo ragazzo! Un po’ scostante certo, ma era esattamente la visione salvifica che Cloé aveva di lui nei suoi diari.

Dunque, tornando a The Witch’s House, è come se Ellen non avesse avuto il volto apatico fin dall’inizio e il gioco ci avesse mostrato un’immagine di lei come la ragazza solare e gentile che era Viola per il puro gusto di inserire il colpo di scena nel finale.

Beh, vi dirò una cosa sui colpi di scena: questi hanno la capacità di farci sentire davvero stupidi, perché, come ho detto forse in altre circostanze, non fanno altro che sbatterci in faccia la verità che era stata dinanzi a noi per tutto quel tempo.

Un’ottima opera narrativa che ha questa caratteristica è l’opera sincera, che non tradisce mai lo spettatore e né si smentisce mai. Semplicemente si basa su elementi che noi diamo per scontato e per questo creano in noi delle convinzioni che ci sembrano a primo attrito palesi e per questo non ci facciamo più caso: si evita di spiegare un dettaglio perché lo spettatore possa colmare la mancanza con le sue supposizioni, e poi non si fa altro che mostrare gli indizi che questo ignorerà a priori perché già autoconvinto delle proprie idee.

Per chi se lo fosse perso vi rimando all’articolo di The Witch’s House in cui abbiamo parlato abbondantemente della sua struttura narrativa: i diari della strega ti accompagnavo costantemente ad ogni piano per farti percepire questa storia come qualcosa di separato dal personaggio che comandavi; tu davi per scontato che “guidavi Viola, una semplice visitatrice della casa” semplicemente perché il gioco inizia con questa ragazza taciturna che entra in una casa.

E invece il dettaglio rivelatore ce l’avevamo sempre sotto mano tramite l’icona del personaggio, ma che davamo per scontato come un tratto della personalità di Viola, ed ha funzionato da solo come dettaglio rivelatore perché questo gioco, non volendo adottare una forma narrativa tradizionale o lineare, non ha inserito dialoghi fino al colpo di scena (escludendo il gatto come punto di salvataggio che funge da altro indizio rivelatore).

Quindi, data questa spiegazione, tornando a Michel: i suoi comportamenti sono tra gli elementi più interessanti del gioco; ma i suoi aspetti più disturbanti sono strati trattati soltanto come un elemento accessorio, come vi ho detto finora.

Proviamo a guardare per un attimo i fatti narrativi. Insomma: per ammazzare un uomo e una donna adulti con quel corpo gracilino che si ritrova avrà dovuto sferrare un bel po’ di coltellate prima di vederli morti -pensate ai fatti di cronaca nera: dei killer inesperti con delle armi da taglio si ritrovano ad infierire sulle vittime con numerose coltellate prima di ucciderle-, cioè; questo bambino ha avuto la furia tale da infliggere chissà quante coltellate a due persone una dopo l’altra.

Cioè, davvero, provate a immaginare il bagno di sangue in cui si è trovato immerso.

La mancanza di coerenza con quello che si vede in scena nella maggior parte del tempo va a minare direttamente la percezione che il pubblico su fa sul personaggio, però così il gioco diventa uno spreco. Cioè, che senso ha scrivere personaggi così complessi se poi non devono essere compresi dal pubblico?

In realtà c’è un altro problema che ha costituito la poca chiarezza espositiva e per parlare di questo purtroppo ci sarebbe da mostrare l’altra faccia della medaglia di quella che era una delle caratteristiche più singolari del gioco, ma che allo stesso tempo potremmo quasi definire come il motivo per cui questo titolo non avrebbe mai potuto rimanere a lungo sulla “cresta dell’onda”, ovvero…

  • Il testo

Scegliendo una modalità narrativa prettamente testuale si vieta la presenza degli elementi visivi in scena, che aiutano a ricordare cento volte di più certe scene rispetto a quelli testuali!

A questo si aggiunge…

  • Il tempo

Passa davvero troppo tempo tra un indizio e l’altro e questo spingerà lo spettatore/giocatore a distrarsi. Anzi, direi quindi che non è solo il fatto che passi troppo tempo in sé quanto la disposizione delle informazioni nella timeline di gioco

È quella in sé per sé sbagliata e che genera le incoerenze.

Vi ricordo che per fare un articolo così lungo nella prima parte io e mia sorella abbiamo dovuto affidarci alla nostra memoria, solo così siamo state in grado di fare i collegamenti necessari per l’analisi.

Per fare un esempio molto molto sottile perché non prendiamo la battuta di Alain nel flashback della Moonlight messa all’inizio del gioco… Ve la ricordate? Abbiamo avuto modo di approfondire l’argomento nell’analisi sui personaggi. Ricordiamo che abbiamo associato il rapporto Alain-Cloé al rapporto Michel-gatta: nel gioco l’informazione su questa bestiola ci arriva soltanto alla fine del secondo atto! Inoltre quando torna l’associazione Michel/Alain in maniera più chiara è solo per un game over, cioè una variabile che può anche non essere scoperta dal giocatore e l’associazione risulta molto più ostica.

Ricordiamoci le apparizioni in ordine cronologico: inizio del gioco 

Poi la frase ottenibile nel gameover, vicini al midpoint (quindi in questo caso a metà della storia)

E infine la spiegazione della battuta che diventa ottenibile nel flashback di Michel che arriva molto più tardi del gameover descritto

(Parlando dell’abbandono della gatta “in un posto così desolato” secondo me devia un po’ troppo dalle intenzioni che volevano essere date nel gioco; soprattutto se questo concetto viene ripreso -anzi, anticipato- in un momento così ambiguo come il gameover in cui viene uccisa Cloé per colpa di uno scatto di violenza)

Un piccolo esperimento. Provate a leggere le battute in questo ordine e vedrete che la correlazione sarà ancora più chiara:

Vedete, no? Leggerle in successione l’una vicino all’altra fa un effetto diverso, danno maggiormente l’idea di un possibile precorrimento di un Corruption Arc rispetto alla disposizione casuale che hanno nel gioco.

Ah, e di conseguenza a tutto questo…

Hyde: “Lucy, stavi pianificando di andartene senza salutarmi?”
Lucy (impaurita): “Non vado da nessuna parte”
Hyde (avvicinandosi): “Esatto, non vai da nessuna parte”

FHS – Live performance of Sympathy, Tenderness (reprise) and Confrontation
From the Frank Wildhorn musical Jekyll & Hyde, Opening Night, March 2015

Così. Giusto per ripescare assieme a voi un trauma e capire assieme perché i casi di femminicidio sono ancora molto diffusi (e nella maggior parte dei casi da parte di uomini molto vicini sentimentalmente alla vittima). Ah già, un’altra nota da considerare: vorrei precisare come nella versione di “Con Amore” di cui parleremo e nella stessa promozione di quello che era questo Cloé’s Requiem tutti questi dettagli inquietanti riguardanti il rapporto tra Cloé e Michel siano stati totalmente censurati.

Comunque, mantenendoci sullo stesso tema e tornando a ragionare sulla problematica struttura narrativa c’è una scena molto più importante che possiamo prendere come esempio….

…Ovvero la scena del diario RIPETUTA dopo il flashback.

Eccola di nuovo. Questa scena torna in questo articolo tante volte quanto torna nel gioco: in questo caso la sua “reprise” avviene dopo che Michel ci aveva appena finito di raccontare il suo “primo omicidio”.

…Procediamo con ordine.

Se vi ricordate bene questa scena in cui si scusa con Cloé e si sente in colpa dopo averle distrutto la casa avviene PRIMA del flashback di Michel, dunque prima che potessimo comprendere che per tutto questo tempo avesse associato in qualche modo Cloé alla sua gatta.

Quindi il primo problema, innanzitutto, è che ci è stato anticipato molto, ma molto prima un dettaglio per il quale allo stato attuale non possiamo fare alcun collegamento.

Ma quale potrebbe essere un problema ancora maggiore?

Il problema principale che abbiamo riscontrato è stata la sua stessa ripetizione: la vediamo per ben due volte nel corso della storia in maniera del tutto decontestualizzata.

Voi vi ricordate quanto fosse più o meno lungo il flashback che ci spiegava la vita di Michel, no?

Nel flashback ci è stato raccontato: il rapporto conflittuale con suo padre; il rapporto conflittuale con il fratello Pierre; il rapporto ambiguo e in genere conflittuale con la cameriera Charlotte e poi l’oggetto di conforto rappresentato dalla gatta Cloè.

Ora, il punto è che, come ho detto prima, le due autrici hanno inserito la scena del diario di Cloé due volte nel corso del gioco per spiegarti che l’oggetto di conforto rappresentato dal gatto, è stato trasferito dalla gatta alla co-protagonista, ovvero da un animale a una persona.

Come dicevo prima: le due autrici, al tempo in cui hanno sviluppato il gioco, non sono state capaci di creare dei collegamenti immediati tra gli elementi di trama principali, lo si vede soprattutto in questa scena che hanno voluto riproporti DUE VOLTE pur di spiegartela. È qui che ti rendi conto che per quanto si siano sforzate di spiegare la trama del gioco non ci sono riuscite.

Perché sono arrivata a questa conclusione?

Lo possiamo vedere nel flashback stesso.

Passano un sacco di elementi tra un dettaglio importante e l’altro perfino all’interno di questo flashback: dopo che sappiamo della gatta che è stata abbandonata da parte di Charlotte abbiamo il litigio con il padre, quindi la trama si sposta nuovamente sul conflitto genitore-figlio; poi c’è la scena in cui Charlotte spettegola e addirittura il suo omicidio/incidente.

Vi ho preparato uno schema per farvi capire:

Se abbiamo la possibilità di ottenere la scelta di fare “pat pat” possiamo capire che più o meno da lì sta iniziando l’arco del “Cloé come gatta”. Diciamo pure che si apre definitivamente con la lettura del suo diario; perché è qui che ci viene rivelato per la prima volta il problema tramite cutscene costretta a cui si sussegue la scusa fatta a Cloé.

Poi, dopo la sessione di gameplay filler come l’omicidio del violoncello e la cena, scopriamo finalmente il flashback di Michel in cui dopo la presentazione di tutti gli elementi della sua vita deprimente c’è di diretta conseguenza la continuazione del tema “confort object”, perché ci viene mostrato in maniera palese che il gatto è l’unico elemento di conforto che gli è rimasto in quella casa e perderlo è stato evidentemente un duro colpo. Poi c’è l’omicidio di Charlotte con tutta la spiegazione relativa al fatto che stava perdendo l’empatia per la vita umana ed infine si chiude questo benedetto arco del gatto con un RITORNO ALLA SCENA DEL DIARIO, un rimasuglio di qualcosa di vecchio con aggiunta la SPIEGAZIONE DIDASCALICA E RETORICA nella sua testualità che vuole rafforzare il significato di questa scena così ostica.

Quindi direi che l’elemento problematico che è stato inserito qui a cazzo nella struttura è stato dovuto rattoppare con quanto più testo possibile per ricollegare malamente i pezzi di trama tra loro come quando si cercano di attaccare disperatamente dei pezzi di carta con lo scotch.

 

Cioè, è davvero un casino: tra i punti che dovrebbero far parte della sottotrama sull’associazione di Cloé umana alla gatta ed il superamento di questa visione infantile c’è nel mezzo la sottotrama su Charlotte ed il suo omicidio (alias l’inizio della maledizione). Questo elemento crea una vera e propria interferenza!

Vedete? Vi ripropongo lo schema!

Se doveva essere spiegato questo elemento di trama non doveva essere spiegato qui, perché distrae completamente da quello che è un altro dettaglio della trama relativo all’oggettificazione di Cloé.

Proviamo a rimuovere per un attimo la scena in cui Charlotte è stata uccisa e tentiamo di proporre una soluzione alternativa.

  1. Tanto per cominciare, una volta che nel flashback abbiamo avuto questa rivelazione che la gatta è stata abbandonata tra le montagne, io avrei interrotto momentaneamente il flashback. Si poteva sfruttare il fatto che Cloé fosse rimasta lì a guardare la performance per fare immediatamente un collegamento visivo.
  2. Poi si poteva mostrare QUI come aveva superato l’attaccamento nei confronti della ragazzina, magari gli viene un epifania, ha un attacco di panico in cui si rifugia in Cloé ma poi capisce di star commettendo un errore; si scosta e si isola: così ci viene mostrato in una scena al presente e non riproponendo una scena già vista che era stata creata per un altro momento della trama.
  3. E poi da qui si sarebbero aperte numerose soluzioni per poter affrontare il terzo atto: dopo l’interruzione del flashback infatti si dichiarava in maniera più trasparente l’apertura dell’arco redentivo di Michel. Si cominciava dalla colpa che ha già superato (l’oggettificazione di Cloé che ha interrotto appena in tempo) fino ad affrontare “l’occhio rosso” -magari da questo punto di trama diventava sempre più ricorrente; come a rappresentare un “promemoria” per indicarci che sono stati interrotti dei ricordi-.

Quindi in breve si sfruttava il focus sulla colpa “minore” per svelare le sue colpe “maggiori” ed il tutto tramite scoperta graduale: man mano si scopriva fino in fondo cosa fosse successo in quel flashback e poi il crimine riguardo l’omicidio di suo padre.

Perciò a partire da questa nuova proposta provate a immaginarvi questo ragazzino tormentato errante nel seminterrato, il luogo più sotterraneo e buio della magione, che a partire dalla sua epifania viene circondato dalla visione di occhi rossi finché non rivela a noi spettatori i suoi crimini. Dunque si poteva raccontare qui della crescente insensibilità di Michel: dall’inizio della maledizione (il primo omicidio), fino a tutti gli animali che uccideva nel frattempo, fino allo scatto di violenza finale per cui ha ucciso suo padre. Un terzo atto del genere incentrato solo su questa reveal avrebbe dato un bell’aiuto al gameplay che sarebbe stato più incentrato su questo tema (e reso il flashback del Notturno, ovvero del primo incontro tra Cloé e Michel, a mio parere ancora più potente e poetico secondo il mio modestissimo parere; perché vedi trattato come un santo un ragazzo che ha da poco riscoperto se stesso come un mostro)…

…E avrebbe sostituito tutto quel terzo atto inutile e sconclusionato che invece si è svolto nel seminterrato

Ditemi che cazzo mi dovrebbero rappresentare questi enigmi e dove sarebbero anche minimamente divertenti.

Che comunque era un terzo atto concentrato principalmente su di lui (visto che si concentra sulla sottotrama degli strumenti a cui vengono assegnate colpe; e il luogo in cui abbiamo la reveal sugli omicidi; il luogo in cui si rivede Charlotte sotto forma di maledizione; e per finire è anche il luogo della battaglia finale contro Alain -abbiamo già visto come qui la sconfitta di Alain possa essere forte a livello simbolico-): almeno avrebbe avuto basi più solide!

Cioè, tutto il casino che abbiamo descritto si poteva evitare semplicemente ritardando l’informazione su un particolare evento della trama per poterlo rivelare invece in un momento più opportuno. Purtroppo non è andata così e ci siamo ribeccati tutti noi la ripresa di una scena già vista per colpa di un’interferenza…

Voglio mettere ancora una volta in evidenza come questi due particolari eventi vengano uno di seguito all’altro e l’effetto estraniante che danno

E cui la conseguenza, rivedere la scena del diario e passare di nuovo per il punto in cui si parla di “aver trattato Cloé da schifo” ha scatenato in tutti noi una reazione del genere:

“Ma che significa?” / “Ma cosa c’entra ora?”

 

Per concludere questo primo punto, diciamo pure questo.

Qualcuno forse si ricorderà che, anche senza la sezione dedita all’approfondimento dei personaggi già sapevamo che l’articolo sarebbe stato diviso in due parti. Questo perché avevamo già previsto che parlare di questo gioco sarebbe stata un’operazione davvero lunga per il lavoro di svisceramento e di interpretazione delle tematiche: il motivo è, come ci siamo prese la libertà di considerare, che questo gioco non l’ha capito nessuno.

Tornando dunque alla nostra premessa: non se n’è mai voluto discutere neppure troppo a fondo delle tematiche innovative che portava.

Quest’opera è stata col passare degli anni sempre più bistrattata e superficializzata, lo vedremo nei paragrafi successivi, tuttavia la colpa non vogliamo assegnarla solo all’operazione di promozione che ne è conseguita, lo vedete qui che una buona percentuale di questa colpa è dell’opera stessa.

E, in realtà, c’è da considerare un altro difetto inerente questo grande tema relativa alla stabilità. Lo chiamerò così:

  • Il testo, PT.2

 

Infatti nell’ultimo atto, soprattutto a seguito del flashback del Notturno e l’avvicinamento dei “big boss finali”, c’è stata una grande presenza eccessiva del testo.

 […]

[…]

[…]

Il testo è prevalso su tutto e ha sovrastato i sentimenti che voleva raccontare finendo in una spirale di pippe mentali retoriche.

In generale potrei dire che da un certo punto del gioco la trama sempre più andava a farsi più sintetica chiudendo male degli archi che erano stati aperti e introducendoci elementi che hanno solo confuso le idee, questo non aiutava l’intreccio narrativo già di per sé lacunoso.

Ma tutto questo…Tutto questo ci rivela in realtà la sincerità e la trasparenza nella produzione di questo titolo da parte di quelle che potevano definirsi vere e proprie autrici casuali. Un grande impegno certamente, ma poca esperienza che meritava di essere acquisita col tempo.

2° POSTO: IL GAMEPLAY FILLER E DANNOSO

Gameplay? Qualcuno ha detto “Gameplay”?

Si, sono tornata, EleRantula al rapporto!

Quindi, prima di andare nei dettagli che concernono anche la narrazione, di cui si occuperà mia sorella, analizziamo il come ci fa giocare la sua storia Cloé’s Requiem.

Bene. Come ho citato nell’appendice sui personaggi che scrissi assieme alla prima parte dell’articolo, questo è uno dei miei RPG Horror preferiti…
Ma sicuramente non me lo sono rigiocato dodici volte perché mi piacesse “giocarci” effettivamente.

Semplicemente perché, ragazzi, il gameplay di Cloé’s Requiem… È dannoso.
Si, l’avete letto nel titolo. Ma mi spiego meglio.
Ehi, là dietro! Guarda che ti vedo, che c’è adesso?!

“…Se il gameplay è così ‘dannoso’, problematico e tutto quello che vuoi… Perché non lo metti sullo stesso piano di Midnight Train, eh? Che, ti piacciono i personaggi quindi ignori un gameplay totalmente staccato dalla trama e fatto male?”

Ah, ecco, un classico.

È ovvio che Midnight Train sia un caso molto più grave.

Se avete visto questi errori in Cloé’s Requiem…

Sapete cosa? È comprensibile.

Però mettiamo i puntini sulle i: gli enigmi di Midnight Train sono completamente decontestualizzati da tutto quello che stiamo vivendo, anche se si cerca di raccontare una “grande trama”.

In Cloé’s Requiem, semplicemente… Salvo alcuni casi (gli occhi delle bambole, l’omicidio del violoncello e delle parti nel terzo atto), gli enigmi servono a introdurre delle sottotrame, o comunque elementi collegati al contesto (le varie fasi collegate alle cameriere, che formano gran parte del secondo piano, l’introduzione al simbolo dell’occhio rosso per indicare Charlotte e molti altri esempi.)

Introdurre delle sottotrame tramite un primo incontro con personaggi/contesti/… tramite fase giocabile è un buon sistema da adottare.

…Se solo queste sottotrame fossero state mai sviluppate o continuate in qualche modo!

Tutti questi spunti per creare un contesto più forte, una trama più complicata e un cast più vasto… Scompaiono. Si dissolvono.

Via. Via col vento.

“Buriki Clock, se mi introduci e basta, senza svilupparmi… Dopo la mia cutscene introduttiva, che ne sarà di me…?”

“Francamente, me ne infischio.”

Oookay Ele, dopo questo tuo sclero introduttivo, torniamo alla base.

Dunque eccomi ritornata, sono di nuovo quella rompipalle di PaoGun. Forse qualcuno si ricorderà di quello che ho scritto nella prima parte dell’articolo per quello che riguardava la sottotrama della madre di Cloé.

Date tutte le premesse che ci ha gentilmente dato Ele credo che sia arrivato finalmente il momento di confrontarci a tutto tondo con questo arco. Cerchiamo di capire esattamente quale sia il problema e affrontiamo il tutto per step.

Innanzitutto vi propongo qui lo schema che ha fatto Ele che il gioco se lo ricordava a differenza mia. Sì, faccio schifo.

“Beh?” Starete pensando ora.

“Cosa c’è di problematico in questo schema? È la gestione di un gameplay del secondo piano in senso antiorario! È molto geometrico e chiaro…”

Voi non avete nemmeno idea della confusione che ha questo gioco.

Avevamo già citato nell’articolo di Mad Father della varietà di azioni che si devono compiere prima di passare da una zona all’altra, si trattava comunque di situazioni ed enigmi con cui potevi confrontarti sin dall’inizio senza attendere di finire l’enigma precedente. Questo era il maggior pregio di Mad Father.

Però in Mad Father gli elementi erano correlati bene fra loro. C’era una zona gestibile e una netta divisione tra gli elementi che erano necessari per raccontarti una parte di trama (vedi il profumo della mamma di Aya che ti sblocca un flashback, ed è tornato una seconda volta quando Coron te l’ha rubato e quando Aya l’ha usato per far scappare i topi) e quelli necessari principalmente al gameplay; si era perfettamente in grado di capire e portare con sé gli elementi cruciali per tutta l’esperienza di gioco.

Prendiamo un esempio: la motosega.

Viene introdotta con un flashback per farti capire subito il ruolo di quel determinato oggetto nella trama e poi sen fa in modo che tu non possa dimenticartene facendotela utilizzare sia per rompere dei barili a ruota libera, sia per risolvere un enigma.

Invece per Cloé’s Requiem ci è servito uno schema per cercare di ricordarci com’era strutturato il gameplay. Perché era difficoltoso ricordarsene, fare le associazioni basandoci solo sulla memoria era impossibile, se vogliamo esagerare.

Quello che abbiamo realizzato da questo schema è che può essere usato per riassumere tutti i difetti di cui ci siamo lamentati finora

…Ma andiamo subito a sporcarci le mani e vediamo come nel secondo piano della casa sono stati presentati gli archi narrativi.

 

1° – LA STANZA DELLE CAMERIERE

Dunque, tutto ha inizio quando finisci di suonare la Moonlight ed ottieni la chiave per entrare in questa stanza. Si introduce il tema delle cameriere e dell’associazione con gli orsacchiotti.

Troviamo una nota sulle cameriere che lavoravano nella casa: dunque devi tagliare l’orso per sbloccare l’accesso alla nuova stanza, la stanza della madre (questa parte del puzzle volendo potrebbe tradursi come un riferimento agli enigmi di The Witch’s House ora che ci penso, com’erano le bambole nel primo piano).

 

2° – LA STANZA DELLA MADRE

Che dire, questa scena l’abbiamo commentata a lungo nella prima parte di questa epopea che è l’articolo su Cloé’s Requiem.

L’abbiamo descritta come la scena migliore del gioco e possiamo ora definire quella che è l’apertura di una sottotrama: stiamo infatti approfondendo il destino delle domestiche in casa Ardennes.

ANCHE SE: Sì, nella prima parte dell’articolo l’ho chiamato “Arco della madre”, okay, avrò sbagliato io ma questo perché si approfondisce molto sui pensieri di questa donna, ma diciamo che perlomeno verso la fine del diario si ritorna a parlare dei soprusi subiti dalle cameriere.

Si rafforza la visione delle cameriere come orsacchiotti: in breve questa forma dell’oggettificazione delle persone viene transitata da una madre nei confronti della figlia a una padrona nei confronti dei servi.

A ripensarci ora non è che ci stia malissimo, tecnicamente in ordine cronologico le cameriere sono state le prime ad essere rappresentate come orsacchiotti e dunque sminuite nella loro identità di esseri umani…

…Ma ripeto che da un lato, per quello che abbiamo letto nel diario, avrei preferito che la tematica legata alla figura dell’orsacchiotto, qualcosa di così “carino e innocente” si fosse mantenuta nei confronti di sua figlia perché, ripeto, si sarebbe non solo parlato di un legame molto più forte e contorto ma, anche dato il design della ragazzina, sarebbe stato un dettaglio molto più impatto.

 

3° – LA STANZA DI CLOE’

E qui abbiamo un’interruzione.
Perché lo sto dicendo? La madre ha ucciso le cameriere okay, l’abbiamo visto da tutti e due i punti di vista.
Eppure sto usando questo termine, “interruzione”, perché dopo che avremo già approfondito un nuovo aspetto della trama legato al passato di Cloé, sbloccheremo un’altra stanza delle cameriere che ci servirà a chiudere la loro sottotrama.

Ma. M-ma ma. Scusate. Ma farlo prima?

Comunque, poi ci arriveremo a parlare bene dell’ultima stanza.

Quello che intendo dire è che la loro storia alla fine si ferma all’improvviso prima che ci possano venire detti i dettagli o avere un qualche tipo di conclusione. È molto strano perché ormai il flashback di Cloé dovrebbe aver catturato tutta l’attenzione del giocatore; tra l’altro nel frattempo abbiamo assistito ad un’altra digressione perché avevamo ricevuto degli spartiti e si è saputo che il piano si è rotto; quindi il giocatore sarebbe pronto per andare avanti con la trama principale… E poi invece dal terzo piano ci ritroviamo di nuovo nel secondo, dove ci aspetterà ancora la storia delle domestiche!

…E la loro storia, per dire, non ha avuto alcun impatto sulla percezione del flashback principale. Cioè, la loro sorte, se la conoscevamo o meno non faceva alcuna differenza. Ricordate il diario della madre? Almeno lì c’era più collegamento tra i due argomenti.

A proposito di elementi che non torneranno mai più nel corso dello sviluppo narrativo e a cui sarà molto difficile attribuire loro un significato preciso: nello screen di questo terzo punto ne abbiamo citato uno….

Yo anche a te fratello.

4° – LA STANZA delle cameriere (conclusione)

Eh già. Non ce le eravamo tolte davanti: la loro storia doveva ancora venire terminata, perché dovevano farci capire che i loro corpi erano stati bruciati e noi dovremo bruciare gli orsacchiotti a nostra volta per scoprirlo.

Dopo questa ultima azione che deve venire compiuta per il gameplay solo ora possiamo definire concluso l’arco delle cameriere, con un pezzo importante della main plot che nel frattempo era andata avanti senza di loro.

Voglio anticipare una probabile obbiezione che potrebbe venirvi in mente: con il fatto che tornano anche più avanti come fuochi fatui per preparare la cena forse dovrei dubitare sulla struttura narrativa che ho supposto che fosse stata pensata per loro e ricredermi invece sulla possibilità che sia stata una sottotrama pensata apposta in maniera così frammentata, ma…. Quel punto esatto del gioco preferirei vederlo come una sorta di epilogo della loro strampalata vicenda: cioè, ormai sono degli spiriti; non è più qualcosa che le riguarda così da vicino come le morti che hanno subito.

Quindi, in breve, posso dire che il mio rage quit può essere giustificato:

Perché cazzo è stato messo il flashback sul passato di Cloé se prima dovevamo ancora chiudere l’arco narrativo sulle cameriere?

Cioè, ripeto, è ovvio che così la loro vicenda passa in secondo piano e diventa molto più difficile ricordarsene.

Ed un altro fattore da non trascurare in questo grande pastrocchio che è questo piccolo arco è questo…

Perché nella stessa stanza mi stai già anticipando la presenza di Charlotte?

“Ehhh perché è anche lei una cameriera!”
Ma che giustificazione del cavolo è? No, non posso accettare una giustificazione così brutta.

Ma porca miseriaccia, non ci è stato nemmeno presentato il personaggio quindi ovviamente il giocatore non può fare nessun collegamento. Ma nemmeno ci fosse stato fatto capire che aveva a che fare con il passato di Michel!

Guardi questi occhi e pensi siano solo dei dettagli di scena per rendere la casa più inquietante, pensi che siano qualcosa su cui sorvolare, quando invece poi vai avanti nel gioco e scopri solo che sono una rappresentazione della maledizione di cui soffre il main character! Cioè, niente di importante, davvero.

Quindi: l’associazione con il gatto/scena del diario; l’arco narrativo delle cameriere a cui si sovrappone il flashback di Cloé, la cattiva presentazione di Charlotte all’interno del gioco; tutto questo ha a che fare con il tecnicissimo mondo della distribuzione delle informazioni in una storia.

Tornando ancora una volta a Charlotte, per farvi rendere conto della gravità della situazione vorrei spostare il discorso sul piano temporale. Guardate, cerco di darvi un minutaggio approssimativo.

Considerando quelli che sono stati i nostri tempi di gioco (con Ele abbiamo rigiocato apposta per poter fare il calcolo) passano quattro ore prima che ci venga finalmente spiegato cosa cazzo significhino gli occhi rossi!

E poi il punto è che l’occhio rosso, qualcosa di così importante legato agli omicidi che Michel ha commesso, non è nemmeno così tanto ricorrente nel gioco. Anzi, appare in una stanza dove già si sta chiudendo una sottotrama, come avete visto.

“Sei una cretina! Quegli occhi rossi sono solo delle cameriere!”

Ah. Quindi come funziona? Ogni cameriera della città quando viene assunta ottiene diritto anche ad un passport per l’aldilà: “quando morirai acquisirai l’occhio del Grande Fratello”? Cioè, se dovessi scegliere di immaginarmi questo (che le cameriere siano così presenti in casatramite occhi, orsacchiotti e fuochi fatui più della stessa padrona di casa…No la scusa che siano morte con odio e per questo abbiano “una forma propria” non la accetto: in quanti modi vorrebbero manifestarsi queste donne?) oppure fare un bel collegamento di trama e associare l’occhio rosso a Charlotte (che se dice “ti guardavo da tutto questo tempo” sarebbe più carino immaginare che sin dall’inizio del gioco quegli occhi facevano riferimento a questa frase)… Preferisco fare un collegamento alla trama principale e collegare l’occhio rosso soltanto a Charlotte.

Da un lato proporvi addirittura un minutaggio del titolo come ho fatto in questo articolo potrebbe sembrare a primo attrito un’analisi da persona che si incazza per poco e “non si riesce a godere un’opera di finzione come una persona normale”. No, non è questo, davvero.

Perché questi difetti come la coerenza all’interno di una STRUTTURA narrativa meritano di essere trattati. La struttura narrativa sarà pure qualcosa di invisibile in un’opera narrativa audiovisiva rispetto a, magari, lo stile grafico; ma è in realtà la base logica su cui noi costruiamo le emozioni per le quali ci ricorderemo di quell’opera. Hanno a che fare con la nostra esperienza, con quello che viviamo.

Mi sto arrabbiando davvero tanto per questo tipo di difetti perché, come vi avevo anticipato, sono quei tipi di difetti così interni alla struttura stessa che rischiano troppo di alterare la percezione dello spettatore/giocatore che si va a confrontare con l’opera, quindi se non capiscono le intenzioni dell’opera stessa o dell’autore va a finire in alcuni casi che lo spettatore/giocatore ci aggiunge interpretazioni proprie o nel peggiore dei casi che si dimentica di quello che vede semplicemente perché non l’ha capito; e non vuole sforzarsi troppo a farlo se l’opera non è altrettanto collaborativa.

Dunque, ecco davanti un’occasione sprecata; soprattutto in casi come questo gioco in cui sono stati trattati temi così interessanti e attuali.

E così voglio concludere l’analisi sul gameplay. L’avete visto dallo schema che vi abbiamo presentato sul secondo piano: è dispersivo, davvero. E abbiamo cercato di provarvelo.

1° POSTO – Il contenuto sovrannaturale

Che voi ci crediate o meno, finora abbiamo discusso di due difetti principali di quella che era solo la forma. Cioè, il modo in cui i contenuti venivano narrati.

Questo che metteremo al primo posto non è un difetto che riguarda la forma, ma un difetto davvero grave che riguarda i contenuti stessi. E non è nemmeno un contenuto come un altro, ma un elemento tramite il cui si è appoggiata l’intera sottotrama sovrannaturale del gioco.

 Signori, stiamo parlando DEI GATTI; ovvero la sottotrama sovrannaturale che avrebbe dovuto sostenere tutto questo trip-

Esatto, parliamo di queste robine qui. Campanella a Noir, campanella a Blanc, sorella buona e sorella cattiva e la sorella cattiva che diventa un gatto, Mew-mew amiche vincenti…

Ah, no, scusatemi, lei no.

In realtà con questi screen vi ho già anticipato in parte il problema principale che portano questi gatti… (Mi riferisco soprattutto ad uno screen in particolare).

A parte che si tratta di un background spiegato poco e male: bella l’idea delle maledizioni che assumono una forma propria, ma perché una persona dovrebbe trasformarsi proprio in un gatto assieme alla propria maledizione? Cioè, quale punto contorto è mai questo? Ma questo farebbe parte dei primi due difetti sulla scrittura e dunque sulla struttura narrativa che abbiamo già discusso abbondantemente.

Quindi…A parte questi problemi il motivo per cui ho messo questo punto al primo posto è uno solo ed è molto semplice. Cioè, semplice anche se avete seguito l’articolo di Ele sui personaggi e sul percorso educativo che ha perseguito Michel. E questa cosa riguarda anche Cloé in buona parte.

…Vi rimostro gli screen.

Ecco, ora che ci siamo. Vi rimostro ancora una volta i due screen dell’apocalisse di cui abbiamo discusso per lunga parte della durata di questo articolo!

Okay! Okay! Siamo in pool position. Ci stiamo arrivando…Ci sarete forse arrivati……

……Ecco che arriva…!

DUNQUE. Il motivo per cui ho messo questo elemento di trama al primo posto è che ENTRA COMPLETAMENTE IN CONTRADDIZIONE CON UN ELEMENTO, altrettanto importante nella trama, CHE È STATO INTRODOTTO PRIMA!

Ed una delle regole più importanti e difficili da tenere in considerazione in un’opera narrativa è: MAI FAR ENTRARE IN CONTRADDIZIONE DEGLI ELEMENTI FRA DI LORO. Perché questo genera dei paradossi da cui poi è difficile uscire e trovare una soluzione.

Cioè.

Come disse il buon Richard Benson:

“Ma voi mi state pigliando per il culo?!”

Cioè….Sì. Come Strawberry delle Mew Mew, in questa versione di Cloé’s Requiem Cloé si è trasformata in un gatto per tutto questo tempo!

La proiezione astrale proveniva dal gatto probabilmente. Cioè, come “proiezione” altrimenti da dove cazzarola dovrebbe proiettarsi. A proposito: perché lei sì e Michel no? Quali sono i requisiti esattamente per rendere vero questo elemento?!

Io non so se state percependo anche voi questa cosa come la cazzata colossale che sto percependo io.

Cerchiamo di guardarla un po’ da vari punti di vista.

PRIMO. Come avevo anticipato nell’Appendice sui personaggi rubacchiando qualche frase ad Ele, la separazione di Cloé in due gatti le ha tolto la possibilità di avere un arco di sviluppo che potesse essere complesso quanto quello di Michel non potendo mai confrontarsi con la sua “personalità maledetta”.

Se Cloé si fosse confrontata in maniera diversa e più umana con questo suo lato più frustrato della sua personalità, ad esempio affrontando il suo caso come un effettivo disturbo di dissociazione dell’identità (dunque avendo un solo “personaggio fisico” in scena che cambiava la sua personalità), si sarebbe chiusa la morale in maniera chiara ed esplicita e si sarebbe dato il messaggio di non passare da un eccesso a un altro nella visione di un essere umano (come santo o come demone a seconda dei nostri tornaconti personali), ma riconoscere nelle persone una sfumatura tra il nero ed il bianco che è il grigio, la sfumatura più complessae sarebbe stato un grandissimo risultato per il genere Horror RPG dove ormai quasi per definizione le persone vengono volutamente demonizzate e rese mostruose

Non sto citando questi due a caso, avevamo citato i loro casi proprio quando parlavamo di Michel

Una volta avevo sentito due youtuber italiani commentare la scena “How filthy”. Alla domanda del collega “ma cosa sta succedendo?” nel vedere il protagonista spaccare i mobili l’altro ha risposto più o meno così:

“Ah, boh, è normale che si comporti così, negli RPG Horror succedono sempre queste cose…

Non so cosa ne pensiate, ma quello che penso è che quando si sceglie un genere in realtà si sceglie un codice linguistico. Un codice per parlare di certe sfaccettature di personaggi non rende questi schiavi del genere a cui appartengono.

Il motivo per cui pensiamo che i personaggi di questo gioco, se rivalutati nel modo giusto da parte delle autrici e degli editori, potevano essere rivoluzionari in un contesto più legato alla sfera del marketing è che avrebbero ribaltato i canoni dei normali personaggi che in un grande fandom provengono dalla sfera del “gore” che sono le opere narrative horror e lo avrebbe fatto con grande maturità.

Oltretutto avrebbero fatto questo attraverso una forma narrativa più tradizionale, quindi con l’associazione delle tematiche che avviene in forma indiretta (e con questo anticipo in parte quello che avevo detto prima quando ho citato il gioco di team Salvato: non per forza gli stereotipi di certi tipi di personaggi sarebbero caduti tramite prodotti più sperimentali quale è stato Doki Doki Literature Club; che ha seguito un approccio narrativo più frammentato -le numerose variazioni in base alle route- e meta).

SECONDO, il più importante.

Con l’esistenza di questa clausola l’arco di redenzione di Michel diventa una barzelletta, perché ribadiamo che è veramente stupido farlo pentire di aver trattato Cloé come un oggetto di conforto, in questo caso un animaletto da compagnia, se poi questo dettaglio della trama me lo rendete vero.

Cioè, davvero, è stupido. Molto molto stupido.

Per farvi rendere conto della gravità della situazione: volete piangere? Bene, beccatevi questo piccolo riassunto di screen in successione.

 


Ecco, asciugatevi le lacrime e ora pensate che l’hanno resa una gatta per davvero per colpa di questo dettaglio di trama spiegato male. Non vi fa rabbia pensare a quanto ci azzecchi poco rispetto a tutto l’aspetto tragico della sua storia? Qualcosa mi dice che questa gravissima contraddizione si è creata perché non sapevano come cazzarola spiegare l’esistenza di due Cloé nella casa. Ecco il perché.

 

E IN PIU’, oltre questi due gravissimi punti da tenere in considerazione, proviamo solo a pensare che, come un virus, queste due bestie del Diavolo non solo hanno infettato la qualità del gioco originale, ma per spiegare la loro sottotrama le autrici sono state spinte a creare questo aborto…

Quindi appunto bisogna stare attenti. “Semplicemente” questo. Bisogna semplicemente avere un minimo di consapevolezza in più, così da decidere cosa tenere e cosa tagliare per far seguire un filo logico del discorso unico.

Davvero, puoi aggiungere tutte le tematiche che vuoi in un’opera ma è importantissimo che i punti che vuoi approfondire non si contraddicano tra loro.

Ma tuttavia, nonostante tutta questa rabbia esplosa nel corso della scrittura di questo articolo, c’è un punto ancora più importante che teniamo a ribadire….

Ed è che proviamo davvero un profondo affetto nei confronti di questo gioco.

Continuiamo e continueremo lo stesso a difenderlo a spada tratta: questi non sono errori fatti per pretenziosità o malizia, capriccio o pigrizia se è per questo ma semplice goffaggine della prima esperienza.
 

PACKAGING

E per concludere questo grande “capitolo” dell’articolo in cui abbiamo dimostrato come Cloé’s Requiem sia un gioco fin troppo amatoriale per quelle che sono le nuove esigenze narrative stilate per la Seconda Generazione degli Horror RPG parleremo del Packaging in generale come ulteriore conferma a questa tesi…Il Packaging sarà però un’appendice.

Lo stile estetico vogliamo trattarlo sì come un’appendice, avete capito bene.

Quindi vediamo di percorrere il termine del nostro percorso commentando l’aspetto grafico.

Comincio subito col dire che non vi riporterò qui un altro screenshot del gioco per vedere le mappe perché ormai, davvero, in quanto a screen di questo dannato gioco immagino che siate saturi per quanto riguarda i nostri articoli: se riscrollate un po’ potrete rivederle e rendervi conto da soli che degli ambienti si salva solo l’illuminazione, perché di per sé i tileset di Rpg Maker disposti in quel modo non sono tutta questa meraviglia e rendono il titolo, purtroppo, davvero amatoriale.

Su questo voglio farvi notare un dettaglio importante: sicuramente ve lo ricordate il cambiamento di stile abissale di Corpse Party Blood Covered rispetto all’originale Corpse Party del ’96: si vede che ci ha messo le mani una casa di produzione perché c’è stato un importante lavoro di modernizzazione anche sul piano grafico.

Vedete che differenza, la qualità è migliorata tantissimo (anche se queste versioni così….Retrò delle grafiche non mi dispiacevano affatto devo riconoscere che per allargare il target era davvero necessario modernizzarle).

Ecco, non vi sembra strano che per avere avuto un aiuto esterno Cloé’s Requiem -Con Amore- abbia mantenuto la stessa pessima qualità delle mappe di Cloé’s Requiem?

