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Ib – L’albore degli stardom

L’avete amato, vi ha avvicinato più di ogni altro gioco alla corrente HOR-RPG, un gioco tra quelli che più ha avuto trasposizioni fantasiose da parte dei fan in ambito audiovisivo, di musical scolastici, mille-mila fan art e quant’altro; ha rotto più di 1.150.000 download solo in Giappone: gente, stiamo parlando di Ib!

Non potreste avere l’idea di quanto pensare a questo articolo ci abbia spaventato negli ultimi giorni. Sì. Perché oltre a dover gestire gli impegni accademici e la produzione di TROFA (siamo persone sole e tristi, perciò da sole ci produciamo tutto, perdonateci), sapevamo già che ci aspettava un colosso qui sugli Archives, con cui apriremo questa nuova stagione della rubrica Ritorno al futuro

Un pezzo molto importante di storia degli HOR-RPG, un qualcosa che ha iniziato a scalfire una ferita profonda all’interno di quella che era la vecchia definizione non solo di RPG Horror, ma di horror indie indipendente.

Avevamo intenzione di preparare un intervista con kouri che, ahimè, ci ha rivelato di non aver abbastanza tempo per un progetto del genere. Sarebbe stato molto interessante ascoltare la sua versione dei fatti, poiché come vedremo nella Storia del prodotto, avrebbe offerto un interessante punto di vista da parte di un autore indipendente, per l’appunto, che si è trovato da un giorno all’altro alle prese con un successo che sicuramente non si aspettava di avere.

Storia del prodotto

La prima data di uscita di questo ormai “masterpiece” del campo HOR-RPG è, rispetto ad altri del genere, piuttosto nota: 27 febbraio 2012.  Ci è sconosciuto se per promuovere il titolo Kouri abbia scritto in dei forum, ma è molto probabile che i primi canali di distribuzione del gioco siano stati il sito dell’autore e vector.co.jp, a primo attrito un portale come altri che abbiamo visto qui in Ritorno Al Futuro.
Vector però è un canale di distribuzione davvero peculiare per un gioco indie, perché il sito non tratta solo di videogiochi… Bensì di software nel concetto più generale (anche se ha una sezione apposita per i giochi). Se si va nella pagina principale del sito infatti si può trovare di tutto.

Una domanda legittima può essere: “Come faceva la gente a trovare Ib?”Questo fenomeno ha scatenato perplessità anche in noi, in effetti.
Rendetevi conto della situazione: anche in un portale tanto vasto, il gioco si è classificato terzo nel record di download di Vector.jp per diversi anni, e ha vinto il maggior numero di consensi (270) nell’evento di voto degli utenti “Popular Vote 2012”.

Si può dire che questo titolo era destinato a crescere!

Le recensioni vanno dalle quattro alle cinque stelle. Più tardi qui e nel paragrafo Asso Nella Manica si approfondirà questo discorso, e soprattutto le motivazioni di queste recensioni tanto entusiastiche.

Quindi, per adesso, vediamo com’è andato avanti il gioco da Vector.

Non ha avuto neanche il tempo di passare ad altri portali di distribuzione, che i gameplay sul titolo già spopolavano in Giappone.
Inoltre, il gioco fece così tanto successo che si guadagnò un articolo sul famoso sito di giornalismo videoludico Famitsu, a cui Kouri ha rilasciato anche un’intervista (di cui parleremo nel Rapporto Autore-Opera).

(Nelle foto una parte dell’articolo su Ib di Famitsu, e parte della trascrizione dell’intervista a Kouri)

E inoltre, come detto nell’introduzione, solo in Giappone il gioco si guadagnò le trasposizioni più fantasiose da parte dei fan (riteniamo necessario citare ancora il caso del musical scolastico basato su Ib) e, una bella novità…
Un bel po’ di merchandise (seppur limitato a certi periodi di tempo)!
Mini figure vendute nei negozi “Animate” inGiappone all’inizio del 2014; un calendario per il 2013 venduto a Comiket 83; peluche di Ib, Garry e Mary verso la fine di gennaio 2013 alla stazione di Taito come premi agli arcade; una tote bag e un bicchiere venduti al “Guertena Shop”.

Il gioco quindi fu sempre più conosciuto…
Fino ad arrivare a VgPerson (o Kate, per gli amici) che si fece avanti per tradurre Ib in inglese e portare questo piccolo successo videoludico a noi popoli dell’Ovest.
Ecco, dopo tanta popolarità in Giappone si è avvicinata la tappa di un gran passo…

L’arrivo in Occidente.
Ormai, dopo una stagione di Ritorno Al Futuro, avrete imparato bene cosa vuol dire esportare un HOR-RPG in inglese… Ib non fa eccezione.

Anche qui da noi il gioco ottenne una buona popolarità, guadagnandosi altri articoli in altre testate online (alcune anche di spicco), oltre a ovviamente mille-mila gameplay su Youtube…

Ma da un pubblico più “largo”, invece, come è stato recepito il gioco (sia in Oriente, sia in Occidente)?

Pur essendo di molti anni dopo rispetto ad essi, il gioco sembra da una parte reduce dalla Generazione 0, infatti…

Le sculture e i dipinti nella Galleria sono davvero belli. Si può godere di un’atmosfera strana e leggermente spaventosa, raccomando questo gioco a chi piacciono questi mood.[…]

(Recensione su Vector.com.jp)

“Gioco bellissimo – probabilmente uno dei miei giochi horror-pixel preferiti. A primo attrito non potrebbe sembrare chissà che, ma ha una grande personalità. L’atmosfera di questo gioco ti trascina così tanto che ho trovato difficile il non essere risucchiato negli ambienti e spaventarmi io stesso/a. Non è molto lungo, ma ha tanto nel breve tempo che ci passi.”

(Recensione da Metacritic, da parte del pubblico)

Ma perché Ib noi lo consideriamo “character drama” allora, se ha molti elementi che possono creare una buona “horror experience”?
Prendiamo vari spezzoni di altri giudizi nei confronti del gioco, tra recensioni e, stavolta, commenti su Youtube…

“Non ci sono immagini particolarmente macabre, solo storia e pura amicizia. La storia è ben raccontata”

“Garry è diventato facilmente il mio personaggio videoludico preferito”

“Mary rimarrà sempre la mia preferita. Ricordiamo che ha perso suo ‘padre’… Vuole solo che Ib sia sua amica. Garry sembra il suo creatore e ciò la fa arrabbiare.”

Ecco, quest’ultimo commento è un buon motivo per iniziare il discorso su un finale particolare di Ib, a cui si riferisce la persona che ha scritto: Sacrifice.

Nel corso del tempo, quando il gioco guadagnava popolarità in Occidente, uscirono due versioni non ufficiali del gioco: la Green Version e la Hardcore Version.
La Hardcore aggiunge solo alcune caratteristiche della Green Version e appunto difficoltà aumentata con solo un petalo e nessun punto dove curarsi.
La Green Version è il caso più particolare (essendo anche stata coraggiosa ad essere stata pubblicata senza il consenso di Kouri, e quindi alla fine cancellata…), perché è stata caratterizzata da questo finale in particolare.

Praticamente questa ending aggiuntiva è basata sulla scelta che hai con Mary sul chi sceglieresti se potessero uscire due persone dalla Galleria. In quella scelta c’è l’opzione “Mi sacrificherei”. In questo finale effettivamente Ib si sacrifica, se in questa scena (aggiunta ovviamente in questa versione) si sceglie l’opzione evidenziata nello screen.

Successivamente Ib strappa i petali dalla propria rosa, appunto sacrificandosi e facendo tornare Garry e Mary nel mondo reale, e come nel finale “Dipinto Dimenticato” dal gioco originale…

Ecco, questo finale un po’ strappalacrime nella community di Ib ha fatto molto parlare di sé.
Ma perché ciò?
L’abbiamo visto nel commento di prima: perché interagiscono principalmente i personaggi tra loro, “il dramma è concentrato pienamente su di loro” e soprattutto sulla nobiltà d’animo di Ib che in questo finale l’ha fatta sacrificare.

In breve, c’è un discorso più incentrato sui personaggi.

Ma parleremo meglio di questo fenomeno nel paragrafo seguente…

Ed infatti eccomi qui! Ele mi ha ceduto il posto, ed eccomi qui, Pao, pronta a scervellarsi assieme a voi!
Dunque, come mio solito prima di arrivare all’argomento partiamo da un preambolo.

Forse qualcuno si ricorderà di questo fenomeno…

 

Che poi nello stesso periodo è andato avanti così…

Da teorie sulle caratterizzazioni, pagine dedicate, lyrics dei brani musicali che apparentemente sembrano accompagnare solo un’efficace messinscena (a proposito del rapporto e differenza che ci può essere tra una buona regia e buoni personaggi: è stata una tematica che abbiamo già trattato in Corpse Party), loro diventano il principale oggetto di discussione da parte dei fan di questi prodotti: i personaggi.

Questi giovincelli cominciano ad emergere dai loro contesti di provenienza, assorbendo quasi tutta l’attenzione dei giocatori e spettatori che si imbattono nelle loro vicende.

Per l’appunto: cominciano a sostituirsi al giocatore, comincia a esserci un loro, le domande poste iniziano ad essere “cosa avrebbe fatto X al posto di Y?”
Per questo campo di giochi si è trattato di una svolta senza precedenti (sempre tralasciando il caso anomalo di Corpse Party, si intende) in cui il grande pubblico ha cominciato a porsi delle domande sugli “attori in scena”, a crearsi dei miti.

Per questo argomento voglio per un attimo prendere in prestito un argomento che durante il mio percorso di studi sulla storia di Hollywood ho avuto modo di affrontare…

“No no ti prego no”.

…Un momento eh, che prendo una cosa.

“No no. Che cavolo c’entra Hollywood?”

Un momento.

“No che vorrebbe dimostrare questa qui ora? Non me frega nulla che hai studiato sta roba!”

Trovato!

“Embè? Che è ‘sta roba?”

Vi prego, vi giuro che è utile. È un libro, che si chiama appunto The Star System di Paul McDonald che vi consiglio tra l’altro e parla di questo fenomeno nell’industria hollywoodiana, molto interessante…

“Oh e basta”.

Okay okay, ora ci arrivo.

Prima dovrei spiegarvi che cappero è questo “star system” e cosa si intende per concetto di stardom che vi spiegherò tra poco. Ha a che fare con gli attori, le star per meglio dire, e il pubblico.
Cercate di capirmi, questa è l’epoca dei character drama, no? Quale migliore modo di introdurre l’argomento con Ib, visto che ne stiamo parlando ora…Beh, per certi versi abbiamo iniziato a vedere in minima parte questo fenomeno, ovvero il legame che si crea tra spettatori e personaggi, anche con Corpse-Party.
In questa particolare fascia temporale particolare il fenomeno con gli HOR-RPG è esploso tra gli appassionati, vuoi forse per delle caratterizzazioni più sfaccettate (prendete ad esempio Mary, che ha una facciata e a seconda dei contesti mostra un lato diverso della sua personalità), o vuoi per la creazione di vere e proprie interazioni immaginarie da parte dei fan tra i personaggi del titoli, in questo modo facendoli “uscire fuori dal frame”, ovvero uscire dalla cornice dei loro contesti narrativi per iniziare a sopravvivere come “divi” della corrente HOR-RPG.

(Già cercando RPG Horror su Google Immagini appaiono questi tipi di risultati.)

Dunque…Forse già con questa breve introduzione avrete potuto capire grosso modo che tipo di argomento stiamo affrontando quando parliamo di Star System.

In realtà sono due termini (Star System e stardom) che rivelano un apparato industriale abbastanza complesso.
Si basa su un sistema appunto, nato con Hollywood ma che oggi non è stato abbandonato, anzi.

Facciamo un attimo qualche passo indietro.

Quindi, parlare degli albori di Hollywood vuol dire innanzitutto portarci negli anni ’20, in cui si stava configurando un nuovo tipo di industria.
L’industria del cinema è sempre stata piena di rischi, in cui bisognava trovare dei metodi per poter compensare, con i guadagni, le spese effettuate.

Con il tempo, per riassumervela in soldoni perché siamo qui per parlare di HOR-RPG e non, giustamente, di storia del cinema, si sono sperimentati nuovi modi per creare delle garanzie di guadagno, e quelle garanzie erano le star.

Una star si distingue da un comune attore: non si presta solo alla messa in scena per compiere un’azione e rendere vera una storia immaginaria, no, una star porta un volto, un atteggiamento, un gesto tutto suo, uno sguardo che gli spettatori ameranno.

Uno sguardo che continuerà ad essere venduto, creando un circolo monetario influente sui diritti all’immagine anche aldilà del film stesso: interviste, copertine di giornali, in seguito con i moderni metodi di marketing anche gadgets.

Lo stardom è il mito. In altre parole è il “portfolio” di un attore, dei ruoli che ha fatto e che contribuiscono a circoscrivere in maniera ben determinata la sua icona.

…E magari starete pensando che a maggior ragione che qui si parla di attori veri, di un’industria, che è quella del cinema, che non ha nulla a che vedere con il contesto che stiamo analizzando qui sugli Archives. D’accordo. Avete ragione perché come vi dicevo anch’io, qui si parla di sistemi e metodi di mercato applicato su persone reali, quindi ovviamente non può essere esattamente la stessa cosa nei confronti dei personaggi di fantasia.

Però…C’è un però. Possiamo trovare un meccanismo simile anche nei personaggi di finzione, se vogliamo.

Allora. Suppongo che molti dei ragazzi e ragazze che leggono questi articoli siano degli appassionati, o per lo meno conoscano gli anime. Cosa dite se ve li tiro in ballo? Ah sì? Dite di no?

Perché non pensiamo, molto banalmente, ai tipi di character design che si danno a dei personaggi destinati a questi tipi di prodotti, o un videogioco che sembra mantenere questi tipi di stili e metodi di rappresentazione. Si cerca l’esagerazione di rappresentazione, la stravaganza così ché il personaggio possa diventare un’icona, e non potendo ovviamente affidarsi ad un attore, buttano tutto quanto si possa fare sul personaggio per renderlo indimenticabile agli occhi del pubblico, e questo prima ancora che si possa vedere in scena per le azioni che compie, è qualcosa che comincia dalla sua apparenza.

La ricerca della stravaganza nel design dei personaggi che assumono, con l’avanzare di un’industria spietata e molteplici offerte che offre questo tipo di mercato al giorno d’oggi a cui per loro fortuna risponde una domanda molto vasta di consumatori ha portato a certi tipi di schemi prestabiliti da un lato per assicurarsi il consenso degli spettatori, ma dall’altra ha sempre da fare i conti con la vasta concorrenza e deve trovare un metodo per garantirsi un modo di emergere e poi una fidelizzazione, e anche qui uno dei primi metodi che si sceglie come garanzia di guadagno è nei personaggi e nelle loro eccentricità.

Vi viene in mente forse un esempio per quello che riguarda il nostro campo di studi? Tipo questo?!

Okay, quindi, tornando agli HOR-RPG: sapete qual è la differenza? Che ovviamente finora abbiamo parlato di industrie ben consolidate, un tipo di ambiente lavorativo e percettivo che l’HOR-RPG non è, ma che è riuscito a raggiungere seppur in minima parte questi tipi di risultati in maniera (quasi) del tutto naturale.

Ovvio che sarà capitato anche in altri tipi di “fandom nati da prodotti indipendenti” di qualsiasi tipo su Internet, ma il punto è questo: qui stiamo parlando di un game-engine come RPG Maker (o suoi simili concorrenti nel caso di Wolf-RPG Editor), uno strumento semplice e alla portata di tutti. Davvero di tutti. Basta solo un computer e tanta forza di volontà per produrre un tipo di prodotto che non sarà mai come…Chessò…Un libro, che non può in ogni caso offrire un’esperienza così diretta ad un lettore e che richiede costantemente uno sforzo d’immaginazione, o un cortometraggio (parlando a livello di produzioni indipendenti), in un universo che è quello cinematografico in cui andare avanti da soli e come autori indipendenti è veramente, veramente complesso se non si ha qualcuno a cui rivolgersi.

Cercando di tornare sui nostri passi quindi e sul discorso principale Ib prima di essere un gioco per noi è un fenomeno da analizzare, un fenomeno complesso come lo è stato Corpse-Party.

Eppure… Forse sto dimenticando qualcosa.

Forse sto dimenticando l’importanza della Galleria in tutto questo: Ib non è stato ricordato solo per i suoi personaggi.
Ib è un caso davvero particolare, singolare, che come Akemi-tan -di cui abbiamo discusso nell’articolo precedente- si appoggia sul filo di un rasoio. Ecco due casi videoludici quindi dalla doppia natura tra tentativo di raccontarci qualcosa e la priorità di farci esplorare un luogo.
A differenza dei suoi successori principali quali The Witch’s House e Mad Father, ha forse mantenuto un rapporto più equilibrato con il suo ambiente…
Eppure c’è da riflettere su una cosa.
Dal modo in cui la Galleria viene mostrata questa si mostra a noi prima di tutto rapportata a un personaggio, Weiss Guertena, a cui sono legati i nomi delle sue opere, le date, gli avvenimenti raccontati su questa figura.“Certo, un personaggio che non si vede mai…” potreste dirmi delusi, sostenendo che la Galleria ha un proprio spessore e che questo nome, Weiss Guertena, sia abbastanza insignificante. Beh, è vero. Non si vede mai.
…È questo il punto! Il fatto che il personaggio non entri mai in scena è ancora più importante per lasciare spazio al suo ambiente. Pensateci, se l’avessimo visto come personaggio fatto e finito avremmo collegato tutta la storia e le emozioni provate a lui e non ad uno spazio definito.
Pensate a Ellen, Viola e The Witch’s House ad esempio. La casa che esploriamo ci piace, ci affascina, ma dopo esserci approcciati al finale non possiamo fare a meno di rendere le due ragazze il cuore pulsante del gioco e dei nostri ricordi ad esso collegati.
Stesso discorso si potrebbe fare per Aya e suo padre in Mad Father.
E qui arriviamo al discorso principale a proposito degli ambienti degli HOR-RPG, che prima erano i veri responsabili nel rendere i loro giochi unici.

Qui tutto è concentrato sulla figura di una persona: l’ambiente muta la sua identità a seconda del soggetto che la abita, non è più come in Yume Nikki dove esploravi un ambiente di cui non avevi alcun indizio concreto sulla ragazzina che l’ha creato e la natura dei suoi sogni (dovendo per forza aprirsi alle libere interpretazioni), e nemmeno siamo in Ao Oni o Akemi – Tan in cui si esplorano delle abitazioni cercando di superare puzzles mentre si fugge da un mostro estraneo, esterno e del tutto de-contestualizzato a quello che comporterebbe la “normalità di quell’ambiente”. Nemmeno in Corpse-Party, che pur ha avuto una complessa costruzione di background col tempo, la Heavenly Host è diventata ciò che è per via delle anime che le hanno conferito in suo aspetto attuale e con cui i personaggi si confrontano in continuazione.

Sempre partendo dal presupposto che senza un buon ambiente di partenza, che sia fortemente personalizzato o realistico, un buon prodotto non viene fuori. E questo vale per la narrazione classica, per schemi anti-narrativi, per prodotti sperimentali e via dicendo, come abbiamo già detto per tutto il tempo parlando della Generazione 0.
Tuttavia, qui sta cambiando qualcosa.
Tanto per cominciare è stravagante e non sai mai cosa aspettarti dalle varie aree, giustificando questa scelta poiché si lega alla “figura di un artista”, e poi sono presenti numerosissimi personaggi che interagiscono con il giocatore.
Questo avviene finché Mary non prende completamente lo spazio in scena trasportandoci nel suo Album dei disegni (a proposito di questo, non a caso si tratta di un ambiente che si ricorda per Mary appunto, durante questo atto conclusivo “la Galleria esce di scena”).
In breve il vero asso nella manica sta nella capacità di kouri, in questa sottilissima e delicatissima operazione, di aver fatto muovere lo spazio della messinscena al pari passo con i personaggi principali dandogli così piena giustizia

Senza dimenticare delle atmosfere ovviamente (con una citazione alla suspence creata dalla scena delle bambole che abbiamo già discusso nella recensione di Midnigh Train: “Vedi la famosa scena della bambola blu gigante nella stanza della bambole, lì c’è una costruzione della suspence notevole: la chiave non si trova e devi squartare bambole di pezza mentre una di queste emerge dalla luce, accompagnata da campane di morte che aspetta solo che il giocatore fallisca. Era un sistema random tra l’altro: dove avevi trovato la chiave una volta non era detto che la trovavi la seconda volta.”)

La classificazione delle aree per colori, gli enigmi costruiti al fine di offrire spazio e personalità alle creature che si incontrano, le informazioni sulle opere d’arte e i nemici ricorrenti come le bamboline di pezza o i manichini e le varie Lady sono tutti indizi che dovrebbero farci comprendere che la Galleria stessa comincia ad essere un personaggio, e questo rappresenterebbe per me l’unico motivo per cui essa è tenuta in alta considerazione tutt’oggi.

 

Benvenuti, signori, nell’epoca dei character drama.

Termometro della professionalità

Già, avete visto bene: ancora una volta abbiamo un termometro della professionalità basso o almeno…Che raggiunge quasi la metà.

“Queste hanno rotto il…” starete pensando “non gli va bene davvero niente”.Chi ci conosce dovrebbe sapere già come ragioniamo, mentre per chi invece questo su Ib  è il primo articolo che legge e si interfaccia con la rubrica Ritorno Al Futuro invitiamo alla lettura dell’introduzione per capire quali sono i criteri con cui ci muoviamo nell’analisi dei titoli di questa rubrica…

Per il resto, anche qui, cerchiamo di essere onesti e confrontarci con i nostri sentimenti nostalgici: per quanto Ib fosse un soggetto con un potenziale davvero notevole se messo nelle mani di produttori esperti, questo titolo è rimasto solo una bozza autoriale di un grande “progetto grezzo”.

Sto dicendo questo per via dei difetti dell’opera di cui parleremo meglio nella sezione apposita, e forse, sempre se avete avuto modo di leggere altri nostri articoli della rubrica o delle normali recensioni, dovreste sapere quanto il rapporto con la scrittura sia fondamentale per la buona riuscita di un prodotto che funzioni sul piano commerciale. Come?

…Adottando un codice linguistico che sia il più possibile riconoscibile a livello universale dagli spettatori, con una main plot chiara e ben definita.

Ed ovviamente nel caso di un videogioco non c’è mai da dimenticare come questa viene districata con il gameplay, ma questo non è un difetto che riguarda quest’opera.

Torniamo all’analisi.

 

Packaging

Dunque, prima di fare qualsiasi operazione sul piano stilistico: notate una cosa?

Vediamo se capite dove voglio andare a parare considerando tutto il discorso che abbiamo affrontato prima…

 

 

 

…Sì. Esattamente. Questo è il primo ad avere sullo schermo un personaggio, appunto.

Per quanto sia “abbozzato” e il cui stile di disegno si incarna e confonde alla perfezione con il resto dello sfondo (non vediamo infatti mica dei colori puliti o tratti ben definiti, come nella produzione di un anime ad esempio) per la prima volta l’HOR-RPG porta un volto: non uno sfondo indefinito, non uno sfondo nero, non delle forme geometriche e nemmeno un mostro, ma un viso umano. Come succederà da adesso in poi per tutta una serie di titoli HOR-RPG presenti, a partire da Mad Father e via dicendo con tutte le sfaccettature del caso…

Un viso che tuttavia, come ho accennato prima, si mimetizza con lo sfondo: non viene messo in mostra in alcun modo all’interno dell’immagine, a differenza delle copertine qui sopra di altri titoli. I colori sono spenti, non luminosi, trasmettendo un senso di staticità e quiete.