In breve in questa dannata nuova versione su cui baseranno un remake ci si è preoccupati soltanto di cambiare il focus delle tematiche.
Ma….Come diciamo sempre: ogni cosa a suo tempo. Ci ritorneremo su questo argomento.

Quindi eccoci a parlare del packaging…Sulla copertina non avrei nulla di particolare da dire; ci sono le silhouette dei personaggi disegnate in maniera quasi sketchata, non mi fa particolarmente impazzire però ammetto che c’è un buon riempimento dello schermo. Il logo al centro, le due figure ai lati e le icone dei due strumenti sopra e sotto; ci può stare.

Quello che alcuni giocatori hanno sicuramente notato di insolito, e questo anche molti loro compatrioti su Freem! che rilasciavano le recensioni, non è tanto nel menù (mettere il personaggio al centro con le funzionalità ai lati secondo me è una buona scelta molto intuitiva) quanto nella strana funzionalità che riguarda il sistema di equipaggiamento degli oggetti.

Come vi potrebbe spiegare bene Ele il sistema di equipaggiamento è una funzionalità di default che ti offre l’engine quando inizi un progetto casuale; sappiamo bene che RPG Maker è un tool creato per progettare generalmente titoli fantasy in cui ci sono battaglie da affrontare e dunque armi da equipaggiare, che danno una certa percentuale di attacco, difesa ed altri valori tecnici da settare in base alla propria strategia di battaglia. Probabilmente le due ragazze ai tempi avranno visto questa funzionalità di default e l’avranno ritenuta utile per assegnare condizioni in cui avere equipaggiato tot oggetto faceva accadere qualcosa; rimuovendo ogni qualsivoglia valore numerico.

Questo cosa ci fa capire? Ancora una volta questo dettaglio è utile per farci comprendere la natura di “casual game” che aveva questo titolo che non si è nemmeno preoccupato di allontanarsi un minimo dalle caratteristiche di default, tanto per le mappe quanto per l’interfaccia UI.

Perfetto, ora siete preparati. Avete avuto tutte le nostre giustificazioni anche se nel caso quest’articolo sarà mai visto da un pubblico ampio, il flame lo avremo sempre per il minimo paragrafo un minimo meno argomentato degli altri.
Ma sapete… È anche per tenerci la coscienza pulita.

Quindi adesso siamo alle sezioni finali.

Rapporto Autrici-Opera, che dire?

Grazie alla prima parte, re-introduciamo Nubarin e Nanashi No Chiyo, le due cuginette che hanno lavorato all’oggetto dei nostri scleri:

A sinistra: Nubarin (scenario, disegni, character design), a destra Nanashi No Chiyo (musiche, outline della storia…? Qualunque cosa voglia dire in italiano…?).

Avete già visto quest’immagine: le due ragazze sono arrivate persino al Tokyo Game Show.

Però diamine, avete visto quanti problemi e quanto poco commercializzabile è in realtà il gioco! Abbiamo avuto un’intera sezione dedicata alla poca chiarezza narrativa, il gameplay dannoso e dispersivo nelle informazioni, oltre al fatto che certi personaggi sono il totale opposto di “star commercializzabili”!

Quindi perché? Perché sono arrivate tanto in alto nel loro periodo di boom?

Tenetevi alla vostra postazione, perché qui introdurremo un vero e proprio trip di vari punti che, quando io li intuii nei già citati weekend insonni, mi fecero restare di sasso per una settimana.

Ma andiamo molto lentamente… Rivediamo quel che c’è stato per loro nel periodo di successo, e prendiamo qualche informazione che, se analizzata meglio, può portare a conclusioni abbastanza scomode…

(Sono tradotti in modo un po’ approssimato in inglese, data la mia alcuna conoscenza del giapponese. Ma sono sicura dei concetti.)

Perché ho sottolineato queste parti di articoli? Non mi piace la scelta di parole degli articolisti? Voglio criticarli in qualche modo?

Nah. Qui parliamo di una cosa molto più esterna alle interviste precise, e più legata all’immagine che è stata data in generale delle due autrici, che (possibilmente, questa può essere una congettura) ha anche portato più persone al gioco.

Ho notato, personalmente, che in molte interviste rilasciate da loro viene sempre citato o comunque enfatizzato che “queste due ragazze hanno (avevano, ormai. Nubarin si è laureata, per dire) solo 19 e 16 anni e hanno creato un videogioco!”

Qui iniziamo a parlare di un vero e proprio caso di operazione di marketing fatta sulla persona delle autrici stesse.

Perché ragazzi, se vi viene chiesto che immagine avete del “game developer” cosa avete in mente?

Esatto.

Ma arriviamo a ciò che voglio dire.

Parliamo un attimo della cultura anime/manga. Gli appassionati di questi tipi di media (chiamateli come volete: otaku, seppur sia un termine negativo, weaboo, weeb…) sono il target principale degli HOR-RPG, che il pubblico sia orientale o occidentale.

Sappiamo quanto sia popolare l’attaccamento all’immaginario della ragazzina giovane, carina e pura da parte di questa community.

Artista: クロ (Kuro) su pixiv.com

(Qualcosa mi dice che questa fanart sembrerà molto più inquietante a chi ha letto il mio appendice sui personaggi del gioco…)

In un caso ovviamente molto molto sottile, credo che ciò si sia riflesso nel come sono state trattate Nubarin e Nanashi nell’industria videoludica indie. E no, non credo c’entri il fatto che la gente si chieda come si siano organizzate con la scuola: anche un game developer adulto deve organizzarsi con il lavoro, no? Quindi, torniamo a noi.

Ragazze (aggiungo che secondo me se fossero stati dei ragazzi secondo me l’impressione su di loro sarebbe cambiata radicalmente…) molto giovani che si sono avvicinate a qualcosa di tanto tecnico come il creare un videogioco?!”

(Da italiana dovevo, scusate)

Cosa devo dire di più? La situazione si spiega da sola.

Si è sfruttata in gran parte la giovinezza e… Anche gender, sembra (anche questo dettaglio viene spesso enfatizzato in titoli o interviste) delle autrici del gioco per far arrivare il titolo più in alto, anche se questo gioco non era proprio fatto per un grande pubblico.

“Oh che carine, le ragazzine hanno fatto il giochino.”

Si, dato che sono una maledetta sadica, voglio darvi l’immagine più malata o fastidiosa possibile di questa cosa. Stanno entrando in gioco le mie morali? Certamente. Potete considerarla un’“operazione normale”, essere in disaccordo con me e considerare quel che dico una gigantesca iperbole? Ovvio.

Ma da ragazza che ha la stessa età che aveva Nanashi quando lei e la cugina hanno rilasciato Cloé’s Requiem, queste reazioni, shock generale e “carinizzazione” (neologismo fatto apposta per l’articolo) di quelle che effettivamente sono state due game developer come qualunque altro al mondo…

Tirate fuori le analisi sociologiche che volete, questo discorso può essere ulteriormente ampliato. Io dico solo che onestamente mi rendono perplessa.

Ma dopo questa prima rivelazione, possiamo passare ad un’altra domanda:

Se hanno avuto questo tipo di popolarità, data più dall’idea che danno le autrici che dalla qualità del titolo stesso, come ha influito nei lavori futuri di Buriki Clock?

Fantasy Maiden’s Odd Hideout, per quanto sia un buon thriller, è caratterizzato da molte sottotrame non chiuse, alcuni buchi nella sceneggiatura dati in parte da esse e una sottospecie di filler lungo un bel po’ che rende il gioco lunghissimo e, quando la trama non va avanti, anche abbastanza pesante.

Trauma Traum… Non so se è un problema del fatto che non sappiamo il giapponese, ma giochicchiandolo con il traduttore abbiamo notato (nelle prime fasi) una generale mancanza di linearità e poca chiarezza che rendeva il gioco ai limiti del tedioso. E qui neanche i personaggi si salvano, essendo tutti quanti degli stereotipi camminanti e viventi.

Da queste due brevissime analisi potete notare una cosa: non è stato insegnato a nessuna delle due, non importa quanto siano cresciute in età e quanto siano andate avanti con la loro istruzione, che il loro modo di fare game development aveva delle falle enormi, se volevano espandersi a livello professionale.

Quindi semplicemente… Hanno compiuto gli stessi errori che hanno fatto con Cloé’s Requiem. Anzi, sono peggiorate con Trauma Traum.

Ma in quei casi non c’erano né concorsi, né il fattore “primo debutto” a salvarle dal grande fossato che è l’essere dimenticati dall’internet.

Ma per vedere bene ciò che intendo entriamo a piedi scalzi nel fango (per non citare un’altra sostanza marrone, puzzolente e con consistenza molle), vediamo…

……………………………..

……………………………..2

Ok, quindi. Parliamo di questo.

Di Cloé’s Requiem: Con Amore esiste un file con una traduzione incompleta dei dialoghi, quindi abbiamo potuto analizzare meglio il tutto durante la nostra confusa partita effettiva.

Inizio con il dire che Con Amore non è né uno spin-off , né un’edizione extra (come ce la vogliono far passare)… Con Amore non è neanche un gioco, a pensarci, data la mancanza totale di gameplay stimolante.

Con Amore è… Una pessima idea.3

Si, molti italiani troveranno impropria la citazione a Yotobi, ma almeno io trovo molte analogie con il caso analizzato da lui, quello di Beppe Convertini.

“I vostri personaggi sono belli, ragazze, le fangirl e i fanboy li adorano! Cosa ne direste di fare qualcos’altro insieme? Tipo un’idiozia?”4
-Probabile frase detta da un membro a caso di KADOKAWA a Nubarin e Nanashi.

Ragazzi, davvero, le persone che hanno visto quel video hanno sicuramente notato che anche Con Amore è un prodotto che punta solo al “divertimento, tragedia e romanticismo per ragazzi ti tutte le età”!

“-Cammina attorno a Michel
-Siediti sulle cosce
(Vorrei farvi notare la seconda scelta che si, alcuni gatti lo fanno, ma… Questa gatta ha una coscienza umana. Cioè. Ci ha pensato di fare questa cosa con un cervello umano. Furry bestiality?)

“Aw, vuoi giocare?”

(Furry bestiality. Quanto è ambiguo tutto questo.)

Va bene, la smetto con le analogie con Il Fidanzato Ideale, rischio di abusarne!

Spero che questo caso analizzato da Yotobi vi abbia aiutato a capire cos’è realmente la struttura di Con Amore: semplicissimi spezzoni “giocabili” di una vita quotidiana inesistente (perché, per tutto quel che hanno fatto e che hanno provato nella loro vita i ragazzi di Cloé’s Requiem, quella vita è davvero un’utopia: magari potessero essere arrabbiati solo perché sono stati rubati dei biscotti a colazione5 …)

Esso ha come protagonisti i quattro personaggi principali e…

Dei furry.

Punto. Davvero, la mia descrizione di Con Amore finisce qui.

“Ma si citano elementi di trama quando si va a casa di Cloé!”

Ah, perché, ri-giocarsi Cloé’s Requiem dal punto di vista del gattino fastidioso è considerata una “trama” vera e propria?

“Ma ci sono delle aggiunt-“

Oh, parliamo delle aggiunte che Con Amore ha fatto alla trama, adesso…

…Come la giustificazione ad uno stupratore!

Questo è un elemento di trama che meritava di essere spiegato, assieme ad altre CAZZATE ABISSALI (come la resurrezione di Cloé,  il sogno di un gatto di diventare umano; il piano di Alain per far maledire Cloé così “la sua adorata bambina cagionevole di salute dalla nascita sarebbe vissuta per sempre”), per cui serviva un gioco intero, non credete, porca puttana?!

“Ho paura di perdere Cloé. Lui* ne sembrava ossessionato”

*Nel “gioco” si vede una versione “demonizzata”  di Charlotte (questa storyline fa parte delle cosiddette cazzate abissali…), una versione maledetta del suo spirito. Nella scena è abbastanza palese che con “Lui” Alain faccia riferimento alla sua personale versione maledetta.

Dio mio.

La maledizione! Era la maledizione a violentare Cloé!

Era “lui”! Colui che non doveva essere mai nominato!
Certo, certo! Le persone malate non esistono, è sempre colpa di qualcosa/qualcun altro!

Dio mio, sto avendo flashback di…

TACI, TU!

Ragazzi. Rendiamoci conto: in questo prodotto si accentra tutto quel che non si deve fare in qualcosa fatto per puro marketing.

Si è giustificata una cosa gravissima come lo stupro per creare l’ennesimo motivo di “confort”, quindi si è alleggerita (irrispettosamente) in un modo enorme la pesante backstory di Cloé, rendendola anche un personaggio meno tragico.

Vi sareste trovate scomode a vestire da maid giapponese una ragazzina tanto traumatizzata, eh?

(Ha pure 91 retweet ‘sta roba.)

Ne parleremo successivamente come uno dei tre casi di studio che affronteremo nell’articolo sul “Selfish Confort Dilemma” …

Ma per adesso possiamo considerare questa catastrofe che accade negli ultimi tempi come un demone.

Un demone che succhia via tutta la possibile profondità di una qualunque storia, solo perché il pubblico deve sclerare su quanto è figo/a qualunque personaggio del gioco senza paura di tifare per psicopatici, pedofili, isterici o semplicemente… Dei pezzi di merda!

Inoltre, per mettere sale sulla ferita del mio povero e giovane cuore, in quest’accozzaglia di tutto ciò che c’è di sbagliato al mondo si provano a rattoppare le poche chiarezze di trama con giustificazioni pressapochiste non raccontando alcuna storia e unendo anche sotto forma di “videogioco” i personaggi ridotti all’osso e asciugati di tutta la loro personalità che sono stati usati nelle becere operazioni di marketing per elemosinare pubblico!

“Ho paura di perdere Cloé. Lui* ne sembrava ossessionato”

…Tu quoque Petro, fili mi…?6

Siamo buone, cerchiamo di spiegarvi quale messaggio hanno cercato di lanciare con la nuova trama:

In breve Cloé’s Requiem “Con Amore” già dal sottotitolo dovrebbe farvi capire che l’ammmmore è il tema centrale. Giusto, no?

“Calore”

Mh. Poco ambigua come parola da dire alla persona che ti ha appena accolto.

Calore già da subito?

“Tutto questo mondo mi dà calore”

É il riscaldamento globale.

Tante volte Noir ripete nel corso del gioco che “è stata voluta bene da tante persone, tutti si sono presi cura di lei”, da casa Alembert a casa Ardennes in cui veniamo ricoperti di stucchevoli scenette quotidiane del cazzo; invece Blanc è diventato il capro espiatorio di Alain. Mi spiego.

Poiché hanno aggiunto la sottotrama che “Cloé sarebbe stata destinata a morire perché cagionevole di salute dall’infanzia”, quindi entro una certa età sarebbe morta (CHE CAZZATA IMMENSA, ma quando mai aveva questi tipi di problemi questa disgraziata?! Nella versione originale era debole perché non mangiava e non dormiva da giorni come diceva lei stessa; anche la maledizione l’aveva indebolita) Alain si è reso conto che nemmeno le medicine potevano aiutarla, quindi si è informato sulle maledizioni per cercare un modo di farla sopravvivere più a lungo. E visto che le maledizioni prendono vita propria a partire da sentimenti molto forti avrà pensato bene di pestare questo povero gatto per vedere come avveniva il fenomeno. E giuro, si vedono delle scene in cui vedi il cadavere di Blanc coperto di sangue e dopo qualche scena che sta come se niente gli fosse successo, ma semplicemente molto molto incazzato.

Quindi se non fosse chiaro il concetto ripeto: se in quella casa il padre violentava la figlia era per colpa di Blanc, che in qualche modo avrà fatto qualche strano effetto collaterale su questo stronzo che lo pestava.

“Sono tornata”

“MERDE!” (libertà artistica da parte di Ele)

…Ma anche Noir, nel momento in cui sembrava che fosse stata uccisa quando la casa si è infestata di maledizioni a destra e manca, è stata in grado di resuscitare!! Come viene anticipato all’inizio del gioco d’altronde.

Dunque TAN TAN è tornata giusto in tempo quando è arrivato Michel a casa di Cloé per l’operazione di sanificazion- cioè, purificazione. Qui sostanzialmente si vive la trama del gioco precedente dove i due suonano e cercano spartiti (anzi la gatta li aiuta a cercarli perché “la musica e gli spartiti rappresentano la dimensione dei ricordi felici”, ricordiamolo) e Noir, aiutando Cloé a resuscitare quando sembrava stecchita, le ha restituito “l’amore ricevuto” riportandola in vita come Blanc ha restituito l’odio a suo padre, riuscendo a dimostrare “allo spettatore” che se fai del bene riceverai del bene in cambio e se fai del male questo si riverserà contro di te; e dimostrando invece a Blanc, probabilmente, che l’odio sarà pure un sentimento così forte da sopravvivere a lungo, ma l’amore vince sempre su tutto e perfino sulla morte; alla faccia della vecchia trama in cui il gatto nero doveva ammazzare malamente quello bianco!!

 

Tutto molto bello, peccato che:

1. Queste NON ERANO le tematiche del gioco originale. Cioè, la storia di Cloé’s Requiem era qualcosa di molto più “interno” e maturo, si esploravano le diverse sfaccettature umane come abbiamo avuto di vedere assieme. Era la storia di questo ragazzo che aveva un percorso di crescita; allontanandosi idealmente da un contesto sociale in cui c’era lo sfruttamento minorile (viene citato anche in un dialogo tra Charlotte e Michel per dire -lei era felice di dormire in un letto caldo e ricevere del pane ogni giorno, mentre Michel credeva semplicemente che avessero assunto Charlotte solo perché costava poco data la sua giovane età-; quindi, per dire, che non era così nascosto questo tema); un contesto sociale in cui i ragazzini come lui e Pierre erano usati come fonte di guadagno, un contesto sociale in cui vi era omertà laddove le ragazzine divenivano oggetti sessuali, un contesto sociale in cui vi era l’oggettificazione delle stesse cameriere fatte letteralmente a pezzi come dei peluche, perché usate come oggetto di sfogo per le frustrazioni di una donna d’alto rango (sarà anche troppo gore e irrealistico come elemento, ma più esplicito di così.…).
…Da tutto questo contesto abbiamo semplicemente visto come Michel, destinato a crescere come un futuro carnefice ha avuto il coraggio di prendere coscienza delle sue colpe per poi ANDARE CONTRO CORRENTE; e in tutto questo mi pare che nel mondo in cui viviamo, considerando un po’ in qualsiasi ambito la facile distorsione dell’immagine che si può avere del prossimo una rinfrescata su tutte queste tematiche legate all’oggettificazione possa solo fare bene.

Insomma: sappiamo che probabilmente a seguito dell’epilogo del gioco andrà a costituirsi in prigione visto che dice di dover “tornare indietro”; dunque dopo l’espiazione della sua colpa possiamo sentirci rassicurati che diventerà un adulto responsabile e coscienzioso e, perché no, che potrà intervenire attivamente contro dei futuri soprusi a cui potrebbe assistere nel corso della sua vita. Davvero, di nuovo, rendetevi conto di quanto è stata importante questa esperienza che ha fatto.

2. Questo è un messaggio (quello di Con Amore) che percepiamo onestamente come molto semplicistico: sicuramente c’è del vero per quello che riguarda la rotazione del karma, se vogliamo dirla così, però dire che “se ricevi odio coltiverai odio e se ricevi amore coltiverai amore”, messo in maniera così astratta e A PRESCINDERE dalla personalità di ognuno… Ci rende perplesse. Insomma, ognuno affronta le difficoltà della vita a modo suo, di nuovo: vedi Michel stesso dal gioco originale che è riuscito a distaccarsi dagli abusi che ha subito in prima persona!

Ma diciamo pure che questo secondo punto “è un dettaglio”, non soffermiamoci troppo a lungo.

Comunque, torniamo a noi.

Ragazzi… Questo tipo di storia, personaggi e giustificazioni vogliono sostituirlo alle verità originali che abbiamo analizzato nell’Asso Nella Manica.

“Abbiamo deciso di fare un remake di Cloé’s Requiem!”

E ci sono i due furry.

Ho bisogno di una bibita zuccherata, devo avere energia per farvi la seconda grande rivelazione su questo gioco.

Vado e torno.

https://www.youtube.com/watch?v=VBlFHuCzPgY

….Okay, rieccomi.

Quindi, ragazzi… Fatemi sopportare quest’ennesima coltellata al cuore e rispondetevi da soli a questa domanda:

“Perché stanno facendo un remake, cambiando possibilmente gli interi toni della storia e i personaggi, per via di questi gattini che rendono tutto molto più bello e carino?”

Ecco, qualcuno alza la mano… Lì, all’ultima fila!

“Per soldi!”

Eh… Più o meno.
Se avessero voluto solo e soltanto spremere il prodotto doveva essere più commercializzabile, e solo così avrebbero potuto fare remake, uscite su console eccetera.

Vedete come ha fatto sen, no? Il suo prodotto gli lasciava la strada spianata!

In molte immagini promozionali continuiamo a vedere Alfred come un mostro esattamente com’era visto nel gioco originale, non c’è stato nessun lavoro di ammorbidimento, anzi.

Cioè, per dire: questo è l’header attuale che si trova su Steam.

Secondo me c’è qualcos’altro sotto.

Vediamo, in vista di questo remake, se si sono fatte delle art promozionali sul gioco…

No.

Il quotidiano inutile o senza contesto non conta…

Niente, non trovo niente!
Niente… Niente pianoforti maledetti, niente omicidi di strumenti musicali, niente Cloé maledetta, niente Alain inquietantissimo…?

Strano. Per essere il gioco che ormai spingono come cavallo di battaglia (o meglio, come si sono aggrappate con le unghie ai loro precedenti successi…) c’è poca promozione del suo vero contenuto.

Beh ragazzi, da questo remake improvviso e da questa mancanza di promozione del Cloé’s Requiem che è venuto prima di “Con Amore” … Posso teorizzare che per le autrici, dato quel che vogliono fare adesso di questi poveri ragazzi, è molto probabile che l’originale Cloé’s Requiem sia stato solo una bozza.

O per essere più esagerati, un errore.

Un’accozzaglia di concetti che hanno provato a mettere insieme in una trama, ma che hanno sentito ancora incompleti, perché molti di questi non spiegati oppure lasciati troppo all’interpretazione.

Ma a questo punto, anche con remake, reboot e chi più ne ha più ne metta: ormai si combatte a chi si distribuisce meglio…

“Ho paura di perdere Cloé. Lui* ne sembrava ossessionato”

[…]

“Tenere Cloé viva per più tempo possibile… Come posso farlo?”

I cattivi scrittori vengono sempre fuori, non importa quanto i personaggi siano carini e abbiano un buon design. Buriki Clock voleva rendere Cloé’s Requiem meno “amatoriale”, ma soprattutto renderlo qualcosa di più commercializzabile…

(FOTTUTA GATTA DI MER-)

…Ma gli effetti di questo li abbiamo visti.

Ma perché, mi sono chiesta?

PERCHE’?!

Perché fare…

Tutto questo…?

Poi, l’epifania.

Pensando a ciò che abbiamo detto fino a questo momento, per poi andare avanti…

Nearly everyone you see –
Like him an’ her,
An’ you, an’ me –
Pretends to be
A pillar of society –

(dall’intervista rilasciata a Famitsu)

A model for propriety –
Sobriety
An’ piety –
Who shudders at the thought
Of notoriety!

The ladies an’ gents ‘ere before you –
Which none of ‘em ever admits –


May ‘ave saintly looks –
But they’re sinners an’ crooks!

(Famitsu)

 (Art promozionale per la novel “Cloé’s Requiem: Andante”)


Hypocrites!


Hypocrites!7

Ecco.

Ricordate il primo concetto che vi abbiamo introdotto in questa seconda parte di articolo?

“Cloé’s Requiem, fin dalla sua prima dimostrazione di popolarità, ha avuto aiuti esterni a destra e manca.”

Eh, eh. Finalmente ci arriviamo!

Avviso che non sarà la prima volta in cui parleremo di Kadokawa, che sembra essere la causa di tutti i mali per quanto riguarda la commercializzazione di RPG Horror.

Allora, come sempre andiamo molto lentamente, perché solo da queste immagini la teoria sembrerà al limite del complottismo.
Anzi, spieghiamo proprio quelle.

Cosa mi ha fatto esclamare: “Qua c’è un interessantissimo e marcio sistema dietro!”?

Nella reprise di Façade, come prima immagine vi ho mostrato questo:

Dove fu fatta la primissima introduzione di Cloé’s Requiem ad un pubblico più grande, e in cui poteva essere più visibile?

Comptiq, magazine rigorosamente pubblicato da Kadokawa!

Con che concorso diventarono popolari?

E su che piattaforma ci fu questo contest?

NicoNico, piattaforma di un’azienda sussidiaria a Kadokawa!

Dopo la fase di distribuzione iniziale, dove furono intervistate le due autrici?

ch.nicovideo.jp/indies-game/blomaga

Come potete vedere, ha sempre a che fare con NicoNico.

(Questa è probabilmente una mia congettura, ma anche il fatto che sul sito sopracitato il gioco sia stato descritto come un “capolavoro” anche se non ha avuto una fanbase così grande, e non è neanche stato accolto così bene in Occidente, cosa che ad esempio Angels Of Death ha avuto…
Mi rende questa più un’operazione di marketing che un’intervista genuina.)

(Famitsu)

Ma in ogni caso possiamo notare che le due principali interviste sono state rilasciate solo su certe piattaforme:

Appunto, solo piattaforme appartenenti a Kadokawa o aziende sussidiarie ad essa.

Quindi, a meno che ogni singola azienda di distribuzione nell’intero Giappone sia in qualche modo di Kadokawa… Essa non ha gestito solo la pubblicazione delle novel…

Bensì l’intera distribuzione e futuro marketing del marchio Buriki Clock. Dall’inizio alla fine.

(Ho deturpato la foto di queste due povere ragazze solo per farvi capire in modo inquietante di cosa parlo?
…Si.)

Non c’è stato alcun caso. Non c’è nessuna genuinità nel “successo” che ha fatto questo gioco in Giappone.

E sapete cosa?

Doveva suonare già strano! In Occidente è stato dimenticato dopo un anno… Perché non c’era alcuna “Kadokawa” a coprire le due autrici.

Per noi era un gioco indie come un altro.

Infatti, ricollegandoci a quel che dicevo, sul fatto che questo gioco non è fatto per un grande pubblico, come quello che hanno tipicamente i prodotti pubblicizzati e distribuiti da Kadokawa…

*Update dalla scorsa volta!
Il ragazzo a sinistra è uno dei personaggi di… Uh…
“Luciano Family”…? Qualcosa del genere…? (Il traduttore online è quello che è)
Vengono condivisi e creati contenuti da Buriki Clock semplicemente perché Nubarin ci lavora.*

 

Ricordatevi i design originali, ragazzi. Ricordate lo stile, le palette, i tipi di espressioni che venivano date ai personaggi.

Nubarin’s drawings have different facial expressions depending on the character . A bright character has a cheerful laugh, and a cool character has a modest laugh. It also depends on their personality. You can tell which character they are by just looking at their face without the hair. -Nanashi No Chiyo

Con molta probabilità sono state modificate le caratteristiche principali del gioco per renderle maggiormente attinenti con “il portfolio” dell’azienda di distribuzione che l’ha preso sotto la sua ala.

Tutto quello su cui ho scritto paragrafi e paragrafi erano “modifiche necessarie” di qualcosa che, a detta di una major, non avrebbe mai e poi mai funzionato.

Quindi, tornando alla questione “Rapporto Autore-Opera” nel caso di Cloé’s Requiem…

Beh, è un rapporto innaturale, non deciso al 100% dalle autrici. È stato scelto per loro di rendere il rapporto tra un titolo che poteva essere un masterpiece (se solo avesse avuto mani più capaci a modellarlo) e delle autrici al tempo inesperte, e oggi corrotte, se vogliamo usare un’iperbole…

È un rapporto semplicemente “inesistente”, e senza alcuna speranza di recupero.

L’unica cosa che possiamo fare ad ora, noi pochi fan di quell’incasinatissima bozza di videogioco, è aspettare il prodotto più “completo”, quello che doveva essere in realtà, avendo già la nostra visione rossa e con l’irrefrenabile voglia di distruggere librerie.

E a conclusione di questo voglio portare io ora un piccolo discorso sui personaggi: di nuovo PaoGun è qui con voi.

Quello che volevo dire l’ho anticipato prima e ora posso esprimerlo:

Non si riescono a distinguere più.

Nubarin, Nanashi, vi rendete conto di quello che potevate fare?

Provenivate dalla corrente di “giochi controversi” per eccellenza e questa caratteristica poteva rendere unici i vostri personaggi (visto che sono l’unico elemento di punta che si poteva salvare da questo gioco). Ma ora sono solo come tanti altri. Avete perso lo stesso perché senza Kadokawa (ed Enterbrain…Ne parleremo in futuro di quest’azienda) non siete comunque andate da nessuna parte.

Restituite le occhiaie e Cloé! Restituite a Pierre la sua falsità, per diamine! Oltre ad essere il personaggio più “sgamabile” nella rimozione di tutta la sua tensione muscolare e della mimica che lo contraddistingueva nel character design…

Voi che avevate avuto il coraggio di avvicinare un main character alla figura di uno stupratore permettendogli un percorso di redenzione; voi che ci avete fatto capire quanto diamine fosse pericoloso il sistema “educativo” a cui sono stati sottoposti i personaggi in questa epoca… Un’epoca che per quanto possa sembrare lontana per molti aspetti è in realtà è vicinissimo alla società odierna.

Voi che avete per questo smontato pezzo dopo pezzo uno stereotipo vecchio come il mondo di ora gli rimettete addosso questa maschera?!

É lo stesso personaggio.

Sì; lo so perfettamente che questo tipo di esempio, con i chibi, non è così brillante perché la chiave di questo tipo di operazione di marketing è la stilizzazione e la semplificazione del character design, lo perfettamente che c’è dietro un profondo contesto economico e culturale dietro… Ma non ci saremmo arrabbiate tanto se ci fossimo confrontate con un contesto nel quale il senso del contenuto è stato completamente trasformato con l’aiuto di “giochi sostitutivi”; fermo restando che, come diciamo fin dall’inizio, nessun tipo di promozione è rivolta ai temi controversi di cui il titolo parlava. Parliamo di un brano come Façade nel dividere questo caso di studio in “gioco e mercato”. Il lato più controverso del titolo è stato rimosso per poter essere venduto e ha pagato con la sua identità.

Un cambiamento catastrofico riassumibile in due semplici immagini:


Da Michel che affronta Alain…

…Alla gatta che ora affronta quest’uomo per aiutare i nostri giovani personaggi.

Se seguite la rubrica dall’inizio avete visto il caso di Corpse Party dal lontano 1996 a Blood Covered: è stato arricchito il background, il cast si è ingrandito, è stato addirittura cambiato lo stile grafico ma il senso della sostanza non cambiava; ovvero vedere personaggi vicini a noi, quindi delle persone ordinarie, che affrontano un’avventura in un mondo sovrannaturale mostrando sfaccettature diverse dal loro normale contesto abitudinario.

Ayumi, la tipica cazzuta, affidabile e seria rappresentante di classe (anche molto classica nel panorama anime)
Tira fuori il suo peggio dimostrando la sua infantilità, seppur in due modi differenti.

Sachiko era sempre lì come antagonista a rompere le scatole a tutti! E quindi nemmeno il significato degli spiriti era alterato poiché potevano essere questi positivi o maligni a seconda delle loro condizioni psicologiche in punto di morte.

I protagonisti non cambiavano: tu potevi riconoscerli perché erano quelli che rimanevano più tempo in scena e li vedevi ogni volta dover prendere delle decisioni, fare delle scelte, agire per andare avanti ed affrontare gli ostacoli.

Erano sempre responsabili delle loro azioni, non c’era qualcosa o qualcuno che affrontava le difficoltà per loro. Rendiamoci conto del motivo per cui non poteva fare questa operazione per un titolo character driven come Cloé’s Requiem: nel gioco originale non si è fatto altro che raccontare un percorso di crescita interiore. I gatti erano un concetto visivo, “una metafora”, e renderli dei protagonisti attivi ha alterato completamente il senso dell’opera.

Come aveva già accennato Ele stiamo assistendo ad una deresponsabilizzazione generale delle colpe dei personaggi e di tutte le loro sfaccettature complesse e contorte per venderli meglio.

Possiamo concludere questo doloroso viaggio riflettendo sulla tragica ironia che incombe su questo brand: Nubarin e Nanashi hanno trattato, subito e a loro volta applicato ai loro stessi personaggi il percorso di oggettificazione esattamente come ha fatto il loro stesso protagonista nel primo gioco. Hanno fatto quello che la loro opera denunciava!

Ecco svelata la citazione al titolo dell’articolo. Oltre ovviamente alla citazione all’opera del grande Pirandello, “Sei personaggi in cerca d’autore”, ci tenevo a considerare il capitolo “Cinque personaggi in cerca d’autore” del gioco “I Simpson” uscito per Wii, Nintendo DS, Xbox 360, PlayStation 3, PlayStation 2 e PlayStation Portable un arco narrativo in cui i personaggi affrontano un livello in cui dovranno sconfiggere il loro stesso autore, Matt Groening, di cui abbiamo riportato qui un’immagine relativa alla cutscene finale.

TERMOMETRO DELLA PROFESSIONALITA’

E cosa dire a conclusione di questo? Il liquido è basso: questo è un prodotto amatoriale. La sua “natura professionale” è costruita, fittizia…Dunque sì, ormai lo avrete notato: stiamo distruggendo poco alla volta il termometro della professionalità da articolo in articolo.

A questo posso aggiungere solo una considerazione: il marketing dovrebbe valorizzare un prodotto, non distorcerlo.

Io lo riconosco perfettamente che per il titolo che è stato prodotto poteva essere un po’ difficile trovare un posizionamento a lungo termine nel mercato, ma non era impossibile realizzare questo obiettivo senza sacrificare la sua complessità.

Questo caso di studio è stato veramente importante da trattare per portarvi un esempio, forse anche classico per certi versi, di effetto collaterale. Ma effetto collaterale di cosa esattamente?

Dell’ingresso di indie developer in un mercato, così vasto e spietato, come quello del prodotto audiovisivo in Oriente.

Quindi, sì, è esattamente come appare. È esattamente la teoria complottista che vi sareste aspettati ma…Dopotutto approfondiremo un discorso su “chi c’è dietro” proprio per questo motivo.

Infatti tenevamo a precisare una cosa: non vorremmo che pensaste che siamo soddisfatte delle conclusioni a cui vi abbiamo portati in questo articolo. Non siamo soddisfatte perché le formule semplicistiche, generalmente, non ci piacciono: quello che vogliamo dirvi non è mica: “la Kadokawa è Satana!”, cioè, ci sono tante dinamiche da tenere in considerazione e poi, cavolo, se sarà una major un motivo ci sarà, chissà poi in quanti “reparti/campi” (non conosco il termine professionale) sarà divisa: semplicemente da questo caso è emerso solo che nei confronti di quest’opera indipendente ha provato, secondo la nostra interpretazione, uno scarso interesse; perché sia loro, che le autrici di conseguenza, si sono più preoccupati di incastrare a forza Cloé’s Requiem in un tipo di mercato che non gli apparteneva che non cercare le potenzialità per farlo emergere diversamente. Questo era il tipo di discorso a cui volevamo giungere.

È per questo che il lavoro di ricerca per l’articolo su come funziona il mondo dell’editori videoludici nell’ambito indipendente (restringendoci ai casi della corrente Rpg Horror per ovvia impossibilità di ricoprire, solo in due persone, un ambito di ricerca COSÌ VASTO che meriterebbe un’équipe) diventa necessario per non cadere in conclusioni affrettate.
Capire chi sono, che tipi di contratti si possono stipulare; perché questo che è stato fatto tra Kadokawa e Buriki Clock è stata un’affiliazione, che è  un’operazione molto diversa da un normale tipo di contratto che editor e sviluppatore accordano per un singolo gioco -anzi sappiamo tutti che la Kadokawa non occupa solo l’ambito videoludico, è per l’appunto una corporation: un’azienda poliedrica-; e poi c’è sicuramente il caso di Corpse Pary, che abbiamo già affrontato sul Ludi Tarantula Archives, in cui sono subentrati nuovi soggetti nell’ambito creativo), dunque la domanda sorge spontanea: come e in che misura possono accedere alle modifiche in ambito creativo? Questi e tanti altri fattori assumono un’importanza non secondaria. E quindi, ancora, capire chi sono i soggetti più influenti, qual è la loro brand identity e che tipi di prodotti distribuiscono*, e ovviamente come funziona l’ambito della distribuzione e quante opportunità queste possono offrire.
*Nel caso di Kadokawa nei confronti di Cloé’s Requiem forse l’idea sarà stata ipoteticamente questa:

“il prodotto è troppo cupo per il nostro pubblico, vogliamo rassicurare l’audience (o qualsiasi motivo inerente al target verso cui volevano rivolgersi) ma la storia strappa lacrime e i personaggi pucciosi sono un ottimo fanalino pubblicitario per far conoscere il prodotto come un fortunato “capolavoro del casual game” e di conseguenza invogliare all’acquisto del tool“…

(Non sapete che mega argomento vi abbiamo spoilerato, ve ne accorgerete quando lo tratteremo in futuro con il caso di Angels Of Death)

Perché ricordiamoci, dopotutto, che nel mercato il primo obiettivo è ottenere una fonte di guadagno e soprattutto di risorse per far entrare l’attività in un circolo virtuoso di produzione.
…Quindi…

Questo è in realtà solo l’inizio.

Abbiamo visto solo da un lato della medaglia cosa vuol dire quando un autore e un editor/distributore poco interessato alla qualità della singola opera e più orientato sul mero consumismo si incontrano: i risultati non possono essere felicissimi se l’autore per primo (in questo caso) non riesce a capire a fondo, e dunque collocare da qualche parte, la sua stessa opera creativa.

Man is not one, but two,
He is evil and good!
An’ he walks the fine line
We’d all cross if we could!

It’s a nightmare
We can never discard
So we stay on our guard
Though we love the facade
What’s behind the facade?

 

CONCLUSIONE

Dunque, da qui in poi inizierà lo stadio finale della rubrica di Back To The Future, la rubrica nata per comprendere, tramite singoli casi di studio, come si sta evolvendo il mercato degli RPG Horror oggi.

Con il prossimo articolo avremo un esempio diverso del percorso che si è realizzato da “prodotto amatoriale” a “prodotto professionale” il cui inizio della storia di produzione è sicuramente diverso da quello di Cloé’s Requiem e di cui il team si allarga da due persone a otto.

Signori, stiamo facendo riferimento all’ambizioso e spettacolare

Pocket Mirror.

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1…Intrattenente, per questi sadici bastardi dai mille occhi”:
Citazione a “
The Trail To Oregon”, musical del Team Starkid. Il personaggio del Padre nella canzone DySentery World descrive con orrore gli spettatori come “dai mille occhi”. Inoltre, chiede agli spettatori se vederli morire intratterrebbe loro, “sadici bastardi”.

Dato che nella prima parte, con Façade (che tornerà, come in una delle sue mille Reprise in Jekyll&Hyde), parlavamo di teatro musicale… Mi sembrava giusto citare anche quello moderno, no?

 

2” …………………”:
Citazione a Cloé’s Requiem stesso, che nella sua regia usa immensi puntini di sospensione per allungare i tempi.

3 “Con Amore è… Una pessima idea”
Citazione al video dello youtuber Yotobi: “
Il Fidanzato Ideale” – The Late Show con Karim Musa | S2 Ep.14

4” I vostri personaggi sono belli, ragazze… Idiozia?”
Altra citazione all’episodio 14 del Late Show con Karim Musa

5 “…Sono stati rubati dei biscotti a colazione
Dialogo esistente in Con Amore.

6 “Tu quoque Petro, fili mi?”
Petrus (“Petro” in caso ablativo) è la traduzione di “Pietro”, traduzione a sua volta di “Pierre”.
Adattamento della famosa frase “Tu quoque Brute, fili mi?” Letteralmente “Anche tu Bruto, figlio mio?”.
Prima frase che Ele imparò studiando latino, si presuppone sia stata detta da Cesare a Bruto dopo le 23 coltellate delle Idi di Marzo.

 

Cloé’s Requiem (1° PARTE) – Appendice: Personaggi multidimensionali

Essendo questa storia character-driven, come disse PaoGun poc’anzi con tutte le sue giustificazioni del caso, è nostro dovere focalizzarci quindi sui personaggi. Possiamo finalmente iniziare la nostra avventura!

Prima di entrare nel vivo, però, ci tenevo ad introdurre questo paragrafo con il fatto che questo titolo fu una delle opere che mi diede un’introduzione al come si danno sfaccettature ad un personaggio, al come sottintendere certi particolari della sua indole, e in generale al concetto di character analysis, che farò qui, dal character design fino alla rappresentazione di certi particolari inquietanti. Sicuramente non mancheranno delle critiche alla scrittura generale (perché, come verrà detto nella seconda parte, questo titolo soffre di gravi problemi anche a livello di scrittura, soprattutto della sottotrama soprannaturale…), ma… Aspettatevi i risultati di anni e anni di studio su questi ragazzi (in buona parte fatto anche da Pao), e preparatevi ad immergervi nella multidimensionalità dei personaggi di Cloé’s Requiem.