Lo stile di questo gioco è stato indubbiamente apprezzato da tanti utenti, per via della sua natura sofisticata e che sembra portare molto bene sullo schermo un ambiente come una galleria d’arte, che già da sé è un concept nuovo e insolito per un titolo horror, a cui a quanto pare serviva solo una buona maestria nella gestione del gameplay e della messa in scena per farlo emergere.

Ciò che rende il titolo particolare è la personalità mostrata perfino nello stile di disegno.
Quando si vedono le icone dei personaggi apparentemente sembrerebbe uno stile di disegno sporco, avevamo già avuto un esempio con i personaggi di Akemi-Tan (cui, non potendolo collocare cronologicamente, ci sarebbe anche da ricordare che potrebbe essere stato il primo ad inserire dei protraits disegnati “a mano” dallo stesso autore con l’intento di creare soggetti originali), eppure per quanto le linee possano sembrare sporche funzionano bene nell’equilibrio visivo con le mappe che si esplorano.

Sul ruolo delle musiche ne abbiamo parlato in Asso nella manica, in cui facevamo riferimento alle main theme che hanno certamente contribuito a definire meglio la natura dei personaggi (melodia malinconica alla chitarra; carillon scelto come timbro per la “leggerezza/innocenza” delle bambine e le due diverse melodie, una più lenta e l’altra più vivace) e quindi la natura del gioco. Non sono da dimenticare le ambience che hanno fatto il loro lavoro, anche se sono state principalmente selezionate da siti di BGM gratuiti.

Rapporto autore-opera

Qui potrebbe spiegarsi il perché Ib è un videogioco che è sopravvissuto nel mercato grazie a degli agenti esterni, invece che approcci diretti dallo stesso autore (come invece hanno preferito fare i suoi colleghi, Fummy –The Witch’s House– e Sen –Mad Father–, che hanno preferito lavorare su remake o light novel o altri progetti per lavorare sulla sfruttabilità commerciale).

Ebbene, nella pagina del sito di kouri, l’autor* di Ib per l’appunto per chi non conoscesse il suo nome, è scritto un avviso particolare riguardo la ricezione delle mail.

In breve sono delle indicazioni riguardo autorizzazioni e permessi. Questo è a conferma di quanto abbiamo introdotto a inizio paragrafo per l’appunto, vale a dire che il gioco nel “mercato” è sopravvissuto da solo, grazie alla sua particolare personalità.

Probabilmente già gli/le sarà capitato di rifiutare dei contratti da parte di produttori, forse non voleva macchiare la natura dell’opera. Forse si sarebbe spiegato meglio il background della Galleria come è successo per Corpse-Party (vedere il paragrafo dei Difetti dell’opera) ma allo stesso tempo forse i personaggi sarebbero stati denaturalizzati (vedere l’articolo su Corpse-Party).

In questa intervista abbastanza datata, quella che avevamo citato in Storia del prodotto, possiamo notare come l’autor* abbia visto la sua opera nel corso del tempo…

―AVVISO: L’INTERVISTA E’ IN GIAPPONESE, E’ STATA TRADOTTA CON IL TRADUTTORE IN INGLESE ED INFINE PASSATA IN ITALIANO: I CONCETTI PERO’ SEMBRANO ESSERE COMPRENSIBILI―

―Cosa ti ha ispirato a produrre Ib?

kouri Dato che nella mia vita privata avevo un po’ di tempo, ho deciso di provare a creare un gioco che avevo sempre avuto l’intenzione di creare. L’ambientazione è una galleria d’arte, perchè era più facile provare a creare enigmi e meccanismi.

―Com’è andata avanti la produzione di Ib?

kouri Prima di tutto mi sono fatt* questa domanda: “Che tipo di gioco voglio fare?” ho messo in chiaro quella parte, scritto una storia di base, deciso il personaggio principale e tutto il setting e ci lavoravo costantemente. L'”elemento horror” e l'”elemento misterioso” erano molto importanti in “Ib”, quindi ho pensato molto a questi due elementi. Per la parte horror, ho semplicemente messo “elementi di cui la gente ha paura” nel gioco in modo ben bilanciato, e per la parte in cui si “risolve il mistero”, ho usato la struttura della mappa per intrecciare l’utilizzo di opere d’arte negli enigmi e renderli interessanti. Inoltre, ho fatto in modo che anche chi non è bravo nei  videogiochi possa finirlo il più serenamente possibile.

―Quali pensi che siano I punti forti di Ib?

kouri Sarei davvero felice che se I giocatori hanno sentito l’atmosfera inquietante del museo, e ho anche lavorato molto sulle sprite.

Come è stata la reazione degli utenti che hanno giocato Ib?

kouri Sono davvero felice di aver ricevuto una ricezione in generale positiva in molte parti del mondo soprattutto dal punto di vista dei personaggi: ciò mi ha convinto a lavorare ogni giorno sulle versioni successive del gioco

Infine, dì un’ultima frase alla community.

kouri  Grazie per aver giocato Ib! Anche se non l’hai ancora fatto, Ib è gratuito quindi se hai tempo, per favore provalo. Non è molto difficile, si fa giocare tranquillamente. Sarei felice di sapere se ti è piaciuto quando l’hai finito.

Quindi anche qui ci troviamo davanti a un fenomeno che ha caratterizzato a lungo la Generazione 0: l’approccio spensierato con i videogiochi HOR-RPG. Sia da parte del pubblico che dai giocatori stessi, i tempi in cui si provavano giochi nuovi e si guardava alle produzioni con approccio sperimentale, ambienti che seppur di nicchia riuscivano in casi eccezionali a raggiungere l’attenzione anche dei non-giocatori.

Questa è la chiave per cui la linea del termometro con la professionalità è così basso per un gioco come questo.

Un gioco innovativo nel suo genere ma che è ancora ancorato agli approcci esplorativi ed esperienziali per cui si sono contraddistinti i suoi predecessori.

Ciò che è interessante notare in questa intervista è come sia stato dichiarato una cosa: kouri sapeva già dove voleva andare a parare. Ha scelto prima il contesto (ovvero l’ambiente predominante) e poi il genere. Scegliere in anticipo un genere, ovvero l’horror in questo contesto, vuol dire scegliere già un certo tipo di codice linguistico. Probabilmente la domanda che si sarà fatt* sarà stata: come faccio a rendere inquietante un museo?

Sapere già in partenza dove si vuole andare a parare è uno dei consigli che danno i professionisti del settore creativo e dell’audiovisivo ed è spesso la chiave per lavorare a dei prodotti di qualità. Nonostante ciò, si può notare anche come abbia dichiarato egli/ella stess* di aver pensato dopo alla trama, e questo si vede nel risultato finale…
…Di cui parleremo a breve.

Difetti dell’opera

Finalmente, eccoci arrivati. Ogni volta questo è per me un punto dolente…Già…

E quindi sì. I difetti di Ib.

Diciamo pure che per quanto riguarda gli aspetti positivi siamo solo arrivati alle medesime conclusioni a cui molti prima di noi sono arrivati, ovvero che l’esperienza esplorativa offerta dal museo e il modo di rappresentarlo hanno gettato importanti basi per il successo smisurato del titolo: alla fine è quello il tronco, lo scheletro portante del gioco, non dimentichiamoci che i due personaggi, Garry e Mary compaiono molto in ritardo e ci si può interagire e ottenere atmosfere più concitate solo in un secondo momento. Sopratutto quest’ultima, che potrebbe dirsi utile soltanto a chiudere il cerchio narrativo durante gli atti finali.

Quindi il punto è capire invece cos’è che non ha funzionato.

Ebbene, potremmo dire che già dal semplice rispetto delle regole interne a questo mondo, il mondo della Galleria, c’è qualcosa che non torna.

Potrei cominciare parlando della regola del danneggiare i quadri: tante storie per un accendino acceso…

…E poi quando il quadro di Mary è stato bruciato non sembra esserci stata alcun tipo di ripercussione.

Per non parlare della miriade di informazioni che non ci vengono dette su questo posto, ovvero: chi ha scritto la regola delle due persone? Perché? Come funziona il rapporto “tra i due mondi”? Come mai la Galleria ora è “incustodita”? Come ha fatto Mary a guadagnare questa sorta di leadership tra le altre opere d’arte? Perché, a proposito di quest’ultime, alcune attaccano i protagonisti e altre no?

…E non provate a cercare giustificazione da qualche teoria tirata a caso perché sono informazioni che non ci vengono fornite in nessun modo nel corso del gioco. Sì, interagendo con ogni oggetto possibile.

Forse sto esagerando, forse per alcune di queste domande le risposte ci sono perché bastava leggere bene le descrizioni delle opere, tuttavia la maggior parte del background di questo “Mondo Fabbricato” rimane nel mistero e viene ignorato. È così “perché sì”, le regole dobbiamo immaginarle noi.

Ora capite bene come rendere incompleto un certo background dopo che si sono riportate certi tipi di informazioni sia complicato nel momento in cui si decide di voler provare portare un prodotto ad un livello più impegnativo di narrazione.

Ripeterò una frase che ho già detto in questo articolo: per certi versi non è “diverso” da Akemi-Tan, entrambi si trovano sul filo del rasoio. Se il gioco avesse lasciato un minimo di informazioni in più probabilmente si sarebbe tradito e avrebbe dovuto affrontare una serie di contraddizioni che avrebbe spezzato il sottilissimo equilibrio su cui si è costruita la main-plot (Ib e Garry vogliono uscire dalla Galleria, Mary non vuole – esposizione del conflitto, atti finali) e su cui si sono basate le atmosfere del gioco tanto premiate.

Una domanda adesso potrebbe sorgere spontanea è…
Perchè Akemi-Tan, che presenta lo stesso tipo di difetto di scrittura (soprattutto la mancanza di un solido background) ma che mantiene comunque uno stato di tensione molto alta non è stato preso in considerazione come è stato Ib?
La risposta è stata tirata in ballo abbastanza spesso in questo articolo.
Come vi ho detto prima: lì stavamo esplorando semplicemente case infestate, probabilmente ai giocatori e spettatori non è importato nulla di approfondire il passato di Akemi: risolto il problema della maledizione, risolto tutto, siamo soddisfatti così. La mancanza di background su Akemi sembra essere pesato poco per i giocatori: c’è stato solo uno sbilanciamento tra una parte e l’altra del gioco con totale cambiamento di atmosfere.

In Ib…Non ci sono solo i personaggi. In Ib c’è la Galleria che diventa attore principale dell’opera e che propone determinate regole.

Detto questo, come la mettiamo? Ce lo prendiamo così com’è questo gioco?

Conclusioni

…Rullo di tamburi…

La nostra risposta non può essere che positiva. Questa dei character drama è un ramo della storia degli HOR-RPG davvero molto complicato da osservare, in cui bastano pochi mesi per notare dei cambiamenti abissali nel rapporto tra esplorazione/gameplay e story-telling.
Siamo appena entrati nella Golden Age, un’età per l’appunto in cui cominciano a definirsi e scriversi nuove regole per la creazione di un Rpg Horror che nemmeno gli autori di oggi per certi aspetti sembrano voler rinunciare, un periodo in cui l’HOR-RPG non sa come classificarsi. Non è solo un prodotto indipendente, ma certamente non è nemmeno un prodotto commerciale prodotto da professionisti.
Non sono titoli sperimentali, ognuno vuole conquistare una propria identità, eppure i vari appassionati non riescono ad associare dei volti e dei nomi di coloro che hanno prodotto queste opere, che preferiscono rimanere come “individui nascosti”.
I personaggi cominciano ad essere visti come “divi”, come succede nei prodotti audiovisivi e videoludici lanciati dalle case di produzione, ma dall’altra parte è molto difficile immaginare dei loro background completi, questo finché non si andrà a definire un tipo di scrittura sempre più articolata.