Saranno ordinati dal caso meno “interessante” a quello più complicato e divertente da analizzare, quindi…

Charlotte – La “maid” giapponese… In Francia?

Si, come avrete capito, la cameriera stalker Charlotte è il personaggio meno profondo del gioco.

E dai, mi capirete, guardatela già dal design!

(Non ho un’idea precisa di chi sia il ragazzo a sinistra. Viene da un gioco che Buriki Clock sembra sponsorizzare molto…)

È uno dei personaggi su cui mi offendo di meno, anche quando Buriki Clock fa le sue becere operazioni di marketing!

E questo è semplicemente perché è quella che segue di più lo stereotipo da cui il suo personaggio parte, quello della dandere giapponese.

Si, i fan di Puella Magi Madoka Magica hanno pensato subito a lei, la versione passata di Homura Akemi: ragazzetta timida con occhiali e treccine.

Apro questa parentesi: non so se sono solo io, ma soprattutto nelle opere nipponiche le treccine sono viste sempre come un simbolo di debolezza… Forse Charlotte con i capelli sciolti diventerebbe così?

Per chi ha visto il link, o semplicemente conosce lo stereotipo dandere, è possibile che mi dica:

“Dandere?! Charlotte non è per niente dolce, è una st-”

Infatti, sono d’accordo!

È praticamente una delle poche cose che la stacca dallo stereotipo della cameriera, appunto, dandere, devota al padrone, timida (soprattutto con l’altro sesso), in generale chiusa e taciturna (prima di essere ossessionata da Michel, dopotutto, lei non parlava neanche molto, ciò è perfettamente in linea per un personaggio dandere).

Però, ahimè, questa caratteristica dell’essere comunque delle cattive persone, pur basandosi sullo stereotipo della “ragazza timida” … Charlotte la condivide con un altro personaggio (e quindi, credo con tanti altri).

Toko Fukawa da Danganronpa: Trigger Happy Havoc.

Anche Toko, pur balbettando, avendo gli occhiali e… Beh, le solite treccine che, ora, colleghiamo ad un’idea di “debolezza” in generale, è una ragazza molto acida e antisociale.

“Why does e-everyone keep making fun of me…? I hope you all win the l-lottery and get hit by a b-bus…”
-Toko nel Capitolo 3 di Danganronpa Trigger Happy Havoc

“I’d love to s-scoop out that nasty brain of yours, throw it on the g-ground, and spit on it!”
-Toko nel Capitolo 5 di Danganronpa Trigger Happy Havoc

E ciò, assieme al suo atteggiamento a tratti quasi isterico quando è stressata/irritata, per me la rende un personaggio più particolare.

…A differenza della nostra Charlotte.

Seppur condividano entrambe le trecce, una abilità di relazione con gli altri pari ad uno sgabello e l’ossessione per la persona seria di turno (nel caso di Toko, Byakuya Togami) … Charlotte risulta molto più blanda come personaggio, dato che arrossisce spesso, ecc…

Però, parlando della sua ossessione per Michel, nel caso di Charlotte si aggiunge il fattore dell’oggettificazione (ripeteremo spesso questa parola, tenetela a mente!) di Michel, associando la sua figura a sicurezza e stabilità, dato anche il suo talento con il violino (che lo rende utile e capace a fare qualcosa, rispetto a lei che può solo pulire), eppure c’è qualcosa che non mi torna…

Ecco, questo carattere da… Pettegola? Non lo capisco proprio. È una ragazzina introdotta da poco nell’alta società, non credo che abbia avuto nella sua educazione l’indottrinamento a questo modo di fare (come vedremo più avanti con Pierre).

Eccola qui. Lei è Becky. Abbiamo voluto proporre una citazione d’onore a questo anime, Shōkōjo Sēra (Lovely Sara), che ha preso riferimento dal libro “La piccola principessa” (1905) di Frances Hodgson Burnett e come alcuni, forse, potranno ricordare se appassionati degli anime storici degli anni ’80, parla di una bambina molto ricca caduta in disgrazia a seguito della morte del padre, costretta a vivere in miseria e a lavorare come sguattera per il collegio a Londra in cui era ospitata. Tenevamo a citare quest’opera in particolare anche per fare un confronto tra prodotti audiovisivi nipponici che parlano di un certo contesto storico che ha vissuto l’Europa. Quello di cui stiamo parlando è certamente la Rivoluzione Industriale, fenomeno che si è accompagnato tristemente al tema della divisione della popolazione in classi ed in particolare allo sfruttamento del lavoro minorile di cui la serie parla, ci sembrava molto interessante introdurre l’opera da questo punto di vista.

Vi propongo un rimando alla superlativa colonna sonora dell’anime.

Aggiungo minuto 5.52 alla lista

Prego.

Ora, forza. Provate a immaginare Charlotte pulire i pavimenti di casa Alembert mentre cerca di stare bene attenta a non farsi vedere troppo tempo in giro dai residenti della casa. Perché la realtà sembrava essere questa, nei confronti dei lavoratori più umili.

Il personaggio di Becky nell’anime condivide la stessa storia di vita della nostra Charlotte, eppure oltre ad avere un carattere più spigliato pur essendo una ragazza dolce, non è cresciuta adottando i meccanismi che muovono la società borghese del tempo, quindi non ha sviluppato neanche la malizia che Charlotte dimostra molteplici volte

…Perché è molto più facile per un ragazzino essere empatico nei confronti dei suoi coetanei!

Questo errore si poteva sistemare se il bisogno di disegnare personaggi “carini”, assieme a quello di inserire la ragazza timida ossessionata dal protagonista, non fosse stato così importante.
Con le cameriere di casa Ardennes, nella cutscene della madre, vediamo delle ragazze che spettegolano sul fatto che Lady Ardennes sia diventata ormai vecchia, come ricorderete.

Ma quelle ragazze sembra lavorassero lì da un po’, ed essendo (al contrario di quella di Michel, che sembra caduta in disgrazia) la famiglia di Cloé parte dell’alta borghesia, molto probabilmente quelle cameriere avevano lavorato per altri signori. Infatti sono sicuramente molto più grandi della ragazzina che vediamo in casa Alembert.

Quindi, in breve, per sistemare questa parte del suo carattere che non trova una spiegazione molto logica sarebbe bastato dare a Charlotte qualche anno in più, così che potesse fare più esperienza sul funzionamento della società borghese.

Ma chiudendo questa parentesi, torniamo all’impressione generale che si può avere su questa ragazza.

Anche se ha questi momenti…

…Che la staccano un minimo dallo stereotipo, la cameriera di casa Alembert ha poco da analizzare, essendo lei alla fine solo un espediente narrativo per il primo omicidio di Michel (o forse sarebbe morta in maniera migliore dall’essere colpita da un lampadario in testa se non fosse stato così), essendo stata resa volutamente insistente su quel che il ragazzo odia di più.

Infatti lei nutre delle riflessioni che sarebbero palesemente più adatti al personaggio del signor Alembert, che continua (per i suoi fini) a spingere il figlio a suonare e far rendere conto al mondo delle sue abilità, ignorando qualsiasi tipo di fattore più emotivo come il litigio con Pierre, anche se dal punto di vista di Charlotte è stato messo giù come un “odio” che Charlotte prova verso l’altro gemello…
Ma, comunque, i concetti che la rendono solo un “trigger” per Michel non cambiano.

E infatti:

 

Eh, cara Charlotte, del tuo caro e psicolabile “young master” ne parleremo dopo…

Beh, se vi ha sorpreso l’aggettivo “psicolabile” collegato ad un personaggio come Michel… Nella sua analisi ne vedrete delle belle, ve lo assicuro.

Ma per ora andiamo al fratello, per cui Charlotte provava tanto astio.

Pierre – Un lato della facciata: il dramma dell’apparire

Ho una particolare preferenza per questo personaggio.

Ci viene presentato semplicemente come “il gemello (più… Figo, a detta di alcune fan…) di Michel”, anche lui biondo e con gli occhi azzurri.

…E che si tiene una bretella. Gli sta per caso stretta?

Andremo più nel dettaglio su questa cosa più avanti, ma…
Vi è mai capitato, quando siete davvero irritati, di avere un tick? Di infilarvi le unghie sotto la pelle della mano, mordervi il dorso?
Uhm, alcuni hanno probabilmente risposto di no.

Ahah… A me succede sempre…

Ehm, tornando a noi…
Superficialmente, quel che vediamo di lui prima del suo momento di breakdown, è semplicemente un ragazzo furbo, un po’ sul versante “smug” quando parla della palese ossessione di Charlotte.

Ma quello che lo fa saltare subito all’occhio, sempre parlando superficialmente, è la repressione della sua rabbia riguardo al fratello.

Ma non parleremo esattamente di questo, analizzando Pierre Alembert.
Torniamo a ore prima di questo suo momento di rabbia e liberazione.

Se questo dialogo a primo attrito mi sembra davvero didascalico, il potrait che mostra Pierre me lo fa elevare. Di molto, anche.
Più che un palesisissimo foreshadowing sulla sua frustrazione nel dover continuare ad esercitarsi rispetto al fratello, questa frase con collegato quel sorriso amaro… Me la fa suonare come una frecciatina.

Alla fine, è proprio questo che rende Pierre indimenticabile: l’amarezza costante.

Oh, a proposito di questi ultimi due screenshot.
Avete notato che cambio repentino d’espressione?

Nel penultimo stava ancora cercando di persuadere il fratello nel suonare da solo, dati gli ordini del padre… Quindi cercava di essere più convincente e meno disturbato possibile dalla cosa, anche se sicuramente (per com’è) lo avrà segnato.

Come è ovvio che l’acqua è bagnata, Pierre ha represso qui come ha represso la sua frustrazione da quando ha iniziato a suonare con Michel. È diventato ormai un maestro nell’arte della repressione!

Infatti, subito dopo un’attesa di 60 frame…

“Michel, lo dico per te, devi puntare più in alto…”

L’ha buttata sull’ “amore fraterno” che lui in questa scena palesemente non prova.
Infatti, appena il fratello lo contraddice, con l’infantilità (che analizzeremo più avanti) che lo contraddistingue…

“…Testa di cazzo.”

[…]

Sento le sue bestemmie da qui…

Ma perché e come ha imparato ad essere così, praticamente come una pentola a pressione?
Qui si arriva al motivo principale del perché Pierre sia il mio personaggio preferito (seppur il più complicato a livello di carattere sia suo fratello).

Pierre è figlio del suo contesto.

Non è da poco trovare questi tipi di personaggi, soprattutto nella corrente degli RPG Horror indipendenti. Questo è dato prevalentemente dal fatto che ci si concentra così tanto sui personaggi singoli… Da non prendere per niente in considerazione il contesto in cui essi sono.

Descriviamo Pierre con qualche aggettivo: falso, quindi “bipolare” (non nel senso di malattia, ma nell’accezione che si ha più comunemente del termine), frustrato fino ad arrivare a violenti scatti isterici (che riprenderemo con Michel), spigliato e (volendo) buon oratore.

Ditemi: nella sua situazione nel XIX secolo circa come si comporterebbe un ometto perfetto pronto per diventare gentiluomo?

Sembrerà una domanda un po’stupida, ma come dicevo non è molto comune trovare personaggi così integrati con il loro ambiente. Se le miriadi di opere in costume che è possibile vedere di questi tempi non vi aiutano a trovare una risposta concreta, vi dico io che la società al tempo era anche più marcia rispetto a quella che tanto critichiamo adesso. Seppur io non sappia molto di storia (la parte della letterata che vi dice tutto nel dettaglio la lascio a mia sorella, lei sa di più di me…) posso dire che era basata proprio sugli stessi principi su cui si basa Pierre; tra cui la repressione di sentimenti negativi (come l’odio viscerale) per salvare la propria facciata.

Questa così grande integrazione nell’ambiente viene ovviamente dall’esempio di uomo che Pierre ha avuto per tutta la sua vita, suo padre: classico uomo del tempo molto distaccato verso i figli, anzi disposto a sfruttarli per risalire dalla sua perdita di denaro. Pierre ha quindi imparato anche il come colpire senza essere troppo diretti con le parole.

Ma negli esatti momenti in cui viene usata questa espressione (pierre3-5 nei file di gioco), assieme al dettaglio costante che c’è in ogni suo potrait, ovvero tenersi la bretella destra, la facciata si rompe per quei cinque secondi di “…………..”, solo per poi far vedere di nuovo Pierre fingere.

Vi ho fatto una domanda, prima:
“Vi è mai capitato, quando siete davvero irritati, di avere un tick? Di infilarvi forte le unghie sotto la pelle della mano, o mordervene il dorso?”

Ecco, se prendiamo in considerazione la sua natura da persona repressa, possiamo interpretare la tenuta della bretella come uno di questi tick di cui parlavo prima.

Secondo me è questo che lo rende davvero inquietante come personaggio; dimostra (seppur marginalmente perché il gioco si concentra poi su altro) anche da una parte gli effetti dell’educazione del tempo…

Che alla fine gli ha fatto male a livello mentale (ovviamente, no?). Non essendo un uomo già stabile mentalmente (e, anche in quel caso, molti finiscono per impazzirci per i sentimenti accumulati), ma un adolescente alla fine: l’età più instabile di tutte a livello emotivo. L’abitudine alla pesante costrizione da parte di suo padre e ad un confronto così diretto (date le critiche della gente) con il mondo e con suo fratello l’hanno portato a scatti violenti, pensieri d’odio verso chi ci tiene a lui, e momenti di isteria pura… Che ha dovuto sempre coprire alla fine con la falsità.

Pierre, alla fine, rispecchia un po’ l’idea del tempo che si aveva dei ragazzi come degli adulti in miniatura. Infatti agli occhi di alcuni giocatori, Pierre è diventato nient’altro che un verme represso, pronto a minacciare il fratello di uccidersi.

Beh… Per passare al prossimo personaggio, spostandoci da casa Alembert…

“And I’m certain, life is terribly hard…”

Cloé – “Façade”, nella sua completezza

“When your life’s a façade!”

Eh sì, ora parliamo di questa povera ragazzina. Si, se non l’avete capito mi fa davvero tanta tenerezza e… Pena.
Beh, già dalla continuazione del brano avrete capito che anche con lei parlerò di volti molteplici, sicuramente.
A ciò, però, ci si poteva arrivare già solo guardandola in… Faccia. Haha. Sono simpatica.

A parte la sua espressione, su quel faccino, sotto quegli occhietti viola rotondi, che suggeriscono un personaggio tanto carino, tanto (seppur odi usare questo termine per lei…) “moe”…

Non è una caratteristica della produzione astrale, quando è già morta, il potrait che ho preso in considerazione ha il nome di “cloe life 1-1”, quindi è stato usato nei flashback del gioco. Quindi possiamo considerarla proprio una cosa del suo design, che ci suggerisce fin da subito la sua doppia…

(Ogni volta mi piace notare il dettaglio che la pelle della Cloé vivente dei flashback e quella della produzione astrale sono diverse)

Tripla…

Quadrupla faccia.

Okay… Qui dobbiamo andare già con molta calma… Analizzeremo ognuno di questi atteggiamenti di questa povera stella.

Prima facciata: Produzione astrale – “Malinconia kawaii”

Si, è un titolo abbastanza strano. Ma se prendiamo in considerazione come si atteggia in questo stato… Potete capire.

Essendo io una cosiddetta “basic bitch”, l’atteggiamento di Cloé in queste scene mi ha fatto sempre sorridere, è tanto carina lei!
Soprattutto quando ne conosciamo il passato, il giocatore è portato a provare empatia per questa povera ragazza traumatizzata dall’infanzia per via di un mostro che si è ritrovata come padre (che poi ha condizionato l’intera famiglia ad abbandonarla a sé stessa.)

Questo è soprattutto per via dell’elemento con cui vi sto tartassando.

(Scarface, 1983.
Si, si, sono sempre io, Ele, a scrivere questa parte dell’articolo, ve lo assicuro.)

Così come per Pierre (anche se a dirla tutta per me Buriki Clock ha fatto un lavoro magistrale con le espressioni di tutti i personaggi), i potrait di Cloé per via di come è stata strutturata la sua intera espressività facciale tramite i grandi occhi viola comunicano quasi sempre malinconia, anche se ha un design per cui alcuni la considerano una “loli”.

Beh, dopotutto Nanashi No Chiyo stessa, parlando della cugina, ha esternato la sua abilità per il character design anche in un’intervista.

Nubarin’s drawings have different facial expressions depending on the character. A bright character has a cheerful laugh, and a cool character has a modest laugh. It also depends on their personality. You can tell which character they are by just looking at their face without the hair.

Infatti, avrete notato già nel primissimo potrait che vi ho mostrato che ha per la maggior parte del gioco le sopracciglia, anche solo un po’, arcuate. Questo, salvo in alcune espressioni, le dà molte volte uno sguardo perennemente triste, per quanto la bocca sorrida.

Quindi possiamo dire benissimo che il vero dramma di Cloé non è la sua maledizione, che stava “prendendo il sopravvento” prima della sua morte… Di quella, però, parleremo alla fine.

Seconda facciata: Il diario – “Io sono umana”

Queste frasi, per quanto anche didascaliche, non falliscono mai nel rendermi triste. Nel diario di Cloé ci viene mostrata la sua parte più seria e addolorata, quella che ci ha sempre nascosto fino alla fine del gioco la sua produzione astrale.
Cosa dire? Una ragazzina dall’infanzia calpestata, come dissi qualche riga fa, che però ha sempre capito che quel che ha sopportato è ingiusto (a differenza di Pierre, che ha finito per imparare dal suo genitore abusivo).

[…]
“Friendliness, gentleness,
Strangers to my life,
They are there in his face…”

[…]
“I am in love with the things
That I see in his face –
It’s a memory I know
Time will never erase…”
Sympathy, Tenderness
(Jekyll&Hyde: The Musical)[2]

So bene che il tema di quest’articolo è collegato a Façade, ma non mi sono trattenuta dal citare quest’altra canzone del musical.

…Ma che alla fine è finita per fidarsi di quello che (come vedremo nel suo paragrafo e come vi era stato introdotto da PaoGun) alla fine, quando sarebbe tornato da lei per “salvarla”, avrebbe condiviso le frasi in rosso con il suo stesso predatore, colui che rappresenta alla fine quello che è davvero… Sfortuna, chiamiamola così, diversa da quel che intenderemo più avanti come “maledizione”:

L’oggettificazione.

Si, ve l’ho messo in italic, bold e ho reso anche più grande il testo.
È un tema praticamente centrale nel gioco, soprattutto quando si parla di Cloé.
Ve l’aveva introdotto anche PaoGun nella sua parte di articolo, questa ragazza è stata oggettificata praticamente da tutti, a partire dai suoi stessi genitori.

“Non sono la bambola di nessuno”
(lo interpreto anche in generale come “giocattolo”)
Né un animale da compagnia”

“Quell’animale di pezza”
[…]

“Tu esisti per me. Perché sei mia figlia.”

[…E altre frasi simili, ma l’oggettificazione potete capirla benissimo dato quel che Alain ha fatto a Cloé]

“Nessuno la pensa così.
Né papà. Né mamma.
Nessuno.”

“…Non arriva nessuno”

Quindi, dopo questo bel momento quasi strappalacrime…

Come avrà reagito la fragile mente di Cloé a questi traumi collegati alle persone malate della sua vita?

Terza facciata: Cursed Cloé – Le maledizioni come malattie

Ha creato un’altra Cloé.

Ora, finalmente siamo arrivati al main event per quanto riguarda ‘sta ragazza.
Questo è perché sfruttando la facciata della “maledizione” vorrei introdurre un’intera teoria su cui si basa anche il titolo di questa… Parte di paragrafo.

“Le maledizioni come malattie”

Ora, io non conosco così bene la psicanalisi per fare delle diagnosi complete, (quando ci sarà da farle, mi aiuterà Pao) ma ragionando assieme a mia sorella abbiamo tirato fuori questa teoria. Su cosa si basa?

“Insomma, questa rappresentazione e continuo distanziamento che il libro prende, sotto forma di titolo investigativo, dal beneamato da tutti Dott. Jekyll, potrebbe ricordarci sicuramente il livello di distanziamento e demonizzazione che si fa delle maledizioni.”

Disse Pao, nella sua parte dell’“Asso Nella Manica”. Sicuramente le maledizioni vengono prese sia da Cloé, sia da Michel, come “cose” separate totalmente da loro…
Ma secondo me, nel caso di Cloé, questa cosa non è totalmente falsa.

Tornando al classico che abbiamo preso in considerazione per molte parti di questo Back To The Future… Se Jekyll si è separato totalmente dalla sua parte malata e, nel suo caso, anche omicida… Cloé l’ha fatto inizialmente tramite la dissociazione mentale.
Come dissi inizialmente, ha “creato un’altra Cloé” come strategia adattiva per il suo trauma (tenete in mente i termini “strategia adattiva”, torneranno anche nel caso di Michel).

Quindi, per chi sa un po’ come funziona la psiche umana…
Si, Cloé Ardennes soffre di DID, Disturbo Dissociativo dell’Identità.

Per chi non ha capito ancora questo discorso che vi dico, faccio fatica anch’io a spiegarvi, possiamo aiutarci insieme con Wikipedia, anche se non sono consigli clinici veri e propri:

“I sintomi come l’amnesia dissociativa, la depersonalizzazione e la fuga dissociativa sono correlati alla diagnosi del DDI e non vengono mai diagnosticati separatamente.”

Immagino sia un chiaro esempio di “depersonalizzazione”
“Non sono Cloé.”
“La vera Cloé è stata maledetta.”

E se prendiamo in considerazione il fatto che si è dissociata come strategia adattiva… Abbiamo una fuga dissociativa.

“Per fuga psicogena o dissociativa si intende un improvviso, inaspettato allontanamento dal proprio ambiente, con incapacità a ricordare il proprio passato, confusione riguardo alla propria identitàe parziale o completa assunzione di una nuova personalità.”

Assunzione di una nuova personalità, quando ha ucciso suo padre…

Inoltre…

“La maggior parte dei pazienti affetti da DID aveva subito abusi sessuali o fisici
[…]

Credo che tutti i pezzi si uniscano: Cloé è una ragazzina malata, prima di essere una ragazzina “maledetta”.

La maledizione della casa, che ha approfondito Pao nella sua parte di questo grandissimo paragrafo, ha fatto semplicemente in modo di dividere dal punto di vista fisico le due parti nella testa di Cloé, quindi rappresenta appieno la sua dissociazione mentale, che però aveva già fatto in passato, quando sentiva che stava subendo gli effetti di “una maledizione”.

Quindi, Cloé dopo la morte si è divisa in due facciate differenti.
Ma la Cloé che scrisse di tutti i suoi tormenti e dispiaceri nel suo diario, la Cloé che fu segnata davvero dagli abusi subiti… È quella che vedrete se sovrapponete queste due CG.

Cloé non è né un “orsacchiotto”, né un demone se si ribella a questi trattamenti.

Lei non è né lo spirito dolce e quasi santo di una morta, né una bestia sanguinaria consumata da una maledizione. Cloé, alla fine, è solo una ragazza malata. Una persona, come lei stessa sottolinea.

O almeno questa sarebbe stata la morale dell’intero gioco (capirete il perché più tardi) se non ci
fosse stata una certa sottotrama!

Vi suggerisco solo un piccolo indizio. Per chi conosce il musical da cui stiamo prendendo ispirazione può intuire che in tutto questo non abbiamo mai citato un brano….

…Un certo brano che si chiama “Confrontation”. Questo perché Cloé non ha mai avuto la possibilità di confrontarsi realmente con la sua maledizione!

Il suo personaggio aveva un ottimo potenziale ma, come avete visto, tutto quello che abbiamo descritto qui sono facciate. Le numerose sfaccettature della sua personalità non si incontrano mai, non abbiamo mai l’occasione di vedere una vera e propria cronologia del suo cambiamento psicologico.

Il motivo? Beh, lo vedremo nei Difetti dell’Opera il motivo.

Perché questo gioco, oltre alla poca chiarezza (ripetiamo nuovamente che nel paragrafo dedicato spiegheremo ovviamente il perché è poco chiaro) ha anche una falla pesantissima che causa un sacco di contraddizioni e che ha ostacolato la costruzione del personaggio di Cloé.

Per il momento quindi rimaniamo fermi a questo punto e torniamo a concentrarci sull’interpretazione della personalità multipla.

Ora mi direte:

“Mio Dio, se Cloé soffre di questi problemi, Michel che diavolo ha in testa?!”

Lo vedremo presto. E ho paura io, che lo so da anni e devo scrivervelo.

Michel – …Cristo.



…Okay, iniziamo!

Non lasciatevi ingannare dal suo bel faccino. Potreste pensare che è il tipico ragazzo kuudere, infantile, problematico… Ma in realtà è molto peggio.

Michel Alembert. Come posso iniziare a spiegare Michel Alembert?[3]

Per comprendere totalmente questo personaggio… Andiamo dall’inizio della vita che noi conosciamo, va bene? Poi ci allargheremo…

Si, la mia paura di parlare di lui è papabile, perché semplicemente non voglio mancare alcun dettaglio da almeno dieci anni di analisi solitaria (da parte mia e di mia sorella) su questo ragazzo!

Quindi… Si, essendo lui il protagonista, quindi l’unico che ha un character development effettivo, ed essendo anche il personaggio più complesso del gioco… Dovremmo dividere il suo cammino in parti, e dovremo seguire gli eventi cronologici al posto dell’intreccio.

Fase 1 – La diagnosi

Prima di passare al tema principale di questa prima fase, ricapitoliamo qualche elemento cruciale della vita di Michel. Aiuterà con la sua diagnosi finale.

Ovviamente, per come suo padre lo tratta, Michel ha dei dubbi sul fatto che lo stia effettivamente usando.

Con questo dialogo che accade qualche giorno dopo… In cui ci spiattellano l’informazione praticamente in faccia, sappiamo che i dubbi di Michel sono fondati.

Ma il dialogo successivo sarà probabilmente più importante del precedente, dato che è quello che fa arrivare al limite il ragazzo.

“Dopo aver passato i vent’anni, sarà una persona ordinaria.
Meglio usarlo ora, quando possiamo…”

Questa battuta (strutturata anche meglio a livello di dialogo), ovviamente lo segna. Soprattutto per il termine “usare” che ha utilizzato suo padre per parlare di lui.

Qui ritorna un caso più o meno analogo a quello di Cloé, e un altro tema centrale del gioco: lo sfruttamento dei fanciulli, seppur da diversi punti di vista. Lo abbiamo molto marginalmente anche con Charlotte.

Questa scena, dove si confermano i dubbi di Michel sul suo palese sfruttamento, avviene dopo la “morte” della gatta di Michel, Cloé.

Ecco, andiamo per un attimo alla gatta, e il perché l’evento della sua “morte”, aggiunto alla rivelazione dei sospetti fondati di Michel, l’ha fatto arrivare all’estremo (anche se, questo lo vedremo più avanti nella sua diagnosi, lui era un soggetto già disposto).

-Cloé, oggetto transizionale-

Mi sono sentita in dovere di mettere un titoletto a questa parte, seppur rientri nel primo pezzo di questo lungo paragrafo su Michel.

La ricordate la sua gatta, no?

“Sento… Che mi sta confortando, in qualche modo.”

Quel potrait, a mio avviso, è davvero inquietante.
Davvero, per come è veloce il cambio d’espressione sembra un jumpscare.

E sapete cosa vi dico? Che quel potrait è perfetto per la situazione!
Anzi, è più che altro perfetto per la parallela che vi farò vedere più avanti, dato che in questa scena Michel sembra non avere alcuna colpa, dato che si prende cura di un gatto che lo ha aiutato a passare quel momento difficile.

Ma perché allora ho usato termini più “gravi” come “oggetto transizionale”?

“L’oggetto transizionale è spesso il primo possesso “non io” che appartiene veramente al bambino. Questo può essere un oggetto reale come una coperta o un orsacchiotto, ma altri “oggetti”, come una melodia o una parola, possono anche svolgere questo ruolo.”

Beh, si, avete presente lo stereotipo nei film del bambino (magari un fratellino) più piccolo che ha sempre un qualche tipo di orsacchiotto in mano? Ecco, collegate questo discorso a questo.

Ma vorrei collegare questa parte precisa del concetto a Michel…

“L’oggetto transizionale è spesso il primo possesso “non io” che appartiene veramente al bambino.”

Non preoccupatevi, capiremo tutto più avanti con la scena che soprannominiamo “How Filthy”.

Per ora volevo solo introdurvi il concetto dell’”oggetto transizionale” collegato a Cloé… Assieme a quel potrait inquietantissimo.
Come dicevo, rivedremo tutto questo più avanti, e quando rivedrete questo concetto… Ooh, lì inizierà il vero motivo per cui Cloé’s Requiem è un gioco “horror”.

Possiamo però concludere che, molto probabilmente per la mancanza di affetto familiare, (suo padre lo tratta come lo sappiamo, la madre… Non è pervenuta, forse è morta, o qualcosa del genere. Se qualche fonte ci può confermare che la signora di casa Alembert sia deceduta, credo che ciò possa rafforzare ancora di più la mia tesi finale) Michel non sia ancora arrivato completamente alla fase in cui ci si stacca da un oggetto transizionale.

Ora, senza andare in discorsi più clinici complicati e anche inutili, Michel ci è descritto continuamente come infantile.

“…Per via dei tuoi desideri infantili, mi dai sempre un sacco di problemi!”
Qui ancora una volta possiamo notare il come Pierre, pur essendo il fratello minore, guardi Michel dall’alto in basso, avendo capito come funziona il mondo prima di lui.

“È vero. Si lamenta, fa i capricci…”

“…Come un bambino” aggiungerei.

Questi sono solo due esempi. Quindi la tesi di un mancato sviluppo da questo punto di vista, per via della mancanza di affetto (o un improvviso distacco da esso, se la madre dei due fratelli si conferma morta), a questo punto è totalmente possibile.

Ma oltre al bisogno costante di qualcosa che lo conforti, che effetti ha provocato questa mancanza nella vita di Michel, dal punto di vista del suo comportamento?

Aiutiamoci ancora una volta con Wikipedia, come abbiamo fatto con Cloé.

Molti dei punti citati saranno collegati alla scena del suo primo omicidio, quello di Charlotte, anche se non mancheranno punti precedenti a questa.

Attenzione, però. Michel non è sceso completamente nel baratro della comunemente chiamata “psicopatia”. Michel per tutto il gioco è stato un soggetto molto predispostoe che ne stava iniziando a mostrare i sintomi. Semplicemente se non fosse stato aiutato in tempo (come vedremo nella terza parte, “La terapia”) sarebbe combaciato perfettamente con queste descrizioni… Perché alcuni atteggiamenti, anche all’età in cui ci viene mostrato nel gioco, ci si avvicinano paurosamente.

Si, ci siamo arrivati, siamo al titolo di questo paragrafo.

“La psicopatia può indurre a commettere atti di una crudeltà impressionante, in quanto non è possibile alcun feedback sulle emozioni provate dalla vittima.”

“Eh?”
Ma che reazione è, quando vedi una ragazza morente che chiede aiuto?!

La cosa ancora più “bella” è che lui… Se ne va. Fugge. E lascia Charlotte lì.

“Gli psicopatici ottengono soddisfazione dal loro comportamento, e non provano colpa né rimorso per le proprie azioni. Su qualsiasi minaccia o danno causato a terzi, gli psicopatici non provano vergogna né senso di colpa, mentre invece razionalizzano il proprio comportamento, incolpando qualcun altro o omettendo qualsiasi responsabilità”

“Se sono colti in fallo o posti di fronte a domande impreviste, semplicemente rielaborano la propria narrazione per adattarsi alla nuova realtà senza fermarsi a riflettere sulle cose.”

Si, questi pensieri vengono in maniera direttamente successiva tra loro.

“Hare (uno studioso, sembra) scrive di un assassino condannato che ha parlato dei propri omicidi in maniera del tutto spassionata, in un modo disinteressato”

«Ho dovuto rubare a volte per uscire dalla città, sì,
ma io non sono un criminale del cazzo»
-Ted Bundy, famoso serial killer

(Qui abbiamo semplicemente la famosa “propensione alla menzogna” degli psicopatici”)

Ma anche prima di questo momento, i sintomi che Michel mostra come soggetto a rischio ci sono anche in scene come

“Sono noti per rompere le relazioni, i piani e lasciare i lavori a metà

“Generalmente non sono imbarazzati o preoccupati per la mancanza di successo nella vita.”

“Sul posto di lavoro, anzi, sono noti per la frequenza irregolare, assenze frequenti, ed inaffidabilità.”

…Ci sono chiari segni di un soggetto propensoa soffrire successivamente di una forma di psicopatia.

Ma perché sottolineo sempre i termini “propenso” o “a rischio”?

“Gli psicopatici non percepiscono le proprie emozioni come le persone normali: alcuni medici le hanno descritte come semplici “proto-emozioni” ovvero ‘primitive risposte alle esigenze immediate’”

Vi sembra una proto-emozione, questa?

Delle reazioni come queste combaciano con quest’altra frase?

“Anche se gli psicopatici non sentono le emozioni in profondità, spesso fingono di farne esperienza.”

Assolutamente no.

Ecco, ricordate questa parte? Dove la citazione diceva:
“Se sono colti in fallo o posti di fronte a domande impreviste, semplicemente rielaborano la propria narrazione per adattarsi alla nuova realtà senza fermarsi a riflettere sulle cose.”

C’è un’incongruenza. Michel in realtà riflette sulle sue azioni, le domande di cui ri-elabora le risposte se le fa lui stesso.

Inoltre, mostrandovi gli screenshot di prima, volevo farvi notare che in Michel non si è ancora sviluppato completamente l’elemento principale che contraddistingue gli psicopatici: la mancanza di empatia.

Anche se dimostra molte volte (soprattutto nelle situazioni che gli danno fastidio) un comportamento distaccato (diamine, lo stereotipo del kuudere su cui è basato trova le sue fondamenta in questo!) non si vede mai, a parte durante i suoi scatti di violenza, una mancanza totale di empatia nel personaggio.

Ma anche se abbiamo questi segni che ci possono far tirare un sospiro di sollievo nella sua salute mentale… Beh, il suo personaggio viene messo spesso in parallela con quello di Alain Ardennes, uno dei più grandi mostri che abbiamo visto in questo gioco.

Fase 2 – I danni

“Sympathy, tenderness,
Warm as the Summer,
Offer you their embrace.”

“Friendliness, gentleness,
Strangers to my life,
They are there in this face”

“Goodness and sweetness
And kindness
Abound in this place!”

(Immagini dalla produzione di Jekyll&Hyde del 2012 con David Hasselhoff)

[…]

Sympathy, Tenderness (Reprise)
(Jekyll&Hyde: The Musical)

Lo so, con quest’introduzione vi avrò fatto venire un infarto… Ma vi sarà spiegato tutto. Per ora, concentriamoci sull’ultimo screenshot.

“Ti amo.
…Buona notte, mia Cloé”

Anche all’inizio del gioco Michel ha una frase in rosso simile, dove considera Cloé come “sua”.

L’avete vista anche nell’introduzione del suo paragrafo, no?

Cosa? “Non è sua?”
“È detta da Alain?”
“Stai male interpretando tutto?”

Ah… Devo ricordarmi di non avere a che fare con chi si è giocato Cloé’s Requiem almeno 10 volte.

Allora… Partiamo dai fatti successivi alla scena del suo primo omicidio, va bene?

 

“Ho ucciso un animale per divertimento. Poi sono diventato dipendente. Ci sono sempre gatti ed uccellini morti in camera mia.”
-Diario di Alfred Drevis, Mad Father

“Le loro vite non valgono così tanto…”
(Parlando di un criceto)
-Yuuya Kizami, Corpse Party: Blood Covered

“Precoce sadismo, spesso espressa come crudeltà verso gli animali”

Okay, avete capito quanto può essere grave la sua situazione?
Bene, passiamo a qualcosa di ben peggio, che vi aiuterà a capire il significato della frase “Mia Cloé, mia e mia soltanto” collegata a Michel.

“E’ come se l’avessi uccisa”

…Anche se, per dire, poteva essere sopravvissuta scappando e quindi poteva anche essere viva.

“Se mai tu dovessi andare via da me… Anche se avessi vita, per me sarebbe come se fossi morta.”

Questa frase c’è dopo il primo flashback di Cloé, quello con la Moonlight di sottofondo. Alla fine dello spettacolo e convenevoli finali, prima di scendere al piano terra illuminato… C’è questa frase, totalmente fuori contesto.

Non credete che questi ultimi screenshot si colleghino fin troppo bene alla situazione di Michel con la sua gatta?

“È andata nelle montagne da sola, senza di me. Quindi per me è morta.”

Quindi, se entriamo nella mentalità che le frasi in rosso, che sembrano totalmente fuori contesto, sono in realtà specchio delle situazioni di Michel e pensieri di Alain, alla fine…

Si, il gioco ci da una correlazione palese tra i due.

Non preoccupatevi, prendetevi un tè. Vi faccio attutire il colpo…

Perfetto, break time finito! C’è ancora tanto da dire, dai!

Ma a cosa serve questa correlazione? A farci inquietare ancora di più quando parliamo di Michel?
…Non esattamente.

“Ahh e dai! In quella scena Michel era stato posseduto da Alain, il collegamento è ovvio che ci sia!”

Uhm… Più o meno.

Per arrivare a quel momento, che analizzeremo più tardi, si passa per vari stati…

(Si intende Cloé. Hm… Gli fa recuperare sanità mentale… Ci arriveremo più tardi.)

(Questa opzione di dialogo è possibile ottenerla PRIMA di aver letto il diario di Cloé)

“Ma sei normale?”
-Io, Ele, dopo aver avuto questa opzione, circa un anno fa

“No! Non lo è!”
-Io, a scrivere quest’articolo alle 18:02 del 29/12/2020

Questa opzione apparentemente inutile… O fatta solo per far vedere Michel arrossire, in realtà è mooolto preziosa per la scena che ora analizzeremo…
Finalmente, ecco a voi la scena di cui nessuno sembra aver capito niente

– “How filthy” –
oppure
 –Cloé, oggetto transizionale: Parte 2-

Quindi, abbiamo già appurato che Cloè (si, per comodità d’ora in poi differenzierò le due dall’accento… La gattina nera avrà l’accento grave – Quindi Cloè, la ragazza quello acuto- quindi Cloé) ha svolto la funzione di oggetto transizionale per Michel nella sua vita, finché essa non è “morta” ai suoi occhi.

Ma hey! Una ragazza con i capelli scuri e atteggiamento innocente è ancora viva!

Una cosa che alcuni hanno capito è stata questa.

Michel, malato com’è, pensava che Cloé fosse la reincarnazione umana di Cloè.

Si, questo ragazzo ha pensato veramente che Cloé fosse la reincarnazione di un gatto!

…Almeno, secondo questa teoria.

Quella che vi presenterò, invece, credo fili di più con il suo ragionamento.

Ora, ricordiamo sempre il discorso dell’oggetto transizionale.
Michel non pensava esattamente che Cloé fosse la reincarnazione della sua gatta, ma ha inconsciamente (almeno, prima della scena da cui viene lo screenshot di sopra) reso Cloé una sostituta del suo primo oggetto transizionale, Cloè.

Questo ragionamento spiegherebbe questa scena.

[……..]

“L’oggetto transizionale è spesso il primo possesso “non io” che appartiene veramente al bambino.”

Ricordate?

Quindi possiamo intuire che avendo preso Cloé come suo “oggetto” di conforto, vedere l’album di fotografie del padre l’ha resa “impura” ai suoi occhi…

Ormai Michel aveva collegato la ragazza a qualcosa di bello, qualcosa di puro, innocente e sicuro. In quest’esatta scena, lui si ritrova a smitizzarla, descrivendola come “sporca”.

Una motivazione aggiuntiva potrebbe essere il perché qualcun altro l’aveva toccata. In quasi ogni senso possibile.

Quindi l’ha letteralmente usata come oggetto di conforto, arrivando anche alla possessione.

“Ma come? Anche Michel era stato sfruttato e trattato come uno strumento, com’è possibile che abbia trattato Cloé così?”

Torniamo per un attimo a Michel e la rivelazione (oddio, adesso, “rivelazione” …) dello sfruttamento da parte di suo padre.

“…Quindi sono così le cose.”

Mi prendo la libertà di interpretare questa frase con: “…Quindi così gira il mondo.”

Ricordate il caso di Pierre?

“Questa così grande integrazione nell’ambiente viene ovviamente dall’esempio di uomo che Pierre ha avuto per tutta la sua vita, suo padre: classico uomo del tempo molto distaccato verso i figli, anzi disposto a sfruttarli per risalire dalla sua perdita di denaro.”

In questa scena si ha l’esatto momento in cui si verifica la stessa identica cosa.
Seppur lo disprezzi, dato che “alla fine è così che va nella società” Michel ha inconsciamente oggettificato Cloé a sua volta come strategia adattiva per gli abusi subiti.

E questa frase lo spiega.
“Perché devo essere usato da uno così?”
E soprattutto, aggiungo io…
“Perché devo essere io quello che viene usato?”

Quindi, dopo essere arrivati a questa conclusione con Michel… Pensiamo a quella povera ragazza, pensiamo a Cloé. Mio Dio, non fugge mai da questa cosa! Non fugge mai dall’essere oggettificata!

Sua madre, suo padre e Michel…

Tornate per un po’ indietro, quando mia sorella vi ha parlato della fotografia di Cloé’s Requiem.

“La tinta schermo che si fa prima scura e poi sempre più rossa supporta la visione della realtà estremamente psicologizzata del ragazzino, perché in questo punto particolare della trama la regia è tutta è incentrata sui personaggi che sono le vere star del gioco.”

Abbiamo un caso molto più sottile in questa scena… Anzi, nell’intera stanza di Alain.

Le tinte sono blu, quasi violacee. A suggerirci una dimensione parallela e demoniaca, se vogliamo esagerare con l’immaginazione… Ciò è perché il gioco ci tiene a farci, appunto, demonizzare il più possibile Alain come figura, come se fosse una bestia.

Torniamo ancora una volta dal romanzo da cui abbiamo preso riferimento per tutto l’articolo. Pensavate che Michel non c’entrasse nulla con il discorso del doppio, eh?

(Avrei tanto, tanto voluto farci un disegno…
Ma per mancanza di tempo, ecco questo.)

Ed eccoci tornare all’inizio di questo lungo, lungo paragrafo!

Spero che sia stata chiara con questo discorso. È stato davvero difficile per me da fare, essendo anche molto complicato e che toccava un sacco di temi diversi e un sacco di scene diverse…

Quindi, prima di arrivare alla sua terapia, che equivale alle fasi finali del gioco…

Ricapitoliamo quanto diavolo è problematico questo qui, tramite un semplice elenco con un solo screenshot o due ad accompagnare ogni punto… Dove spiegherò anche meglio alcuni dettagli.

  • Michel, essendo sempre stato sfruttato da suo padre, ha sviluppato alcuni sintomi per cui si può intuire che sia un ragazzo che rischi di diventare psicopatico avanzando con l’età.

(Tra cui grande infantilità e alcuna preoccupazione su eventuali insuccessi nella vita, come in questo caso lavorare per suo padre)

  • Inoltre, l’affetto che non ha mai avuto nella sua famiglia (o da cui si è staccato improvvisamente) gli dà il bisogno costante di attaccarsi a qualunque cosa possa collegare a sentimenti positivi, rendendo quindi la prima gatta che trova in casa sua il suo primo oggetto transizionale, a cui dà il nome Cloè.

  • Dato tutto quel che è successo con suo fratello, la scoperta che i suoi dubbi sul fatto che venisse sfruttato fossero fondati e la morte della sua gattina, Michel compie l’atto estremo contro la cameriera Charlotte.

  • Questo è il suo breakpoint, quello che aumenta ancora di più il rischio che diventi irrecuperabile, rendendolo persino disinteressato all’atto dell’omicidio. Quindi, in automatico, rendendolo disinteressato al valore della vita umana.

  • Per scappare da casa sua arriva a casa di Cloé. Il voler aiutarla e l’essere gentile con lei da parte di Michel derivano dal fatto che, somigliando in “innocenza” alla sua gatta Cloè, lui inconsciamente abbia trasformato Cloé nella sua testa nel suo secondo oggetto transizionale.

  • In breve, lui l’ha oggettificata, come ha sempre fatto suo padre con lui, e come ha fatto il padre di Cloé nei confronti della figlia. Questo dà al gioco la possibilità di fare un inquietante parallelismo tra i concetti espressi da Alain e i concetti espressi da Michel, che sono identici in più scene.

  • Quindi Alain può essere la parte “bestiale” di Michel, per via dei suggerimenti dati dalla regia e la stessa possessione e oggettificazione che hanno fatto nei confronti di Cloé, cosa che purtroppo li unisce.
    La tesi del doppio si rafforzerà ulteriormente quando parleremo del combattimento finale contro di lui.

  • L’unica cosa che li differenzia è il motivo dell’oggettificazione di Cloé:
    Michel ha, come fanno molti ragazzi non diagnosticati e/o curati dalle malattie subite tramite abusi, ritorto il suo trauma dell’oggettificazione contro Cloé, come strategia adattiva. Per Alain, era solo mera e malatissima lussuria.

  • Questo spiega “How Filthy”, la scena dell’album di foto:
    Michel, avendo reso Cloé il suo secondo oggetto transizionale, quindi qualcosa di bello, carino, innocente e positivo per forza… Quindi non considerandola neanche più come una persona con i suoi problemi, è più scosso del normale mentre vede l’album di foto di Alain, e la sua considerazione di Cloé si abbassa al punto di considerarla “sporca”.

Vaaaa bene… Quindi, da questo punto…
Come si evolve il tutto? Come ha Michel il suo percorso di redenzione?

Fase 3 – La terapia finale

Okay… Da questa parte in poi possiamo riprendere aria, seguiremo più o meno i fatti cruciali in maniera più o meno perfettamente cronologica.

Durante questo momento…

Per far andare avanti la storia è necessario andare in camera di Cloé.

[…]

E dico, a questo punto, dato che Michel non l’aveva considerata come umana fino al momento che vedremo adesso…

Cloé, cara, pensavi che lui dovesse salvarti?!
LUI?![4]

Ma tornando a noi…

Ecco, da questa scena in poi inizierà quella che chiamiamo la terapia di Michel, per far ripristinare valori che per tutta la sua vita ha solo perso.
In questa scena recupera il più grave: la considerazione della vita umana, che aveva perso con l’omicidio di Charlotte.

“Cloé è uguale a me”
A pensarci, avendo buttato giù l’intera seconda parte in una giornata (che sto continuando adesso, attualmente sono le 21:30), questa frase mi colpisce ancora di più dopo aver descritto Michel come quello che non aveva considerato neanche più Cloé come una persona… Ora la considera sua pari.

[…]

Pur essendo una forzatura grande come una casa per far leggere al giocatore la nota “dietro il pianoforte”, possiamo interpretarla come una “prova del nove” che Michel fa, per testare la sua salute mentale… E anche, volendo, la sua empatia. L’empatia, l’unica cosa che alla fine non ha mai perso e che l’ha salvato dal far progredire la sua latente psicopatia.

Okay, etichetterò questo potrait come “lo sguardo dell’uomo pentito”

Finalmente Michel è sicuro di poter guarire completamente da ehm…
I suoi desideri egoisti, dice lui…

Dalla sua malattia, diciamo noi.

Quindi, anche solo per senso del dovere verso Cloé, si va a scusare.

La risposta di Cloé rappresenta un po’ il giocatore (tra cui me, alla prima giocata!) a quest’intera scena.

 

Davvero, la youtuber italiana che io e Pao abbiamo seguito la prima volta che adocchiammo questo gioco ha reagito con un

“Okay, uhm…E quindi?”

Ma questa cosa la approfondiremo nella seconda parte dell’articolo, nei Difetti (difetti ENORMI, direi) dell’Opera.

Per ora concentriamoci su una cosa… Ricordiamoci, Cloé è rimasta ignara di tutta la concezione malata che aveva Michel di lei…

È una cosa davvero fottuta, a pensarci!

Cioè, se avesse saputo quel che Michel pensava di lei, se lui non fosse mai cambiato e la trama sarebbe andata avanti… La loro relazione sarebbe stata, a insaputa di un sacco di giocatori che ci avrebbero fatto fanart su fanart, tossica a livelli altissimi!

Io… Ragazzi per favore non fatemici pensare, a me Michel fa già paura come persona, pensare che la sua mente bacata si è curata è l’unica cosa che non mi fa cadere in depressione.

Quindi, pensiamo ora alla continuazione del suo cammino verso la sanità mentale…
Si, perché ha ancora una piccola cosa in sospeso da sistemare…

Che non era assolutamente quella rappresentata in questa scena!

Aahh, se il terzo atto di Cloé’s Requiem potrebbe essere messo, per me, nei Difetti Dell’Opera in quasi la sua totalità, questa è una delle scene peggiori!

“Almeno finchè le autrici dicono che mi serve più screentimeee…”

Okay, ci arrabbieremo poi con questi tipi di scene nei Difetti Dell’Opera…
(Vi sto mettendo hype, eh?)

Allora… Prendete quest’interpretazione con le pinze, perché la mia opinione generale di questa scena è che è stata fatta solo per dare più screentime a Charlotte, dato che nel primo piano c’era la stanza con gli occhi a lei dedicata…

…E per far vedere che Michel aveva ucciso suo padre ed un’altra cameriera…

Da questa frase, probabilmente, se prendiamo in considerazione quel che abbiamo detto con Cloé, delle “Maledizioni come malattie” … Si, essendo stato proprio l’omicidio di Charlotte il “breakpoint” di Michel, nel pieno di un suo scatto d’ira…

Si, probabilmente è proprio la rappresentazione del suo rischio di psicopatia…?

Il problema è che Charlotte non si presenta in una fase in cui Michel magari è ancora in dubbio, o sta ancora male… Ma bensì quando è “già in terapia”, quando si sta già redimendo. E inoltre, anche se Charlotte fosse la sua psicopatia latente, Michel non la affronta… All’inizio scappa, poi sta lì impalato, con la povera Cloé (che letteralmente “spawna” nella mappa) ancora ignara di tutto gli chiede:

“Per cortesia, con tutto il rispetto, mi dici che c’hai in testa?!”

Quindi… Si. La “scena grigia” non ha senso.

Così come gli enigmi che avremo dopo di essa… Quindi saltiamo direttamente alla scena importante, okay?

(A parte questa frase, che rafforza secondo me tutte le tesi della parte sui danni della malattia)

Ah e si, la scena con il Notturno di sottofondo serve solo a “svelare” che Cloé e Michel avevano già suonato insieme, quindi salteremo a piè pari anche quella…

E ancora enigmi inconcludenti…
Oddio! Ora capite, in parte, perché nei difetti metto quest’intera fase, personalmente!

Ah, ora finalmente, prima di arrivare alle fasi finali (dal “combattimento” contro Alain in poi, anche se non parlerò dei finali per la stessa ragione che spiegherò sotto) …

“Ma l’intera sottotrama dell’odio di Michel verso il violino?”

Mi spiace non avervelo detto prima, ma quella sarà quasi totalmente nei Difetti Dell’OperaCosì come i finali del gioco, assieme a tutti i passi per ottenere quello vero, ovvero avere l’amuleto protettivo…

Dato che l’odio di Michel verso il violino e non verso sé stesso me lo spiego come se fosse un semplice sintomo ulteriore della sua psicopatia (è stato già citato con Charlotte il “non incolpare sé stessi ma persone o cose terze”) e i finali fanno parte della confusionaria sottotrama soprannaturale del gioco

Avranno la loro sezione.

Ma ora stiamo continuando ad analizzare il cammino di Michel verso l’essere una persona decente.

“Anche questa scena è inutile! La maledizione di Cloé la romperai confrontando quella con i capelli bianchi, che c’entra lui?! Che ha quella là, due maledizioni?!”

No che non le ha…! L’ho detto, parlando di lei!

Sfortuna, chiamiamola così, diversa da quel che intenderemo più avanti come “maledizione”: L’oggettificazione.

“Oh Dio, ancora?”

Eh si, ancora! Ma qui ritorna il tema che avevo detto nella seconda parte di questa analisi lunghissima su Michel, maledetto, D’Alembert!

Sono tre volte che vi metto questo edit in quest’articolo…
Wow.

La sua “parte bestiale” Michel deve ancora disintegrarla completamente, e in questa scena Alain rappresenta un concetto che vi ho introdotto nel re-cap dei concetti della seconda parte dell’analisi.

“Michel, essendo sempre stato sfruttato da suo padre, ha sviluppato alcuni sintomi per cui si può intuire che sia un ragazzo che rischi di diventare psicopatico avanzando con l’età.”

Alain rappresenta proprio questo rischio e sconfiggerlo comporta l’avere la risoluzione di aver recuperato i propri buoni ideali, e di non cadere più negli stessi sbagli in futuro.

Infatti, in un cosiddetto “finale cattivo”, ovvero una terapia fallita secondo la mia visione del gioco, Michel dice di essere “lo stesso di quella volta”:
in breve, dice palesemente di aver fallito nell’essere cambiato, e che diventerà sicuramente un soggetto pericoloso in futuro.

Quindi… Un colpo, due colpi, tre colpi con il martello…

Già, bello, potevi diventare come lui da grande.
Brutta sorte, brutta sorte.

Perfetto, finalmente Cloé viene rilasciata dalla sfortuna che la fa essere sempre presa come un oggetto da tutti…

E soprattutto Michel-

Oh! Si è risposto da solo! Almeno una volta mi hai aiutato a capire che diavolo pensi… Stronzo!

Si, quell’insulto proviene da tanti scleri repressi verso di lui… Entrare nella testa di Pierre mi ha fatto male, eh?

Si! Era quella la causa delle vostre “maledizioni”! L’oggettificazione! Lo sto ripetendo fino al vomito!

Quindi, grazie a questa santa frase, possiamo capire che Michel ha finalmente compreso chiaramente che la sua intera strategia adattiva per porre rimedio a quel che ha sopportato da parte di suo padre in realtà è una cosa sbagliata da fare, che causa odio, relazioni sociali tossiche destinate a finire malamente e sofferenza da parte di chi ti sta davanti!

Prendiamoci un momento per fare un applauso a Michel, che è riuscito a risolvere tutti i problemi mentali di circa, che ne so, otto anni di vita (non so quando ha iniziato a suonare ed essere sfruttato) in una sola notte!

…E che ora, dal True Ending in poi, dovrà fare i conti con un senso di colpa che lo tormenterà per tutta la vita probabilmente, in carcere e pure orfano.

….C’est la vie.

Davvero, rendiamoci conto dell’evoluzione psicologica che ha avuto.

Da questo…

A questo…

A questo!

Il nostro viaggio, assieme a quello di Michel, è stato bello lungo da percorrere…
Ne abbiamo passate tante, solo nell’analisi del suo personaggio, non pensate?

Michel, essendo il personaggio principale, ha avuto un character development a mio avviso davvero magistrale, seppur intermezzato da delle parti anche what-the-fuck, e altre inesorabilmente rovinate dalla trama confusionaria (motivo principale per cui non parlerò dei finali).

Ma da come avete visto nel resto dell’articolo, Cloé’s Requiem vanta in generale di un cast veramente d’eccezione, con quasi tutti i personaggi sfaccettati in maniera davvero-

“Malata! Sono tutti dei malati alla fine, per te!”

Karen, di nuovo?![5]

Ecco, ora mi spiego meglio… Personaggi di cui seguire gli avvenimenti (soprattutto in una storia così character-driven, come disse già mia sorella!) è ogni volta davvero interessante, date le loro situazioni e contesti complicati che hanno creato persone… Si, persone davvero fottute!

La regia, poi, per chi è piaciuto questo gioco con tutti i suoi elefantiaci difetti si dimostra in molte parti interessante e che tratta secondo me con poco dramma temi così complessi su cui altre opere drammatizzerebbero un sacco, nel modo sbagliato e inutilmente, rendendo l’opera di cattivo gusto.

Quindi… Si, almeno secondo la mia opinione personale…
…E la smettete di puntarmi i forconi?
Cloé’s Requiem non è perfetto. Ma proprio no. Cioè in certe parti rasenta lo schifo…

Ma, per questi elementi che vi abbiamo descritto, e che possono o no aver attirato il pubblico (perché ho giusto un piiiiccolo sospetto che sia stato attirato solo dal melodramma), io azzardo a dire che rimarrà uno dei miei RPG Horror preferiti.

…Di cui nella seconda parte scopriremo tutto lo schifo che lo circonda, e saremo arrabbiate entrambe come belve!

“At the end of the day,
They don’t mean what they say,
They don’t say what they mean,
They don’t ever come clean –
And the answer –
Is it’s all a Façade!”

_____________________

[5] Chi avrà letto l’ultimo devlog su The Rebirth Of Franklin Albrecht saprà che ci riferiamo a una persona immaginaria costantemente incazzata con noi

[4] Ciao! Sono una PaoGun selvatica e sono qui per linkarvi un’altra versione della scena del musical di cui Ele vi ha messo gli screen. Vi rimando a questa: Sympathy, Tenderness (reprise) \ Confrontation – Jekyll & Hyde, è la rappresentazione del 2015 con Frank Fernandez ne ruolo del protagonista. Volete soffrire d’insonnia per il prossimo mese? Bene. Ascoltate tutto il pezzo e pensate che quegli urli che sentite nel video da parte della povera vittima sarebbero potuti appartenere anche da Cloé, per colpa dello stesso Michel. Insomma: Hyde uccide Lucy quando scopre che vuole scappare da lui, c’è la reprise di una canzone che era appartenuta a tutte le speranze che questa persona rappresentava per la ragazza, e tra l’altro in un punto del brano sentiamo la voce dell’assassino farsi più acuta del normale, come quella di un bambino. È molto diverso rispetto all’idea della “grande ombra dalla voce rauca” che sentito finora.

[3] Da “Non lasciatevi ingannare…” a “Come posso iniziare a spiegare Michel Alembert?”: Citazione a Janis Ian dal film “Mean Girls”, mentre parla dell’ugualmente indescrivibile Regina George

[2] Nel musical questa canzone ha una ripresa. Ciò succederà anche in quest’articolo.

クロエのレクイエム

Cloé’s Requiem (1° PARTE) – ll business dei fanciulli, le nuove star dell’Horror RPG

Vogliano i signori accomodarsi per poter ricevere il nostro più caloroso benvenuto. Or bene, i ragazzi per cui siete probabilmente venuti a leggere suddetto articolo preformeranno a breve per voi, per farvi saziare delle loro capacità artistiche e non.

Ah, ho detto forse qualcosa di sbagliato?

Ma cosa potrebbe importarvene miei cari in questo momento, diamo il via alle danze e lasciamo che l’introduzione cominci!

Per cominciare a narrarvi questa storia, essendo amanti sia dei classici letterari che dei musical, non abbiamo trovato un modo migliore che “Façade” per raccontare dal punto di vista europeo un gioco ambientato in Europa.

I nostri complimenti sono rivolti alle autrici per la scelta del contesto storico! È così distante da noi, più di due secoli ci separano ormai da quegli individui e da quegli ideali. Capiamo bene che ne avrete sentito la nostalgia…

Quali tra queste società che era quella delle metropoli di tardo secolo ottocentesco ispirati dal puritanesimo vittoriano (e se non oltre, date alcune scoperte scientifiche che si vedono nel titolo) era migliore per raccontare la trama di questo gioco!

Quali tra queste se non una società che mente a sé stessa, affetta da falsità e malizia.

Questi erano perlomeno i temi che riguardavano il libro da cui il brano è tratto, mettendo al centro il dualismo dell’individuo, che in uno dei classici letterari neogotici per eccellenza, “Lo strano caso del Dr.Jekyll & Mr.Hyde”, si scinde a metà.

Egli lotta contro il suo lato più ripugnante fino alla morte; così racconteremo la storia di come due ragazzini prodigi nel mondo dell’intrattenimento –del panorama musicale, si intende– lottano contro i cattivi sentimenti manifestati sotto forma di maledizioni.

INTRODUZIONE

Okay, eccoci qui ragazzi. Perdonate questo “prologo” un po’…Stralunato rispetto a tutte le normali introduzioni che abbiamo fatto. Probabilmente sarete molto perplessi dai concetti che abbiamo appena espresso nell’articolo, oltre che dalla copertina per la prima volta totalmente disegnata da Ele! A proposito, speriamo che vi sia piaciuta.

Cosa potremmo dirvi se non scusarci da un lato e chiedervi di seguirci per comprendere di cosa parliamo quando ci affacciamo a questo titolo.

Cloé’s Requiem è stato per noi una grandissima fonte di ispirazione per la storia, la regia e il racconto dei personaggi (e ci abbiamo chiamato pure la nostra gatta con questo nome!) ed è stata altrettanta fonte di frustrazione per le operazioni di marketing che ne sono conseguite, quello che potrete notare è come gli effetti dell’inserimento del genere nella dimensione più consumista e commerciale si siano fatti sentire per un titolo del genere.

Siamo qui per sviscerare assieme la storia e le caratteristiche di un altro Horror RPG assieme a voi. Quello che possiamo promettere a chiunque decida di seguirci fino in fondo è che seguirà una storia che, crediamo, non dimenticherà facilmente.

Benvenuti alla parte prima dell’articolo su

Cloé’s Requiem

Salve! Salve! È EleRantula che vi parla!

Bene, ragazzi, iniziamo quest’epopea!

Seppur Buriki Clock non sia arrivata ai livelli di fenomeno mediatico di Makoto Sanada, hanno rilasciato ben due interviste su Cloé’s Requiem: una su Famitsu, una per Nicovideo (pare che abbiano partecipato ad un festival proprio organizzato da NicoNico, ma ne parleremo più avanti).

Ma! Per arrivare a quelle dovremmo aspettare al “Rapporto Autore-Opera”, che sarà presente alla seconda parte di questo lunghissimo articolo.

Quindi, per essere più tecnici e ordinati possibile riguardo alla development history iniziamo grazie al loro sito (e grazie, come ogni volta, anche alla traduzione inglese di Google Traduttore, che per quanto maccheronica mi aiuta enormemente) a vedere come esattamente è nato e cresciuto il gioco, per poi allargarci ancora di più nei vari argomenti, che toccheranno poi punti sparsi di questa lista.

Beh. Una lista niente male.

Quindi, iniziamo nell’ottobre del 2013, dopo il primo titolo di Nubarin “Kusoge Story” (letteralmente, ‘Storia terribile’, essendo “Kusoge” un termine giapponese per un videogioco terribile) di cui non ho neanche attuali tracce se non la pagina di Freem!

Credo che oggi la Storia Del Prodotto sarà bella lunga… Oh mamma, è da dividere in parti.

Parte 1: 2013: Un inizio medio per un gioco medio.

2013

“Cloé’s Requiem è stato rilasciato”

Il gioco uscì il 2 Ottobre del 2013, rilasciato su Freem! come molti altri del genere, ed è 11° nei rank di download del sito.

Anche qui, sappiamo l’identità delle autrici del gioco… O almeno come si fanno chiamare: Nubarin e Nanashi No Chiyo (anche se personalmente, dato che viene chiamata Chiyo Nanashi in molte interviste, sospetto che Chiyo Nanashi sia il vero nome del secondo membro di Buriki Clock, il team che formano queste due autrici).

Secondo la pagina Wikipedia Giapponese:

“La produzione è iniziata alla fine di luglio 2013 e Nubarin ha dichiarato di “voler realizzare un gioco horror utilizzando un edificio in stile occidentale.” All’inizio dello sviluppo, il protagonista doveva essere uno scultore, ma poiché Nanashi studiava musica a scuola, è cambiato in un musicista e il gioco è diventato un’opera con il tema della musica classica.”

Inoltre, sembra che Nubarin sia stata ispirata da The Witch’s House.
Cosa diavolo ha a che fare questo gioco con The Witch’s House a livello di sostanza? Non lo capirò mai.

In ogni caso, dopo l’uscita il gioco prese moltissima popolarità.

“E perché mai?”

Beh…

2013

“Cloé’s Requiem vincitore del ‘Fighting Fighting Award (Horror Classic Award)” al Nico Nico Self-made Game Festival 2”

Ecco qua il perché!

Cloé’s Requiem ha partecipato al NicoNico Self-made Game Festival. Esso è un evento di showcase per giochi indipendenti; a quanto ho letto dalle regole, tutti possono parteciparvici… Così come il nostro team Buriki Clock.

Ottenne il “Fighting Spirit Award” (O “Classic Horror Award” o “Fighting Fighting award” … Vorrei davvero sapere il giapponese per queste cose) e seppur per vedere il titolo bisogna passare per molti altri giochi che hanno vinto in questa categoria, sembra che questo premio all’evento online organizzato da NicoNico dedicato agli indie games abbia dato a Buriki Clock la spinta necessaria per aver fatto la sua sottospecie di boom o, in generale, più visibilità.

E infatti…

2013

“Cloé’s Requiem viene introdotto al pubblico, venendo messo sul mensile ‘Comptiq’”

 

PROBABILMENTE questo numero, essendo uscito il gioco a inizio Ottobre, ed essendo questo un numero stampato a inizio ottobre

Comptiq è una rivista giapponese che tratta principalmente di giochi per computer, pubblicata da Kadokawa Shoten.

“Chi?”

Si chiederà chi non bazzica molto nel panorama nipponico riguardante la promozione/pubblicazione di opere di finzione.

Da Wikipedia: Kadokawa Shoten è un editore e divisione giapponese di Kadokawa Future Publishing con sede a Tokyo, Giappone. Kadokawa pubblica manga, light novel, manga serializzati come Monthly Asuka e Monthly Shōnen Ace e riviste di intrattenimento come Newtype. Dalla sua fondazione, Kadokawa si è espansa nel settore multimediale, in particolare nei videogiochi (come Kadokawa Games) e nei film live-action e animati (come Kadokawa Pictures).

Abbiamo già citato questa… Multinazionale, sembra, nell’articolo su Yume Nikki. Ma tenetela a mente, ci servirà soprattutto per la seconda parte di quest’articolo, nel Rapporto Autore-Opera, assieme all’Enterbrain.

Quindi, seppur non mi sia chiaro quanto spazio abbia avuto, se è stato scritto solo un breve articolo o un’intera scheda di presentazione, nel 2013 (ho cercato disperatamente il mese tramite le copertine delle edizioni di Comptiq che uscirono in quell’anno, ma non ho trovato nulla data anche la mia nessuna conoscenza del giapponese) Cloé’s Requiem comincia ad espandersi in Giappone, fino a…

Parte 2 – 2014: La Supernova.

La partecipazione al festival di NicoNico e il successivo articolo (immagino) su Comptiq hanno portato, come dicevo, Cloé’s Requiem ad una visibilità più che buona, fino a…

2014

“Intervista per Nico Nico Self-made Game Festival Game Creator”
“Intervista per Famitsu”

“Cloé’s Requiem allo stand NicoNico del Tokyo Game Show 2014”

Secondo la sezione “Media” della pagina Wikipedia giapponese, nella sezione NicoNico del Tokyo Game Show del 2014 è stato esibito proprio questo gioco:

 

O meglio, la light novel che lo riassume, di cui parleremo più tardi.

Con tanto di articolo che porta il nome di:

…Discuteremo di questo nel Rapporto Autore-Opera, però.

Ma inoltre… Okay, davvero? Dopo così poco tempo dall’articolo su The Forest Of Drizzling Rain devo ri-fare questa stupida scenetta in cui elenco ogni singolo modo in cui i poveri giochi di cui trattiamo vengono spremuti?

Va bene, va bene, fa ridere… Geez…

Inspirate assieme a me…

Un’apparizione nella Mezamashi TV Giapponese (oh, è nuova questa), due novel (a mio avviso, entrambe… Con poche parole con cui descriverle. Una l’avete vista nell’immagine sul Tokyo Game Show), un piccolo comic sulla rivista “Almost Free Game Magazine”, circa tre interviste (aggiungiamo un’intervista per Mole Games, dopo il Tokyo Game Show), una parte della Casa Stregata del NicoNico Chokaigi del 2015 (l’abbiamo già citata con The Witch’s House e Ao Oni), un manga chiamato “Cloé’s Requiem -rêveur-” (che racconta però tutta un’altra storia, eh?!), una collaborazione con il Princess Cafè di Tokyo e-

Che? Non mi credete? Sono serissima! Queste cose vanno forte in Giappone!

Ahem, quindi… Mi avete interrotta proprio quando dicevo il pezzo forte…

AAAHHHH!

Scusate, mi si gela il sangue solo a vederlo.

Capirete meglio il perché più avanti… Io vi posso solo dire che, come vedete, i due gatti introdotti anche poco nel gioco sono stati umanizzati.

Si, non cercate di trovare il senso in queste operazioni di marketing, non spremetevi le meningi sul senso di questo elemento narrativo…Non ancora.

Okay… Quindi, avete ormai capito che Cloé’s Requiem nel 2014 ha avuto praticamente ogni tipo di successo possibile, tanto da generare anche uno spin off/storia extra.

Dato questo, volevo parlare ancora del fenomeno della “Supernova”.
Ne aveva già parlato mia sorella nell’articolo su Mad Father, e si basa su una domanda molto semplice.

“Il successo è continuato?”

Nel caso di Cloé’s Requiem…

No. Ve lo dico in modo secco.

Il successo della casa di produzione, dopo i primi due anni dall’uscita di Cloé’s Requiem non è continuato, seppur Buriki Clock abbia continuato a fare giochi.

(Questo è più probabile che lo conosciate anche perché è stato tradotto in inglese: Fantasy Maiden’s Odd Hideout)

Questo gioco si chiama Trauma Traum.
Vi dico solo che se lo conoscete, avete il mio stesso bisogno impellente di stalking per gli autori degli RPG Horror.
(Beh, scrivo io la Storia Del Prodotto per un motivo)

Cosa sono questi giochi, quindi, nella storia di Buriki Clock?

Voglio considerarli, purtroppo, tentativi disperati di continuare ad essere una casa di produzione vera e propria, e non solo delle autrici che hanno avuto “fortuna” (capirete nella seconda parte il perché di quelle virgolette) con il loro primo titolo e l’hanno spremuto fino all’ultimo.

Ma fino all’ultimo davvero.
(Immagine dal profilo Twitter di Buriki Clock, che ci mostra Pierre che improvvisamente ha dimenticato tutta la frustrazione repressa e l’isteria che ci viene mostrata nel gioco…)

Certo, anche questi altri due titoli hanno avuto del merchandise: Fantasy Maiden’s Odd Hideout ebbe una novel, assieme ad altri gadget come spille eccetera nello store ufficiale di Buriki Clock, Trauma Traum persino un… CD? Credo sia un cd cantato, ma in ogni caso hanno avuto i loro eventi e anche finanziamenti…

Ma dopo il 2014 l’era di decaduta di Buriki Clock è iniziata.

Potete accertarvi di questo se rispondete ad un’altra domanda semplicissima che vi porgo.

Voi avete mai sentito parlare, fuori dalla corrente RPG Horror e al di fuori di Cloé’s Requiem, di Buriki Clock?

Ma a parte questa domanda, che lascio aperta anche se tutti ne sappiamo la risposta…

Torniamo per un attimo nel 2013, l’inizio dell’era d’oro per Nubarin e Chiyo.
Cosa, quindi, 7 anni fa ha portato Cloé’s Requiem dove è adesso…
Probabilmente?

Sfondi lugubri, musica classica, storia ambientata nel passato…È un titolo che sicuramente ha la sua classe, non c’è che dire.

Questo non sono sicura di quanto possa dirsi per l’inizio. C’è il logo della Buriki, e poi si inizia direttamente a vestire i panni di Michel, incredibilmente tranquillo dopo aver compiuto il suo terzo omicidio a sangue freddo, che se la a gambe prima che la pula del tempo gli dia la caccia (dettasi anche la sbirraglia, o come direbbero alcuni, per non farsi mettere in gattabuia dal becco cit.[1]).

Ma questo ve lo abbiamo anticipato noi, per farvi capire come, anche qui come in altri giochi, la consistenza narrativa non sia certo il cavallo di battaglia del titolo. In realtà quello che si mostra nel gioco come introduzione è il ragazzo che scappa da qualcosa andando, tramite il passaggio di un cocchiere, in una casa sconosciuta. E questo è quanto.

Possiamo però notare, prima che ci venga introdotta la nuova magione…

…Sì, insomma, questa sorta di fortezza medievale…

Okay, da qui possiamo notare due cose: la prima è che viene introdotta da qui quella che sarà la co-protagonista della vicenda (no, non è la protagonista principale perché non seguiamo tanto il cambiamento dei suoi atteggiamenti nel corso della storia quanto lo fa Michel), la seconda cosa che invece comprendiamo è che sicuramente si tratta di una persona che non è molto a posto con la testa.

Ma ciò che ci interessa sapere sappiate che avviene a seguito del primo flashback che ci verrà introdotto dal gioco. Apparentemente le parole che ci sono state introdotte non riguardano la trama principale, sembrerebbero fuori contesto, ma il gioco ci costringe a ricrederci dando finalmente un’identità a questa voce misteriosa!

Eccolo qui, nella sua magnifica sprite. Questo spiega perché nella seconda parte del gioco le ragazze hanno preferito sfruttare la sua silhouette invece che disegnare nuove figure di adulti.

Il punto è che una volta terminato il flashback abbiamo queste tre battute:

Hey, ma allora quel pazzo maniaco è suo padre!

Cacchio che uomo schifoso. Perché…. È questo, alla fine dei conti, il personaggio più disturbato. No?

Oh-oh-oh, ebbene finalmente dopo aver tanto procrastinato…

…Dopo aver solo citato l’argomento anche quando sarebbe stato il caso parlarne….

Possiamo finalmente parlare di una storia character driven dove i personaggi vengono valorizzati come si deve!

Cerchiamo di introdurre un po’ di teoria. Probabilmente molti di voi già potranno intuire cosa si indica con questa definizione: parliamo essenzialmente di un tipo di storia che va avanti sulla base delle azioni che compiono i personaggi. Mi rendo conto che a primo attrito può essere difficile distinguere bene le storie a sviluppo orizzontale da quello verticale, quindi cercherò di portarvi degli esempi.

Le storie dallo sviluppo orizzontale contano molto sugli input esterni che spingono i personaggi ad agire, almeno questo è quanto ho notato. Nulla toglie che spesso gli espedienti e quindi le categorizzazioni si mescolano, ma per quello che riguarda gli RPG Horror ho notato che questo non me è mai accaduto, quindi posso portarvi degli esempi più concreti: prendete Mad Father e The Forest of Drizzling Rain.

Da una parte la storia inizia per via di una maledizione, quindi Monika che l’ha scatenata è l’antagonista della vicenda e muove la storia per Aya, che dovrà destreggiarsi tra gli zombie. Mad Father è tra l’altro molto facile da classificare in un tipo di storytelling orizzontale anche per via di tutte le sequenze d’azione e di gameplay particolare che lo caratterizzano.

The Forest Of Drizzling Rain potremmo definirlo allo stesso modo, gli eventi sono principalmente incentrati sul background del villaggio in cui Shiori e Suga sono coinvolti. The Witch’s House poteva essere una storia character driven?

Dunque, sicuramente i personaggi sono più attivi, Ellen è stata quella che ha ucciso i suoi genitori e ha fatto il patto col demone a partire da una sua motivazione interiore e un ambiente esterno piuttosto statico, tuttavia se dovremmo considerare il videogioco nel suo contesto non mi azzarderei proprio a dire che ha l’intenzione di raccontarti una storia, il titolo sembra piuttosto ancorato al suo gameplay prima di mettere in luce il background.

Ancora, c’è The Crooked Man con cui avevamo affrontato la faccenda del viaggio dell’eroe. È vero, viene dato molto spazio alle intenzioni dei personaggi e per quanto sia sottile in realtà la definizione di “character driven” potrei anche affermare che questo gioco lo sia. Tuttavia c’è qualcosa che mi frena da definirlo come tale, ed è la presenza costante dell’antagonista, l’uomo storto, che è il vero motore dell’azione ed è quello che spinge David a partire. Se vi ricordate lo schema del viaggio dell’eroe prevede un doppio rapporto con la chiamata all’avventura in cui è spinto: prima la rifiuta e poi la accetta, così si indaga sulle personalità dei personaggi principali. È vero che l’uomo storto sarebbe una metafora dello stato attuale di David, ma non possiamo negare che Duke esiste davvero (anzi, è esistito davvero) ed è per questo che dobbiamo tenere in considerazione tutti i suoi interventi che hanno condizionato le azioni del protagonista.

Ed è per questo che inserisco l’intreccio di Cloé’s Requiem ricadere perfettamente nella tipologia del character driven. Difatti se ci pensate il tipo di background in cui si trovano i personaggi è piuttosto statico, sarebbe molto più facile immaginarsi una storia più sullo stile slice-of-life che una trama di genere horror, questo perché sicuramente la scelta di lavorare su un’opera in costume ha determinato in parte la natura di “titolo storico” del prodotto (anche se, per essere un gioco ambientato in Francia dai nostri “cugini europei”, l’immaginario storico si riscontra davvero poco –soprattutto per alcuni elementi –, e da questo punto di vista è poco attendibile. In ogni caso, sì, questo piccolo scivolone è accaduto anche con Mad Father –ma forse non dovremmo insistere più di tanto se il loro target di riferimento era l’audience nipponica–).

Quindi, proprio perché si tratta di un background statico tutto quello che i personaggi compiono deriva da riflessioni interiori e cambiamenti psicologici sul loro stato individuale e sociale.

Ma non sarò io a parlarvi nel dettaglio dei personaggi ragazzi, ci sarà Ele nella seconda parte dell’Asso della Manica (spoiler: lei è quella tra le due che aveva parlato del caso di Satoshi in Corpse Party, non che è la responsabile della scrittura dei nostri personaggi, quindi vi lascerò in buone mani per questo).

Comunque non mi ricordo nemmeno da quale articolo ci fosse questa caratteristica, credo in The Witch’s House, ma anche per Cloé’s Requiem abbiamo due assi nella manica in uno, e –a questo punto dovreste averlo capito, anzi, forse potrebbe quasi sembrarvi scontato– il character development è uno di questi.

Io assieme a voi mi focalizzerò sul secondo punto, la regia. Parliamo di una regia che ha permesso di amare e rendere memorabile una trama confusionaria e dal background sovrannaturale più impreciso di quello di Corpse Party!

Quindi mi sa per un po’ dovrete avere la suspense sul discorso legato a quei tre screenshot…

…E sulla mentalità contorta che sviluppa questo piccolo infame nel corso del gioco.

Quindi, tornando a noi. La regia di questo titolo è in realtà molto molto particolare, perché risponde tante volte allo stile del gioco che si basa principalmente sulla narrazione degli eventi (e non) in wall of text. Praticamente una bestialità di Satana, se conoscete quanto condanniamo questa pratica negli articoli.

Però Nubarin e Chiyo sono riuscite a sfruttare questa “limitazione dello stile” inserendo tutta la tensione emotiva tra le righe di testo del gioco. Posso dire che sono riuscite a farlo egregiamente, ed era un compito davvero davvero difficile. Saper fare una buona regia non è per niente scontato, figuriamoci come avranno fatto loro che non avevano nemmeno il supporto visivo da valorizzare: tutto viene dalla lettura dei testi e dal repertorio sonoro. I problemi sono iniziati quando hanno iniziato ad andare di fretta e a caricare di testi i contenuti principali fino al finale…

Ma di questo ne parleremo meglio in futuro. Quindi cerchiamo di concentrarci sui punti focali e cerchiamo di fare, come non facevamo da Blood Covered, un’analisi approfondita su un campione specifico.

La scena che vi propongo è questa.

Molti di voi la ricorderanno come “la scena della madre” o  “il diario della madre”. Sì, parliamo di quello, uno degli archi narrativi aperti meravigliosamente, sviluppati male e conclusi peggio.

Perché dico conclusi peggio? Beh, insomma…

Vi pare un modo decente per concludere una sotto-trama?

Non vi preoccupate, proprio a partire da questa scena poi ne analizzeremo il perché parlandone meglio nei Difetti dell’Opera.

Torniamo comunque a parlare dei punti positivi. Come ho accennato prima la scena incentrata sul diario della madre è a mio parere tra le migliori di tutto il gioco.

Dunque, tanto per cominciare noi abbiamo già incontrato Cloé al piano di sopra.

Ah, e tengo a notare in particolare come quella che abbiamo visto durante l’inseguimento…

Lei, eccola qui. Anche se possiamo intuire , dato anche  il suggerimento di Michel, che questa  “cosa” che abbiamo visto assomiglia a Cloé, ci viene presentata  in maniera del tutto separata (parlo di una separazione fisica, nel senso letterale del termine) e ovviamente da una personalità totalmente sconnessa rispetto a quella incontrata al piano di sopra.

In questo punto della storia al giocatore verrebbe più facile interfacciarsi con il lato “carino e coccoloso” della ragazzina che ha appena incontrato…

…E poi invece viene introdotto questo…

Come abbiamo detto prima, questa sarà un’analisi del testo nel senso più letterale del termine.

Anzitutto: la “musica” utilizzata in questa parte potrei definirla come un richiamo a dei coltelli con cui si ha l’intenzione di perforarti le orecchie. La metafora a cui sto rimandando si riferiva, da parte di un particolare libro di testo sulla regia (di cui attualmente non ricordo il nome), alla musica che compare nei titoli di testa del famosissimo Psycho di Alfred Hitchcock.

Ecco che cosa intendevo quando dicevo che la regia di questo titolo è ottima. Si offre un sacco di spessore emotivo sui testi, che contano tanto quanto il lato visivo del titolo e anzi lo completano. Senza i testi di Cloé’s Requiem non potremmo mai comprendere i suoi significati a tutto tondo (…anzi, purtroppo i fraintendimenti e le incomprensioni sono avvenute lo stesso, ma di questo ne discuteremo in futuro).