Con la nostra macchina del tempo siamo appena entrati quindi in un’epoca di vivida trasformazione! Ve ne renderete conto da soli: ogni titolo sarà molto diverso dall’altro aggiungendo caratteristiche e regole nuove per la definizione della corrente HOR-RPG che stiamo studiando, questo già a cominciare dalla disposizione delle informazioni narrative proposta da The Witch’s House con cui ci rincontreremo la prossima volta…

Akemi Tan – A cavallo tra due sponde

Ora, dal 2004, andiamo avanti di almeno 10 anni…
No, no. Toglietene due. Ecco, esatto: 2012. L’anno in cui doveva finire il mondo.
Naufraga la nave Costa Concordia, Putin viene rieletto, c’è l’Expo 2012 in Corea del Sud, si cerca di far entrare il Montenegro nell’UE…
Nel campo degli RPG Horror questo fu un anno di nascita… O di ri-nascita, essendoci stato dal 2005 un bel periodo di stallo, per arrivare a quello che oggi conosciamo come l’anno del boom degli HOR-RPG: Ib, Mad Father, The Witch’s House, ma anche titoli minori come The Crooked Man.

Di quelli però, parleremo più tardi: fanno infatti già parte della Generazione 1 degli HOR-RPG. Prima di andare a questi fenomeni mediatici del genere, vorremmo prendere in esame un titolo che può rappresentare una perfetta transizione tra la Generazione 0,l’Horror Experience, e la Generazione 1, il Character Drama.
Quindi, mentre a Londra ci si preparava perchè mancavano solo due giorni prima dei trentesimi giochi olimpici, in Giappone fu distribuito per la prima volta Akemi Tan.

Storia del prodotto

Akemi Tan, o La Ballata di Akemi, non ha una development-story piena di eventi, evoluzioni o anche particolari controversie… Anche se ha una piccola particolarità dal punto di vista della distribuzione.

Nella categoria “Giochi Horror” di Freegame-mugen.jp, un portale giapponese tutt’ora abbastanza attivo dove vengono distribuiti giochi gratis di ogni genere: si passa dall’RPG Horror a giochi bullet hell alla Touhou Project, fu pubblicato inizialmente Akemi Tan il 25 Luglio 2012, con un “punteggio” di 65 punti.

…Ma non solo Giappone.
Akemi Tan, infatti, si può trovare (anche se questa versione inglese è stata pubblicata nel 2014) sul conosciutissimo portale prevalentemente inglese-americano rpgmaker.net . E il gioco non è stato messo sul sito da qualche fan o qualcuno che ha tradotto il gioco in inglese, ma bensì dall’autore stesso, Kona Kona Kona Kona Kona, Kona5, o Outkataoka.

Esattamente: Kona5 ha fatto tutto da solo dal punto di vista della distribuzione, e l’esportazione del gioco in America è stata fatta da lui stesso.

Il gioco si è guadagnato una buona quantità di commenti in entrambi i paesi, e ci sono anche moltissimi gameplay sia giapponesi sia inglesi, ma la ricezione è stata differente da una community all’altra.

Nella comunità di rpgmaker.net è stato accolto con più entusiasmo, si trovano più commenti positivi a cui l’autore stesso risponde (ma di questo ne parleremo nel rapporto autore-opera), mentre su Freegame-mugen le opinioni sono state molto contrastanti, anche perché è stato più diffuso (forse anche perché in giro da più tempo, la versione giapponese) in Giappone.

Si trovano infatti moltissimi giudizi sia positivi sia negativi, che vanno dalle cinque stelle, alle due stelle, fino ad arrivare ad una stella sola.

Soprattutto dal punto di vista della storia ci sono stati molti utenti che l’hanno trovata poco chiara, anche con l’ultima versione (che sembrava sistemare in parte questi problemi, a quanto detto anche da Kona5 stesso), altri che invece l’hanno capita (e personalmente io, Ele, mi ritrovo tra questi) e si sono goduti il gioco assieme al suo drammatico finale.

Su ciò che però ha scatenato lamentele o elogi al gioco ne parleremo nel paragrafo dedicato all’Asso Nella Manica.

Di questo titolo possiamo però dire che è stato, come fenomeno, un po’ come una supernova: ha avuto il suo periodo dove molti gameplayer ci giocavano, è cresciuto per un po’, ma non ha mai superato la nicchia come i suoi colleghi che ci saranno nei prossimi articoli, oppure come i titoli degli articoli precedenti a questo.

Questo è perché il gioco non aveva quell’appeal che avrebbe attirato il grande pubblico per via della sua trama abbastanza semplicistica (e, a tratti, che scade anche nel cosiddetto “wtf”), e che si basava soprattutto su jumpscare e atmosfera isolante: un gioco così, a meno che non diventi un cult, nella community HOR-RPG non dura.

Come è stato già anticipato nella storia del prodotto, ci troviamo davanti ad un periodo di transizione.

Era impossibile ignorare per noi questo titolo, trovandoci davanti a un prodotto spaccato in due tra tentativi di offrire una trama con un background da un lato, e dall’altro far saltare il giocatore dalla sedia con i suoi jumpscare.

Ebbene, cerchiamo di capire insieme qual è l’asso nella manica di questo gioco.

La schermata del titolo ci mostra una creatura deformata e dai colori accesi e un suono metallico a fare da sfondo alla grafica.
Tutto comincia all’aperto, con un tempio e una ragazza, Shimoko, che sembra tentata di mangiare l’offerta della divinità protettrice del villaggio.

Si sentono solo i rumori della campagna, così come a seguito dell’introduzione tutte le nostre azioni saranno accompagnate da un angosciante silenzio.

Il silenzio è un modo di esprimersi, una scelta che ci darà il costante presentimento di prepararci ad un suono molesto o a una brutta faccia che ci presenteranno sullo schermo.
I jumpscare, rivolti direttamente al giocatore prima ancora che al personaggio che egli interpreta, non sono in questo caso l’asso portante del titolo, sebbene siano tra le caratteristiche del gioco più ricordate e per cui, tra il pubblico, si è diffuso col passaparola. Non sempre la caratteristica più in vista di un titolo, come abbiamo già visto con Corpse Party, corrisponde al suo asso nella manica.
I jumpscare di Akemi-Tan sono tuttavia interessanti se si riflette sul contesto storico in cui sono inseriti, almeno nel campo degli HOR-RPG, in cui nello stesso anno usciva Ib che puntava ad un metodo totalmente diverso per “fare paura”, drammatizzando le atmosfere in funzione dell’ambiente e in seguito della narrazione.

Questi sembrano per davvero l’ultimo grido che i demoni rivolgono al giocatore disposto ad incontrarli, facendosi sempre meno frequenti man mano che cambi abitazione.

Probabilmente per voi ora starò divagando, quindi torniamo al dunque.

Qual è l’asso nella manica di Akemi-Tan?

Eccoci qui.

Questo forse è l’esempio migliore per avvicinarci all’argomento.

Leggete qui…Direttamente dai dizionari online.

SUSPENSE

“Stato d’animo di apprensione, di ansiosa incertezza, proprio di chi attende la soluzione di eventi drammatici; in particolare, in un film o in un racconto, momento o situazione che induce nello spettatore o nel lettore un sentimento di sospensione, di attesa angosciosa: un film, un romanzo ricco di suspense

Etimologia: voce ingl.; dalla loc. fr. (en) suspens ‘in sospeso’, che è dal lat. suspēnsum, part. pass. neutro di suspendĕre; cfr. sospendere.”

Noi vediamo un mostro nella stanza accanto. Così, come per tutta la prima parte del gioco prima di giungere nella foresta in cui questa attesa sembra scemare poco a poco, non sono i jumpscare che ci angosciano, ma la consapevolezza che giungeranno da un momento all’altro.

Non mi credete? Guardiamo un attimo due tipi di immagini e riassumiamo il contesto in cui sono state utilizzate.

A)
Certo, la faccia gialla che apre la bocca sembra avere proprio l’intenzione di farci saltare dalla sedia e poi far esaurire subito lo spavento. Sarebbe stato lo stesso se non avessimo vagato per la casa a lungo, in silenzio? Si tratta di figure il cui sono pensiero che potrebbero apparire da un momento all’altro permette al giocatore di restare col fiato sospeso, in un’atmosfera in cui la realtà quotidiana di Shimoko si spezza pezzo dopo pezzo.

Le immagini utilizzate sono solo una parte della tensione che si prova, la punta dell’iceberg che emerge da tutta la preparazione che c’è dietro. Vedasi altri eventi ricordati che spesso si verificano sulle mappe stesse oltre alle immagini; dalla stella marina gigante alla faccia che appare dal muro.

…E poi abbiamo quest’altro esempio…

B) Questa invece appare nella foresta. Abbiamo già affrontato molti nemici e superato l’esplorazione di ben tre abitazioni. Inoltre abbiamo già visto dalle foto la faccia deformata di Ebiko, e incontrato Akemi, oltre ad esserci difesi da una testa gironzolante colpendola con un martello. Soprattutto, siamo già scappati dal demone una volta.

Non c’è nemmeno più il silenzio, ma ad affiancare queste immagini c’è un accompagnamento sonoro più drammatizzato: è l’affronto finale, il face to face con il demone. Potremo osservare che abbiamo il desiderio da parte del gioco di farci vivere la scena con un certo climax, a differenza della prima immagine commentata.

Quindi, dopo aver commentato l’uso delle immagini in contesti differenti, possiamo dire con certezza che la suspense che circonda tali immagini ad assegnare loro un certo valore.

Badate bene, però, che si tratta di una caratteristica che troneggia indisturbata solo nella prima parte del gioco. La seconda, che vorrebbe concentrarsi di più sul background e comincia a partire da quando Ebiko viene salvata da Akemi nella foresta, sembra cambiare totalmente linguaggio e perciò non ne parleremo, sfortunatamente, in questo paragrafo.

Concludiamo queste prime osservazioni sull’asso nella manica del titolo con queste due immagini in particolari.

Da un lato, la mamma di Ebiko, che vediamo scomporsi pezzo dopo pezzo. Dall’altro abbiamo un primo piano su Akemi ci fa vedere come i suoi occhi si spengono.

Sembrano due immagini totalmente diverse.
Certamente le loro funzioni emotive lo sono. Una dovrebbe farci impressione, l’altra ricerca la nostra empatia e identificazione con il personaggio.
Tuttavia c’è un motivo per cui ve ne sto parlando in un unico paragrafo…Ed è la vicinanza che si cerca con il giocatore.
Similmente alla funzione della sequenza di immagini che appaiono nella foresta durante l’affronto finale e differenziandosi invece delle immagini dei vari jumpscare, queste ci tengono davvero a costruire un certo rapporto di intimità con il giocatore.

La comunicazione che il gioco sembra voler stabilire con noi direttamente in prima persona. Si tratta di una tematica che avevamo già affrontato con Ao Oni, ma che applicata in questi contesti, soprattutto per la seconda immagine, rivela un enorme potenziale per il futuro.
Il contatto stretto con il giocatore non si cerca solo per offrirgli “una botta di spavento”, ma anche per aumentare la durata della sua angoscia, o ancora per spingerlo ad empatizzare con la giovane bastonata.

Un tipo di uso delle immagini che il linguaggio cinematografico conosce molto bene.

E oserei dire, con l’uso che si è fatto di queste immagini la funzione è perfettamente riuscita rispetto a, ad esempio, le CG dei primi piani in Midnight Train che avevamo già recensito.

Guardate anche solo la differenza:

A sinistra Akemi. Abbiamo un primo piano ravvicinato, il sangue, l’espressione sul suo viso esagerata, anche se lo stile di disegno è in conflitto con le immagini delle sue faceset (e questo potrebbe essere considerata una goffaggine tecnica, sommata alla qualità dell’immagine). Possiamo vedere i suoi occhi che si spengono, direttamente a contatto con i nostri.

A destra Neil, di Midnight Train.

Un mezzo primo piano, il viso è rivolto verso di noi solo per metà e lo sfondo è trattato solo con una tinta di colore. Un tipo di immagine da cui noi spettatori, a livello emotivo, non possiamo che prenderne le distanze e considerare il personaggio in questo caso solo come una “bella statuina” che il titolo ha deciso di mettere in mostra in questo punto preciso della storia per farci capire che il personaggio aveva raggiunto la tappa di un percorso psicologico.