La madre di Cloé ci racconta i suoi sentimenti nei confronti di sua figlia…

Perfettamente plausibili, dato non solo la trama del gioco ma anche i contesti del tempo. Per chi non lo sapesse stiamo parlando di un tipo di società dove normalmente le ragazzine di buona famiglia, raggiunta una certa età, erano pronte per entrare in società, vale a dire essere maritate, quindi quando le agghindavano per le feste a cercare un buon partito chi non dice che le madri, a loro volta sposate giovanissime nella maggior parte dei casi, non potessero provare un senso di competizione nei confronti delle figlie?

…Ecco appunto.

Non sono una storica, quel che so deriva da alcuni approfondimenti personali che ho avuto modo di realizzare sull’epoca.

Ovviamente, in ogni caso, con sentimenti “perfettamente plausibili” intendo il sentimento dell’invidia. Quello che c’è scritto dopo in realtà non è così normale…

Tenete a mente questo screenshot in particolare….

Questo viene prima di quello di sopra. Vi servirà dopo per quello che vi racconterà Ele su Cloé

Possiamo notare, sicuramente un elemento interessante, che la visione che ha di sua figlia è quello di un orsacchiotto di pezza.

Ed è per questo che associare poi il tema dell’orsacchiotto di pezza anche alle cameriere ci è sembrato veramente confusionario, anche se le ha uccise. Questo perché era un tema che sembrava davvero “speciale”; unico, legato strettamente a sua figlia e, ancora più interessante, questa descrizione che la mamma ci dà di Cloé si riscontra molto bene con il design “dolce” e “rotondetto” della ragazzina. Hanno sfruttato qui a tutto tondo il character design assegnato a Cloé, non è affatto fine a sé stesso.

Aggiungiamo un punto a favore di questa magnifica scena: la sua continuazione al di fuori del diario. Difatti abbiamo il pettegolezzo tra le cameriere che poi si manifestano nei due orsacchiotti di pezza.

Ecco allora che colleghiamo il tutto alla perfezione: una cameriera ha assistito alla disfatta dei vestiti di sua figlia e la signora ha pensato bene di farla fuori. La scena continua finché non vai a controllare il quadro della donna che è invecchiata.

Questo rapporto col testo è comunque diverso dal tipo di rapporto che ci viene offerto col testo in Faust’s Alptraum: uno perché ci sono delle immagini da commentare che vengono semplicemente descritte, e poi perché la vedo più come un esperimento per tentare di replicare un tipo di narrazione più “letteraria” o come “manifestazione di erudizione” che con l’intenzione di trasmettere delle sensazioni emotive (questo è uno dei motivi per cui per quanto sia tra i miei giochi preferiti non posso certamente prenderlo come esempio per parlare di titoli narrativi).

Prima che Ele possa introdurvi il tema principale del gioco, vorrei citare un’altra scena in cui la regia, anzi, la direzione della fotografia è stata fenomenale.

Questo particolare momento del gioco mi ha insegnato molto per quanto riguarda la resa evocativa delle scene. La tinta schermo che si fa prima scura e poi sempre più rossa supporta la visione della realtà estremamente psicologizzata del ragazzino, perché in questo punto particolare della trama la regia è tutta è incentrata sui personaggi che sono le vere star del gioco. Più ancora di quanto non era accaduto in The Crooked Man, qui l’ambiente si modella sulla base di come il personaggio in questione sta vivendo la sua personale situazione.

…Di conseguenza, questo lavoro sopraffino di drammatizzazione delle vicende permette di fare a noi giocatori, spettatori e in questa sede a me ed Ele come critiche (se pensiate abbiamo la facoltà per essere definite tali) un soddisfacente lavoro di interpretazione.

Già, ricorderete dell’articolo di Mad Father, questa sarà la seconda volta che lo cito nel corso del nostro percorso sul Ludi Tarantula Archives.

Se l’opera ci concede di interpretarla allora noi potremo finalmente costruire i nostri significati sulla base del linguaggio su cui siamo stati istruiti. Quindi, ecco che mi prendo la libertà di lavorare sull’interpretazione del segno di quello che riguarda per me un tema (un tema qualsiasi, non il tema principale. Vedremo in futuro perché tengo a fare questa differenza) che si può estrapolare dal gioco. Lo estrapolerò, ad esempio, esaminando l’uso del colore rosso in questo gioco e poi lo collegherò ad altri elementi.

Prima di tutto, come potreste intuire non lo sto scegliendo casualmente, poiché non solo il rosso ci appare con violenza sullo schermo ogni qual volta ci viene introdotto una dimensione distorta della personalità di Michel, ma ci sono altri particolari che insistono su questo colore.

Potremmo parlare delle scritte rosse, usate quando si vuole mettere in evidenza un concetto distorto espresso dai personaggi come si può vedere dallo stesso screen lì sopra, ma possiamo generalmente soffermarci su numerosi esempi.

Gli occhi rossi da cui il ragazzino è perseguitato nella stanza delle cameriere…

…Il ritorno con l’occhio rosso di Charlotte (ed il senso di essere osservati e controllati), quando si rivela nella stanza grigia, collegato questa volta con la sua maledizione…Questo possiamo collegarlo al tema della possessione (in questo caso sia applicata che subita da parte di Michel)

Quando Alain rivela di voler uccidere sua figlia, scena che è avvenuta poco dopo che avevamo visto il “salvataggio” compiuto da Michel (un atto di gelosia, probabilmente -anche qui torna il tema della possessione, tenetelo a mente per l’Appendice-)

Oppure, beh, in questo punto particolare in cui possiamo vedere una Cloé selvatica (hey, per una volta tanto non usiamo questa espressione come meme) con un vestito rosso. Qui possiamo notare i suoi occhi o i suoi capelli, di colore bianco, servano per costruire per noi un’altra associazione con la maledizione strettamente collegata a Blanc, per l’appunto.

È un’immagine molto molto esplicativa in realtà questa, il termine “Cloé selvatica” non l’abbiamo usato a caso. E questo proprio perché associamo questi due colori che si rendono rappresentanti di due tematiche specifiche che vengono quindi strettamente collegate nel titolo: la passione e la morte.

Ahahahahahah, sì. La passione. La passione.
Detta così mi rendo conto che ora sembra che io stia parlando di una telenovela, dopotutto il registro drammatico iper-intenso del gioco non fa altro che valorizzare questa bizzarra tesi. Ma vi giuro che vi sto dicendo queste cose con cognizione di causa, sono consapevole che se non mi esprimo al meglio rischio di far passare le belle tematiche che affronta il gioco per una marea di cazzate.

Rimandiamo a questa immagine in cui la si vede per la prima volta…

Ecco. Qui domina l’uso del bianco. Bianco e rosso.

Voglio citare un altro momento che si può ottenere se, rimanendo in modalità “pazzo assassino” con Michel e uccidi il gatto bianco si può vedere come questo, secondo la descrizione, sembra avere la possibilità di muoversi ancora, a differenza di quello nero.

Proviamo a riflettere su una cosa: il fatto che nel punto in cui viene mostrata nel gioco Cloé si sia inselvatichita vorrebbe sottolineare che ciò di cui è diventata vittima è stato l’accumularsi e la perdita del controllo su tutte le sue passioni più negative.

Badate che quando uso questo termine mi riferisco in particolare specialmente alla concezione classica, se non ricordo erroneamente parliamo di un’idea che deriva sin dall’Antica Grecia, che quello che riguarda il tema della “passionalità” intende comprendere il termine in un’accezione molto negativa e che si oppone alla “purezza d’animo” contraddistinta invece dalla razionalità assoluta.

Ecco, ora che mi sono ricordata bene sono sicura di ciò che dico: era Platone che usava la metafora del cavallo bianco e del cavallo nero (qui come “cavallo nero” abbiamo il gatto bianco, che per chi non lo sa nella cultura giapponese è un colore associato alla morte), e sono anche abbastanza sicura di aver utilizzato già spesso l’uso di questa metafora durante qualche delirio per conto mio suppongo. Ma non preoccupatevi, non intendo farvi un pippone su questo discorso.

Quello che ci interessa ora capire è che Cloé, oltre che vittima delle proprie passioni più negative…

Come ci mostra questo screen in cui tappezzava le pareti con le sue manine sporche di sangue…

Potremmo dire che è stata vittima, anzitutto, della passionalità sfrenata dei suoi genitori. Non a caso da un lato c’è la lussuria, dall’altro l’invidia, temi cari al cristianesimo per quanto riguarda il trattamento dei peccati capitali.

Sì, poi, se a questo ci aggiungiamo un breve accenno all’ira…

…Possiamo dire che siamo piuttosto a cavallo con tutto il resto del cast.

Okay, tralasciando queste digressioni cretine (il peccato capitale e il cristianesimo non c’entrano un emerito cavolo con quello che voglio dirvi, non vorrei confondervi le idee), perché vi faccio questo discorso? Cerchiamo di arrivare al punto. Dalla forte associazione che abbiamo visto all’interno del gioco possiamo dire che non mantenere il controllo del proprio stato emotivo porta inesorabilmente alla morte, ma il gatto bianco che non sembra subire la stessa sorte di quello nero e la diffusione della “maledizione di Cloé” in tutta la casa prima che questa ci lasci definitivamente le penne vorrebbe suggerirci che una volta che questi forti sentimenti si sono generati difficilmente tenderanno a morire.

Dopotutto, le maledizioni in Cloé’s Requiem sono emozioni negative in grado di prendere vita propria, no?

Il gatto bianco è destinato a sopravvivere, si espande per l’ambiente e nelle menti delle persone, è incredibilmente attivo e la sua indole distruttiva è estremamente contagiosa. Questo a differenza del suo alter ego, il gatto nero che una volta ucciso non si ridesta più, decretando così lo statuto di essere passivo e strettamente legato ad una condizione di morte, di oggetto che subisce.

Beh, eccovi lo Yin e lo Yang. Questi concetti non dovrebbero essere estranei alle nostre ragazze. Ahahah, Noir e Blanc. Che simpatiche, cazzo.

E quindi?

Già. Quindi, beh, questo penso che dovrebbe spiegare finalmente (almeno in parte) il motivo per cui la prima cosa che abbiamo fatto in questo articolo è stato associare Cloé’s Requiem a “Lo strano caso del Dottor Jekyll & Mr.Hyde” del caro vecchio Stevenson.

Nel libro ci veniva presentato come queste specie di mostro, gobbo (zoppo, orbo e sordo e via dicendo, per citare Quasimodo come un altro disgraziato della letteratura del XIX secolo) …Un mostro sì, un demone capace di calpestare una bambina.

Una delle scene più amate dagli illustratori del secolo!

E poi, suvvia, come si fa a non cadere ai piedi di questo grand’uomo?

Non vedete che splendore?

Insomma, questa rappresentazione e continuo distanziamento che il libro prende, sotto forma di titolo investigativo, dal beneamato da tutti Dott. Jekyll, potrebbe ricordarci sicuramente il livello di distanziamento e demonizzazione che si fa delle maledizioni.

…Che in questo caso, collegando Cloé’s Requiem a Lo strano caso del Dott.Jekyll a Mr.Hyde diventa: poni controllo alle tue passioni (sentimenti negativi) o sarai causa di tragedia e morte.

Jekyll tiene le distanze da Hyde disconoscendolo come Cloé tiene le distanze dalla Rambo-Cloé, che viene trattata come un nemico da sconfiggere.

Sì, la si può sconfiggere con un abbraccio, ok, ma è comunque una bestia di Satana da sconfiggere.

Che dire, è questa la visione che ai tempi la puritana società vittoriana aveva delle proprie passioni.

Se la società che diceva di tenere a bada e avere paura dei propri lati più negativi era perché era la struttura sociale stessa che diceva di mantenere l’ordine.

E come potete vedere ora vi sarà sicuramente più chiaro anche la nostra insistenza sul brano “Façade”, o almeno lo spero.

Aldilà che qui si parli di società vittoriana, la Francia si è generalmente differenziata da questo atteggiamento proprio per essere “più all’avanguardia” se vogliamo dire così; non parliamo tanto di precisazioni storiche quanto di vicinanze tematiche con il titolo. Infatti, nel contesto sociale vittoriamo che  stiamo presentando per l’articolo si creavano delle maschere perché la società basava i suoi principi su modelli irraggiungibili che non riusciva a trovare riscontro nella realtà quotidiana dei fatti ma nessuno aveva il coraggio di farlo notare. Era il lato povero della società a cui si attribuivano i comportamenti “eccentrici”, dopotutto.

Erano loro la gente pericolosa che meritava di essere maltrattata (“punita”) ed emarginata, no? Non i signori appartenenti all’alta società. Era una scusa per giustificare la distinzione tra classi ed è questo che il classico letterario denunciava.

O meglio, non l’ha denunciato completamente. Ai tempi già era uno scandalo che si associasse all’idea del perfetto gentiluomo inglese una figura bestiale. Figurati se poi li avesse fatti confrontare in maniera più diretta.

…Però nel musical di cui vi parliamo è successa una cosa.
Nel musical c’è una canzone come Alive! – E vi consiglio di cliccare sul link poiché questo vi rimanda direttamente alla versione cantata da Anthony Warlow, voce anche del Fantasma dell’Opera per chi fosse interessato.

(Immagini dalla produzione di Jekyll&Hyde del 2012 con David Hasselhoff)

In questa scena finalmente possiamo vedere come Hyde non solo sia strettamente collegato a Jekyll dato l’omicidio di individui che, in fin dei conti, vediamo sin dal prologo che gli stavano sulle scatole, ma in particolare vediamo che nella trasformazione finalmente ha dato sfogo a tutte le sue frustrazioni.

Urla al mondo della sua gioia di vivere (sentite che liberazione dal min 3.42!) anche se questo vuol dire accogliere in sé le forze del male (cito il lyrics), e allora così potremmo anche interpretare la pozione come un semplice stimolante, niente di più che una droga artificiale, forse. Un eccitante.

Tutto quello che aveva represso qui viene alla luce, compreso lo strano feticismo verso Lucy che potete sentire a minuto 1.49 del primo link che vi ho passato (che ci crediate o meno la sotto trama di questa prostituta la citeremo anche più avanti). Ve ne renderete conto da soli, se fate attenzione potete sentire come sembra che annusi l’aria come farebbe un animale, ma il punto è che, diamine, possiamo renderci conto che quello che canta non è un demone come gli altri, ma lo stesso Jekyll! In fin dei conti, non esiste nessun Edward Hyde.

….

….Ah, beh, cosa vi aspettate che vi dica a questo punto?

Per me, il discorso è chiaro: una delle caratteristiche migliori di Cloé’s Requiem è che permette di lasciare i suoi personaggi totalmente a briglie sciolte.

Sì. Esattamente.

Ecco, ma proprio totalmente, anzi forse anche troppo. D’accordo, cosa sto cercando di dirvi?

Che prima di tutto anche se il nemico finale da sconfiggere è Cloé stessa alla fine è l’unica che si trasforma, che sembra avere una metamorfosi e nemmeno completa come la morfologia di Hyde. In breve…

…Ragazzi, ricordiamoci assieme di una cosa.

Quello a sinistra e quello dell’immagine di destra sono la stessa persona.

Anche qui, il ragazzino dell’immagine a sinistra e quello dell’immagine di destra sono la stessa persona. È così evidente.

Cambiano solo le espressioni, non compiono metamorfosi, semplicemente mutano nel tempo ed è questo che li rende dei personaggi meravigliosi, dal nostro punto di vista, che sono stati in grado perfino di superare il mito che il classico letterario ha lanciato. Come promesso difatti più avanti dedicheremo un’appendice proprio per loro.

Come concludere allora questo discorso? Vediamo un po’.

Stevenson sembra dirci, col suicidio di Jekyll, che l’unico modo di scampare a questo conflitto esistenziale è la morte. Non c’è via di scampo.

In questo la Buriki ha preferito proporre una soluzione alternativa: con la crescita ed il riconoscimento dell’errore è possibile purificarsi dal morbo e tornare a provare empatia nei confronti del prossimo, razionalizzando i propri sbagli e riprendendo la retta via.

Questo è accaduto anche con un altro personaggio del team, nell’opera di Fantasy Maiden’s Odd Hideout a cui qui farò solo una menzione: Ange.

…Diciamo che Cloé-selvatica non è stato l’unico personaggio “animalizzato” del loro titolo.

Ecco, questa CG in cui la vedete piangere sull’erba l’avevate incontrata prima nel corso della lettura dell’articolo quando si era vista la copertina del gioco. Ebbene, sappiate che sta piangendo, per chi non lo sa, perché si è appena ricordata di aver compiuto un crimine giusto un pochiiino grave come l’infanticidio di massa. Nel suo gioco di provenienza uno dei sotto testi più ricorrenti era quello dell’istinto primordiale del nutrimento (oh beh, si parla di vampiri e non poteva essere altrimenti). Oltre, anche qui, alla trama della crescita interiore.
Non sembrerà, ma questo titolo aveva tutte le carte in regola per essere definito come un’ottima opera thriller!

Si, sembra proprio essere una caratteristica dei personaggi della Buriki Clock confrontarsi con i loro lati più primitivi.

E si, si confrontano con questi. E ci soffrono.

Eccome se ci soffrono.

Eccovi dunque uno dei temi che affronta il gioco, secondo la mia interpretazione: l’accettazione di sé stessi affrontando il proprio lato peggiore. Quindi, ricollegandoci al discorso iniziato prima, lo yin (il nostro lato passivo, collegato al raziocinio) e yang (la parte attiva, l’energia caotica e irrazionale dei nostri comportamenti) devono coesistere in maniera equilibrata nelle nostre scelte di vita.

E finalmente ragazzi ho finito di divagare, mi toglierò dalle scatole a breve.

Come avete potuto vedere ho parlato di altri temi in questa prima parte dell’Asso nella manica su cui il gioco non sembra nemmeno insistere così tanto alla fine, è stato un altro il vero oggetto d’interesse della Buriki Clock.

Tuttavia sappiate che tutti questi modi in cui ho potuto leggere l’opera derivano dai tanti piccoli indizi lasciati per strada dal gioco stesso. In ogni caso è pur sempre alla base della critica lavorare sui significati del testo sulla base delle medesime lettere impresse sulla carta.

Vi ricordate? Avevamo già parlato di questo argomento nell’articolo su “Rpg Horror e Storytelling”.

In breve, ecco che ho potuto interpretare un tema trattato dagli elementi della regia e della messinscena; come avevamo anticipato sin dall’articolo di Mad Father è qui che possiamo renderci conto di tutto quello che può fare un’opera profonda.  È questa tutta la bellezza e la potenzialità di interfacciarsi con una storia che non si ferma alle prime apparenze.

(Ah- e aggiungo: le tematiche come potete vedere si intrecciano costantemente con gli avvenimenti della trama principale ed i suoi personaggi, giusto Sanada?)

Ora, abbiamo anche detto che oltre alla regia il SECONDO asso nella manica sono i personaggi. E con questo capirete il perché nel corso di tutte le precedenti analisi abbiamo scelto di non focalizzarci sullo sviluppo di personaggi che altre storie narrative ci hanno presentato.

E questo ci rimanda, volendo, alla parte introduttiva di questo paragrafo quando la prima cosa che abbiamo messo in evidenza è stata dire che questa è una storia character driven.

Non abbiamo analizzato altri personaggi in questa rubrica proprio perché tutte le altre opere che abbiamo analizzato non volevano centrare il focus sui personaggi ma, appunto, soffermarsi più sulle loro “avventure” che vivevano (la ricerca del padre, la fuga dalla Galleria, il puro gameplay in The Witch’s House ect ect ect…).

Per parlare dei personaggi è necessario interpretare le loro sfaccettature emotive.

…Perché è estremamente importante, davvero, vitale, che in un lavoro di interpretazione si lavori con dei dettagli che ci vengano già forniti nell’opera presa in analisi, per non rischiare di fare delle teorie e “over-analisi” fini a sé stesse.

Avremmo potuto anche formulare delle interpretazioni libere, ma difatti sui contrasti di comportamenti dei personaggi, ad esempio, ci viene detto poco.

Un primo elemento che abbiamo notato degli altri personaggi in Back To The Future è che il conflitto delle loro personalità, se c’è, viene più trattato come un evento eccezionale che un vero e proprio percorso di crescita.

Prendiamo Mary in Ib, per esempio, nel finale “A Painting’s Demise”.

Sì, qui la vediamo come “vittima del suo ambiente di appartenenza” che corre per le stanze e infine chiama il nome di suo padre.

Però, questo è un finale. Perché non guardiamo per un attimo come si comporta in altri contesti?

Anche se si volesse rivelare il lato da “bambina bisognosa di amore” comunque questo è costantemente in conflitto con la tensione emotiva, poiché siamo dal punto di vista di Ib, secondo la quale stiamo avendo a che fare con una probabile pazza assassina.

… Questo accade per la maggior parte delle volte in cui appare in scena.

Prendiamo un esempio pratico?

Guardate cosa succede nel finale più classico, “Promise of  Reunion”.

Voi avreste risparmiato la sua vita con quello sguardo assatanato?

Davvero, ditemi se in tanti punti del gioco non è trattata soltanto come funzionale al suo ruolo da antagonista utile soltanto a fare andare avanti la trama.

Ecco, non mi stupisce che in questa parte chissà perché invece di empatizzare con lei molti fan si siano limitati a notare “oh, no! Questa pazza sta assassinando il nostro amatissimo Garry!”

Kouri sarà stato certamente stratosferico nell’offrire il conflitto emotivo dell’audience nei confronti di un personaggio che tutto sommato è borderline (non è poi così tanto un’antagonista fine a sé stessa), ma non basta.

Un personaggio nella maggior parte dei casi cambia nel corso di una storia, un personaggio ha bisogno di un percorso da affrontare, ed è il principale motivo per cui nell’articolo su Corpse Party non avevamo parlato proprio dei personaggi (perché anche se avevano un’ambivalenza di personalità questa non era trattata all’interno di uno sviluppo specifico).

Quindi quello che sto cercando di spiegare in questo punto non è farvi la carrellata di personaggi per capire “chi è il migliore” ma capire chi tra tutti questi ha lo sviluppo più lineare all’interno della propria trama di appartenenza. Vi sto semplicemente spiegando i motivi per cui non abbiamo trattato negli Archives tutti i personaggi con cui ci siamo confrontati nel corso della rubrica.

Prendiamo un altro esempio: Ellen.

Ellen, Ellen, Ellen.

Simpatica, no? Tutti vogliamo bene ad Ellen. Anche in questo gioco, uno dei pochi momenti in cui sembra rivelare i motivi dei suoi omicidi e dei suoi inganni sembra forse il diario, ma sinceramente azzarderei quasi a dire che il personaggio di Ellen è davvero irrecuperabile. Converrete con me, per chiunque sia rimasto traumatizzato la prima volta nel finale di The Witch’s House, che questa ragazza incarna il pessimismo nel genere umano.

Già soltanto per il fatto che vive come un parassita nel corpo di un’altra persona. Sicuramente sarebbe molto interessante studiare in altri ambiti come si sia formata la sua sociopatia (come avevamo già detto nell’articolo dedicato) ma essendo che qui siamo sul Ludi Tarantula Archives, un sito su cui intendiamo soffermarci sui punti focali delle analisi interne al gioco nel senso più stretto del termine (un punto su cui vi avremmo rincoglionito già a sufficienza, suppongo) non ci pareva semplicemente il caso approfondire.

Ecco il motivo per cui vi ho parlato dell’importanza degli indizi interni, ed ecco perché l’unica che forse si avvicina di più ai requisiti per un’analisi sul personaggio per essere definita complessa come i personaggi di Cloé’s Requiem è Aya, non a caso avevamo aperto una parentesi sul suo percorso di crescita nell’articolo su Mad Father.

Chi altri abbiamo, David? Di David semplicemente sentivamo che non avevamo nulla da aggiungere a quello che il gioco The Crooked Man aveva già detto. Dello strano caso dei personaggi di Corpse Party lo abbiamo citato poco fa! Ne avevamo già parlato nel loro articolo dedicato, mentre per quello che riguarda Mogeko Castle, per quanto possano essere interessanti le teorie da elaborare sui personaggi, non riusciamo a capire come potevamo dedicare delle analisi particolarmente approfondite su di loro.

Ma, guardate, se proprio avete ancora dei dubbi, vi propongo un esempio su un tema affine che riguarda la rappresentazione dei personaggi sulla scena.

Eccovi un esempio pratico pratico su come questi due potrebbero, tutto sommato e a primo attrito, apparirvi entrambi come delle brutte facce proposte come jumpscare ma che in realtà sono trattati molto diversamente.

Questa, ormai conoscete l’immagine a memoria, è Cloé maledetta prima della battaglia. Primo piano, occhiaie. La risata possiamo sentirla soprattutto in background e la scena in fin dei conti è statica.

Questo è Alfred durante l’inseguimento finale. Un potrait che occupa tutto lo schermo sbuca fuori con una risata spacca-timpani pronto ad aprirci il deretano con la sua motosega rombante.

Ed è così che si è conclusa tutta questa lunga giustificazione sul perché questo è stato il primo caso in cui ci siamo soffermate sui personaggi di un’opera.

Ma vedetela così.

Da questo momento in poi si sono praticamente spalancate le porte dell’Inferno e queste lunghissime parentesi sulle analisi dei personaggi e delle tematiche all’interno di un’opera videoludica narrativa torneranno sicuramente più volte negli articoli futuri.

Perché da questa generazione i titoli sono usciti fuori sempre più fottuti.

Okay, okay, aldilà di tutto sto facendo una generalizzazione perché comunque questi saranno pure gli esponenti ma non abbiamo mai analizzato tuuutti i titoli usciti in questi periodi.

Quello che sto cercando di dire è che quest’oggi abbiamo fatto un passo fondamentale che sicuramente ci servirà per il futuro, soprattutto per le ultime due recensioni che abbiamo in serbo (quindi, attenzione che non parliamo della rubrica Back To The Future) che ci mostreranno, per contro, come non si fa la scrittura di un personaggio, consideratelo come un grande regalo che vi offriamo per quando ci avvicineremo alla fine della nostra attività da recensirtici.

Ma ora credo di star davvero divagando troppo, sto spoilerando più del dovuto.

Per questo, dopo avervi esaurito soltanto con quello che è stato alla fine un cappello introduttivo per iniziare ad approcciarci con lo stile del gioco ed il modo in cui ha trattato i personaggi, posso finalmente lasciare la parola ad Ele, che finalmente si dedicherà alla loro analisi interna.

Eccoli allora finalmente solo per voi, Charlotte, Pierre, Cloé e Michel!

…Musica maestro…

“The ladies an’ gents ‘ere before you –
Which none of ‘em ever admits –
May ‘ave saintly looks –
But they’re sinners an’ crooks!

Hypocrites!
Hypocrites!”

 

[1]Direttamente in riferimento dal lunaticissimo, magnifico ed elegantissimo gentleman dei malfattori Jack Dawkins detto il Dodger!

Perché se si tratta di opere in costume non mi tirerò certo indietro da tutte le citazioni possibili e immaginabili. Ah-Ah-Ah. Ahh. Cacchio.

The Forest Of Drizzling Rain – Un gioco semplice in un contesto complesso

…Volete sapere la verità?

Avevamo davvero poca voglia, dopo il nostro lungo periodo di assenza, di ritornare sul Ludi Tarantula Archives, soprattutto per quanto riguarda la rubrica di Back To The Future.

Parlo soprattutto per quanto riguarda il mio caso, PaoGun. Eravamo giunte a dei punti così cruciali della demo che mi innervosiva il pensiero di interrompere il tutto all’improvviso per “parlare di altri titoli”: pensavo, “cavolo, ma io vorrei tanto continuare ad occuparci di produrre la storia del nostro gioco!”.

Tuttavia, in questi ultimi giorni è successo una cosa che ci ha ricordato che scrivendo questi articoli non stiamo solo “parlando di giochi”. Storia del prodotto, storia degli rpg horror, quelle che raccontiamo in questo sito sono delle storie a tutti gli effetti e tutto sommato in questa rubrica non stiamo facendo altro che raccoglierle per raccontare un’unica grande storia. La grande epopea di un genere di giochi, di una generazione di autori, ma non solo. È anche la grande storia di un tool.

In fondo ora stiamo finalmente parlando della Seconda Generazione, con cui potremmo finalmente concludere il sempre più intricato e doloroso percorso dal mondo degli RPG Horror al mercato degli RPG Horror, ma questo è solo l’inizio del lungo terzo atto che inizieremo in compagnia di Makoto Sanada con la sua prima esperienza, The Forest of Drizzling Rain, per addentrarci assieme, un passo alla volta, in uno dei grandi “demoni” che il mercato liberale produce dall’inizio dei secoli, le corporation.

Ma per questo dovrete continuare a seguire con pazienza la rubrica fino alla fine. Chi l’ha dura la vince.

Comincerà Ele con “Storia del prodotto”, io, PaoGun, tornerò in “Asso nella manica”. A dopo ragazzi.

-Un development travagliato per pura impazienza-

Essendo questo, lo dico sinceramente, un articolo di passaggio nella rubrica per passare dalla prima alla seconda generazione, non parlerò in modo davvero specifico della figura di Makoto Sanada e come ha iniziato a produrre videogiochi (neanche nel Rapporto Autore-Opera), come feci nel primissimo articolo di Back To The Future con il suo omonimo Makoto Kedouin…

Perché semplicemente lascerò quel lavoro all’articolo su Angels Of Death.

Per ora inizio con il dire che in un’intervista per la rivista “Almost Free Game Magazine” su, appunto, Angels Of Death, Makoto descrive l’inizio del development di The Forest Of Drizzling Rain (che abbrevierò per comodità in Kirisame) come un’ispirazione dal caso di Ao Oni, avendolo scoperto assieme a dei suoi amici nel periodo successivo alla sua laurea in teatro.

…Beh, questo mi fa criticare chiunque denigri Ao Oni per un motivo o per l’altro. Ha letteralmente ispirato il Makoto Shinkai degli RPG Horror.

Tornando a noi, preso in mano RPG Maker VX Ace iniziò il development del suo primo, più dimenticato, titolo. Ebbe vari problemi con lo sviluppo del gioco, essendo ancora poco abile con il programma rispetto ad oggi.

Addirittura, la primissima scena della libreria…

Questa qui, sembra, è stata incompleta per ben sei mesi prima della fine della produzione del gioco… Per qualche ragione, così dice Makoto nell’intervista.

Inoltre, per motivi che non sono riuscita a trovare (onestamente dell’intervista ho fatto una scrematura delle informazioni su Kirisame, dato che parlava prevalentemente di Angels Of Death, e non so se essi siano stati mai specificati), il development del gioco si fermò all’improvviso per ben un anno, per dare spazio alla pianificazione del gioco ormai fenomeno di Sanada.

“While I was making “The Forest Of Drizzling Rain”, there was a time when I stopped making it, and I came up with the idea at that time. First, I came up with a situation in which a girl climbs up the building where the murderer awaits, and the story expands from there.”

-Traduzione inglese approssimata di parte dell’intervista di Sanada per Almost Free Game Magazine

Dopo questa specie di “anno sabbatico”, Sanada torna al development del gioco, e inserisce il personaggio di Sakuma, dato che secondo la visione dell’autore avrebbe mosso la storia e l’avrebbe resa più completa.
Così, probabilmente con molta impazienza nell’iniziare a raccontare la prossima storia, il development di Kirisame finisce.

Quindi l’11 Ottobre del 2013 viene rilasciata la prima versione di Kirisame Ga Furu Mori sul sito Freem!

Il gioco prese velocemente popolarità in Giappone, anche se molto meno in Occidente… Il che è davvero strano, dato che in praticamente ogni articolo di questa rubrica abbiamo segnato come grande passo la popolarità in Occidente.

Questo titolo, invece, non ha avuto moltissimi giocatori americani, italiani, o quel che volete, ma…

Ooh, potevamo saltarci anche all’inizio di questa seconda stagione la fase in cui elenco le varie opere derivate e merchandise di un gioco popolare?!

Gaaaaaaasp…

Manga! Novel! Libro aggiuntivo con interviste a Sanada e approfondimenti sul gioco! Merchandise vario, tra cui…

Panni in microfibra…?

E soprattutto, preparatevi alla chicca…

Un Drama CD! Si, quei CD popolarissimi in Giappone che fanno soprattutto sugli anime (Il primo caso che mi viene in mente è Haikyuu!!), con doppiatori anche di spicco come Rina Hidaka (voce di Silica in Sword Art Online) nella parte di Sakuma o Shintaro Asanuma (Voce di Mitsuru Sasayama in PSYCHO-PASS) nella parte di Suga!

Quindi possiamo affermare con certezza che il debutto di Sanada nel campo RPG Horror (vorrei precisare questo, dato che nel campo del mercato creativo in generale ci era entrato già nel 2007, facendo parte del team di scrittori per il film horror Exte: Hair Extentions) sia stato un successo incredibile in Giappone!

…E sembra sia bastato quello per assicurargli un posto in paradiso con la sua opera successiva.

Si, per ora con la development history sono stata piuttosto sintetica (e calma, rispetto alle cose che ho scoperto su quest’autore che hanno tirato fuori un bel discorsetto tra me e mia sorella, ma ne parleremo nel Rapporto Autore-Opera e nell’articolo su Angels Of Death).

Il background di Makoto Sanada e i suoi titoli è abbastanza vasto, ed esplorabile in buona parte. Ma, vi assicuro, maggiori informazioni le avrete con l’ultimo articolo di questa rubrica. Stay Tuned!

Per ora, però, vediamo cosa molto probabilmente ha attirato il pubblico giapponese su questo gioco.

 -Ottime premesse…-

Stiamo parlando della generazione dello Storytelling focus, quindi il punto forte non potrà che essere la narrazione, no?

No.

No davvero, avevamo anticipato questo in qualche modo nell’articolo su Mad Father, un gioco che si rivelato come uno, se non l’unico titolo dalla trama lineare ricca di contenuti in grado di raccontarli come si deve.

Quindi cosa contraddistingue The Forest of Drizzling Rain? È forse la regia, com’era accaduto in Corpse Party? Proviamo a mettere in chiaro una cosa. Quando in un mestiere notiamo che alcune cose sono fatte bene e altre volte no, non dovremmo essere così tanto sicuri che stiamo parlando di maestranze affermate.

Metto subito avanti le mani dicendo che questo titolo presenta numerosi punti in cui la regia è davvero ottima, mi riferisco ad esempio all’inizio del gioco…

I contenuti ci mostrano davvero poco. Ci viene introdotto un funerale, ma è il modo in cui incontriamo la protagonista Shiori che conta. Poche chiacchiere, possiamo scontrarci col suo dolore quando arriva in cucina e ci dice che dovrà riporre tutti i preparativi che aveva organizzato per festeggiare il suo compleanno assieme ai suoi genitori appena defunti. In questa scena abbiamo uno dei primi ricambi dal reparto sonoro, ormai dovremmo aver capito da Corpse Party che il lavoro sulla soundtrack contribuisce almeno al 50% sul successo di un titolo narrativo o meno tanto quanto la trama e le grafiche.

In questa sede farei anche una menzione speciale alla lunga sequenza del museo! La migliore del gioco a mio parere.

Dunque, dovrete aver capito che mi sto riferendo in particolar modo alla successione delle scene notturne, da quando entra nell’edificio e incontra Sakuma fino a quando si vedrà Suga in scena per la prima volta. I ritmi sono giusti, perché avremo continui intermezzi sia per cominciare ad interfacciarci con la leggenda della Kotori Obake, ma soprattutto un ritmo davvero ben distribuito da una scena all’altra.

Sembra essere infatti costruita la premessa di una grande avventura perfettamente in linea per un raggiungimento di un target giovanile in grado di valorizzare l’ambiente che si sta esplorando. Qui in particolare la scelta delle musiche è stata fondamentale, consideriamo l’uso di tutte le percussioni che le hanno caratterizzate dandoci quasi l’impressione di trovarci in una giungla e questo si colloca perfettamente nel contesto del villaggio sperduto dai mille misteri.

Tuttavia, “la musica cambia” da quando si verifica, qualche giorno più tardi, la fuga di Sakuma. Ad un tratto lo sviluppo della storia corre all’impazzata cominciando a mostrarci flashback su flashback e la regia si perde in stalli di sospensione a volte fin troppo astratta e dai toni poco attinenti con il resto del gioco: c’è qualcuno tra i fan del gioco che ricorda di questa scena?

Ah no? Beh, se la risposta è negativa credo sia naturale averla rimossa dalla memoria, pensiamoci per un attimo. Per chi se la ricorda: non so voi, ma per noi è stato un colpo al cuore improvviso sentir parlare di aborti, nascite e gore a tema parto, questo è solo l’apice della lunga fase stralunata in cui Shiori finirà intrappolata nella caverna.

In generale le altre scene di suspence e mistero dedicate al background della storia non erano affatto male, il problema è sopraggiunto specialmente quando si è andato ad aggiungere il sotto-testo sulla Kotori Obake. A quanto pare questo sbalzo nei registri resterà una caratteristica paradossale dell’autore anche in Angels of Death.

Ma avremo un intero paragrafo per discutere con calma dei difetti dell’opera, qui dovremmo concentrarci principalmente sui suoi punti positivi dopotutto.

Quello che definirei asso della manica del titolo è la scelta del contesto. Sembrerà qualcosa di banale magari ai vostri occhi, ma ci renderemo conto tutti insieme, andando avanti con la rubrica, che non lo è affatto. Tante volte si sceglie di produrre al giorno d’oggi titoli narrativi conoscendo poco o nulla degli ambienti all’interno dei quali si muoveranno i personaggi, quindi l’idea di dare così tanto spazio ad un villaggio in particolare è ottimo e avrebbe offerto numerosissimi spunti di vita quotidiana oltre che idee per sviluppare alle spalle della main plot un background affatto male, purtroppo l’opportunità è andata sprecata.

Consideriamo questa scelta come un ritorno alle origini delle storie delle opere d’animazione giapponesi (tra cui quelle appartenenti al genere horror), una mossa quasi sempre estremamente efficace. Il titolo si muove quasi di pari passo a Mermaid Swamp (e l’idea di far perdere i protagonisti in un luogo sperduto mentre erano in vacanza…) per quello che riguarda la scelta dei soggetti: la tradizione sembra essere la parola d’ordine.

D’altronde lo stesso The forest of Drizzling Rain è un titolo davvero classico nella sua essenza, ed è sicuramente una caratteristica che lo contraddistingue da altri titoli RPG Horror. Questa familiarità con cui i giocatori (e soprattutto gli spettatori) hanno potuto scontrarsi ha permesso di poter far leva sui personaggi piuttosto caratteristici e a cui ci si affeziona con facilità, non potevamo evitare di fare una menzione ai ragazzi.

È stata sicuramente una scelta davvero apprezzata quella di ingrandire il cast ad almeno quattro membri, perché l’idea di inserire la ragazzina ed il poliziotto oltre ai due main characters ha contribuito all’illusione di star seguendo una trama complessa, la loro presenza si è rivelata un’ottima idea per colmare l’assenza di un intero villaggio.

Magari in questo punto preciso sarà solo un espediente narrativo, ma è stato una scena molto utile per non fossilizzarsi sulla sequela di flashback che ci verranno mostrati a breve. Altri punti in cui questi personaggi hanno rivestito un ruolo importante sono stati soprattutto nell’inizio (colmo di tutte le ottime premesse di cui abbiamo discusso) e alla fine (in cui diventano molto utili per chiudere con tranquillità il cerchio narrativo che si aperto sul passato di Shiori e Suga).

(Ecco uno dei flashback con cui ci interfacciamo dopo
–Hey, ma quelle sono le stesse sprites di Blank Dream!)

Questo è un altro punto a favore del soggetto che è stato scelto.

Un altro punto sulla regia che cito è questo: tante volte quando sentiamo parlare di questo gioco molte persone si ricordano di alcune delle scene che hanno visto, oltre che dei personaggi. Questo è un indizio molto positivo sul grado di attenzione dei giocatori, soprattutto se lo mettiamo a confronto col grado di ricezione di Corpse Party. In conclusione, se potessi inserirei l’intero primo atto in Asso nella manica solo per le premesse che promette lo inserirei, perché mi sentirei davvero in colpa a decretare come caratteristica “vincente” del gioco soltanto la scelta del soggetto, ma la seconda metà di questo titolo purtroppo fa parte del gioco e queste scelte infelici sullo sviluppo e sulla regia saranno da discutere.

Ah, come dite? Lo vedete leggermente frantumato? Nah, forse vi state sbagliando.

Non avete idea di quanto mi senta estraniata a parlare in questo ambito di termometro della professionalità, per quello che riguarda Makoto Sanada per lo meno.

Come potete vedere è più della metà. Perché stiamo dando un giudizio così strano?

Ricordiamolo a noi stesse e anche per chi non si ricorda bene i criteri: in questo ambito passiamo un occhio su tutto, dal titolo in sé alle operazioni esterne che sono state fatte a riguardo.

Parliamoci subito chiaro:

 

 

 

 

 

PACKAGING

Per questa volta trascuriamo il titolo, è stato sicuramente apprezzato da molti l’idea di mettere le voci a tema invece del normale “inizia,continua e chiudi”, questo sì. Una delle poche cose interessanti che mi verrebbe da notare è considerare come sia messo in risalto il titolo del gioco.

Andando più nel dettaglio…

Cominciamo con il mettere in evidenza le palesi risorse di default che sono state utilizzate. Vi sembrerebbero messe a frutto, in questo modo, le capacità di una persona che ha studiato teatro? Sì, Makoto ha studiato l’arte del teatro e della messinscena. Eppure il comparto grafico per le mappe è ridotto all’osso per un titolo narrativo di questo tipo e sopratutto per essere da parte di una persona che sembra avere tutta la consapevolezza creativa per poter produrre di meglio. Con questo sto dando per scontato che gli scenari non siano stati pensati in funzione di una direzione artistica ragionata e precisa.

Ora, diamo un’occhiata al menù.

 

È molto semplice, quasi minimale. È stata un’ottima idea mettere l’immagine dei personaggi che ci accompagnano, anche se sono molto evidenti i tratti sporchi del disegno ciò che importa è come questi abbiano un ottimo concept, lo stile di Sanada dopotutto è sempre stato davvero riconoscibile, sicuramente un punto che gli è tornato estremamente utile per Angels of Death. Ma non sembra anche a voi che qualcosa non quadri?

Gli spunti sembrano perfetti eppure tutto continua ad apparirmi come se fosse una grande bozza, vuoi per il mapping, vuoi per i tratti di disegno; non è certo il tipo di qualità che mi aspetterei dopo che il manga tanto distribuito mi è stato presentato con questi tipi di artwork!

Non credo di star parlando di un’operazione banale, dopotutto sia sen che Fummy avevano alle spalle due giochi davvero solidi nella composizione grafica da cui poi essere supportati dalle opere derivate, possiamo citare anche l’ultimo gioco discusso nella rubrica, Mogeko Castle, un gioco in cui era stato messo tanto cuore per la personalizzazione di tileset ed interfacce. Tenete questo a mente per il futuro, perché sarà un tema che riprenderemo.

Vai, Ele.

Rapporto Autore-Opera – Bistrattato, ma non come credete

Il titolo di questo paragrafo sembrerà strano ad alcuni di voi.

“Bistrattato? Ma come? Makoto ha permesso un sacco di adattamenti!”

Infatti, ho scritto “ma non come credete”!

Il gioco, dal punto di vista commerciale, non è stato totalmente gettato via in favore della sua opera più acclamata. Kirisame, infatti, nel 2018 (due anni dopo l’uscita di Angels Of Death) ha avuto un’uscita per dispositivi mobili, assieme a piccole cose aggiuntive che dimostrano un minimo di persistente attenzione commerciale per il gioco.

Sticker ufficiali per l’app di messaggistica “LINE”, molto famosa in Giappone.

Scenette che sembrano prendere il nome di “Dot Theater”
Chi sa il giapponese e vuole illuminarci ulteriormente su quest’operazione, può cliccare il link.

Okay, okay, scusatemi, sono di nuovo PaoGun. Prima di ri-passare la parola a Ele vorrei farvi notare una cosa.

Potrete notare come nella sezione successiva spesso io difenda la linearità dello sviluppo narrativo. Questa è qualcosa che normalmente non farei, soprattutto con questi tipi di autori (conoscerlo meglio durante le nostre ricerche ce lo ha fatto rivalutare peggio di quanto non credevamo prima, credeteci) ma bisogna riconoscergli che sapeva bene quello che stava facendo, non ci dovrebbe stupire dato il contesto produttivo da cui proviene. Avete potuto vederlo da “Storia del prodotto” con Ele quando ha citato la collaborazione di Senada alla scrittura di un film, qui si può fare la differenza con Makoto Kedouin da Corpse Party. Se vi ricordate l’articolo, altrimenti ve lo diciamo qui per i nuovi lettori degli Archives, avevamo parlato di come la primissima versione del gioco derivasse da un contest, un contest in cui un autore indipendente, tra i suoi impegni quotidiani, si è ritrovato a voler produrre un titolo che poi avrebbe sbarrato la strada ad un intero genere di videogiochi (l’articolo successivo abbonderà del tema incentrato sugli autori casuali). Ce ne accorgeremo assieme quando parleremo dei difetti dell’opera, ma The Forest of Drizzling Rain non soffre mai di sbalzamenti troppo strani dello sviluppo narrativo, come invece accadeva in Corpse Party del ’96. Però soffre di altri tipi di difetti che riguardano principalmente la costruzione dei sottotesti, come anticipato prima, e la fretta nella seconda parte della storia. In “Storia del prodotto” avevamo detto che la produzione si era interrotta. Come mai la ripresa sembra essere stata così dolorosa?

-A te la parola, sis.

-Grazie, Pa!

Quindi, perché questo paragrafo non finisce qui?
Semplicemente perché vorrei parlare non solo di quel che viene fatto nei blog/social dell’autore per capire come è trattato da egli il gioco.

…Semplicemente perché si riassumerebbe in frasi abbastanza generiche: il primo titolo non si scorda mai, questo è perfettamente intuibile.

Bensì per criticare in buona parte la fretta di Sanada nell’iniziare Angels Of Death per un prodotto che, come disse PaoGun nell’Asso Nella Manica, aveva davvero delle buone premesse.

Mi permetto di dire questo per via del modo sbrigativo con cui è stata sviluppata la storia per arrivare ai finali.

Dopo aver visto quell’inizio davvero lento, dove si poteva prevedere e si poteva anche pretendere, anzi, una storia sviluppata con i giusti tempi…

…Abbiamo questo?

Un modo sbrigativo e incomprensibile per far vedere cosa lega i due protagonisti?
Credo proprio che se non si fosse avuta alcuna fretta di togliersi questo gioco davanti per svilupparne uno nuovo che ti intriga di più… Beh, si sarebbe spiegato più background (perché, come si dirà nei difetti dell’opera, c’era davvero tanto da spiegare volendo e no, le opere secondarie come manga e novel non contano), non si sarebbe fatta fermare in questo modo la trama per spiegare i flashback e arrivare al finale… Insomma, si sarebbero evitate davvero tante magagne.

Quindi, considerando anche il background di development, secondo cui Sanada quando faceva le parti finali (e credo anche questa qui) aveva già il prototipo di Angels Of Death per la testa… Posso dire che il rapporto che ha avuto con questo prodotto durante la sua creazione è un sentimento, suppongo, di sufficienza.

Si, è davvero triste finire così questo paragrafo, ma… Beh, dobbiamo pur introdurvi in qualche modo al nostro umore quasi perenne durante il nostro secondo incontro con questo autore, e fine di questa lungo viaggio.

Quindi Sanada… Ci vediamo nel 2016, dove sapremo se la tua fretta per questo gioco ha portato a qualcosa di buono nell’opera che tanto aspettavi di fare.

(Spoiler: no)

DIFETTI DELL’OPERA

Eccoci tornati assieme belli miei. Ora cerchiamo di riprendere assieme il discorso che avevamo iniziato nell’Asso nella manica.

Dunque, torniamo per un attimo a questo punto della storia.

 

Sì. Sì, esatto, quello in cui Shiori viene attratta dalla Kotori Obake nella sua tana, parliamone un attimo.

Dopo aver confermato da poco che lei era una residente nel villaggio ed il “museo” era la sua casa la mattina dopo veniamo a sapere che la ragazzina è scappata, il tutto per permettere al giocatore di infiltrarsi nella foresta proibita in cui pochi minuti prima era stato appena detto di non entrare per nessun motivo.

E dunque via, dopo una lunga introduzione buttiamoci nella tana del nemico e scopriamo improvvisamente tutto il lato splatter del gioco…

Seh, SEEH! Sangue, abusi, morti, stanza estremamente inquietante con sottofondi che non mi sembrano così troppo adeguati per un target di ragazzini, okay, okay, vi prego riconciliamoci un attimo: scusate, ma questo che diamine c’entra con la storia di Suga e Shiori?

Okay da bambini hanno avuto a che fare con la promessa che hanno fatto a questa donna, a questo spirito insomma. E quindi? Dove si vorrebbe andare a parare?
Mi spiegate perché diamine Shiori viene attratta in questa caverna che le parla del parto e di violenze sui minori? Sì, l’ho capito che da bambina ha fatto una promessa ma perché insistere così tanto su questo punto? Vorreste forse dare qualche suggerimento sulla sua età e che in qualche modo avrà a che fare con la tematica del diventare una “giovane madre”? Perché tra le varie cose mi è parso di capire che la tematica di questa famosa Kotori Obake fosse questa, o mi sbaglio?

Siamo stati a contatto per tutto il gioco con quella che sembrava essere un titolo d’avventura e mistero per ritrovarci alla fine divisi da due pattern diversi. Da un lato c’è la main plot, quella sui due protagonisti, che segue una certa direzione e dall’altro lato la storia dell’antagonista va da tutt’altra parte. Tra l’altro non mi pare che nel corso del gioco si sia mai approfondita a sufficienza l’identità sociale e la natura del villaggio –se non ovviamente dal punto di vista negativo e violento che spiega la nascita dello spirito maligno ma non è abbastanza questo, soprattutto se consideriamo che la famiglia dei due personaggi positivi avevano a che fare con tutto questo–, la storia della Kotori Obake ti viene innanzitutto presentata come una leggenda popolare tra i libri colorati, o come una fiaba, scegliete la definizione che vi piace di più. Viene presentata come una fiaba (molto cruenta) che poi si scopre reale, punto. Finisce lì.

Nei flashback ci viene dato solo qualche indizio sul carattere dei ragazzini e poi ci viene spiegato il motivo per cui Shiori aveva perso la memoria, tutto qui, e viene fatto con una velocità disarmante. Prima avete potuto vedere che ho sottolineato l’aggettivo “molto cruenta” semplicemente perché “questa fiaba”  va totalmente fuori con i toni generali del gioco e sopratutto i protagonisti non sembrano sviluppare alcun tipo di reazione nei confronti della vicenda.

“Oh wow, l’abbiamo sconfitta.”
“Ah-sì.”
“Andiamo a prendere un tè?”
“Okay”

Cosa dovrebbe avergli lasciato esattamente questa esperienza?

In realtà l’autore è stato molto furbo perché quando avrà scritto queste due storie è stato ben attento a non farle intrecciare. Sembrano davvero due trame diverse che quasi casualmente ad un certo punto si sono incrociate, infatti per quanto trovi certi punti davvero strani e “wtf” (per usare un linguaggio giovanile come farebbe Ele), non riesco a prendermela totalmente con questo titolo perché è davvero omogeneo e onesto nei suoi intenti, nella sua semplicità ha trovato la sua fortuna generando una storia tutto sommato abbastanza coerente e lineare, non ci sono buchi di trama troppo grandi nella storyline complessiva perché semplicemente l’ha trattata con molto riserbo.

Sicuramente tra gli appassionati ci sarà qualcuno che potrebbe dirmi: “Ah! Guarda che in realtà c’è una stretta vicinanza perché…A entrambi sono morti i genitori e a Shiori in un incidente d’auto quindi…Appena morti loro, subentra la figura materna pericolosa!”

Oppure: “No, in realtà l’insicurezza di Suga è strettamente legata ai bambini che venivano intrappolati dallo spirito maligno, perché viene messo in evidenza che anche lui ha perso la madre…! E quindi questa storia parla della sua crescita interiore, questo si vede da…”

Questo non si vede assolutamente da nulla, vi risparmio io la fatica. Non c’è nulla del genere che venga trattato in maniera sufficientemente chiara, nemmeno nelle scene in cui si vede Suga ammazzare i bambini negli atti finali. Tutto questo complesso sottotesto sulla maternità è totalmente scollegato dalla trama principale. Allora, io premetto che ho anche fatto i compiti a casa prima di scrivere questo articolo cercando di fare riferimento a delle fonti esterne: ho cercato di ripassare un po’ sul tema degli spiriti giapponesi (gli Yōkai) e quello che ho capito è che sicuramente nelle loro varietà di forme ci sono veramente tanti casi che dipendono non solo dai singoli simboli che gli si attribuiscono nelle loro leggende (e quindi era una responsabilità del gioco cercare di associare una tematica definita alla storia) ma che sono comunque delle metafore per esprimere dei sentimenti umani, quindi questo grava ancora di più sulla potenza emotiva della messinscena che avrebbe dovuto valorizzare una trama del genere.

Vedete? È con questi tipi di titoli che ci si scervella per associare la simbologia alla trama, non in Ao Oni. Così, prendetela come scusa per rimandarvi all’articolo.

Torniamo per un attimo a Sanada. Se sono così aspra nei suoi confronti è perché qui, in The Forest of  Drizzling Rain perlomeno si salva il registro predominante (perché c’è un registro predominante nella storia, valorizzato da una regia davvero buona, questo voglio ricordarlo) che ci aiuta nell’immersione della main plot. Qui, però, in The Forest of Drizzling Rain.

In Angels of Death non è stato così, perché non solo ha inserito tematiche totalmente confusionarie, poco attinenti con il titolo e dannose per la percezione che abbiamo dei personaggi ma queste ultime hanno anche influito a danno della trama principale cambiando totalmente le carte in regola e creando così un gran pasticcio. Ed Angels of Death è stato molto più acclamato e distribuito come opera, creando nuove illusioni nei giovani autori che si approcciano al tool di RPG Maker. Ma di questo ne parleremo a tempo debito.

Okay, siamo pronti per ripartire in auto ragazzi. Forse questo vi sarà sembrato un passaggio breve e fugace, ma sapete che abbiamo iniziato a fare il primo passo verso un mondo davvero complesso, e questo è paradossale per un titolo che ha fatto della classicità e della tradizione il suo cavallo di battaglia. Come avrete già potuto capire da tempo ci ritorneremo a Sanada e alle opere che produce, questo era solo un prologo. L’inizio della fine.

Ricordate il primo articolo su Corpse Party, no? E beh, lo ricordiamo ovunque ormai. Qui ci faccio un rimando per cercare di farvi tenere a mente come in quell’articolo che per noi rappresentava l’inizio di tutto ci focalizzassimo di più sulla natura dei due giochi piuttosto che sul loro contesto di produzione anche se avevamo iniziato a parlarne. Il cuore erano i giochi stessi.

E questo perché forse così potrete notare la differenza con questo articolo. Sicuramente avrete trovato le ricerche esterne inerenti il prodotto più ricche di spunti rispetto all’analisi interna, a questo dovrete iniziare ad abituarvi per capire tutto il meccanismo che si inizia a costruire attorno e in questo il prossimo articolo che finirà sul Back To The Future sarà fondamentale, sarà un articolo talmente lungo e complesso per le cose che dovremo dire che proprio in questi ultimi giorni abbiamo stabilito di dividerlo in due parti. Due i personaggi principali dai caratteri opposti, doppie le indoli di tutti gli altri personaggi, doppio il registro con cui si affrontano le tematiche e i strani sotto-testi che la storia propone, due le autrici e di doppia natura è la storia di produzione di uno dei titoli più articolati e profondi dell’intera storia degli RPG Horror. Stiamo parlando di Cloé’s Requiem, il gioco dalla doppia faccia.

Mogeko Castle – Più piani, più stili, più personalità

Benvenuti al Mogeko Castle, l’unico castello dove potrai essere minacciato da gatti gialli e combatterli con il potere del prosciutto!

Mentre la protagonista del gioco fa la sua fermata dal treno, questa è per noi l’ultima fermata della prima generazione con la macchina del tempo per la rubrica “Ritorno al futuro”.

Questo titolo ha spopolato nel 2014 ed è stato riconosciuto come uno degli HOR-RPG più bizzarri.

Alcuni lo definiscono come una parodia di questa corrente. Ebbene, dal momento in cui viene a concretizzarsi una parodia di qualcosa significa che quest’ultima ha sviluppato degli elementi che la caratterizzano.

Vediamo insieme allora come è nato e cresciuto l’RPG parodico per eccellenza.

Okay, questo è uno dei casi in cui le varie wiki sul gioco sono abbastanza fornite di informazioni, e non si deve cercare chissà che sito per sapere la data d’uscita di Mogeko Castle in Giappone: 5 Marzo, 2014…

Eh, no! È qui che ci sbagliamo!

Riconoscete questo screenshot del gioco?
Ricordate le epiche battaglie che abbiamo tutti combattuto in Mogeko Castle?
No?

Certo che non le ricordate, perché le wiki sono anche abbastanza fornite per dirci che la primissima uscita del gioco fu il 1 Aprile 2012 (quant’è ironico rilasciare un gioco parodico il 1 Aprile?), in una versione fatta su RPG Maker 2000, a oggi introvabile su siti ufficiali, che appunto come sostanziale differenza rispetto al gioco che abbiamo tutti giocato e visto su Youtube, aveva delle battaglie in certi momenti del gioco. Quindi dovremmo cominciare la development history di Mogeko Castle dal 2012

…Se solo avesse qualcosa da offrire.

Sembra che solo un canale, quello di Alex Lu, abbia portato (anche senza alcun commentary) la prima versione del gioco su youtube. Anche nella sua terra di provenienza non ha fatto molta fortuna, essendo forse stato anche meno “pubblicizzato” dall’autrice stessa.

Non sarebbe neanche un’ipotesi tanto azzardata, dato che a oggi ancora non mi è chiaro come sia stata tanto conosciuta la versione del 2014 sia in Oriente sia in Occidente, dato che anch’essa in Giappone non ha avuto chissà che pubblicità: non ho trovato altri siti per scaricarla, se non quello dell’autrice.

Dopo aver avuto il suo spazio, in un modo o nell’altro, nella community RPG Horror giapponese, anche questo titolo (o meglio, il suo remake, essendo stato anche più popolare nella community in generale) è stato eventualmente scoperto dalla nostra cara Kate (VgPerson) e tradotto in inglese. Inutile dire che da quella traduzione sono partite le solite sfilze di gameplay come è successo per moltissimi altri titoli, ma Mogeko Castle aveva motivi diversi per l’essere popolare nella community mondiale degli HOR-RPG.

“Un gioco che riesce ad essere carinissimo e anche fortemente disturbante allo stesso tempo. Mi piace già un sacco.”

“Questo gioco è così… Ma che cazz…?”

“Qualsiasi tentativo di comicità che il gioco avrebbe voluto avere è un po’ rovinato dal fatto che stiamo guardando personaggi mascotte di stupratori omicidi la cui motivazione principale è quella di stuprare una ragazza delle superiori. È un po’ inquietante.”

In questi tre commenti abbiamo avuto tre tipi di ricezione diverse del gioco.

Sicuramente c’è chi ha apprezzato i vari elementi che analizzeremo nell’Asso Nella Manica, così come gli elementi più surreali del gioco… E chi è stato anche solo un minimo disturbato magari dagli stessi elementi strani che hanno fatto ridere o stranito altri giocatori (di questo tipo di commenti e il perché non siano tutti così, anche se conosciamo di cosa tratta il gioco, lo spiegheremo meglio nell’Asso Nella Manica).

In generale però, la ricezione sul gioco è stata molto positiva nella community HOR-RPG, per via di un fattore che spiegheremo subito sotto.

Mogeko Castle ha unito tre generi: l’horror, l’avventura e il demenziale.

Il demenziale è generato per rompere gli schemi narrativi tradizionali, per farne da parodia. E nel nostro caso Mogeko Castle è un gioco fuori dagli schemi di quella che è diventata nel corso una corrente fatta e finita: aveva già i suoi clichè, elementi di vaga somiglianza tra un gioco e l’altro (prendiamo l’esempio della classica ragazza protagonista), atmosfere, tipi di trame. Una corrente già formata grazie alle due generazioni che abbiamo già trattato – prevalentemente la 1 – aveva a questo punto bisogno di una parodia che li mettesse in ridicolo con mostriciattoli “pericolosi” che alla campanella dell’ora di cena si trasformano in esseri ridicoli (ciò li rende anche molto ambigui al giocatore), strane usanze e strani altri personaggi che troveremo nel castello in generale, assieme alle situazioni che affronteremo.

Quindi come si è fatto strada nella community HOR-RPG mondiale?

Mogeko Castle è prima di tutto un’avventura, affronta un viaggio nel vero senso del termine (e non il viaggio dell’eroe di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente): l’obiettivo di Yonaka è quello di trovare un’uscita sicura dal castello, e nel farlo si imbatterà in tutte le sue diverse aree e varietà di abitanti.

A questo proposito vorrei fare un appunto sul gameplay di questo gioco.
Anche se privo di meccaniche innovative, enigmi veri e propri (si ha solo un po’ di difficoltà in alcuni inseguimenti, come quello delle porte multiple) e in generale abbastanza se non molto, scarno ha un elemento che rende il gioco ancora godibile: l’interazione con l’ambiente. Abbiamo infatti molte possibilità di interagire, a volte anche in modi diversi dal semplice parlarci, con i vari tipi di Mogeko che incontreremo, far attivare meccanismi nel castello (anche se in molti casi daranno vita ad un game over o un bad end) o anche semplicemente collezionare oggetti a destra e manca, tra sacchi della spazzatura pieni di vomito a “libri morbidosi”.

Andando invece dal punto di vista narrativo del gioco, dato che appunto il gameplay non offre davvero nulla, ad essere onesti, durante la Storia del Prodotto abbiamo parlato prima dell’ampia sfera di emozioni che questo titolo ha provocato nei videogiocatori. Questo si rivela essere il suo principale Asso Nella Manica.

Più precisamente, il punto di forza principale di Mogeko Castle è la moltitudine di registri usati e la gestione di essi.

Sopra dicevamo che questo titolo è un’avventura demenziale, giusto?

…Assolutamente si.

Nel gioco possiamo ricordare questi tipi di scene, presenti soprattutto all’inizio del gioco ma che si distribuiscono per quasi tutta la sua durata, ma anche…

Senza contare i numerosi e a tratti disturbanti Bad End.

In breve, a livello di atmosfere e, come detto sopra, registri, Mogeko Castle ha davvero di tutto. Ma come sono stati gestiti tutti questi diversi registri per renderli un Asso Nella Manica, e non semplici inconsistenze di vibe che sarebbero andate dritte a finire nei Difetti Dell’Opera? Esaminiamo i tre registri di base uno a uno.

-Registro Demenziale.

Come detto sopra è il registro predominante in molte parti del gioco, soprattutto all’inizio.

È praticamente quello per cui i giocatori si sono avvicinati ad esso e ne restano ancora affascinati. Vorrei parlare in questi paragrafi dello “stile” della demenzialità di Mogeko Castle riguardo alle situazioni e il background presentati, mettendolo a confronto con varie opere giapponesi che possono avvicinarsi alla comicità di questo titolo.

Iniziamo con il restringere il campo d’azione, e concentrarci su opere demenziali provenienti da una terra precisa: il Giappone. Questo semplicemente perché Mogeko Castle abbraccia molto la tipica comicità giapponese che, appunto, si basa molto sulla demenzialità. Se si prende una qualunque opera di finzione giapponese (ma anche molti giochi televisivi, il più popolare Takeshi’s Castle) molti momenti comici hanno sempre una sfumatura demenziale oppure semplicemente lasciano lo spettatore incollato allo schermo solo per vedere quanto può diventare fuori dal mondo la situazione presentata.

Una ragazzina delle superiori confessa il suo amore ad un esserino verde dai comportamenti vagamente umanoidi e decidono di stare insieme per sempre, in barba a tutti i loro obbiettivi iniziali.

Due esseri gatti-formi hanno un’epica battaglia di scherma.
Non ha bisogno di ulteriori descrizioni, fa ridere già così.

Prenderemo un esempio di un anime comico-demenziale per un tema che è abbastanza ricorrente in Mogeko Castle: il tema “sessuale” (presentato dai Mogeko in molte occasioni, sottoforma di statue o meno, e sono presenti anche alcuni elementi del gioco che almeno alludono a questo tema). Da questo confronto tireremo poi fuori punti che potranno farci capire meglio perché in generale la comicità di Mogeko Castle ha attirato così tanto: esistono tanti giochi comici di stampo demenziale, perché proprio questo ha avuto fortuna?

Okay, quindi… Il tema della sessualità ci viene presentato dagli esserini gialli in modo quasi costante.

I vari dialoghi o scleri che potremmo avere tra i Mogeko, con i Mogeko o da parte dei Mogeko credo possano esprimere che intendo.

Tra cui…

Ricordiamo il commento che abbiamo avuto modo di vedere nella Storia Del Prodotto:

“Qualsiasi tentativo di comicità che il gioco avrebbe voluto avere è un po’ rovinato dal fatto che stiamo guardando personaggi mascotte di stupratori omicidi la cui motivazione principale è quella di stuprare una ragazza delle superiori […]”

Allora perché, a parte alcuni commenti più seri, il grande pubblico ha riso mentre giocava Mogeko Castle? Qui la scelta del registro assieme alla messa in scena sono state fondamentali.

Per via del registro usato, quello demenziale, in molti dei momenti in cui si fa direttamente riferimento al sesso non si ha quasi mai la “possibilità” di vederlo in maniera troppo schifosa o inquietante: in questo aiutano molto anche i personaggi dei Mogeko, dal design fino agli atteggiamenti ridicoli, di cui parleremo dopo.

Per questo Mogeko Castle ha potuto trattare questo tema per il 90% del gioco in modo grottesco, a tratti sporco, ma mai troppo serio per essere preso come irrispettoso o di cattivo gusto.

Ecco, questo modo di trattare il tema “sessuale” a tratti mi ha ricordato un’anime di cui vidi qualche episodio molto tempo fa, quando mi stavo appena avvicinando al mondo degli anime e manga.

Ecco a voi Ayame Kajou, uno dei personaggi principali dell’anime e manga distopico-ecchi Shimoneta (altresì noto come “Shimoseka: Un mondo noioso dove il concetto di battute sconce non esiste”).

Rigiocando Mogeko Castle e ricordando le scene di quest’anime, ho potuto trovare varie similitudini nella trattazione marginale dell’argomento sessuale nelle due opere, soprattutto a livello di prima reazione da parte di uno spettatore medio (me stessa, in questo caso).

Ma prendiamo un solo esempio preciso.

Nell’immagine sopra potete vedere la primissima entrata in scena di Ayame. Qui, tramite la sua “divisa” per gli atti terroristici dell’organizzazione SOX ci viene subito presentata come una ragazza sboccata e in generale “sporca” per la società.

In che scena di Mogeko Castle ci vengono presentati finalmente i Mogeko come personaggi “sporchi”, invece?

Ma a parte la presentazione di due tipi di personaggi “osceni”, che hanno di simile queste due scene?

Entrambe, oltre ad avere la loro potente messa in scena, hanno un contesto forte dietro che le regge, e le rende più iconiche.

Pensiamoci: perché l’entrata in scena di Ayame è così bizzarra e ci fa spalancare gli occhi in Shimoneta?

Dovete sapere che l’anime è ambientato in una distopia in cui le autorità giapponesi puniscono chiunque usi un linguaggio spinto o distribuisca materiali osceni, al punto che tutti i cittadini sono costretti a indossare dei peacemaker per l’analisi di ogni loro parola e movimento.

Ecco, dopo la presentazione di questo contesto tanto proibitivo ci ritroviamo questa ragazza con mutande in faccia, telo che potrebbe alzarsi solo con un minimo di vento e nell’atto di urlare parole sconce ai quattro venti. Essendoci abituati all’ambiente presentato inizialmente, noi ci sorprendiamo a vedere un personaggio come Ayame.

In Mogeko Castle, invece, ci viene presentata fino a quel punto del gioco una fermata del treno misteriosa, con nessun controllore, una ragazzina persa in un ambiente sconosciuto, dove c’è qualcuno che la guarda… Nella foresta Mogeko, poi, Yonaka è dovuta scappare da degli esseri ai suoi occhi anche inquietanti…

Che alla fine litigano come bambini su chi… Deve andare per primo, ecco.
Qui i Mogeko ci vengono presentati per la prima volta come personaggi ridicoli, e il giocatore non può fare altro che ridere semplicemente a questa rottura di vibe, dove si è passato dal presentare la dimensione del Mogeko Castle come qualcosa di misterioso, assieme ai suoi abitanti, al presentare i Mogeko come esseri in realtà bambineschi e ridicoli anche su argomenti convenzionalmente più spinosi.

Quindi, avendo preso d’esempio la prima scena completamente comica del gioco, perché l’intera comicità di Mogeko Castle funziona?

L’ho detto sopra: perché ha un preciso contesto dietro. Prima di tutto l’obiettivo principale di Yonaka (E del giocatore) è quello di esplorare un castello per trovare una via di fuga. È l’avventura il genere che fa da sfondo a questo gioco in particolare, costruendo un’ottima base per far poggiare sopra l’approccio demenziale che si vuole seguire. Ad esempio ricordiamo tutte le parti in cui ci viene raccontato il background del castello, anche tramite i sette Mogeko Speciali (di cui abbiamo apprezzato molto le scene in cui vengono presentati, molto d’effetto grazie anche alla theme che ritorna per ognuno di loro).

-Registro “Drammatico”, con cui la trama prosegue.

Su questo non c’è molto da dire. Sapete perché?

Semplicemente perché abbiamo già trattato qui in Ritorno Al Futuro la colonna portante di questo registro: Mad Father.

Per quanto lo stile comico sia predominante, il suddetto titolo non rinuncia a trattare con una certa serietà certe scene importanti della trama che comunque sviluppa un tipo di intreccio narrativo (ricordiamo ciò che abbiamo detto prima sul genere “avventura” e su come lasci poggiare i diversi registri narrativi).

L’uso di musiche, certi movimenti di sprite, tatticità delle CG in certi momenti (anche se in Mogeko Castle ce ne sono molte di più, e con più variazioni, cosa che io, Ele, ho molto apprezzato) accomuna questo gioco e Mad Father, dato che hanno avuto la stessa ispirazione, che molti titoli di oggi (nel bene o nel male) anche stanno prendendo: l’opera audiovisiva.

Mogeko Castle e Mad Father devono infatti buona parte della loro professionalità a livello registico proprio per quest’ispirazione dall’opera audiovisiva.

Da un lato la presentazione di un personaggio che entrerà a breve in scena scegliendo di mostrarlo con un certo pathos, dall’altro una scena più “emotiva e drammatica” di Mad Father

Queste due inquadrature hanno preso palesemente ispirazione da essa, che in molti casi con questo tipo di regia effettivamente riesce a sortire un certo effetto negli spettatori, e quindi anche i giochi che usano questi tipi di regia in molti casi (non tutti, attenzione) riescono a dare certe emozioni al giocatore.

Possiamo prendere come esempio anche la scena del combattimento tra il Re Mogeko e Nega-Mogeko.

Forza, quante volte in qualunque opera audiovisiva (a primo attrito a me ha ricordato un qualche tipo di anime shonen) che abbia un minimo d’azione avete visto questo tipo di inquadratura?

Essa effettivamente da un senso di epicità, anche se il combattimento è tra due esserini tondi con orecchie da gatto.

Mogeko Castle ha sfruttato quindi, un po’ come fece Mad Father qualche tempo prima, il “drama”, o per essere più generali, quel tipo di regia proveniente dalle serie anime (in questo caso d’azione o d’avventura), facendolo funzionare perfettamente nelle scene che ha voluto rappresentare.

-Registro horror

Il registro horror usato in Mogeko Castle non ha caratteristiche particolari rispetto a molti altri titoli che abbiamo già avuto modo di analizzare.
Ciò che lo rende degno di analisi è il diretto confronto con il suo opposto: il registro demenziale.

In questo aiutano sicuramente il pericolo principale che deve affrontare Yonaka: la specie dei Mogeko (e Moge-Ko, loro dittatrice al quarto piano).

Come dissi qualche paragrafo fa, essi sono personaggi molto ambigui, e ce ne sono di ogni forma possibile, soprattutto in funzione al piano che occupano.

I Mogeko normali sono, come ho già detto, esseri tanto stupidi e infantili, quanto letali. Ciò che ce li rende subito inquietanti è appunto il contrasto tra queste due caratteristiche, che crea esseri che per i loro capricci praticano anche cannibalismo tra di loro (molti Mogeko morti che si trovano anche prima del quarto piano lo dimostrano), e in generale sono disposti a fare davvero di tutto.

[……]

Qui abbiamo il perfetto esempio del contrasto che è perenne nei Mogeko: quello di questo esserino può sembrare, dai toni che usa, un semplice capriccio infantile.
Però se ricordiamo che sta parlando di distruggere l’intero castello (qui entra in gioco anche un’iperbole molto comune quando “si fanno i capricci”) e alla fine approfittare del cadavere di Yonaka… Si smette per un attimo di ridere.

Inoltre, come detto sopra, ci sono vari tipi di Mogeko. Quelli che vengono sfruttati più spesso per creare un’atmosfera horror (e sono anche protagonisti di un bad end) sono i Mogeko Pazzi.

…Ma l’effetto horror viene dato anche dalle indoli dei personaggi umani (o umanoidi) che incontreremo lungo la nostra strada, quello che sono in grado di fare e quel che effettivamente fanno in varie situazioni.

Da questi tipi di espressioni in certi momenti del gioco quando apriamo il menu, possiamo notare che anche Yonaka è un personaggio abbastanza ambiguo, ciò rende anche lei inquietante in certi frangenti.

Quindi Mogeko Castle, con ben tre registri differenti che si alternano, è la dimostrazione di come sia importante il modo in cui si racconta una storia.
In questo frangente abbiamo potuto vedere gli stessi personaggi ogni volta con una sfaccettatura diversa, oltre all’ambiente stesso che spesso cambiava forma.
Ad esempio, in giochi come The Crooked Man o altri che abbiamo analizzato in questa rubrica, queste continue mutazioni nel corso del gioco non avvengono, oppure non avvengono così spesso o tra generi così diversi tra loro.

Ma è arrivato il momento di chiederci: Mogeko Castle sarebbe in grado di sopravvivere nel mercato?

Abbiamo il piacere di trovarci davanti un titolo perfettamente commercializzabile.

Più tardi analizzeremo più a fondo quelle caratteristiche che almeno per noi indeboliscono il massimo livello sul termometro.

La personalità del gioco è forte, con un’efficace campagna di promozione e distribuzione potrebbe facilmente raggiungere i grandi numeri.

 

 

 

 

PACKAGING

Se ricordate l’articolo precedente avevamo parlato di quanto le tinte si fossero scurite e spente.

Ebbene, qui abbiamo una nuova scintilla. Per rappresentare la stravaganza del Mogeko Castle abbiamo innanzitutto i tileset e le sprites ingrandite.

Spesso ci vengono fornite CG, di cui quelle più sbrilluccicanti (nel senso letterale del termine o quando li incontri la prima volta) sono per rappresentare i bizzarri Mogeko.

Mappe celesti, mappe insanguinate, tutto votato all’esagerazione per far si che questa sia certamente un’avventura da non dimenticare e comunque presentando anche qui, per la scelta degli ambienti, numerose variabilità. Anche per la schermata del titolo.

Quest’ultima è scura, con Yonaka al centro e dall’occhio rosso che osserva il giocatore.

Il menù ha facciate molto larghe, con tante stelline in giro che accompagnano i nomi dei salvataggi.

 

 

RAPPORTO AUTORE – OPERA

Avrei da fare un appunto a riguardo: se questo gioco si fosse trovato in mano ad una compagnia di professionisti, avrebbe fatto centro.

Se da un lato l’aver fatto il lavoro di una compagnia di produzione a livello di personalizzazione dell’opera dà sicuramente molti punti all’autrice, dall’altro invece c’è stata la distribuzione.

Come abbiamo accennato prima una compagnia di professionisti forse avrebbe saputo valorizzarlo meglio: non ci troviamo nessun vantaggio per l’autrice di rimanere nell’ombra. Un gioco tanto forte merita una personalità altrettanto forte, costruirsi un mito dell’autore avrebbe sicuramente giocato in suo favore.

DIFETTI DELL’OPERA

Questo titolo ha forse un unico grande difetto che riguarda il finale.

Una volta che muore Mogeko Difettoso la trama sembra perdersi in eventi deliranti che vorrebbero suggerci di giocare il sequel che l’autrice sta preparando da anni.

Il finale poteva essere un’ottima opportunità per chiudere i numerosi cerchi narrativi che si erano aperti (soprattutto di spiegazioni sul background del castello), così mantenendo la linearità del titolo fino alla fine si sarebbe mantenuta più facilmente attiva, almeno a mio parere, l’attenzione del giocatore.

Non si parla solo di quei finali che lasciano possibilità ed interpretazione a domande aperte, ma un vero e proprio delirio allucinogeno che compromettono la comprensibilità di un’opera narrativa, che in questo caso poco aveva a che fare con il suo aspetto demenziale.

Per fare un piccolo confronto: una scena del genere ce l’aspettiamo per un’opera del genere…

…Questo invece un po’ meno. Soprattutto dopo una successione di scene drammatiche in cui ci chiediamo se Yonaka sia riuscita a tornare a casa o ha avuto solo delle illusioni.

Eppure, nonostante questo, è difficile ricordare questo titolo senza un sorriso per le memorie che rievoca tra gli appassionati della corrente horror tra gli RPG.

E con questo si chiude la Prima Generazione.

Abbiamo potuto estrapolare una parola chiave per descrivere gli Rpg Horror di questo periodo, gli anni in cui giocare questi titoli era una moda: la variabilità.

Da quella mostrata in Mogeko Castle, o allo stile di The Crooked Man che si oppone al dramma familiare esagerato di Mad Father; dal minimalismo di Ib alle sontuose mappe di The Witch’s House la corrente si è stabilizzata ed ha trovato la propria strada, offrendo delle possibilità a team più ampi, collaborazioni sempre più intense con i publisher e accordi di lavoro più definiti. Queste, cari lettori, saranno le storie di produzione dei titoli della Generazione 2: storytelling-focus.

The Crooked Man – Il Mal Di Vivere

Fino ad adesso in questa stagione di Ritorno Al Futuro avete potuto apprezzare assieme a noi i tre grandi fenomeni che avrebbero aiutato a formare la corrente RPG Horror per molti elementi, i cosiddetti tre “master”: Ib, The Witch’s House e infine Mad Father.

In questi giochi c’è stato sempre un argomento comune: il tentativo di raggiungere un linguaggio più commerciale, l’arrivo al grande pubblico e chissà, fare anche fortuna e arrivare più in alto, anche con altri media.

Ib con la sua narrazione “a scoppio ritardato”, The Witch’s House con la sua light novel, Mad Father… Con l’intero gioco.

Ma come anticipato nell’articolo sul titolo di sen, ora abbiamo un ritorno al passato, un titolo che fece la sua fortuna anche se “uscito nella generazione sbagliata”, un’alternativa alla drammatizzazione data dai tre maestri dell’RPG…

…Che prende il nome di The Crooked Man.

NOTA: In questo articolo parleremo della prima versione di The Crooked Man, quella che molti giocatori conoscono e che rispecchia più di altre lo spirito originale del gioco. Non terremo conto né della versione 4, né della versione Steam.

Storia del prodotto

“C’era un uomo storto che camminava su una strada storta”…
Va bene, si, avete capito. Però vi dico, non sto citando questa storica canzoncina per bambini per parlare attualmente del gioco che la usa, di quello ne parleremo nel paragrafo dell’Asso Nella Manica e nei paragrafi dedicati al Termometro della Professionalità.
Vorrei citare il tema dello “storto”, per via del mio tempo passato su Google a cercare più informazioni possibili, anche in Giapponese (siano benedetti i traduttori automatici!) sulla storia della produzione di questo titolo: un forum in cui è stato pubblicato la prima volta, un qualche tipo di informazione riguardo al background produttivo…

Niente, neanche il profilo Twitter di Uri mi dice nulla di questo argomento. So che ha un cane molto carino, ma sulla production history del primo titolo della Strange Man Series non ho trovato niente di rilevante.

Solo per scoprire che il gioco è uscito nel 2012 (non sappiamo neanche in che mese è stato rilasciato!) ho letteralmente passato il tempo a… Storcere la schiena davanti al PC.
PaoGun mi sta contagiando con le battutacce, eh?

Raccattando le poche info che abbiamo possiamo solo prendere nota di vari aggiornamenti al gioco fino ad arrivare alla cosiddetta versione 4, con delle musiche aggiunte (ne parleremo meglio nell’Asso Nella Manica di questa scelta) e poche altre cose, assieme alla versione Steam… Che PLAYISM, la stessa PLAYISM che con prepotenza prese custodia di Yume Nikki e il remake di Mad Father, ha pensato bene di distribuire senza fare modifiche troppo sostanziali alla versione free più recente del gioco, aggiungendo solo gli archievement di Steam e poche altre cose. No comment.

Okay… Quindi, data la scarsa quantità di fonti, salteremo lo step della prima release del gioco in Oriente ed Occidente, assieme alle sue peculiarità.

Come è stato recepito questo titolo dal pubblico? Per questo il profilo twitter dell’autrice mi è stato d’aiuto per tirare le somme su cosa ha portato questo titolo all’essere uno dei masterpieces dell’HOR-RPG.

“Hey Uri, voglio mandarti questo messaggio per dire quanto apprezzo i tuoi giochi. The Crooked Man mi ha aiutato molto con la mia depressione e mi ha dato speranza per cose migliori nella vita. Spero continuerai a fare giochi bellissimi ma per ora ti dico grazie!” […]

Il commento, sotto un video di Markiplier, si riferisce alla situazione vissuta dalla madre di David nel gioco, introdotta durante le prime scene.

“…Mia nonna ha l’Alzheimer, l’ha avuto per circa 6-7 anni, gli ultimi 5 sono stati però i peggiori. […] Ma vedere finalmente un gioco che tocca questa tematica è davvero una bella cosa, perché temo che molte persone trovino taboo il trattare la demenza. Pochissime persone ne parlano, anche se oggi è molto comune.”