Ci sarebbe da fare un’osservazione a proposito, dato che con questo titolo chiuderemo il cerchio della Generazione 0: è curioso come un titolo di questa generazione sembri sfruttare meglio il linguaggio di un prodotto audiovisivo per creare emozioni a differenza di un titolo appartenente a ciò che chiamiamo Seconda Generazione, che sembrerebbe volersi affacciare più spudoratamente al codice narrativo di origine cinematografica.

Termometro della professionalità

Forse avere il termometro a questo livello vi  sembrerà abbastanza scontato. Osserviamo il tutto più nel dettaglio…

Packaging

Un’ottima idea. L’uso dei colori caldi e l’immagine che sembra essere frutto di una pennellata sono una buona presentazione del titolo in contrasto con lo sfondo nero. Il comparto sonoro aiuta il giocatore a sentirsi immediatamente estraniato, promettendo quasi aspettative grafiche più alte rispetto a quanto poi si vedrà riguardo le mappe e i volti dei personaggi.

Il titolo sembra essere stato distribuito dall’autore stesso con fare amichevole, non con l’intenzione di offrire un determinato prodotto ad un pubblico. È un giocatore che si rivolge ad altri giocatori, uno sviluppatore che si rivolge a suoi pari.

Di questo ne parleremo nel paragrafo successivo.

Rapporto autore-opera

Se si vede nella sua pagina di rpgmaker.net, è possibile già da subito vedere la differenza tra Kona5 e altri autori già analizzati qui in Ritorno al Futuro, ma anche quelli che verranno presi in esame in futuro.

Nell’articolo su Yume Nikki abbiamo parlato del “mito dell’autore”, sul come non sia tanto una persona, ma bensì un’entità tra la community, che se deve rispondere lo fa in modo molto professionale e distaccato.

Ecco, con Kona5 questo concetto non si applica.

Se pensiamo ad altri autori, ad esempio ponendo su due piani differenti Kikiyama e Makoto Kedouin, vedremo come entrambi condividono un’immagine estraniata di loro stessi nei confronti del loro pubblico.
Vuoi che si tratti di un’identità autoriale poi nascosta da una compagnia di produzione professionista, o vuoi che si tratti di un’identità “mitica” basata sull’aura di mistero che si è costruita, entrambi gli autori sembrano prendere le distanze dagli utenti a cui si rivolgono.
Indipendentemente che si tratti di atteggiamenti intenzionali o meno, è importante considerare come gli autori dei beni nelle industrie cerchino sempre di costruire una certa immagine e rappresentazione di loro stessi. Si tratta di un’immagine che può risultare fatale per il modo in cui poi il pubblico recepisce il prodotto, perché lo assocerà appunto proprio a quel tipo di immagine che un autore si è costruito.

Questo ragionamento purtroppo Kona5 sembra non averlo fatto, poiché probabilmente le sue intenzioni per questo titolo non era appunto di rivolgersi a un pubblico, ma a dei giocatori suoi pari. “Si confonde tra di noi”.

Sebbene nel mercato questo sia un tipo di concetto che si cerca di trasmettere per certi tipi di beni e servizi (vedasi le pubblicità dei prodotti alimentari ad esempio, soprattutto quelli in cui entra in gioco una sorta di patriottismo), c’è da considerare il modo in cui queste pubblicità sono costruite: immagino lo intuite anche voi che si parla di due modi diversi (rispetto agli atteggiamenti dell’autore di Akemi-Tan) di trasmettere lo stesso concetto: uno viene da parte di esperti del marketing, l’altro viene da un vero utente che sta distribuendo un suo gioco. E la differenza si vede.

Sul sito giapponese presumo che gli autori stessi non possano rispondere ai commenti ricevuti, quindi l’autore di Akemi Tan ha mostrato la sua personalità più sul sito americano.

Infatti risponde ai commenti (con anche un buon inglese) in modo che dimostra una natura estroversa e scherzosa, così come il suo profilo stesso con una bio altrettanto simpatica, con molte faccine del caso.

DIFETTI DELL’OPERA

Purtroppo ha fallito nei due punti cardine che definiscono il successo di un videogioco: narrazione e gameplay.

NARRAZIONE

Immagino che non serva il mio intervento in questo ambito per far tornare alla memoria di chi si è affacciato ad Akemi Tan un senso di inadeguatezza e incompletezza per come viene sviluppata la storia.

È vero, abbiamo una risoluzione della main plot: pericolo demoniaco, lunga parte dello svolgimento in cui si affronta questo pericolo e risoluzione del problema con quella che sembra una volontaria citazione all’evento biblico della morte e resurrezione di Cristo nell’ambito cristiano. Ebbene sì, abbiamo previsto e azzeccato la data in un cui far uscire quest’articolo. Felice Pasqua anche a voi, ragazzi.

Tornando a noi, dicevamo che c’è una risoluzione del main-plot, è vero, ma il background?

Akemi che lamenta la sua solitudine, che fa cenni al suo passato senza che questo venga poi approfondito.
Non stiamo dicendo che sarebbe dovuto essere sviluppato per forza, perché purtroppo il gioco sembra sospendersi in una fossa con un piede piantato sulla priorità dell’esperienza di gioco, e l’altro piede sul desiderio di raccontarci qualcosa.
Forse per quelle che erano le intenzioni del gioco sarebbe stato più onesto (anche se forse meno appetibile se l’autore voleva attirare in un certo senso anche l’attenzione di semplici spettatori di passaggio) rimuovere il background su Akemi e lasciarla al 100% nel mistero.
Per quanto sembri una ragazza matura e molto dolce (è un personaggio che mi ha messo molta tenerezza da una parte lo ammetto) sarebbe stato meglio, giunti a queste conclusioni, che non ci rivelasse così tanto su di lei o comunque non in questo modo.

È come mostrare la caramella a un bambino per poi divorarsela tutta intera sotto i suoi occhi delusi, oppure come dice il maestro Miyagi in Karate Kid rivolgendosi al suo allievo:
“Quando cammini su strada, se cammini su destra va bene. Se cammini su sinistra, va bene. Se cammini nel mezzo, prima o poi rimani schiacciato come grappolo d’uva.”.

Un’alternativa sarebbe stata riempire la fase esplorativa di piccoli indizi sul villaggio e sulla ragazza per poter lasciare più spazio al background, ma a questo punto viene da domandarsi se sarebbe stato lo stesso Akemi-Tan che conosciamo.

GAMEPLAY

Purtroppo questo titolo soffre in molti frangenti di un errore che abbiamo visto nella recensione di A Figment Of Discord.
Vi aspettate ancora una volta un “Eeh?!” come quello della prima recensione?
Bene, perché non lo avrete… Almeno a quei livelli.

Possiamo riassumere questo concetto così: l’errore è lo stesso, ma in campi diversi, e a livelli diversi di gravità.

Prendiamo per primo Akemi Tan. In tanti, tanti momenti del gioco devi ritrovarti a fare prima una cosa per poi farne accadere un’altra.

Esempio pratico (ho preso il caso peggiore): Shimoko non può mettere l’offerta all’Ou finchè il giocatore non va sulle scale e il gioco non ti dice “Questo è il tempio dell’Ou, dobbiamo mettere delle offerte” eccetera.

In questo caso una soluzione poteva essere quella di mettere in un altro modo, ancora più “forzato”, la spiegazione sul tempio e l’Ou: ad esempio quelle righe di testo potevano essere mostrate in modo automatico, prima che il giocatore si potesse muovere.

Ora vi lascio alla vecchia recensione di AFoD, che lamentava in modo molto più… Acceso, un’incapacità di gestire il gameplay.

“Eeh?!

Che ci fa ora una torta nella cucina che avevo setacciato alla perfezione dieci minuti fa?!

E’ semplice: prima l’enigma non era stato risolto, quindi la torta non è apparsa. Tutto logico, fila tutto liscio, non è vero? Non è vero.

Secondo il gioco, quell’appunto sugli uccelli che amano le cose luccicanti e i dolci doveva servire a qualcosa… Si, ma attualmente… No.

Il giocatore ricorda che in cucina non c’è niente, e quindi viene normale non controllarla più, quindi questa dannata torta la può trovare solo in un raptus di disperazione in cui cerca di nuovo, per la settantesima volta, in tutte le stanze… Però ha attivato lo switch della torta, quindi può andare avanti. Mi dispiace essere drammatica, ma sto impazzendo. Non si struttura così, un gameplay…”

Bene, l’errore descritto sembra identico.

Ma vi dirò vari motivi del perché in Akemi Tan questi tipi di forzature sono più facili da sistemare e meno gravi in generale come errori.

Prima di andare ad un altro momento del gioco, diciamo il perché non impazzisco e non mi fossilizzo sulla scena iniziale. Semplicemente è molto facile da sistemare: bastava mettere qualche momento prima le stesse identiche linee di dialogo, e già sarebbe stata sistemata: semplicemente è mancanza di accortezza, non vera e propria incapacità.

Ora passiamo ad un altro momento del gioco molto particolare: il cassetto del padre di Shimoko, il codice Nankin e il fucile.

Rispetto alla torta di AFoD, qui c’è un camuffamento niente male della forzatura, in parte.
Infatti essa viene vista più facilmente da chi ha già giocato il gioco, che sa che nel cassetto del padre si trova il fucile che aiuterà la ragazza a scappare da casa sua.

Dirò che anche questa parte non è perfetta, ma andiamo un passo alla volta, ci ritorneremo dopo.

Dato che siamo dal punto di vista di Shimoko, e quella è casa sua, probabilmente lei sa che nel cassetto di suo padre ci sia un fucile: quando la casa è ancora tranquilla, quando lei non sa ancora che “il villaggio è diventato pericoloso” tramite sua madre, probabilmente ha trovato inutile dover prendere il fucile di suo padre.

Prima della telefonata della madre di Shimoko alla figlia, dove dice esplicitamente “esci dal villaggio, è diventato un luogo pericoloso” il gioco non ti dà neanche la possibilità di poter inserire un codice al cassetto del padre proprio per questo.

A questo punto si doveva rendere più palese questa cosa: infatti prima della chiamata della madre il cassetto non dà neanche una textbox che dice “Il cassetto di papà, è bloccato da un codice Nankin”, oppure dire in modo palese che ci sia un fucile, che appunto Shimoko troverà utile dopo.

A questo punto si dovevano semplicemente aggiungere anche una o due textbox che davano più rilevanza al cassetto, così che il giocatore potesse anche controllarlo più volte, nel peggiore dei casi.

Vedete? Spostare un po’ prima il testo, rendere un po’ più palese un oggetto importante… Questi sono più che altro problemi di comunicazione. I problemi di comunicazione si sistemano con poco, semplicemente dicendo di più, migliorando il focus degli oggetti importanti, non ci sono magagne alla base.

Mettiamo ancora a confronto con la torta di AFoD, citando ancora la mia parte di recensione.

Il giocatore ricorda che in cucina non c’è niente, e quindi viene normale non controllarla più”

Ecco, qui viene un altro punto a favore del cassetto di cui abbiamo parlato prima.

In Akemi Tan, esso si doveva rendere solo più palese, ma non è che nella stanza non sia mai apparso prima. Il giocatore sa che c’è, semplicemente si doveva solo far capire che era un elemento importante.

Per AFoD e la sua torta magica che appare dal nulla… C’è un vero e proprio problema alla base, appunto.

La torta non appare prima in alcun modo finchè il giocatore non legge un biglietto che cita “le cose dolci”. La torta poteva esserci fin dall’inizio, ma il giocatore la collegava a qualcosa di utile (e, dal punto di vista della protagonista, le veniva in mente di controllarla meglio) quando legge il biglietto, e quindi può pensare “Ah, i dolci c’entrano qualcosa… La torta che era in cucina!”

Il gioco sembra prendere il giocatore quasi per stupido, come se non fosse in grado di fare collegamenti tra ciò che legge e ciò che vede, quindi come se non possa istintivamente ricordare una torta che poteva vedere prima e quindi il tutto risulta nauseante e senza senso.

Ecco, queste sono vere e proprie falle di gameplay che hanno dei problemi proprio alla base.

Tornando ad Akemi-Tan, abbiamo inoltre notato che non è l’unico ad avere delle difficoltà di comunicazione con il giocatore: anche in Ao Oni c’erano questi problemi nel gameplay. Ecco una parte del nostro articolo su Ao Oni:

“Gli enigmi. Stiamo parlando…Del rilascio delle informazioni in merito.

Ebbene, per quanto possano essere ingegnosi molti non sono riusciti ad apprezzarli fino in fondo, lamentando una relativa complessità.

Questo credo sia dato soprattutto dal fatto che spesso non c’è sufficiente comunicazione del gioco per il giocatore, lasciandolo completamente a se stesso senza offrire delle istruzioni che possano far comprendere all’utente la natura dell’enigma.”

A questo punto possiamo ipotizzare che questo sia un vero e proprio problema che caratterizza la Generazione 0, perché qualcosa di simile l’abbiamo visto anche in CORPSE-PARTY, ma dal punto di vista narrativo. Ecco un’altra parte, stavolta dell’articolo su Corpse Party, che parla di questo:

“Si passa da un’atmosfera concitata, da quando Ayumi e Yoshiki sono stati riportati nel mondo reale finché scoprono che la dimensione parallela è ancora alle loro spalle, ad una incredibilmente lenta che deve far fronte all’accumulo di informazioni che si concentra tutto in una volta.

Durante il resto del gioco, prima di questo punto non sono stati lasciati nemmeno degli indizi che potessero far assimilare poco per volta le vicende passate e che ci vengono narrate in questa scena.”

Conclusioni

E così, finalmente, terminiamo la prima parte del nostro viaggio.

Forse non tutti i lettori avranno conosciuto a primo occhio i titoli da noi proposti, ma c’è da considerare che senza questi non si sarebbero sviluppate le caratteristiche degli RPG Horror che tutti conosciamo.

La vicinanza che si cerca con il giocatore, il desiderio di offrire un’esperienza immersiva, lo spirito del vagabondaggio. Questa, signori, è stata la Generazione 0.

 

Yume Nikki – Un successo surrealista

La macchina del tempo resta ferma al 2004.
Sono successe tante cose nel 2004.
Solo nei primi due mesi la sonda Spirit della NASA diede le prime immagini di Marte, poi fu inventato Facebook , uscì al cinema La Passione di Cristo di Mel Gibson e…Oh, giusto, in un mese non ben preciso uscì Ao Oni.

Ma qualche mese più avanti verso l’estate di quell’anno, silenziosamente quanto il titolo di cui abbiamo parlato precedentemente qui su Ritorno Al Futuro, fu pubblicato un gioco che sarebbe diventato uno dei veri e propri cult dell’“astrattismo videoludico”.

Nel 2004, mentre alcuni scappavano dal mostro blu, molti giocatori si ritrovarono ad aprire un inquietante e disorientante diario dei sogni.

“Questo gioco, con un’atmosfera dark, ti consente di esplorare il mondo all’interno di un sogno. Non esistono una storia o uno scopo particolari. È semplicemente un gioco esplorativo”
(Descrizione di Yume Nikki sul sito dell’autore KIKIYAMA)

Un “semplice gioco esplorativo”, ecco come viene descritto dall’autore stesso Yume Nikki. Queste premesse tanto semplici hanno però dato vita a ciò che praticamente il 60% della popolazione di internet conosce o almeno ne ha avuto un assaggio, come ad esempio le strane creature presenti nel gioco.

A questo proposito vorremmo citare una di quelle pagine di errore che a volte si vede nei siti internet… Quelle che dicono, generalmente, “Error 404 not found”.
Ecco, Ele un giorno vide una di queste pagine che aveva come sottofondo una delle OST del gioco (“Working, please wait…” o, in lingua originale,  “ゆめにっき”), anche se il sito non trattava in alcun modo di Yume Nikki, a giudicare dall’indirizzo. Purtroppo questa pagina oggi non esiste più, anche se abbiamo testimonianze che c’era stata.

Sarà stata una scelta voluta perché chi aveva precedentemente il sito conosceva il gioco? O avrà trovato questa musica così, bazzicando per l’internet?

In ogni caso, Yume Nikki fu uno di quei titoli che più di altri seppe avvicinare ed interessare alla corrente anche chi non era ferrato sul genere RPG Horror. Ma questo per via di cosa?

Scopriamolo insieme.

Storia del prodotto

Rispetto ad Ao Oni, si sono fatte più ricerche riguardo a dove è partito Yume Nikki.

Il primo forum vero e proprio in cui fu pubblicato fu 2Channel (almeno, all’ epoca, ora è stato rinominato in 5Channel). Anche solo cercando su Wikipedia, si può leggere che il gioco appena uscito non ebbe molta popolarità, anche perché quando fu pubblicato la primissima volta era anche un gioco piuttosto incompleto, dove si sono susseguite molte versioni che servivano prevalentemente a dei bug fix.

La versione più recente, infatti, risale al 2005. Dopo quell’anno non ci furono più update… Ma di questo parleremo meglio nel paragrafo dedicato al rapporto autore-opera, perché c’è qualcosa di più inquietante e complicato dietro questa mancanza di aggiornamenti.

Quindi, tornando a noi, Yume Nikki diventò popolare con il tempo, guadagnandosi anche una traduzione inglese, che lo fece spopolare in Occidente.

E qui, quando il titolo iniziò a diffondersi, abbiamo notato un fenomeno abbastanza particolare per la corrente HOR-RPG.

In una recensione di un gioco piuttosto recente, abbiamo iniziato un discorso: quello della differenza tra spettatori “attivi” e “passivi”. Incolliamo la definizione qui

“Chi guarda un prodotto audiovisivo è ovviamente uno spettatore passivo: può “restare seduto là a guardare” e le sue azioni non influiscono sul comportamento di nessuno dei personaggi, così come quello dell’ambiente eccetera, al contrario dei videogiochi: per questo un videogiocatore possiamo considerarlo uno spettatore attivo.”

Iniziando da qui, in quella recensione è stata tirata fuori la questione per cui ormai i giochi considerati HOR-RPG (ma succederà ciò già a partire dalla Generazione 1 degli RPG Horror, il Character Drama) siano seguiti e giocati prevalentemente da spettatori passivi che, data la poca esperienza da spettatori attivi, non hanno una concezione completa sullo sviluppo di un gameplay, e quindi tendono a farsi molte volte anche idee sbagliate sui titoli di cui vogliono parlare.

Per fare un esempio, Ao Oni ha subito purtroppo questo trattamento: alcuni giocatori nati appunto come spettatori passivi si sono lamentati della sua mancanza di narrazione, invece chi è sempre stato uno spettatore attivo ci è passato sopra, e l’ha apprezzato per enigmi, inseguimenti, ecc.

Perché Yume Nikki è un caso particolare, quindi, dal punto di vista della community?

Il motivo è che questo gioco tra chi l’ha effettivamente provato, quindi ha vissuto l’esperienza di gioco a 360°; si, perché non c’è storia: Yume Nikki è molto più da giocare che da vedere, ci sono davvero pochi spettatori passivi, se guardiamo i contenuti pubblicati su internet.

Per indicare il tipo di community che in generale ha circondato gli HOR-RPG prenderemo due canali Youtube, da sempre una delle piattaforme che hanno causato dei passaparola su questo genere di giochi.
I due canali sono quello di Rikkukun e quello di Giulyagatta97.

Rikkukun ha sempre trattato e (immagino) tratterà sempre videogiochi. Avrà avuto sicuramente esperienze da spettatore passivo, ma si può dire che il suo settore principale e mondo su cui si concentra è quello videoludico.

Anche giochi abbastanza classici anche dalle serie videoludiche più iconiche: The Legend of Zelda, Dark Souls, Paper Mario, DOTA, anche se nell’immagine possiamo vedere anche LISA e Celeste, giochi dalla narrativa un po’ più presente.

Passiamo al canale di Giulyagatta.

Lei ha già un canale completamente diverso. Si, tratta alcuni giochi anche lei (recentemente sta portando avanti il gameplay di Dragon Age II) assieme alle creepypasta ed altri contenuti –quando era agli albori era famosa per montare AMV, per dire– , ma i giochi che decide di trattare hanno un particolare criterio di scelta che discosta i tipi di video di una persona nata come assidua spettatrice passiva, da una persona nata come assiduo spettatore attivo.

L’importanza e/o la preponderanza della narrazione di una storia.
Non sto dicendo che canali come quelli di Giulyagatta ripudino uno Zelda o quelli come Rikkukun ripudino ad esempio una visual novel o un gioco Telltale, ma semplicemente questi canali hanno criteri di scelta diversi su cosa portare sul loro canale.

Dragon Age II, Hellblade: Senua’s Sacrifice (non c’è stato però un vero e proprio gameplay di questo titolo, ma solo un fandub)  Aria’s Story, vari altri RPG Horror  facenti parte principalmente di Generazioni 1, 2 e 3 e anche tra quelli più narrativi…

Quindi trama massiccia e/o complicata, con personaggi a cui ci si affeziona anche per “sclerare” tutti insieme… Si, è ciò che in generale si prende come criterio quando si sceglie un’opera audiovisiva o letteraria in moltissimi casi.

Ecco, canali come quelli di Rikkukun, ad esempio, non porterebbero molto probabilmente Aria’s Story. Semplicemente perché il criterio qui credo sia in generale una buona giocabilità. Se poi c’è anche una bella narrativa, tanto di cappello.

E quindi? Tuuuuutto questo discorsone su Youtube che c’entra con Yume Nikki?

Tuuutto questo discorsone è per una domanda principale.

Secondo voi, quale canale ha portato Yume Nikki?

Non so cosa abbiate risposto, ma la soluzione è Rikkukun!

Giulyagatta prima di tutto ha affermato di aver letto invece il manga di Yume Nikki, e poi semplicemente non ci sono video sul suo canale di un qualsivoglia gameplay del titolo.

Perché Yume Nikki, per noi, è fatto molto di più per i giocatori a tutto tondo, che appunto sanno sapientemente riconoscere e semplicemente, grazie alla loro esperienza, giocare e godersi l’esperienza anche se non ha né dialoghi, né alcun tipo di cutscene: se vogliamo esagerare, un tipo di gioco che è quasi una bestemmia per chi nasce spettatore passivo.

Quindi quello a cui volevamo arrivare è che la community di Yume Nikki rispetto ad altri giochi considerati HOR-RPG è molto particolare, perché formata prevalentemente non da spettatori passivi che nel 60% (misure indicative) dei casi hanno seguito il gioco dal loro youtuber preferito, ma da spettatori attivi che hanno continuato a giocarlo non per emozionarsi su esperienze altrui, ma hanno vissuto l’esperienza.

Ma cosa ha reso effettivamente questa cosiddetta esperienza tanto speciale e mistica?
Perché ha dato tanta assuefazione? Inizieremo ad elencare qui alcuni punti, ma il tutto verrà approfondito nel paragrafo dell’Asso nella Manica.

Le atmosfere (la Generazione 0 non si smentisce mai) hanno aiutato molto il gioco e sono state date dai i suoi loop ipnotizzanti, la condizione di isolamento generale, le creature

…Beh, sono una buona parte delle stranezze che si possono benissimo vedere in un mondo onirico e gli ambienti vasti, molte volte disturbanti ma soprattutto disorientanti.

“Disorientante” è uno dei primi aggettivi che è possibile dare a Yume Nikki e si collega sia con lo stile delle mappe, sia con il gameplay, ma di questo parleremo nella sezione dedicata.

Anche fuori dalla sua terra natale per questi motivi il gioco fu apprezzato da molti siti di critica videoludica (il che è abbastanza fuori dal comune dato che codesti siti generalmente non trattano spesso giochi della corrente HOR-RPG), dal pubblico e anche da molti sviluppatori indipendenti, tra cui il game designer Derek Yu (che collaborò per I’m O.K e Acquaria con Alec Holowka), che apprezzò molto lo stile grafico del gioco paragonandolo anche ad Earthbound.