Okay, già da questi due commenti possiamo vedere che dal punto di vista narrativo Uri ha centrato una cosa: le tematiche e il quanto la gente ci si possa riconoscere.
Nel paragrafo Asso Nella Manica parleremo meglio del perché il come sono state trattati alcuni temi nel gioco ha colpito così tante persone, diciamo per ora che la messa in scena ha fatto la sua parte.

Ma ora andiamo ad un motivo molto più “leggero” e adatto al genere horror, ovvero i jumpscare.

“Quando David è entrato nella stanza e c’era scritto ‘Ti Sto Aspettando” sui muri, mi sono quasi cagato addosso!!! […]”

“Quando il pavimento è ceduto e ho sentito Sissi urlare sono saltata dalla sedia”

Quando abbiamo sentito parlare di spaventosità dei jumpscare, l’ultima volta?

Queste tre immagini dicono più di mille parole.

Qui andiamo al discorso detto nell’introduzione: The Crooked Man è stato un caso isolato di ritorno alla vecchia generazione di RPG Horror. Anche il gameplay di questo titolo infatti è basato fortemente sull’esplorazione pura: seppur la storia sia molto lineare, abbiamo quel tipo di gameplay che ci si aspetterebbe, appunto, da Akemi Tan, con gli stessi tipi di pregi e difetti.

Detto ciò: quindi nel dettaglio, un titolo tanto “vecchio” come si è spianato la strada anche nella generazione degli stardom?

Innanzitutto c’è da considerare una cosa: possiamo realizzare come Mad Father abbia costruito aspettative più alte riguardo l’aspetto narrativo degli Rpg Horror.

E questo infatti può dirsi un titolo con una storyline ben precisa, incentrata su un’avventura che non è altro che una metafora del suo viaggio interiore.

Il viaggio dell’eroe è uno schema narrativo davvero molto vecchio, è possibile rintracciarlo in numerose opere di finzione. Le caratteristiche che lo contraddistinguono sono state analizzate e raccolte in seguito tra gli anni ’70 e ’80.
Abbiamo una chiamata all’avventura, vale a dire una successione di fenomeni che convincono il personaggio principale, l’eroe, ad abbandonare il suo mondo ordinario per intraprendere un’avventura in un mondo straordinario, sconosciuto.

Durante il viaggio, che può includere svariate tappe, l’eroe incontra ostacoli (nel nostro caso l’uomo storto), ed aiutanti. Forse Sissi, D e Fluffy non saranno aiutanti veri e propri, ma sicuramente sono degli alleati che contribuiscono alla crescita personale di David.

Eccoci dunque al punto critico dello sviluppo preceduto o succeduto da una rivelazione (tutti i ricordi di David lo porteranno sempre di più ad identificarsi con la figura dell’Uomo Storto) a cui si sussegue il raggiungimento di una consapevolezza che porta il personaggio ad una trasformazione, poco importa se questa sia positiva o negativa. Dunque il racconto si conclude, l’eroe torna a casa e può dirsi eventualmente pronto per un nuovo viaggio.

Come potete vedere è uno schema che può essere usato in maniera molto versatile: fiaba (il genere più vicino nonché più trasparente sul piano allegorico: principe-stregone-sconfigge il drago-libera la principessa), opera d’avventura-fantastica, drammatica (come vedremo, ad esempio, per questo titolo), fantasy (vedasi la chiamata all’avventura di Frodo, ne Il Signore degli Anelli), e può narrare le più svariate tematiche.

Ebbene, Uri ha deciso di adottare questo schema per parlare della depressione (o darne una sua interpretazione, perlomeno) su cui ha costruito un discorso drammaturgico ben preciso e lineare a cui ha proposto nella conclusione la sua soluzione creativa.

In ogni caso si tratta di un aspetto su cui non insisteremo ulteriormente, anche perché, un piccolo appunto: questo gioco è incentrato principalmente su una presa di consapevolezza da parte del main character; i luoghi esplorati e le vicende che si susseguono hanno a che fare con una realtà molto interiorizzata e personale: essendo questa ancora la generazione dei Character Drama e non potendo avere profondi approfondimenti sui contesti e gli ambienti scelti abbiamo preferito non soffermarci più del dovuto sullo schema narrativo che di per sé non è nulla di nuovo: è solo molto interessante che sia stato sfruttato e anche molto bene per un titolo horror, conciliando il viaggio (anche fisico, concreto) del nostro eroe, per l’appunto, e l’esplorazione che è la caratteristica principale del genere HOR-RPG.

Ebbene…Passiamo all’argomento principale di questa analisi. Lo stile di rappresentazione.

Mario Alicata e Giuseppe De Santis nel 1941 nella rivista “Cinema”, spingevano a:

«Portare la macchina da presa nelle strade, nei campi, nei porti, nelle fabbriche del nostro paese per realizzare il nostro film piu bello seguendo il passo lento e stanco dell’operaio che torna alla sua casa»

Fermi! Non alzatevi dal vostro posto, qualunque esso sia! (sedia, divano, letto…)

Non citeremo altri noiosi libri sul cinema e spiegheremo fenomeni degli anni ’60 per dire cosa ha reso The Crooked Man unico nel suo genere: siete ancora nelle mie (Ele) mani, ragazzi, qui pensiamo ai fatti! In realtà c’è un motivo legato in modo strettissimo al gioco che spiega il perché la mia cara sorellona mi ha consigliato di mettere questa citazione in quest’articolo… Infatti lasciamo parlare lei per qualche riga. Per adesso so solo che queste parole hanno a che fare con una corrente precisa del cinema italiano degli anni ’40 e ’50: il cosiddetto Neorealismo.

Eccomi, allora. Paogun. Se non avete la minima idea di cosa sto parlando cercherò di spiegarlo brevemente. Mi sto riferendo ad una corrente cinematografica in particolare che si è sviluppata nel secondo dopoguerra, principalmente in Italia, che assunse alcune caratteristiche ricorrenti come storie drammatiche e di sconfitte sociali e personali, rappresentazione di città e paesi in macerie raccontate tramite una macchina da presa più instabile, “vicina agli attori”e la “pellicola sgranata”.

Sappiamo cosa state pensando: da un lato una corrente cinematografica molto specifica e che rimanda ad un preciso periodo storico, dall’altro un gioco che prima di tutto è un titolo horror, poi d’avventura e di esplorazione, che racconta delle vicende drammatiche.

…Eppure, è proprio nella scelta stilistica che questo gioco si contraddistingue.

Come il Neorealismo (che in ogni caso si è diffuso largamente sia in Europa che nel mondo) si è caratterizzato come qualcosa di alternativo rispetto alle scintillanti commedie Hollywoodiane, così The Crooked Man scurisce le tinte, sceglie tematiche più impegnate e asciuga la drammatizzazione in opposizione alla stravaganza e ai colori più accesi dell’album dei ricordi di Mary, dei giardini di Casa Drevis e di quello di Ellen pieno di fiori parlanti.

Ho (Ele, sono tornata!) potuto collegare e trovare delle somiglianze a livello di tipi di storie, personaggi ed atmosfere con gli scritti della corrente letteraria del Realismo che ha studiato alle medie.

In breve: concentrarsi sulla vita delle persone di bassa classe sociale e scrivere delle loro vicende… Con sempre un sottile strato di pesantezza nelle atmosfere, per un motivo o per l’altro: povertà, incomprensione da parte della società, molte volte dai personaggi stessi che possono essere influenzati da questi fattori o meno, eccetera eccetera.

Ecco, a questo proposito prendiamo il personaggio di David.

Il signor Hoover non è sicuramente un ragazzo ricco: ciò ci viene mostrato dall’appartamento piccolo ed economico che si è potuto permettere, con un… Letto nella cucina-sala da pranzo-salotto.

Per tutto il gioco David ad ogni sua frase che non sia un messaggio di sistema più articolato ci farà sospirare dalla tristezza. Lui stesso si vede perennemente come un misero che non si stacca dai suoi precedenti sbagli ed è soprattutto una persona molto arrendevole.

Già questo tipo di protagonista ci può far presupporre un’avventura all’insegna dell’allegria.

Ma non ci sono solo David e i suoi atteggiamenti a farci capire ciò che questo gioco comunica. Ribadiamo ciò che abbiamo accennato prima: la scelta dello stile e l’atmosfera complessiva che ne deriva.

Mettiamo a confronto un interno ed un esterno del gioco di Uri con un interno ed un esterno del suo totale opposto: Mad Father.

Ricordiamolo: entrambi i giochi usano Wolf RPG Editor ed in entrambi i luoghi era sera o notte.

Anche in questi ultimi due screen è possibile vedere la grandissima differenza di gestione della fotografia dei due giochi, anche se l’ultima immagine è in un ambiente di giorno.

Vedete come sono molto meno saturi i colori di The Crooked Man?

Sembrerà strano dirlo, dato che non ci sono disposizioni di luci particolari, ma la fotografia molto semplice delle mappe di The Crooked Man comunica il vibe pesante del gioco: luoghi abbandonati, una storia triste di due uomini tristi, contornata da altri personaggi neanche troppo… Particolari, che sono più ancorati alla realtà rispetto a quelli di Mad Father, che avevano ogni sorta di stranezza.

Inoltre, continuando a parlare dell’atmosfera di The Crooked Man, a parte nelle cutscene dedicate alle scene madre del gioco, durante il gameplay non ci sono musiche.

All’inizio, lo ammetto, mi è sembrata una scelta che rendeva solo il gioco più noioso, e a primo attrito ho apprezzato la scelta di mettere delle musiche fisse anche durante il gameplay nella Versione 4 del gioco, ma proseguendo mi sono accorta che soprattutto nelle parti dei luoghi abbandonati la mancanza di musica a favore di dei loop ambience sortisce molto il suo effetto, dando il senso di desolazione che rispetta molto il genere principale di The Crooked Man, ovvero l’horror.

Senza dimenticare il come questa scelta rende certe cutscene molto più drammatiche, da considerare ad esempio le scene iniziali e quella dell’ospedale in particolare.

Quindi, come nella maggior parte dei titoli della generazione 0 The Crooked Man esplora l’anormalità nella vita di tutti i giorni, ma a differenza dei titoli precedenti questo sceglie una tematica ben precisa esponendola in una storyline definita, pur non rinunciando al gusto dell’esplorazione e dell’isolamento che contraddistingueva “i suoi antenati”.

Termometro della professionalità

Allora. Sì, il termometro è alto più della metà.

È un ottimo prodotto, storia abbastanza lineare da essere commercializzabile anche non se è molto curato o strettamente personalizzato a livello di confezione (la sprite di David ad esempio non è originale, alcune schermate sono rimaste quelle di default e via dicendo); inoltre è lo stesso stile del gioco e la sua regia molto, molto asciutta (ne abbiamo parlato in Asso nella manica) a rivelarsi un’arma a doppio taglio per quanto riguarda il binarismo tra “gioco amatoriale e” gioco professionale” di cui stiamo continuando a discutere.

 

 

 

Packaging

Abbiamo accennato qualcosa riguardo il confezionamento del gioco nel paragrafo precedente (riguardo la “spartanità” di certe scelte sulle interfacce…Anche le CG, che vogliono adottare un taglio da “inquadratura cinematografica” dai numerosi primi piani, presentano questo difetto), tuttavia è un gioco che ha il suo stile.

Il title screen è in bianco e nero con il mostro in laterale, ci viene presentato quasi a macchie, confuso con lo sfondo nero.

L’immagine, il titolo, la filastrocca nell’introduzione: il gioco continua a prometterci che vedremo le vicende di un uomo storto, quindi eccocelo presentato nella scena successiva: David e la sua nuova casa. scopriremo i fallimenti della sua vita, mentre scapperà dal mostro.

 

 

Rapporto Autore-Opera

Dunque, tanto per cominciare questo paragrafo potremmo notare come Uri sia un’autrice molto presente per i suoi giochi.

Gli aggiornamenti di Uri, rispetto a quelli di altri sviluppatori, sono recentissimi e l’ultimo Tweet (per quanto “di servizio”) sulla Strange Man Series risale al 24 Giugno: nove giorni fa! Ricordate il discorso dell’ “autore nel mistero” che abbiamo fatto quando parlavamo di Yume Nikki ed altri titoli, assieme al come questa regola Kona5 l’avesse spezzata? Abbiamo un caso simile.

Qui, però, abbiamo un’aggiunta: un’ask-box.

Abbiamo già visto in questa rubrica che anche Kona5 rispondeva (anche in modo meno distaccato) ai vari commenti su rpgmaker.net, ma questo contatto con i fan e con l’opera nel caso di Uri è più visibile.

(In questa e nella foto precedente potete vedere che Uri risponde sia in giapponese, sia in inglese)

Anche se i giochi hanno ormai qualche anno, per via della sua costanza negli aggiornamenti (tra altri titoli che è in progetto di produrre, domande, post più personali… Ed il suo cane), Uri ha trovato dei fan attivi ancora oggi, che anche dopo anni dall’uscita dei vari titoli della Strange Men Anthology (altro nome per la Strange Man Series) fanno ancora ogni tipo di domande sui personaggi.

…Davvero ogni tipo.

Inoltre Uri ha raccontato nel 2013 la storia di come sia nato The Crooked Man. Non ne parleremo nel dettaglio, ma in breve deriva da un’esperienza del fratello dell’autrice.

Ecco il link per una versione tradotta in inglese da VgPerson

Link per la versione giapponese, per chi fosse interessato

È stato strano scoprire che dietro un gioco tanto scuro e pesante ci sia una delle autrici più aperte al pubblico che abbiamo visto in questa rubrica (anche rispetto a Kona5, dato che Uri è ancora attiva su Twitter, mentre Kona5 è scomparso dagli occhi del suo potenziale pubblico come molti altri autori), spezzando quella tradizione che rispettavano moltissimi autori analizzati in Ritorno Al Futuro fino ad adesso, relegati all’idea di figure fantasma.

Difetti dell’opera

Narrazione lineare…Gameplay con buone idee ben realizzate e alcune anche originali…

Non pensiamo che The Crooked Man presenti… Dei difetti particolarmente gravi.

Lo so, è da The Witch’s house che continuiamo con questa manfrina.

Cerchiamo di capire il perché.

I difetti di quest’opera rimandano principalmente a sezioni specifiche del gioco:

° L’inizio, e quindi la cutscene introduttiva inerente la presentazione delle vicende per via della sua lentezza (che lo stile di rappresentazione che ha scelto The Crooked Man non aiuta affatto a smaltire) e delle numerose cutscene prima che si potesse effettivamente iniziare a giocare.

° La fine. Quindi si, il finale, poiché ha snaturato completamente i personaggi che si incontrano lungo la strada per via di un plot twist che tradisce la natura drammatico-realistica dell’opera, affidandosi troppo al soprannaturale e annullando ogni libertà di interpretazione, soprattutto per come ci sono stati presentati i personaggi: persone reali con i loro reali problemi accomunati tutti e tre (quattro, David compreso) dalla persecuzione dell’Uomo Storto. Sarebbe stato molto più d’impatto vedere quanto questa tematica non sia relegata a un solo individuo, ma può coinvolgere ognuno di noi nei nostri innumerevoli contesti quotidiani.

Parlando sempre della fine del gioco, le scene finali (dal confronto con Duke in poi) adottano un solo registro, quello drammatico. Tutta un’altra cosa rispetto all’inizio, dove la successione di cutscene, per quanto lenta, integra più “generi”: è vero che abbiamo la scena con la madre in ospedale con solo il rumore del condizionatore, ma la notte a casa di David si sentono rumori strani e passi inquietanti, ed eccoci catapultati nell’horror… Ma senza perdere omogeneità nell’atmosfera predominante scelta. Non è un difetto gravissimo o che rovina considerevolmente l’opera, semplicemente gli fa perdere parte del suo charme, e per questo abbiamo voluto analizzare il finale del gioco in questo paragrafo.

Ma il “pregio maggiore” di questi tipi di difetti…

Oltre a quelli minori come alcuni problemi di logica risolvibili con qualche cambiamento alle linee di dialogo:

Perchè diamine ha rifiutato di avere almeno il nome della persona che stava cercando? In questo caso sarebbe bastato non far avere alcuna informazione sull’uomo misterioso neanche alla lavandaia, non averlo registrato nei documenti per un motivo o per l’altro, ecc…

…È che sono principalmente divisi in sezioni a sé.

Come avete letto, appunto, parliamo dell’inizio e della fine del gioco. Non dello sviluppo centrale, non durante l’esplorazione dei luoghi e del passato di David su cui si focalizza il cuore del discorso del titolo.

Piccola curiosità: scorrazzando per il web ci è capitato di trovare opinioni contrastanti sul comportamento di David nei confronti del mostro ed eventuali difetti di logica che deriverebbero da reazioni innaturali nel suo comportamento.

Ognuno può classificare questo difetto nel livello di gravità che ritiene opportuno, noi ad esempio pensiamo che sia un errore giustificabile per via della realtà estremamente “psicologizzata” che l’opera ci mostra (ne abbiamo parlato in Asso nella manica). Quindi possiamo ricollegare, ad esempio i suoi comportamenti e quasi “menefreghismo” verso le stranezze che accadono nella sua nuova casa al suo atteggiamento prevalentemente arrendevole verso la vita. Per cui ecco qui giustificata, secondo noi, anche la sua esitazione prima di intraprendere il viaggio, senza considerare che in ogni caso cercava quanto meno di dare una risposta ai fenomeni che accadevano (vedasi quando chiama Paul per chiedere spiegazioni sulla scritta allo specchio).

Conclusione

The Crooked Man è stato un titolo che sicuramente ha lasciato il segno nel periodo in cui gli HOR-RPG erano diventati una moda, dando, con il suo stile peculiare, la possibilità agli appassionati di potere osservare sfaccettature sempre più profonde nei giochi che di volta in volta si scoprivano sul web. L’importanza di trattarlo in Ritorno al futuro deriva dal mostrare la varietà di stili e rappresentazioni che questi giochi vantavano, pur rimandando tutti a delle caratteristiche ben definite.
Per noi è stato anche sicuramente interessante notare come sia forse unico nel suo genere e in quanto tale ad essere sopravvissuto, mentre nel frattempo qualche altro amante della corrente già preferiva ritirarsi nei toni demenziali e parodici di Mogeko Castle.

Mad Father – C’era una volta a… “Hollywood”

Tutto è iniziato da “conosco il segreto di mio padre”, tutto presentato fin dall’inizio con quella che avremmo dovuto recepire fin da subito come un’emozionante storia destinata ad un grande pubblico che ha accettato di buon grado di ascoltarla.

Eccoci finalmente tornare dopo un altro paio di settimane in questa rubrica dedicata a tracciare, per quanto approssimata, una “storia” degli Rpg Horror. Sì, lo sappiamo (per chi può ricordarselo almeno) che avevamo messo inizialmente la data per il 14 giugno ma…Perdonateci. Al momento, parlo come PaoGun, siamo io in piena sessione d’esami ed Eleonorada da sola con la produzione del gioco, ed ogni volta questi articoli si fanno sempre più impegnativi. Insomma, ragazzi, stiamo parlando di Mad Father.
Ve lo ricordate, no? Mad Father…Impossibile non averne sentito parlare almeno una volta per chi bazzica nella categoria dei giochi indie, ma soprattutto di chi segue giochi horror “con una bella storia”. Un tesserino di presentazione fenomenale per il mondo degli Rpg Horror.

Signori, qui si fa sul serio, stiamo parlando di un cult.

L’introduzione all’inizio, le vicende ben narrate, l’integrazione col gameplay e la libertà d’esplorazione che viene proposta, il bel rapporto grafico tra mappe e protraits (le immagini dei personaggi su schermo durante un dialogo) lo riteniamo il miglior HOR-RPG che è stato mai capace di raccontare una storia, e nessuno al giorno d’oggi –vi diciamo, nessuno– è ancora riuscito a rubargli il primato.

Esatto, nemmeno i giochi della Generazione 2, la “Story-telling Focus”, come l’abbiamo chiamata noi.

Quindi ora, aspiranti scrittori, sceneggiatori e sviluppatori, ora aprite Word, mani alla tastiera e prendete appunti dal “vecchio” sen.

Storia del prodotto

Ragazzi cosa vorreste che vi dica: Mad Father è stato la scoperta, la punta dell’iceberg degli HOR-RPG per tanto e tanto tempo la cui presenza in rete ha influenzato la scoperta, di chi prima non li conosceva, di Ib e The Witch’s House.

Qui il fenomeno “dello stardom”, se così vogliamo chiamarlo, o della passione che ha caratterizzato giocatori (e spettatori) da ogni parte del mondo del Web che abbiamo già introdotto nell’articolo su Ib giunge al suo apice e Aya Drevis compare nei motori di ricerca inerenti il suo stesso gioco come eroina indiscussa delle vicende.

Come è iniziato il suo percorso?

Dunque, tanto per cominciare siamo riusciti a risalire ad una versione del gioco in cui il progetto era ancora in development. Un file d’archivio molto interessante che ci offre il canale Nicovideo (per il link al video basta cliccarci sopra).

Il video in questione risale all’11 gennaio 2011.
Già potete vedere una grande differenza rispetto a quelle che sono state le mappe mostrate al rilascio del 2012. Il video sembra avere circa 14.000 visualizzazioni, sarebbe interessante notare se in questo caso il progetto in via di sviluppo era seguito sin dagli albori o l’esplosione è avvenuta soltanto quando il titolo è stato rilasciato e quelle visualizzazioni si siano realizzate soltanto a gioco già conosciuto.

Ora: per chi non lo sapesse, nel 2011 è uscito invece Misao, un altro titolo che è stato conosciuto soltanto più tardi rispetto a Mad Father, quello che ci chiediamo e se avrà contribuito a creare delle aspettative in una community più ristretta di videogiocatori od appassionati giapponesi di titoli horror.

In ogni caso l’uscita ufficiale del titolo è chiara a tutti: il 10 dicembre 2012. È molto difficile cercare di reperire il sito dove è stato inserito il download del gioco nella prima versione che è stata realizzata, ciò che abbiamo trovato è stato ancora una volta una pagina di Freem, anche se non sembra riferirsi alla versione del gioco che tutti conosciamo, ma alle modifiche che hanno cominciato ad essere apportate a partire dal 2014.


Curioso come sen sembri aver rimosso le tracce della prima versione del gioco, quella storica, con cui tutti abbiamo iniziato ad affezionarci alle vicende che si svolgevano in Casa Drevis, rilasciando anche una nuova versione gratuita del gioco, la 2.9.

Essa aggiunge davvero poche cose: la possibilità di regolare il volume, potraits cambiati (praticamente quelli della versione Steam), e un leggerissimo effetto statico di cui, davvero, non è che avessimo così bisogno.

Quindi, se la nuova versione gratuita del gioco non è più quella “completa ed originale” cosa è cambiato nella versione Steam del gioco?


A parte il mio (Ele) non capire esattamente il terzo punto… Il resto può sembrare normale, no? Miglioramenti grafici, giocabilità migliore, spostamento di alcune gemme…

Ines credo sia Coron.

Ecco, qua iniziano i problemi. Provate ad intuire il perché ho sottolineato proprio questo punto…

…Dopo una stagione e mezza di Ritorno Al Futuro sto perdendo la pazienza.

Una novel!? Ancora!? Ah, vi dico: rispetto anche al Diario di Ellen, questa novel è persino più inutile. Come altre che abbiamo visto in questa rubrica, racconta gli eventi del gioco con qualche aggiunta qua e là. Basta, solo questo. Non aggiunge nulla.

Phew… Ecco, volevo arrivare a questo… La vita è troppo breve per leggere ogni pagina di ogni novel scadente su questa Terra… E anche perché non è mai arrivata completamente in Occidente (una ragazza su Wattpad la stava traducendo, ma si è fermata ai primi due capitoli) ma a questo punto avrete capito questo repentino cambiamento di dialoghi e l’aggiunta del passato di un personaggio di cui comunque non c’importava nulla…

Tutti insieme:

Sen ha collegato il gioco alla novel!

Sembrerà banale come fenomeno, ma a questo proposito vi chiedo di ricordare The Witch’s House. Il come, anche in un remake, ha mantenuto la sua dignità a meno che non si giochi solo una modalità in particolare. Ecco, qui si ha il fenomeno contrario, quello che secondo me è un cattivo esempio di remake per un RPG Horror: aggiungere elementi introdotti nella novel nel remake, senza “alcuno scampo” per lo sviluppo della trama precedente.

Sen non sembra aver pubblicato nient’altro di nuovo dopo il rilascio (ed eventuali patch, dati i continui bug e crash report…) dell’incresciosa versione Steam di Mad Father.
Quindi, purtroppo, dal mio punto di vista la storia del cult di sen finisce qui, nella rabbia data da queste diamine di operazioni commerciali che, molte volte, peggiorano il prodotto a livello anche qualitativo.

Tornando però ai suoi vecchi fasti, al come è cresciuto Mad Father prima di decadere in questo modo… Cosa potremo dirvi della storia della sua ricezione?

Certo. E questo anche perché:

“Prima di tutto la madre è MOLTO più bella dell’infermiera occhi di bambola. Secondo, ha avuto il coraggio di tradire quando la moglie e la figlia erano in casa?! DISGUSTOSO! E mi ricorda mio padre: scroccone e traditore…”

Beh, qui l’utente può confrontarsi direttamente con una storia. Può evadere completamente dalla propria esperienza quotidiana vivendo quella di qualcun altro, questo a differenza del tipo di immersività che, se ricordate, ci proponevano i titoli della Generazione 0.

Sembra essere approdata qui l’idea secondo la quale gli RPG Horror possono essere trattati come opere audiovisive “passive”.

Abbiamo tutti gli elementi al completo:

– Personaggi che, dal design o caratteristiche particolari, possano attirare l’attenzione

– Ambienti fortemente caratteristici e dal design ben definito oltre che contenenti caratteristiche horror

– Una storia intrecciata, in questo caso raccontata come un “grande film” pensato per l’industria del grande schermo.

Mad Father ha smesso di esistere come solo un HOR-RPG e si è creato una realtà propria, in cui la protagonista la si è vista spesso affiancata alle altre eroine della corrente che l’hanno preceduta, in particolare Ib, Mary (ah già, è stato così influente da far credere che “Ib avesse rubato Old Doll da Mad Father”. Semplicemente diciamo che è stato in grado di dare una precisa personalità al brano), Ellen, Viola.

Quale miglior modo di chiudere la storia della ricezione di questo titolo se non con queste immagini che per lungo tempo si sono diffuse in rete?

Il trailer fittizio preparato per il Pesce d’aprile del 2014 da Mike Inel ha creato false speranze per molti, molti spettatori che sarebbero stati pronti a seguire le vicende dei personaggi aldilà dei loro giochi.

Come avrete forse letto in altri articoli, ormai sapete che il miglior gioco narrativo integra perfettamente narrazione e gameplay, e ognuno lo fa con un suo stile: in questo Mad Father ha fatto scuola. Ma prima di parlare dell’asso nella manica che si riferisce alla regia “soap-operistica” e al metodo dinamico con cui la vicenda viene narrata voglio far fronte ad un’osservazione.

Per la precisione, voglio raccontarvi una cosa.

A noi piacciono davvero gli RPG Horror, e non ci dispiace andare a caccia delle ultime novità. Questo ci porta a seguire anche pagine di lingue che non capiamo, ad esempio mi capita spesso (qui PaoGun al rapporto) di trovarmi nella Home gli aggiornamenti di una pagina di RPG Horror cinese che aggiorna costantemente su nuove uscite, eventuali remake e post a tema riguardanti la corrente HOR-RPG appunto. Diciamo che è stato grazie a loro che abbiamo scoperto che l’autore di Mogeko Castle ha intenzione di resuscitare il “franchise” e portarci lo spin-off di cui parlava anni e anni fa, o l’intenzione della Buriki Clock di rilasciare un remake sia su Cloé’s Requiem che su Fantasy Maiden’s Odd Hideout, la cui notizia ci ha fatto parecchio incacchiare ma questo è un discorso che faremo a tempo debito…

In ogni caso…Torniamo all’argomento principale.

Questo è solo un esempio, quello più recente che mi sono trovata sott’occhio in questi giorni. Per il resto mi capita spesso di vedere post simili dedicati a titoli che mostrano personaggi disegnati in maniera per certi versi sempre più stilizzata nelle forme e allo stesso tempo sempre dai dettagli sempre più curati mentre gli sfondi e i contesti in cui sono collocati sembrano perdere sempre più importanza, come se si trattassero di novel qualsiasi per certi versi.

Se devo essere onesta con voi questi titoli io non li conosco. Non posso giudicarli perché non so come sono fatti, ma davvero, date un’occhiata anche solo al tipo di copertina di questo, per esempio…

Ragazzi miei, Mad Father è stato solo l’inizio.

Questi nuovi tipi di autori che si stanno affermando sono davvero furbi, in gamba: quello che cercano di riproporre è qualcosa che gli spettatori, giocatori e il tipo di utenti (e quindi il target) in genere a cui ci si rivolge è quello abituato a divorare pacchi di opere di finzione animate. Questi, gente, sono pezzi avanti, capaci di creare un tipo di mercato secondario sulla base di quello che le grandi case di produzione propongono ragionando per imitazione. In breve, qui la via alternativa alle major è già arrivata.

Direi che è proprio qui, poi, la vera e grande sfida: quali di questi può considerarsi per davvero un grande gioco, unico nel suo genere e quale invece pecca di qualità nel momento in cui ci si mette mano? La “teoria della sopravvivenza e dei prodotti più forti” è solo una parte del complesso pensiero liberale. Più la concorrenza è numerosa è capace, più la sfida per rimanere sul pezzo diventa spietata e avvincente, in un’epoca come questa sempre più rapida, sempre in corsa, in cui l’industria dell’intrattenimento si trova a fare i conti con l’effetto “cometa”, come lo chiamo io perlomeno. In un attimo si brilla nel firmamento, su in alto e si raggiungere l’interesse di milioni di persone ma poi altrettanto velocemente si ricade e tutti si dimenticano di ciò che è accaduto.

…Se ci sono tanti prodotti ad essere egualmente validi, ognuno dei quali trasmette un sentimento differente e una propria identità, allora si parla di Golden Age. Le epoche che più si ricordano con malinconia poi negli anni che si susseguono.

E a proposito di epoche d’oro…Sapete qual era uno dei dieci consigli di Billy Wilder, forse uno dei più grandi sceneggiatori di Hollywood?
Lo spettatore va preso per la gola sin dai primi cinque minuti di film.

Ed è stato quello che ha fatto sen (o Miscreant’s room)…

Del resto, ragazzi, come si fa a non essere catturati da questi titoli di testa? “Old Doll” di Amacha Music Studio in sottofondo e immagini di una casa e della luna piena che ci prendono per mano prima di iniziare l’avventura.

Ciò a cui mi sto riferendo è in particolar modo l’introduzione alla storia, la scena nello scantinato.
Affacciamoci quindi al modo in cui ci vengono esposte la trama principale e la sotto-trama riguardante Maria: sicuramente tutti ricorderanno queste parole, “conosco il segreto di papà”.

Abbiamo una cut-scene, quindi ci viene immediatamente introdotta l’azione. Badate bene che le vicende sono esposte in maniera molto chiara e coincisa e tutte mostrate sulla scena:

1) Aya bussa alla porta, e quando Alfred risponde viene introdotto l’anniversario della morte della mamma (che, per chi si ricorderà il gioco, sarà un tema ricorrente riguardante l’origine della maledizione e tornerà anche nel finale).

2) Alfred, il padre della ragazzina, torna subito nella stanza da cui si sentono urla e una motosega, suoni che Aya ignora, pur avendoli sentiti.

3) La voce narrante di Aya in off screen ci racconta quindi fin da subito di quello che combina il padre, sappiamo che abbiamo a che fare con un pazzo, si rispecchia quindi quello che si ha esposto in maniera così descrittiva il titolo, e viene anche introdotta la trama su Maria come amante del genitore proprio dopo che nella scena si è citata la madre della ragazza.

Capite che già con questo tipo di introduzione abbiamo fra le mani una miriade di informazioni, proposte in una maniera così dinamica e scenografica che non possiamo che desiderare di averne di più per sapere cosa succederà dopo. In questo caso l’obiettivo della protagonista è salvare suo padre dalla vendetta delle persone che ha ucciso, o così sembra all’inizio.
Viene introdotta la figura di Ogre, che a seguito dell’urlo che la ragazzina sente in piena notte, spiega come stanno le cose: zombie che girano per la casa che aspettano solo di fare a pezzetti l’allegro chirurgo.

Facciamo una piccola pausa dalla trama per parlare di Aya.
Un tipetto niente male, Aya.
Insomma, in Ib avevamo dei personaggi che volevano ricordare un archetipo. La figura genitoriale, la vivacità infantile e l’innocenza (Mary e Ib erano due facce della stessa medaglia in breve). In The Witch’s House c’era “semplicemente” il capriccio di una ragazzina con un evidente disturbo di tipo empatico che non segue alcun principio morale.
Qui possiamo già avere una binaria lettura del personaggio di Aya: da un lato la sofferenza degli altri, dall’altro l’affetto per il beneamato padre.
La situazione che la ragazza si trova ad affrontare ci permette di guardarla in maniera davvero interessante. Il suo in fondo non è che solo un percorso di crescita dall’infantilità (cura del proprio ego, bisogni familiari e solitudine), a quello che vorrebbe giungersi come uno stato maturo. Sappiamo tutti però come va a finire, ma nonostante questo è interessante anche notare come gli zombie cercano di muovere la sua compassione come se dessero per scontato che una bambina, perché solo undici anni appunto, fosse il volto dell’innocenza.

Si può intuire dal finale del gioco come in realtà il suo “percorso di crescita” si sia deviato, tanto per cominciare gli aneddoti che ci vengono mostrati quando ottiene la sua piccola motosega personale. Un finale che tutto sommato è più che naturale e che si correla bene a ciò che sono state le esperienze di Aya.

“Non è giusto far soffrire le persone in questo modo!”, grida il gioco, Dio, gli zombie, e per certi versi cerca di farle capire perfino Ogre.

“Infatti! Molto meglio la morfina!” ci risponde l’Aya adulta.
Questa Aya non ha lo stesso sadismo di suo padre, il vero lato malato nel godersi le sofferenze dei pazienti.

Dopotutto, era una bambina che amava le bambole e gli animali; “le cose belle”, “le cose colorate e coccolose”. Però sentiva spesso delle urla la notte.

Semplice: le urla delle persone l’hanno traumatizzata, non ne vuole sentire più. Come pensate che potesse crescere una bambina in quel tipo di ambiente? Dieci anni sono pur sempre dieci anni.

Tralasciamo gli indizi mostrati nel corso dei flashback che ci ricordavano come Aya tranciasse a fettine numerosi conigli senza rendersene conto e quindi andiamo proprio aldilà della genetica, che per carità può anche aver influito sui comportamenti della ragazzina, ma ciò che ritengo ancora più opportuno sostenere è che le esperienze infantili che si registrano soprattutto sul piano inconscio, essendo ancora difficile che si sviluppi un pensiero razionale, contano purtroppo moltissimo nella vita di un individuo e per quanto sembri banale dirlo da parte mia, contribuiscono nei tipi di atteggiamenti che si sviluppano da adulti.
C’era qualcuno ai tempi che era rimasto deluso dal finale: volevano forse Aya felice e contenta in una villetta di campagna con Maria?

Io lo ritengo molto naturale come finale, logico, che si incastra bene nel filo del discorso e per quanto mi riguarda non poteva essere diverso da come è stato mostrato.

Anzi, ammetto di essere abbastanza spaventata dalle premesse che si erano fatte nell’ “If”, in cui si presupponeva un ritorno di Dio che “avrebbe fatto qualcosa” nel caso in cui “Aya sarebbe diventata come suo padre” e da come molti si ritenevano entusiasti di questa scelta.

Ma neanche fosse Aya il problema quanto quest’altro tipetto qui. Dio, insomma.
Gesù (sì, era una battuta), ci è sempre stato detto che questo qui era un cadavere!

Forse non sarà morto perché “Hey, gli ha solo staccato via un occhio!”. Io immagino che si possa morire per molte ragioni: dissanguamento, tanto per cominciare. Se non vado errata una causa può essere anche l’eccessiva sopportazione del dolore data da un tipo di tensione nervosa e via dicendo. Lo sappiamo tutti come opera Alfred. Ma non è questo il problema più grave.

Sarebbe stato più logico sapere, a differenza di quanto ha detto poi Ogre “ti ho curato perché le buone persone come te mettono in risalto i malati mentali” (okay, calmino Mastro Lindo) il come, dopo le coltellate di Maria, Dio si sia ripreso semplicemente perché…Beh, è un cadavere vivente per via di un incantesimo! Una maledizione, chiamatela come vi pare.

Non ci sarebbe stato bisogno di alcuna spiegazione come questa che costringe soltanto a vedere una forzatura nel gioco.

Ma, dopotutto, qui stiamo parlando di un extra, una parentesi sulla storia principale che va a toccare più altri paragrafi dell’articolo rispetto a questo e di cui potremo discutere più avanti, anche questo, nel rapporto autore-opera.

Anzi, visto che stiamo parlando dell’Asso nella manica, anche qui ancora una volta abbiamo un perfetto connubio tra narrazione e gameplay, se non uno dei migliori che ci sia mai stato. Ma prima di passare la parola ad Ele e farvi trasportare da lei nel gameplay di Mad Father, discutiamo per un attimo sulla scena finale per cui stavamo tanto scalpitando riguardo la famosa regia “soap-operistica” di cui volevamo tanto parlare.

Eccoci qua. Le fiamme, la musica epopeica con i cori latini che ci accompagnano in questa mega-scena di chiusura.
Non c’è nulla di meglio che proporre la spettacolarità scenografica per far coinvolgere gli spettatori nel finale, sembra dirci qui sen. Qui vengono date le ultime raccomandazioni fatte tra personaggi e proposte le promesse per il loro futuro.

Non è certamente solo in questo punto che potremo parlare della regia, l’avete visto anche dall’immagine che abbiamo scelto per la copertina dell’articolo. Forse a volte fin troppo “drama” per quanto sia una via facile per attirare l’attenzione…
Per dirvi, tra questo tipo di regia e quella di Corpse Party Blood Covered continuiamo a preferire quest’ultima, con la sua lentezza nel farti assimilare gli eventi.

Durante la fase esplorativa del gioco, però, questa regia piuttosto pesante non c’è: è “rilassante” anche se ogni evento ed ostacolo che si affronta ha la sua presenza scenica ed importanza (ad esempio il cane che ingurgita la chiave, che si sente sin da quando sei in cucina con il suo sound effect costante e ripetitivo). C’è, quindi, un approccio molto dinamico agli enigmi e ti spinge ad andare sempre più a fondo nel seminterrato.

Parlando di enigmi… Come se la cava Mad Father con quelli, in generale? Da casi come Midnight Train abbiamo visto che fare ciò, se il gioco è estremamente narrativo, è davvero un’impresa non rendere gli enigmi solo un riempitivo per non far andare avanti nella storia troppo velocemente.

…Ma Mad Father ci è riuscito.

Oltre ai controlli, a cui tengo fare una menzione speciale essendo questo tra i giochi in cui mi trovo meglio, muovendomi in tutte le otto direzioni e soprattutto in maniera molto fluida e veloce (lì c’è da complimentare anche chi ha creato l’engine, WOLF RPG Editor)…  Dopo dei primi minuti in camera di Aya nelle cutscene iniziali (tra cui già un flashback) , appena sappiamo della maledizione ci troviamo davanti il primissimo enigma dopo aver preso la chiave degli archivi dalla camera da letto e uno strano foglietto dai suddetti…

Okay, c’è un codice, andiamo nelle stanze dette dal foglio, esploriamo un attimo la casa…

No, aspetta, dobbiamo prima distruggere quel… Coso, così andiamo avanti…

No, aspè, dobbiamo vedere chi è la voce nella sala ricevimenti…

Aspetta, qual è il primissimo enigma…?
Ecco, chi conosce il gioco, o esplora le stanze nell’ordine corretto dice “Si, viene prima quello della cassaforte, poi gli altri due” no?
Sen però ha deciso di presentarli tutti quanti nei primissimi minuti di gioco “effettivo”, così che il giocatore abbia una bella quantità di cose da fare fin dall’inizio, che lo tengono attaccato allo schermo: anche se ha risolto un enigma, sa già che ce ne sono altri mille da risolvere! Tu puoi esplorare quasi tutta la casa nei primi minuti, solo i sotterranei sono bloccati. Il gioco non ti forza ad andare in certi posti o meno: il giocatore può non aprire la cassaforte e andare direttamente in bagno, dove avrà la chiave della sala la pranzo, e andare direttamente lì, ma dopo aver scoperto la botola, preso l’olio, ma trovando alcuna lampada si ricorderà del foglietto per la cassaforte!

Come in questo caso, quelle volte che il gioco ti impedisce di andare avanti, non è perché devi fare prima una cosa piuttosto che un’altra: devi semplicemente avere tutti gli elementi che possono farti procedere, che puoi prendere nell’ordine che preferisci.
Un gameplay tutt’altro che forzato che rende questo titolo sempre interessante e senza tempo.