“Mi piace molto questo gioco. La mancanza di dialogo o qualsiasi tipo di “azione” mi dà questo strano senso di terrore. Mi piace anche il contrasto tra il minuscolo appartamento e l’enorme mondo dei sogni. E visivamente, il gioco mi ricorda molto Earthbound (specialmente Moonside!) E cactus, che è un mix davvero fantastico e terrificante.”
-Commento di Derek Yu su Yume Nikki sul sito
tigsource.com

Questa popolarità sia in Oriente sia in Occidente fece guadagnare al gioco… Dobbiamo inspirare profondamente ancora una volta…

Un manga, una light novel, un album dei Vocaloid (wow, questo ci è nuovo!), OST pubblicate in una soundtrack di due volumi anche su Amazon Music, arrangiamenti delle stesse, un reboot (di cui parleremo dopo ma, ahimè, ho già i brividi), un’applicazione per Android e iOS del minigioco del NASU e… Dei fangame.

Ah, ci risiamo! Kikiyama, come il suo compagno noprops, ha avuto vari titoli ispirati alla sua opera. Tra questi ricordiamo Yume 2kki e .flow

Yume Nikki però ebbe più fortuna di Ao Oni: prima di tutto questi giochi che saranno elencati non si potrebbero definire dei cloni o copie carbone, ma semplicemente dei giochi ispirati dallo stile, dal gameplay del gioco o dalle sue idee iniziali anche perché, tornando al discorso di prima sulla community che ruota attorno al titolo, sono stati fatti da videogiocatori (ed è da prendere in considerazione come criterio, credeteci).

Confronto dei due nexus di Yume Nikki (a sinistra) e Yume 2kki (a destra)

La differenza sostanziale è che Yume Nikki non è un gioco facile da replicare quanto Ao Oni dal punto di vista delle atmosfere, ad esempio, e ciò ha un po’ “costretto” gli autori di questi giochi ad impegnarsi ed avere anche delle idee originali che riescono a discostarsi molto di più da ciò che l’autore originale aveva creato.

Screenshot da .flow

Il più grande problema di ciò che è venuto dopo Yume Nikki, sorprendentemente, non sono stati infatti i fangame… Bensì le opere ancillari (parleremo principalmente del manga, dato che la light novel è specificatamente solo un’interpretazione del gioco da parte di Akira, lo scrittore, mentre il manga è ufficiale) e un reboot davvero doloroso (che lasceremo alla fine di questo lungo paragrafo sulla storia del prodotto) che sono state anche approvate dall’autore!

Parliamo brevemente del manga. Vi chiederete tutti “Come si adatta Yume Nikki in un manga?!”. Ci piace essere schiette, quindi vi diciamo: “Male!”

…Ma questo non è solo un nostro pensiero, infatti anche la community non vede molto di buon occhio questo manga, infatti dal fandom non viene considerato più di una fanfiction.

“A parte la storia di Madotsuki, vengono raccontate anche quelle di Poniko e Masada. Un altro cambiamento è stato che la storia è stata raccontata con i dialoghi, al contrario dell’originale che puntava tutto sull’interpretazione del giocatore.
(dalla wiki ufficiale)

Leggete il paragrafo di sopra almeno tre volte.

Traete voi le conclusioni. Noi possiamo solo concludere che questo adattamento sarebbe stato accolto con più entusiasmo se la community di Yume Nikki fosse formata prevalentemente da spettatori passivi, e questo astio dimostra ancora l’origine di questa fanbase.

Andiamo avanti parlando brevemente (perché questa non è una recensione di questo titolo, se si vuole sapere di più del gioco si può cercare su Google una recensione ed esistono) del cosiddetto “Reboot” di Yume Nikki: Yume Nikki – Dream Diary.

Questo titolo è uscito su Steam nel 2018, per poi passare per PS4, XBOX One e Switch. E qui mi faccio una domanda: se le meritava tutte queste console? Ahimè, penso di no.

C’è da dire che questo Dream Diary ha dato anche parecchia hype ai videogiocatori, perchè il team di sviluppo ha lavorato in stretto contatto con Kikiyama… Almeno è ciò che dicono KADOKAWA e Active Gaming Media, ma non si hanno vere e proprie prove della sua collaborazione a tutto questo.

Dream Diary non voleva essere un “remake” di qualche sorta, viene chiamato infatti reboot per convenzione. È definito dagli sviluppatori come un omaggio al lavoro di Kikiyama, una reinterpretazione in chiave moderna.

Questa “reinterpretazione” quindi, ha soddisfatto alla fine i videogiocatori, o è stato un caso alla Duke Nukem Forever (ma con molti, molti meno anni di attesa)?

…Se vogliamo continuare su questi termini (anche perché il caso di Duke Nukem ha le sue peculiarità, come gli 11 anni di produzione, stiamo parlando principalmente di hype non soddisfatta in generale qui), possiamo dire che il gioco dedicato alla piccola Madotsuki ha subito lo stesso fato del gioco dedicato al Duca: attesa con hype che cresceva da parte dei fan perché “il gioco (o la serie, nel caso di Duke Nukem) sarebbe rinato” ma alla fine ritrovarsi con qualcosa molto al di sotto delle aspettative.

Eh si, con texture fin troppo piatte, inseguimenti scriptati in stile horror classico, puzzle che richiedono semplicemente ricerca di oggetti specifici e poca logica, sezioni platform dai comandi a volte poco reattivi e, soprattutto, percorsi molto lineari nei vari mondi in cui Madotsuki entra, Dream Diary di KADOKAWA (che, personalmente, noi già non vediamo di buon occhio quindi sapevamo come sarebbe andata a finire) è stato in generale una delusione quasi totale per i fan.

Quindi, distaccandoci da questi scempi, nella prossima sezione analizzeremo più accuratamente cosa Yume Nikki ha avuto per diventare ormai un cult.

 

Con questo titolo viviamo il picco dell’esperienza videoludica d’angoscia promessa dalla Generazione 0 degli HOR-RPG.

Che fosse intenzione dell’autore o meno, gli ambienti in cui il giocatore decide di immergersi e annebbiare la psiche sono di natura surrealista. Vi farò accertare personalmente di come queste mappe possano ricollegarsi a questo linguaggio artistico del ‘900 (ricordiamo che molte correnti artistiche del XX secolo dimostravano che gli artisti –così come tutti– non riuscivano più ad affidarsi alle vecchie certezze, e così tra Dadaismo, Futurismo, Espressionismo e Surrealismo si è tentato di stravolgere e cercare una nuova percezione della realtà).

Da sinistra: Totenklage (Max von Moos, 1936) e Morbida costruzione con fagioli bolliti (Salvador Dalì, 1936)

-A proposito, linkiamo la pagina wiki di una creatura del gioco in particolare, che somiglia effettivamente ad uno dei quadri di Dalì

Proviamo per un attimo a metterle a confronto con degli screen del gioco…

Proviamo a vedere cosa ci dice Wikipedia a proposito.

“Il Surrealismo ebbe come principale teorico il poeta André Breton, che canalizzò la vitalità distruttiva del dadaismo. Breton fu influenzato dalla lettura de L’interpretazione dei sogni di Freud del 1900; dopo averlo letto arrivò alla conclusione che fosse inaccettabile il fatto che il sogno e l’inconscio avessero avuto così poco spazio nella civiltà moderna, e pensò quindi di fondare un nuovo movimento artistico e letterario in cui essi avessero un ruolo fondamentale.”

E ancora

“«Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale
Il surrealismo è quindi un automatismo psichico, ovvero quel processo in cui l’inconscio, quella parte di noi che emerge durante i sogni, emerge anche quando siamo svegli e ci permette di associare libere parole, pensieri e immagini senza freni inibitori e scopi preordinati.” (Il bolding è nostro)

Ed ecco qui svelato il cuore pulsante di un gioco come Yume Nikki. Non si tratta altro che di una meravigliosa manifestazione di viaggio nell’inconscio che molti, per via dei vari mondi, hanno interpretato in chiave pessimistica. Questo sicuramente deriva dall’aspetto desolante del titolo e dei suoi colori cupi. Del resto, con Ao Oni abbiamo già introdotto il tema dell’isolamento del giocatore, elemento ricorrente in quasi tutti i tipi di giochi horror della Generazione 0.

Quindi, che conclusioni possiamo trarre?

Certamente i titoli videoludici horror ed rpg che si sono affidati a questi capisaldi del genere tra il 2004 e il 2012 avevano in comune la sperimentazione dell’esplorazione, in questo Yume Nikki è stato solo dicevamo il picco dell’attività esplorativa, ma fino almeno a qualche titolo della Prima Generazione (il Character Drama) gli ambienti erano soliti avere un importante ruolo nel garantire la linea di riconoscibilità dei loro giochi.

È sempre l’ambiente a trionfare in questi tipi di titoli HOR-RPG giapponesi; che siano d’aspetto claustrofobico o molto estesi questi hanno sempre l’effetto di far sentire il povero giocatore disperso e spersonalizzato della sua soggettività: è il “mondo esterno” a prevalere sull’individuo. Un mondo esterno sconosciuto che può nascondere dei pericoli, ma soprattutto che fa paura perché va oltre ciò che possiamo conoscere. Yume Nikki (così come i surrealisti del ‘900) ci sta suggerendo che questi ambienti misteriosi risiedono nel nostro inconscio assieme a tutti i pensieri che riponiamo e reprimiamo in vista dell’ordine sociale, dandoci forse la pessimistica visione che il primo grande ambiente che non conosciamo è proprio il nostro cervello, rendendoci consapevoli della nostra mostruosa imprevedibilità.

Forse non dovremmo nemmeno stupirci che si sia cercato di rilanciare gli ambienti del gioco sperimentando le tecniche di renderizzazione 3D…

…Come del resto accade oggi con molte correnti artistiche per le quali i musei sperimentano nuove tecnologie per cercare di stupire e allo stesso tempo far immergere al massimo il visitatore.

Foto del museo “Getting Inside Van Gogh”

In conclusione il linguaggio stesso del gioco, la sua natura amatoriale come “prodotto del web” e il mistero che si è costruito attorno al suo autore (di questo ne parleremo in seguito) sommandosi hanno contribuito, assieme alle numerose teorie che sono state fatte e che nessuna sembra iscrivere il titolo in uno schema preciso, a costruire una sua aura.

Questo è un concetto che stiamo rubando dall’opera di Walter Benjiamin (“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”). Cercherò di spiegarlo qui al meglio che posso: si parla sostanzialmente di un concetto che riguarda la personalità di un’opera, il valore della sua unicità per il quale nessun altro elemento o prodotto artistico potrà eguagliarsi all’opera in questione.
Non a caso, come potete leggere dal titolo del saggio viene nominata la “riproducibilità tecnica”, è trattato in particolare il tema della mercificazione e della serializzazione che si incontra nell’industria culturale.

Quindi sì, stiamo equiparando questo gioco ad un’opera d’arte.

Interrompo qui le mie divagazioni per misurare assieme a voi il Termometro della professionalità.

Termometro della professionalità

E proprio avendovi lasciato in sospeso con l’accenno al discorso sull’aura, sulla riproducibilità tecnica e sulla “spersonalizzazione dell’arte” riflettiamo per un attimo nuovamente sugli intenti della Rubrica “Back to the future”…

Immagiamo siate sorpresi di vedere, dopo tutti questi elogi, il termometro della professionalità a metà, non è vero?

Eccoci allora al momento della verità.

Ebbene, ve l’avevamo detto nell’Introduzione che il nostro intento era capire come gli HOR-RPG si muovessero all’interno di un mercato crescente

…E la risposta è che purtroppo Yume Nikki, per quanto ben realizzato, non è un prodotto commercializzabile. Ecco il perché questo triste liquido rimasto a metà; una metà “simbolica” in cui si possa riconoscere il massimo valore di quest’opera e la sua “relegazione a natura autoriale”.