Ricordate cosa dissi su Midnight Train, giusto? Il come in quel gioco il gameplay fosse un mero contorno alle cutscene? Qui abbiamo tutto il contrario, lo schema cambia totalmente.

…Anzi, torniamo un attimo a scuola, schematizziamo proprio come si struttura il gameplay dei due giochi.

Premetto: in entrambi i titoli ci sono fasi e fasi, che a volte rompono gli schemi che verranno descritti sotto, ma queste sono le combinazioni che troviamo più spesso rispettivamente in Midnight Train e Mad Father.

……..

Già dalla lunghezza degli schemi potete capire quale gioco ha il gameplay più complicato.

Un altro pregio che hanno gli enigmi di Mad Father è la loro buona correlazione con la trama, o con gli ambienti (tranne alcune parti nei sotterranei, ad esempio le stanze gemelle).

Quindi, oltre alla profondità delle sue “zone giocate” (e questo lo scrivo anche in faccia a chi, impropriamente e non considerando il gioco nel suo genere, definisce il gameplay di Mad Father “poco profondo”) quando il giocatore… Gioca, egli allo stesso tempo non si stacca mai dalla storia.

Gli enigmi sono collegati sempre in qualche modo a ciò che stiamo vivendo: alla realtà che era la famiglia Drevis, al lavoro del padre di Aya, alla maledizione… Non sentiamo mai che la narrazione ci abbandoni per farci giocare un attimo e poi riprendere nella cutscene di turno. Abbiamo sempre qualcosa di nuovo da scoprire, nella colossale magione della famiglia Drevis.

In tutto questo aggiungo un’osservazione: perché nel gameplay sen si è potuto “permettere” di aggiungere tanti pezzetti di flashback e approfondimenti inerenti i personaggi della storia per poterci farci affezionare? Perché la storia principale è stata già spiegata nei primi dieci minuti introduttivi! È stata questa la mossa geniale.

Il contesto e le informazioni principali che dovevamo sapere ci sono state mostrate prima, unendo l’esposizione diretta sullla scena (on-screen) a quella off-screen in un ritmo dinamico per l’appunto, così che le informazioni sul contesto scoperte del gameplay non fossero mai qualcosa che potesse distrarre completamente il giocatore, questo rende la sessione di gioco più ricca e soprattutto libera per potersi occupare degli enigmi e degli approfondimenti sull’ambiente che si sta esplorando. 

Potrei stare davvero per ore a scrivere di altri pregi del gameplay di Mad Father, ma preferisco non rubarvi tempo e finisco dicendo che è proprio questo che rende Mad Father uno dei giochi con il gameplay più ben pensato di tutti i tempi e di tutte le generazioni…

Ma siamo sicuri che il rapporto tra sen e la sua opera, citato nella Storia del Prodotto, sia idilliaco?

Termometro della professionalità

Ci siamo quasi.
No, ancora non torniamo per il momento ai livelli del Termometro della professionalità di Corpse-Party…. Ma dopo tutte le magnifiche qualità che abbiamo esposto e punta di diamante della corrente sul discorso della commerciabilità direi che se l’è proprio meritato, un livello così alto!

 

 

 

Packaging

Nulla di nuovo da dire rispetto a quanto abbiamo già notato in precedenza. Lo stile di disegno sembra “asciutto” , non ci sono colori o tinte particolarmente brillanti.

La protagonista disegnata in stile anime copre gran parte dello schermo, eppure potremmo ancora notare il modo in cui le svolazzano i capelli mentre quella che è stata definita neve che cade al contrario le vola attorno.

Ah già, a proposito di nuovo del “drama” di cui abbiamo già parlato: sembra essere una caratteristica ricorrente nelle CG di gioco, lo spirito estremamente esagerato con cui i nostri personaggi preferiti si mettono in posa che nemmeno una telenovela indiana.

Per il resto possiamo solo considerare come il rapporto tra potraits e mappe sullo schermo sia ben composto ed elegante, le tonalità di blu sono ricorrenti per tutto il gioco e l’equilibrio compositivo generale è a nostro parere eccellente.

Rapporto autore-opera

Anche sen, come Fummy, ha deciso di tentare più volte di dare più possibilità al gioco e riproporlo in varie salse, da remake a novel. In questo caso ha puntato ad aggiungere sempre nuovi dettagli per la trama, dall’If al remake con la storia di Coron (che non aggiunge nulla alla trama principale e nemmeno alle tematiche affrontate!), rendendosi conto che aveva creato un universo narrativo con molto potenziale per poterlo sfruttare a livello commerciale…

…Anche a scapito della qualità del prodotto stesso. 

È vero, nella Storia del prodotto e in una parte dell’Asso nella manica sembriamo esserci un po’ inacidite quando abbiamo parlato della novel e del remake, ma forse ci sono delle ragioni dietro il comportamento di sen.

– Misao, “Trovami” –

Eccoci qua. Oggi, in via eccezionale apriamo una piccola parentesi su un altro gioco all’interno del paragrafo dedicato al rapporto autore-opera.

Ambientazione scolastica, primi dialoghi in cui si conosce l’amica della protagonista e trasporto di tutta la scuola nel mondo dell’aldilà per conto della maledizione lanciata da Misao, l’obiettivo delle ricerche della nostra protagonista Aki.

L’avevamo anticipato nella Storia del prodotto: Misao è uscito un anno prima Mad Father. Eppure volete sapere qual è la cosa davvero ironica?

Tutte quelle teorie che hanno visto Aya nella Signorina Libreria, le domande riguardo “i capelli viola di Alfred” e il “clone di Aya” che si vede soltanto a fine del gioco di Mad Father.

Dunque…Dato l’ordine di uscita, oserei dire giunti a questo punto che quello non è il clone di Aya, ma la stessa Aya pensata qui probabilmente solo come un prototipo per promuovere il futuro gioco che aveva in sviluppo di cui abbiamo visto le prime mappe su Nicovideo.

Probabilmente senza il boom scatenato da Mad Father questo gioco non sarebbe nemmeno stato scoperto, sebbene la trama sembri anche qui seguire un approccio classico e lineare a livello narrativo e anche il rapporto tra narrazione e gameplay sembra somigliarsi e integrarsi meravigliosamente allo stesso modo.

Spostiamoci un attimo, perché con Ele abbiamo trovato nel corso delle nostre ricerche, qualche mese fa, un titolo particolare dal portfolio di sen bazzicando sul sito di VgPerson.

Sapete qual è stata la nostra prima impressione su questo titolo? Che sarebbe stato un ottimo gioco per console.

Uno stile personale e sempre più sfaccettato, nuove atmosfere, puzzle ingegnosi e nuove meccaniche.

…Ragazzi, veniamo al dunque, quanti di voi sapevano l’esistenza di questo gioco?

Per noi la totale indifferenza nei confronti di questo titolo rappresenta un caso ancora più grave, poiché si discosta ancor più dal genere di gioco che sono stati Mad Father e Misao. Un gioco che non è stato considerato dal grande pubblico solo perché è stato adottato un linguaggio e tipi di atmosfere che gli utenti non sono stati in grado di riconoscere, e questo è certamente scoraggiante per certi versi.

Sembra come se i soli tipi di giochi in grado di sopravvivere aldilà di una community più piccola e strettamente determinata fossero quelli narrativi per l’appunto, i quali devono essere capaci di attirare l’attenzione come succede tra le opere audiovisive odierne, che come degli alberi di Natale devono essere alla ricerca di lucine sempre più appariscenti per attrarre la curiosità degli utenti del web tra uno scrolling e l’altro.

È qui che possiamo constatare, per quanto sia una realtà triste e deprimente per un autore (è quello che proveremmo noi mettendoci nei suoi panni), il risultato di una fidelizzazione non premeditata sin dalla prima distribuzione di un prodotto.

Il gioco va avanti da solo, ma non c’è una vera e propria attenzione verso chi quel titolo l’ha realizzato; qui sembra davvero iniziare a sentirsi il peso di “giochi nati dal caso” anche per quello che riguarda soltanto i singoli titoli. Qui si sentono trascinare le catene che sembrano ancorare questi titoli ad una natura ed ambiente autoriale che invece potrebbero spiccare il volo.

Difetti dell’opera

Per quello che concerne i difetti… Potremo introdurre l’argomento con una premessa che richiama il discorso che abbiamo fatto su The Witch’s House. Non devono essere considerati come una vera penalità del titolo: la decisione del tipo di gioco che vuol essere Mad Father è molto stabile e la sua personalità è forte e compatta.

I difetti di cui stiamo per parlare vogliamo esporli come una spinta fare di più.

Potrei stare qui a parlare dello stesso Alfred ad esempio, di come si veda sempre e solo con questa fronte scura e occhiali spessi che non ci mostrano mai la direzione del suo sguardo e di come queste caratteristiche ci impediscano di vederlo anche solo una minima volta come un papà, difatti.

È vero che è un “padre pazzo”. È letteralmente lo scienziato pazzo che i B-movie ci spiattellano sempre nelle opere horror, slasher e parodie associate. Ma se è vero che è anche un padre, perché non ci viene mai mostrato come tale?

Per quello che ne sappiamo il motivo per cui cercava di impedire Aya ad usare la motosega poteva anche essere che non voleva che “la sua bambola si sporcasse le mani e rimanesse pura e innocente”, in una sorta di feticismo.

Potrei citare anche altri personaggi, ma Alfred in questo senso è il personaggio più emblematico per introdurre un discorso più importante: egli è infondo il principale “villain” del gioco, dà il nome al titolo. Si tratta solo di uno degli esempi, approcciandoci in questo caso ai personaggi, per parlare del livello di profondità di un’opera creativa e che in genere va ad affiancare la main plot che viene narrata.

Ma cos’è il livello di profondità?

Semplicemente la somma dei livelli di lettura che offre un’opera creativa e la sua presenza nel nostro caso può distinguere a nostro parere un “bel gioco” da un grande gioco.
Per puntare più in alto, a tipi di prodotti high concept che poi diventano parte della cultura popolare.

Questo, ripeto, non vuole essere un difetto oggettivo (a noi, nei flashback, basta sapere che siamo dal punto di vista di Aya, che sia lei a vederlo come un punto di riferimento genitoriale) ma una spinta a cercare un costante miglioramento anche per i giochi che verranno.
Questo discorso sarà poi da trattare nei confronti di chi, pur seguendo le intenzioni da opera commerciale, che ha realizzato un risultato disastroso perfino nella costruzione della main plot.
Okay, in breve quando arriveremo ad Angels of Death ne parleremo in maniera più articolata (prendendo in ballo quella che è stata una grande opera animata per fare dei confronti, ma non anticipiamo altro al momento). In ogni caso, non riteniamo giusto dilungarci nel discorso in questo articolo.

Possiamo solo concludere affermando che la complessità e bellezza di un’opera si definisce anche e soprattutto dalla molteplicità di chiavi di lettura che si possono estrapolare. La chiarezza della main plot è essenziale e il preferibile punto di partenza per tracciare il percorso principale, ma da lì ogni utente si interfaccia deve sentire addosso il potere di poter costruire la propria deviazione.

Conclusioni

E questi, ladies and gentlemen, erano i tre masterpiece della Prima Generazione. Quelli che hanno spalancato le strade a tutti i titoli a venire, potendo questi ultimi essere immediatamente categorizzati dagli utenti e riconosciuti in quella che sembrava essere una corrente ormai quasi affermata che è quella degli HOR-RPG.

Come starete iniziando a notare le dinamiche di produzione stesse si fanno sempre più complicate, e noi speriamo di farvele comprendere al meglio in questo viaggio nella nostra personalissima macchina del tempo.

È nel prossimo articolo che sembreremo quasi fare un piccolo salto all’indietro: la scenografia perde il suo surrealismo e “pomposità”, tornando alla realtà quotidiana di tutti i giorni in un gioco alle prese con le vicende di un “ragazzo qualunque”. Per un attimo si riassaporano i fantasmi della Generazione 0 in The Crooked Man della Strange Man Series.

 

The Witch’s House – Doppio asso

Bene bene bene bene, come preparare un’introduzione decente per questo gioco?

Sì, è quello che leggete dal titolo e dalla copertina. Insomma, il grande The Witch’s House. Non possiamo convincervi ad entrare in questa benedetta casa come se nulla fosse, col rischio che non potreste uscirne vivi…

Ma quanto siamo simpatiche.

Probabilmente in questo articolo ci ripeteremo molto nei concetti, questo…Che dire. È stato semplicemente un gioco che continuiamo a rigiocare, quelli che ri-giochiamo più spesso dei classici degli Rpg Horror.

A livello di ambientazioni è uno dei miei preferiti (PaoGun) mentre Ele smanetta con gli enigmi, entrambe immerse nelle stanze tenebrose della casa e nelle azzeccate bgm di Presence of Music (praticamente il sito se l’è spolpato tutto!). Un gioco che ha saputo fare da subito la sua bella figura per il virtuosismo tecnico e stile elegante (se non tanto forte di personalità grafica quanto Ib) che ha conquistato il cuore di molti appassionati del genere che stava iniziando a formarsi come Rpg Horror.

Un gioco in cui sicuramente sarà stato l’unico caso in cui…Arriviamo alla battuta…

Sì. L’unico caso in cui il giocatore si diverte ad una seconda run a collezionare tutte le morti per il personaggio!

Ahahahah ma quanto ca…volo siamo in vena di scherzare oggi.

….

Era da una vita che lo volevo fare.

Okay mi vado ad impiccar-

Storia del prodotto

Bene! Eccoci qui!     

Qual è stato il percorso distributivo di The Witch’s House? Come sempre sarà Ele a dispiegarsi nella cronologia degli eventi, accompagnandovi questa volta a scoprire l’asso nella manica che ha reso questo gioco uno dei titoli più conosciuti degli HOR-RPG!

Okay, essendo un classico, anche la data d’uscita di The Witch’s House è ben precisa, e perfettamente trovabile su una wiki qualsiasi: 3 Ottobre 2012.

Così come Ib, il titolo è stato rilasciato solo sul sito ufficiale e su una sola larga piattaforma di distribuzione giapponese. Nel caso di The Witch’s House, quella piattaforma è stata “Freem!”

Nulla di nuovo: è una piattaforma che ospita giochi indie (anche altri titoli del genere HOR-RPG, come CAndle) come ne abbiamo già viste, come  freegame-mugen.jp

Da Freem! Il gioco ha ovviamente spopolato dall’Oriente all’Occidente, guadagnandosi come sempre molti gameplay e video dedicati su Youtube, NicoNico Douga e chi più ne ha più ne metta, assieme ad un’accoglienza in generale molto positiva. È infatti considerato uno dei “masterpiece” nel campo dei giochi fatti con RPG Maker (a livello qualitativo viene spesso comparato a To The Moon, altro pilastro del titolo narrativo fatto però con RPG Maker XP) e un cult dell’horror in generale per via degli elementi che vedremo nell’Asso Nella Manica.

Rispetto ad Ib, che come opere ancillari ha avuto versioni alternative, o massimo del merchandise limitato in certi periodi dell’anno, Fummy ha voluto puntare più in alto. Oltre ad avere una parte in una sottospecie di casa stregata nel Nico Nico Chokaigi del 2016, con The Witch’s House abbiamo un fenomeno che si ripeterà per molti degli HOR-RPG più popolari che tratteremo qui…

Il fenomeno delle light novel!

Piccola premessa: considererò il manga e la light novel una cosa sola nelle righe successive, dato che il manga è basato pesantemente sulla novel.

“E allora? Anche Yume Nikki ha avuto una light novel, perché questa è più importante?”

È semplice: questa novel non si limita a usare un mezzo diverso per raccontare la storia detta nel gioco… Ma è bensì un prequel al titolo stesso. Infatti la novel (uscita nel 31 Ottobre del 2013) è chiamata “Il Diario di Ellen”.

Ma pur essendo un caso un po’ diverso rispetto a Yume Nikki, dal punto di vista degli eventi che accadono abbiamo lo stesso problema: non rende giustizia a ciò che è successo nel gioco. Il personaggio di Ellen è stato pesantemente snaturato, il vibe totale è cambiato… Ma vedremo meglio i risultati di quest’operazione commerciale nel Rapporto Autore-Opera.

Ma Fummy non si fermò qui. Dopo circa cinque anni dall’uscita del “Diario di Ellen”, nello stesso giorno dell’anno, uscì su Steam un remake di The Witch’s House, fatto con RPG Maker MV… E con anche il nome di qualcun altro sotto quello di Fummy.

Esatto, ragazzi, anche Fummy è arrivato ad avere un publisher! Wow… Non li vedevamo da Corpse Party! Quindi nel 2018 la DANGEN Entertainment (publisher anche di Crosscode ed altri titoli indie) ha preso in mano il remake di The Witch’s House.

Come cambiamenti principali abbiamo, come si vede già dallo screenshot, molte grafiche rimodernate, dalle sprite ai faceset di Viola ed Ellen e, molto più importante a livello pratico, l’aggiunta di due ulteriori livelli di difficoltà, che possono essere decisi prima di iniziare il gioco.

La modalità più interessante è quella “Extra”, ottenibile alla fine di una partita in difficoltà normale (non so se è possibile ottenerla comunque giocando in “Facile”), dove oltre alla difficoltà aumentata ci sono alcuni elementi che possono alludere al background minimo dato dalla light novel.

Ma, se devo parlare personalmente, ho apprezzato molto una cosa di questo remake, che ha alzato di qualche livello il Termometro della Professionalità che vedrete dopo.

Questi cambi di enigmi, e in generale gli elementi che alludono alla light novel, sono solo caratteristici della difficoltà “Extra” del gioco. Se si vuole semplicemente rivivere l’esperienza dell’opera originale con elementi che migliorano solo l’aestethic generale del gioco è possibile farlo in modalità Normale.

È come se Fummy avesse voluto mantenere, in qualche modo, la sua prima opera intoccata, e trattare il passato di quella Ellen snaturata che ha avuto in mente sempre come qualcosa  di aggiuntivo, non come qualcosa che bisogna seguire obbligatoriamente (come succede con molti remake o sequel, che rendono obbligatori elementi aggiuntivi di trama, integrandoli pesantemente con quel che era il gioco originale, prendiamo Corpse Party): The Witch’s House resta sempre quel cult che abbiamo conosciuto nel 2012 con RPG Maker VX.

Ma dal punto di vista più interno, studiando il titolo in sé, cosa effettivamente ha reso The Witch’s House un titolo che neanche l’autore stesso, se non in un’intera altra modalità, si è sentito/a di modificare?

Or dunque, ci troviamo di fronte ad un vero maestro che ha saputo riunire insieme due elementi fondamentali per un’opera (videoludica) di qualità: conciliazione tra gameplay e narrazione.

Abbiamo già citato nella Storia del Prodotto i pregi che hanno reso questo gioco tanto acclamato dalla critica e dal pubblico: le atmosfere, gli enigmi ingegnosi, il buon uso dei jumpscare…  Oltre alle grafiche che già nella versione originale lasciavano molti “makers” e giocatori a bocca aperta per via del buon uso dei parallassi soprattutto per gli ambienti esterni, la quantità industriale di animazioni per la sprite della protagonista Viola (tra azioni compiute e morti)…

…Con aggiunti anche enigmi che, pur non essendo troppo difficili, hanno dei bei concept dietro, assieme ad un bel senso di appagamento da parte del giocatore quando li risolve…

C’è ancora un elemento di più che ha reso questo gioco un classico dell’HOR-RPG, e secondo noi anche nell’horror 2D in generale: la narrazione-

Ah, non siate così scontati! Non intendo questa scena!

Non mi avete neanche fatto finire di parlare: intendo la gestione della narrazione fino al finale.

Per quasi tutto il gioco non abbiamo molte finestre di dialogo che non siano di sistema. Questo è un fattore molto importante, perché rende la distribuzione e gestione delle informazioni molto più riuscita rispetto a molte opere di finzione in generale.

Perché in molte di queste le informazioni sono date allo spettatore (o giocatore, o lettore, si parla in generale) in maniera “banale”, almeno per me? Ecco, mi spiego meglio: troppe volte succede che il giocatore (nei casi di cui parleremo) viene inondato di informazioni date tutte in una volta da un’unica cutscene con tantissime parole che escono dalla bocca dei personaggi che, in quella scena, diventano meri serbatoi di informazioni: seppur il giocatore si senta realizzato di aver scoperto tutte quelle info su una situazione, un personaggio, ecc… La suddetta cutscene diventa a lungo andare pesante, difficile da seguire e stancante a livello psico-percettivo.

Ecco… Ciò che dà un punto in più a Fummy dal punto di vista della scrittura (nel gioco originale, abbiamo già visto che confusione ha fatto con la light novel) è proprio il contrario di ciò che ho detto. Ma prendiamo degli esempi, è più semplice da capire.

Come “cattivo esempio” ho preso uno dei casi più eclatanti, uno dei casi peggiori, ma quel che ho descritto sopra succede in molte opere non necessariamente di cattiva qualità, ma che hanno questa pesantezza di base nel propinare le informazioni.

Prendiamo d’esempio come viene descritto un trascorso di un personaggio in, ad esempio, Corpse Party (1996) e in The Witch’s House.

Il mid-point di Corpse Party: lo ricordate?

”Aspettate, c’è qualcosa che devo dirvi. C’è un’altra me…”

“Sicuramente non andai in paradiso. Non potei passare l’altra parte… Io maledissi quell’insegnante ancora e ancora…” “Il mio odio è continuato a crescere, finchè non ho sentito qualcosa levarsi da me…”

“…Ed ecco quando il mio spirito si è diviso…”

Ho messo pochi screen, per richiamare l’articolo su Corpse Party, di cui abbiamo già parlato qui in Ritorno Al Futuro, ma questa cutscene dura molto, molto di più. Qui abbiamo il discorso che avevo citato sopra: le informazioni vengono date tutte in una volta, nei casi peggiori senza dettagli che possano alludere a certi dettagli di trama o di personaggi.

Si, praticamente uno spiegone.

Ma vediamo The Witch’s House come se la cava.

“Ero malata, quindi nessuno giocava con me”

“Mio padre e mia madre non mi volevano bene”

“Un demone è arrivato e li ha mangiati entrambi”

Per adesso del contenuto delle informazioni dette non ci importa… Ma avete notato una grande differenza tra come è raccontata la storia delle due ragazze, Sachiko ed Ellen? In The Witch’s House la narrazione va avanti in tanti posti diversi. Il racconto di Ellen va avanti se il giocatore va avanti: non resta incollato alla barra spaziatrice della tastiera per andare avanti negli interminabili dialoghi della cutscene “spiegone” di turno.

Le informazioni date così danno anche un bell’effetto di curiosità nel sapere come va avanti la storia della strega citata anche nel titolo del gioco. La rivelazione finale nell’ultimo Diario della Strega è anche più potente, dato che unisci tutti i puntini che ti sono stati dati nel corso dell’intera partita, per tutta la durata della tua esperienza con il gioco.

Un titolo senza precedenti nel campo degli HOR-RPG, che è stato capace di trasmettere a 360° gradi l’emozione data dallo sviscerare una storia nel corso dell’esperienza ludica ed interattiva come solo un videogioco è capace di fare.

Un asso nella manica che potremo definire…Due in uno.

“Aahh, CA**O!”
-Giocatore medio di The Witch’s House in questa scena

Con questa reazione è molto evidente l’effetto che hanno le informazioni gestite in questo modo: questa “Strega” sempre citata nei diari finalmente si incontra, ed è anche direttamente collegata con Viola: per tutto il gioco c’è una tensione crescente data dall’attesa di conoscere la sua identità.

Ecco, per questo chiedo a tutti voi lettori di pensare che la buona narrazione di The Witch’s House ci sia in tutto il gioco, e non solo nella scena finale (perché è pensiero comune che la storia di questo titolo si concentri tutta nella “reveal” finale).

In quella scena si è un po’ caduti in una drammatizzazione molto più esagerata, che chiameremo d’ora in poi “drammatizzazione soap-operistica”. La musica d’effetto, il monologo da villain di Ellen…

“Sono sorpresa che tu sia riuscita a intrappolarmi con i miei stessi poteri… Ma invano”

“Muahahahahah”, aggiungerei.

…Mio Dio, neanche il tempo atmosferico è dalla parte della povera Viola e fa da uccello del malaugurio dicendo “in questa esatta scena tu morirai tra i pianti dei giocatori!”. In breve, per questa scena “o ci si commuove, o ci si commuove”.

Ecco, tenete a mente questo tipo di regia per l’articolo successivo…

Nel frattempo, prima di passare all’altro asso da analizzare, vorrei fare un appunto.

C’è da considerare un elemento molto importante all’interno di questi giochi, che non abbiamo forse approfondito a sufficienza nell’articolo precedente: avete notato come a differenza dei tre giochi della Generazione 0, i nemici abbiano una natura più ambigua?

Nemmeno Akemi-Tan aveva lo stesso, lì c’era una divisione tra “buoni e cattivi”, fazione del bene e del male. In Ao Oni c’era un demone come elemento senz’altro negativo, Yume Nikki ricordiamo come si spingesse più su un approccio sperimentale e immersivo senza voler mantenere minimamente toni realistici.

Tralasciando il caso di Corpse-Party (quello del ’96, la cui trama incentrata sugli spiriti da pacificare rimarca un’antica tradizione di molte opere horror, incentrate su una sfera più umana dei personaggi), possiamo già notare in Ib la differenza: alcune opere d’arte ti danno il game over, altre no. Mary soffre di solitudine, Ellen soffre di solitudine e pare lamentare una mancanza d’affetto. La complessità viene a crescere nello sguardo che dobbiamo rivolgere ai personaggi: hanno infatti intenzioni e motivazioni che partono dall’interno. Bisogni e necessità umane che noi spettatori sperimentiamo tutti i giorni (desiderio di compagnia e socialità o affetto, per l’appunto fare solo degli esempi) ma che spinge i personaggi a compiere le azioni (spesso anche atroci) fortemente negative e di cattivo esempio che ci mostrano con una messinscena, appunto, da opera dell’orrore.
Rpg Horror
.
In particolare questa crescente ambiguità la si noterà anche nelle opere di Sen, Mad Father (per l’appunto: un assassino che si vuole mettere anche nella posizione di una figura genitoriale) e Misao (in cui ci si sposta sempre di più verso la “normalità quotidiana” del contesto), andando ad articolare da qui in avanti caratterizzazioni di personaggi sempre più complessi fino ad arrivare perfino allo schema del Viaggio dell’eroe in The Crooked Man e le articolate sfaccettature dei personaggi di Cloé’s Requiem nella generazione a venire. Ma questa sarà una storia che approfondiremo in seguito, passo dopo passo.

Visto che, in questo caso, soffermarci sui comportamenti delle due ragazze non aggiungerebbe nulla all’analisi che voi già non sappiate (a parte ammirare la determinazione di Viola e interessarsi alla sociopatia di Ellen) non sarà The Witch’s House il gioco che ci farà parlare delle caratterizzazioni dei personaggi, almeno per il momento…

…Questo perché non è un titolo da vantare solo per la narrazione. Anche dal punto di vista del “videogioco” nella sua accezione più primitiva, The Witch’s House ha offerto un elemento molto importante (che, ahimè, manca in molti titoli HOR-RPG o pseudo-tali di oggi), più piacevole da giocare, e a tratti anche più difficile. Non c’è da chiedersi perché l’ha voluto accentuare ancora di più nella versione su Steam del gioco…

Il replay value, ovvero il grado di rigiocabilità.

“Rigiocabilità o replay value è un termine usato per valutare il potenziale di un videogioco per il valore del gioco ha continuato dopo la sua prima conclusione. I fattori che influenzano rigiocabilità sono caratteri extra del gioco, segreti o finali alternativi” (da Wikipedia)

So già cosa starete pensando.
“Ma anche Ib ha 9 finali differenti!”
E avete ragione! Anche Ib ha un replay value relativamente buono, ma ciò che rende The Witch’s House ancora meglio di Ib da questo punto di vista non sono tanto i finali alternativi (anche se The Witch’s House ne ha ben 3, non contando anche il “_____ ending” aggiunto nella versione 1.07), ma bensì le prime due cose citate nella definizione: caratteri extra e segreti.

Essendo il gioco in sé non molto lungo (media di 1 ora e mezza), Fummy ha potuto aggiungere ogni sorta di segreto, dettaglio o finale che dà senso ad una seconda, terza, quarta o quinta giocata. Ecco tutto ciò di cui c’è bisogno per “platinare” The Witch’s House, scoprendone quasi ogni segreto.

– Ottenere il finale “buono”;
– Ottenere il finale vero;
– Ottenere il “finale _____”;
– Controllare tutti i libri che appaiono man mano nella libreria andando avanti con il gioco, al posto di continuare ad oltranza di piano in piano;
– Cancellare il file “PublicData” dalla cartella di gioco e quindi nella stanza delle distrazioni si possono avere dei dialoghi con il gatto nero;
– Collezionare tutte le morti.

E inoltre, nella versione MV, finire il gioco in tutte e tre le difficoltà: Facile, medio ed Extra.

Oltre a questo ci sono anche tanti piccoli dettagli che magari in una run sola un giocatore può aver sicuramente mancato. Ad esempio, io non ho mai notato questa bottiglietta nella stanza delle medicine.

Quindi, parlando in termini più pratici, oltre ai finali ci possono benissimo essere altri “trofei/obbiettivi” da ottenere durante il gioco, e ciò moltiplica di molto le run possibili (anche se la quantità varia, dipende da cosa il giocatore ha mancato durante la prima partita).

In breve, gli strati numerosi di cui si ricopre questo titolo (i molteplici livelli narrativi e le molteplici varianti di giocabilità) l’hanno reso di per sé iconico.

Termometro della professionalità

 

Beh gente, che dire. Il termometro qui è abbastanza alto.
Certo, ancora è difficile tornare ai livelli di Corpse Party…Ma l’approccio comincia ad essere diverso dagli altri giochi che abbiamo affrontato in Ritorno al Futuro.

In realtà si tratta di una tematica che affronteremo meglio nel Rapporto Autore-Opera, in cui cercheremo di spiegare meglio cosa è successo con questo titolo a livello di passaggio inter-mediale.

Packaging

Questo è sicuramente un title-screen molto insolito: eccoci davanti soltanto ad una distesa di colori.

Le tonalità sono fredde, vanno dal blu al verde e probabilmente rimandano all’isolamento nella natura in cui ci immerge il gioco nel primo frame in cui la protagonista appare.

Questa tematica ricorrente con la natura mi riporta ad un’altra copertina…

Sì. Sì, esatto.

Ecco, è come se il gioco stesso ci volesse suggerire un ritorno alla natura, una fata dei boschi che poi è diventata strega: la natura che da madre benevola “capaci di avvolgerci in un tappeto di fiori” diventa poi malevola, “indirizzandoci creature che ci divorano la testa a morsi”.

Madre Natura è stata crudele con Ellen e la sua malattia, il suo stato sembra rimandarsi qui quasi a una componente naturale con essa stessa.
Così come Viola, che vive nei boschi ed è rappresentata come questa biondona dal padre cacciatore che si avventura tra sentieri ignoti e cespugli di rose. È dedicata anche una sezione del gioco al giardino della casa della strega, ed in particolare possiamo ricordare l’enigma in cui il giocatore si è trovato costretto a strappare via dei fiori bianchi parlanti dal terreno.

Questo può essere un terreno di confronto interessante rispetto al contesto urbanizzato di Ib, in cui lo stile sembra volersi approcciare al minimalismo e per certi versi all’astrattismo (in questo condivide un punto in comune con Yume Nikki) a differenza del contesto rappresentativo che è stato scelto per questo gioco.

Del resto, il menù e l’interfaccia sono abbastanza semplici, tutta la nostra attenzione deve essere focalizzata sull’esperienza di gioco.

Il packaging pertanto, ed il modo in cui il titolo si presenta, è uno dei motivi per cui, per quanto lo stile sia riconoscibile, non abbiamo alzato ancora di un altro po’ il livello del termometro.

In ogni caso, le spiegazioni per cui il livello dell’acqua è così tanto alto rispetto ai giochi precedenti di cui abbiamo trattato si trovano nei paragrafi successivi…

Rapporto Autore-Opera

Okay, finalmente siamo arrivati a questo punto.
Tanto per iniziare c’è da considerare una cosa rispetto agli altri autori che abbiamo nominato in Ritorno Al Futuro: Fummy sembra molto più presente e padrone dell’opera (e del franchise che cerca di costruire).
Qualcuno ricorderà cosa abbiamo detto di Makoto Kedouin in Corpse Party, o di kouri in Ib, o della totale scomparsa di Kikiyama, o ancora il distacco di noprops.

Non ci stiamo riferendo soltanto al remake che è uscito a pagamento e con una certa operazione di distribuzione sostenuta dai publisher con tanto di differenti traduzioni (l’unico forse a nostro parere che ha mantenuto un alto livello qualitativo e ha saputo sostenere a dovere il confronto con il titolo originale), ma anche ad altre opere ancillari.

Sì, esatto. Di nuovo, stiamo parlando della light novel e a seguito del manga che ne è derivato.

“Il Diario di Ellen”. Le vicende sembrano essersi spostate su un piano più drammatico (questo si vede nei tratti decisi del disegno nelle scene più forti e nei toni di chiaro-scuro che si è preferito adottare, i miei complimenti all’artista) e slice of life, come si suol dire: sprazzi di vita quotidiana non raccontati nel gioco.

Beh, sì, insomma. Questa è la visione carina e coccolosa che dovremmo avere di questa mentecatta prima che vendesse l’anima.
Si vede che questo “addolcimento della pillola” non mi ha fatto propriamente impazzire, vero? Eh sì. Non vi si può nascondere niente.

Potreste dirmi che “è naturale che si debba vedere in tutta la sua innocenza”, e io vi rispondo che questa non è innocenza ma fanservice che snatura il personaggio. Dai, andiamo! Una bambina che vive in condizioni di miseria, malattia e che inizia a sviluppare un sentimento ossessivo-possessivo nei confronti di sua madre (ma anche solo per la condizione di vita che affronta), come diamine fate a cogliermela in questa inquadratura con forme tondeggianti, boccuccia spalancata e occhi sbrilluccicosi per aver visto un gattino? Se ricordo bene tra l’altro doveva essere un gatto mentre divorava un topo. Per dire, una scena di caccia.

Okay, non importa. Cerchiamo di arrivare al nocciolo della questione: quello che stiamo cercando di dire è che, anche se i toni sembrano essersi spostati sul piano più drammatico e sicuramente meno ampio a livello comunicativo (gli slice of life non sono proprio quei tipi di generi che si possono vendere ad un pubblico di massa, soprattutto se manca una trama definita) si tratta di una mossa furba, è un tentativo di “costruire il franchise” da tenere in considerazione.

È questo che in fondo fanno le opere commercializzabili. Tutto è legato alla fidelizzazione che si viene a creare da parte del pubblico, ed è stato notevole che sia stato applicato a The Witch’s House.

Questo è il motivo per cui siamo state generose con il punteggio inerente al Termometro della professionalità. Il gioco è chiaro nelle sue intenzioni, offre un’esperienza immersiva e interattiva costruendo poi da quel mondo che ha creato una nuova storia, in questo caso il passato di Ellen.

Il remake credo, vedendola in quest’ottica, che abbia semplicemente fatto parte di una strategia per cercare di rinfrescare il titolo oltre che un modo per mettersi alla prova con un engine differente. Abbiamo apprezzato il fatto che nel remake non ci siano ulteriori approfondimenti sul passato di Ellen, per noi rappresenta una notevole serietà nei confronti dell’opera.

È lodevole la strategia applicata dall’autore/trice, che pur mantenendo un certo distacco dal prodotto a sé cerca in tutti i modi di valorizzarne il contenuto in forme diverse sfruttando l’intermedialità tramite cui si può realizzare un’opera di finzione (vuoi che si tratti di una light novel, manga o videogioco) rispettando il linguaggio che questi diversi espedienti richiedono.

Difetti dell’opera

Ebbene, siamo felici di poter dichiarare che quest’opera non ha difetti!

È dall’articolo di Yume Nikki che non pronunciavamo questa soddisfacente sentenza.
Cercherò come sempre di spiegarmi meglio per i più scettici.

Dunque, sicuramente qualcuno potrebbe notare alcuni difetti inerenti ad esempio alla trama. Anzi, è più che plausibile che qualcuno noti come sia impensabile per Ellen aver potuto continuare il diario anche dopo lo scambio di corpi.
Avete pienamente ragione. Questo è un difetto.
Volendo offrire giustificazioni si potrebbe pure ipotizzare che un momento per compilare queste ultime pagine ci sia stato, forse come testimonianza dell’ “ultima goccia della sua sanità mentale”, o un appunto personale che avrà realizzato per concludere “il suo percorso da strega”; ma queste sono solo ipotesi come altre, ce ne potrebbero essere diverse e sarebbe una bella sfida cercare di coprire questo buco di trama.
In realtà c’è un altro difetto, a mio parere più grave.
Mi riferisco alla dichiarazione di Ellen: “la casa mi ha aiutato fin dall’inizio”.
Esattamente, in quali punti la casa della strega avrebbe favorito la sua ex proprietaria facendola proseguire nel gameplay? Se proprio il gioco ci teneva, sarebbe stato più semplice specificare che la casa diventava un ostacolo perché semplicemente non l’aveva riconosciuta, e quella era una routine speciale che seguivano le comuni vittime della strega se non venivano uccise.
Tuttavia…Sì. Continuiamo imperterrite a sostenere che “il gioco non ha difetti!”.
Questo perché non si tratta di errori narrativi tanto gravi quanto quelli di Ib, per cui sarebbe servito elaborare la costruzione di un world-building completo. Ricordiamo la percezione dell’accendino e poi il danno al quadro di Mary o la regola delle due persone: due dimenticanze che avrebbero potuto (o rischiato di) dare un tono totalmente diverso ai finali del gioco se non cambiare la natura del gioco stesso; a differenza dei difetti nominati qua sopra di The Witch’s House. Gli errori derivati dal tentativo di conoscere la correttezza logica degli eventi cronologici off-screen o da quello di cercare una giustificazione approssimativa per gli eventi relativi ai singoli enigmi che avvengono durante la partita non sono tipi di difetti che compromettono la natura del gioco.
…Se sembro così comprensiva nei confronti di quest’opera è per una ragione ben specifica.

The Witch’s House, a differenza di Ib, sapeva bene dove voleva andare a parare.

Non ci vengono forniti tipi di dettagli molto rigidi o particolari sul contesto in cui la vicenda è ambientata, non ci vengono date regole particolari sul come funzioni la casa: l’esperienza a cui siamo andati incontro è una fiaba videoludica.

Una fiaba che va a spezzare la tradizione di Hansel e Gretel: abitazioni nei boschi, la strega cattiva e l’immancabile casa stregata che ritornano protagonisti di una storia in cui interpretiamo proprio il personaggio malvagio.

C’è la storia di Ellen che viene approfondita dai suoi diari, e questo è un altro punto di rottura con le fiabe tradizionali in cui i personaggi sono fortemente caratterizzati e stilizzati, ma questo non toglie nulla al modo in cui le ragazze ci vengono rappresentate. Da notare quando si entra nel corridoio senza luce, ad esempio.

Lo screenshot viene dal remake del gioco

Con tutte le informazioni alla mano postume dalla prima partita, quello che ci sembrava all’inizio un normale elemento inquietante della casa ora possiamo associarlo alle connotazioni di Ellen: rosso con un ghigno nero, praticamente un demonio. Del resto “se è la cattiva è giusto che sia rappresentata in questo modo”.

Oltre allo sguardo spento che si vede dall’interfaccia del menù assimilabile ad un’altra caratteristica essenzialmente negativa.

Questo gioco ha centrato in pieno le caratteristiche che definiscono un gioco di qualità, come abbiamo detto: una spigliata narrazione elaborata su più livelli (ricordate ciò che abbiamo detto nell’Asso nella manica sulla rigiocabilità) incastrata a dovere nella sessione tensiva di gameplay, senza separare i due elementi in maniera drastica.

Avendo fatto pieno centro per entrambe le parti, non possiamo non lodare l’ottimo lavoro che è stato realizzato, a cui sommata la strategia sulla “costruzione del franchise” (anche se non è un’operazione ancora completamente riuscita, per il contenuto dell’opera stessa) lo rende un ottimo prodotto e un’interessante caso di sperimentazione commerciale.

Conclusioni

Siamo giunti alla fine anche di questo articolo. Il 2012 passa in fretta, la macchina del tempo si sta muovendo alla velocità della luce da febbraio a ottobre e da ottobre a dicembre ecco che arriviamo alla conclusione dell’anno…

Abbiamo già potuto notare una differenza nel modo in cui Ib e The Witch’s House si sono avvicinati alla sfida inerente al “racconto di una storia” all’interno di un videogioco esplorativo. Da un lato un approccio più raffazzonato, mentre dall’altro abbiamo una raffinazione del metodo…

E nemmeno passano due mesi, che a dicembre spopolerà un gioco che vanterà la narrazione di drammatiche vicende, raccontate ancora una volta, dal punto di vista di un’anti-eroina.

…Stiamo parlando del secondo grande sparti-acque della storia degli RPG Horror. Mad Father.