Lo spiegheremo meglio nei paragrafi successivi…

Packaging

Nella sua semplicità rivela un’ineguagliabile eleganza: il labirinto come logo e il titolo del gioco prevalgono sulla cornicetta rosa che contiene le funzioni del gioco di inizio, continua ed uscita.

Ci vedo in questi tratti un amore per l’universo videoludico e le sue forme stilizzate e geometriche, come accadeva per l’identità dei primi videogiochi degli anni ’90.

Ci sono molti dettagli che rendono il titolo gradevole, come il cerchio che si apre e si chiude sul personaggio durante gli atti di salvataggio, le animazioni e le funzionalità extra (come il camminare con la sedia della cameretta) che rendono l’esperienza di gioco deliziosa.

Rapporto autore-opera

Come vi avevamo promesso dal precedente articolo, eccovi finalmente l’approfondimento sulla questione che riguarda il rapporto tra Kikiyama e Yume Nikki.
Forse non era voluto, ma non solo il gioco stesso ebbe teorie e speculazioni in generale, ma anche l’autore/trice (anche il suo gender è sconosciuto) di questo cult surrealista è un* dei più misteriosi nella corrente, e per un bel po’ di tempo, negli anni tra il 2005 e il 2014, è stat* argomento di discussione.

Ci sono infatti varie stranezze che circondano la figura di Kikiyama ed i suoi comportamenti.

Iniziamo con il dire che non si sa se si sia impegnat* a distribuire a dovere il gioco. Nel paragrafo “storia del prodotto” è scritto che il primo forum su cui si sia parlato di Yume Nikki è 5Channel, ma quel post (anche al momento introvabile sul sito) non si sa se sia stato fatto da Kikiyama stess*, dato che sembrava averlo messo solo sul suo sito e non sembrava avere né blog, né profili social… E soprattutto, non postava su nessun forum. L’unica attività di pseudo-distribuzione era mettere il gioco sul suo sito… Forse. Perché è possibile che si sia anche pubblicizzat* con un altro account ma non sappiamo niente.

Quindi iniziamo così una nostra personale lista dei misteri:

-Chi ha fatto veramente conoscere al mondo Yume Nikki?

Andiamo avanti con gli anni. Il gioco ha la sua versione inglese, spopola, Kikiyama continua ad aggiornarlo ed è l’unico contatto che ha con il “mondo esterno” del web.
Arriva eventualmente alla versione 0.09 .

Kikiyama sparisce nel nulla. Non si hanno aggiornamenti del gioco, e data la mancanza di ogni tipo di altro modo per comunicare con l’utenza, e neanche se ipotizziamo che ne avesse non rispondeva neanche a nessuna e-mail che gli veniva mandata. In quel periodo si ha la prima scomparsa di Kikiyama dal web intero… Fino al 17 Settembre 2005, in cui rilascia una versione 0.10, che sistemava alcuni bug. Poi abbiamo la seconda scomparsa di Kikiyama, dopo la versione 0.10 “sistemata”, rilasciata nello stesso periodo, forse Kikiyama sentiva di aver fatto il suo lavoro e sparisce per ben sette anni.

Infatti nel Febbraio del 2012 il publisher Playism “prese il controllo del gioco” e pubblicò sulle sue piattaforme di distribuzione (tra cui Steam) una nuova versione di Yume Nikki, la 0.10a, dichiarando che era stata creata da Kikiyama stesso nel medesimo giorno in cui ha messo sul suo sito la versione 0.10.
Questo aggiunge altri vari punti alla lista:

-Perché Kikiyama non ha pubblicato subito la versione 0.10a? Perché farci aspettare sette anni?
-Come ha fatto Playism a contattare Kikiyama, se non rispondeva ad alcun tipo di mail?
-E se eccezionalmente Kikiyama avesse risposto a Playism, perché Kikiyama, che sembra non si sia neanche messo a mettere il gioco su dei forum nel periodo in cui è uscito, si sarebbe dovuto preoccupare di avere un publisher e quindi cedere diritti ad aziende?

Purtroppo ancora oggi a queste domande non si ha risposta. Quindi possiamo solo andare avanti.

Dal 2013 iniziano le misteriose, scadenti e commerciali opere ancillari dedicate a Yume Nikki, ovvero il manga e la light novel… Le aziende coinvolte nella pubblicazione di queste opere derivate dissero che Kikiyama diede il permesso, ma tutti ci chiediamo il perché.

E poi… Di Kikiyama non si avevano notizie, non si avevano neanche aggiornamenti del gioco (perché si, sembra che il gioco fosse ancora bisognoso di aggiornamenti), abbiamo quindi la terza e definitiva sparizione (dal web, ricordiamolo) della mente che creò Yume Nikki.

Il suo sito diventò per un periodo irraggiungibile nel 2015, e i fan andarono nel panico: si iniziò anche ad ipotizzare anche la sua morte per via di un terremoto che nel 2011 colpì il Giappone e fece moltissime vittime, e quindi si pensò ad una certo punto che Kikiyama fosse tra queste. Il sito però ritornò nel 2018… Ma con una piccola differenza.

Il sito nel Luglio del 2008, che restò fino al 2018

Il sito 10 anni dopo, nel marzo del 2018

Lo vedete quel logo nella seconda immagine?
Si, è il logo dell’infame reboot da 20 euro.

Infatti alle mille domande dei fan riguardo allo stato di Kikiyama,  KADOKAWA rispose che stava bene, che era in vita e che aveva contribuito attivamente alla realizzazione del reboot… Ma no, abbiamo le stesse domande che si sono presentate sopra, nel caso di Playism. Molti infatti hanno ancora l’ipotesi che Kikiyama sia effettivamente morto  e che o (teoria meno probabile, perché sarebbe davvero rischioso per le aziende) Playism, KADOKAWA e chiunque sia dietro a manga e light novel , stia mentendo sui diritti dati da Kikiyama; oppure (teoria forse forse più plausibile) che se ipotizziamo la sua morte i diritti siano passati a qualcun altro.
Qualcosa che secondo qualcuno ha alimentato la teoria della morte di Kikiyama è il gioco stesso. Secondo quest’altra teoria dopo aver rilasciato l’ultima versione Kikiyama non sia morto per il terremoto del 2011, ma che si sia suicidato… Esattamente come si vede nel finale del gioco, quindi secondo quest’ipotesi Yume Nikki potrebbe essere anche il testamento di Kikiyama.

Da una parte, ciò risponderebbe alla domanda del perché Kikiyama non ha pubblicato subito la versione 0.10a, e che magari essa fu trovata da Playism in qualche modo (qui potrebbe unirsi anche la teoria del cedimento dei diritti a dei probabili conoscenti di Kikiyama, che hanno dato all’azienda la nuova versione)

E poi dal 2005 a oggi quello di Kikiyama, se si fosse davvero uccis*, non sarebbe l’unico caso di suicidio nel campo degli HOR-RPG.

Vorremmo aprire una piccola parentesi su Re:Kinder, remake (fatto dallo stesso autore) di Kinder, gioco originariamente uscito nel 2003 creato da Horafuki Yokochou, che prende lo pseudonimo di Parun.

Screenshot da Re:Kinder

Il 3 Febbraio 2011 un post sul blog di Parun da parte di un suo amico a distanza ci annuncia la triste notizia: il 10 settembre 2010 Yokochou si è buttato dal nono piano di casa sua.

Data, ahimè, la nostra ignoranza riguardo la traduzione dal giapponese, e la traduzione barbina di Google Traduttore, non siamo riuscite a capire bene ciò che il post voleva dire, ma se Parun ha compiuto quel gesto… Si, è molto probabile che soffrisse di qualche problema anche lui, anche se questa potrebbe anche essere una teoria del complotto, così come nel caso di Kikiyama.

Ecco, dunque, come si sono sviluppate una serie di circostanze che fanno favorito la costruzione di teorie, un percorso che ha portato ad una sola certezza: nell’HOR-RPG il creatore sparisce definitivamente.
Questo infatti non è più, in questo periodo, un utente che crea dei contenuti, ma “un’entità astratta”, qualcuno o qualcosa che ci mostra un mondo nascosto che si rivela chissà quale malata rivelazione del suo subconscio.

Spesso non si guarda nemmeno più a queste persone come figure professionali o aspiranti tali. Purtroppo questo tante volte fa parte del “gioco-sociale” a cui questi tipi di prodotti vanno incontro.
Consideriamo la tematica dell’immaginario sociale-collettivo. Per chi non sapesse di cosa si tratta stiamo parlando di immagini e temi ricorrenti in una società, appunto –che a volte alcuni chiamano luoghi comuni o miti urbani, ed è questa una materia molto cara all’industria dell’intrattenimento.
Ebbene, secondo questa idea noi, come persone, tendiamo molto spesso a lavorare sull’immaginazione invece di ricercare dei dati concreti per osservare la realtà che ci circonda. Quindi possiamo concludere come accennato prima che questi purtroppo sono soltanto i risultati di una serie di circostanze che hanno spinto gli utenti del web a sviluppare il loro mito sulla figura di quest’autore.

 

-Fonti per la “development history” di Yume Nikki : Podcast “Nelle Storie” di Sara Gavioli, Kikiyama e il diario dei sogni

Difetti dell’opera

Ebbene, era questo a cui guardavamo quando parlavamo del termometro della professionalità.
Si tratta di un argomento spinoso che abbiamo accennato nella Storia del prodotto, quando abbiamo nominato le numerose e fallimentari opere ancillari che hanno provato a rilanciare Yume Nikki con tutt’altri tipi di toni e linguaggi.

Questo non è un prodotto che possa sopravvivere nel complesso universo della commercializzazione, un mondo che prevede anzitutto una larga linea di comunicabilità. In pratica adopera un linguaggio “comprensibile per tutti” che ha origini nella narratività classica hollywoodiana, un elemento che spesso contraddistingue questi tipi di opere “per le masse”.

Il mondo commerciale dicevamo che è un universo complicato, in particolare nell’industria dell’intrattenimento.
Un’industria che permette a uno spettatore (o giocatore, perché no), tramite l’identificazione parziale con dei protagonisti, di esorcizzare le paure che attanagliano la sua vita quotidiana.

Prima di tutto, un’opera commerciale sceglie un tema portante e lo argomenta nel modo più chiaro e leggibile possibile, ecco perché spesso rischia di cadere nel mainstream.

Spesso invece, l’aura dell’“opera d’arte” è stata sempre associata ad un forte individualismo grazie alla quale ognuno, tramite interpretazioni o realizzazione stessa di un’opera, si possa sentire protagonista.

Yume Nikki, neanche a dirlo, rientra pienamente nel secondo caso. L’estraneazione del titolo durante le esplorazioni (un concetto totalmente opposto all’identificazione: perfino Ao Oni sembrava aver avuto più fortuna con le opere ancillari), la soggettività che ogni giocatore sente richiamare a sé quando espone le riflessioni sul prodotto e la natura di “entità creatrice” dell’autore hanno contribuito, ripetiamo, da una parte a costruire un’importante aura di personalità del gioco ma dall’altra parte hanno reso quasi impossibile adattarlo, così com’è nella sua natura, in un modo commerciale.

Conclusione

Eleggiamo Yume Nikki a pilastro dell’individualismo, un esponente della malinconica memoria di qualcosa che al giorno d’oggi non si potrebbe più realizzare (come è successo per altre opere più recenti e di cui discuteremo, come ad esempio Faust Alptraum e lo strano caso di Pocket Mirror, titolo che sarà presente nella rubrica Back To The Future) per via dei cambiamenti sociali costanti che cambiano di anno in anno, di decade in decade e che si verificano anche qui, sul World Wide Web.

Un cambiamento che si osserva nel tipo di pubblico e nei tipi di persone che diventiamo. Un cambiamento che si osserverà sin dal prossimo articolo, con i primissimi approcci ad una costruzione dei personaggi che anticiperà la Generazione del Character Drama.

Ao Oni – La creatura del web

Ao Oni, o per i veri romanacci Aoh! Oni (okay, stiamo scherzando) ci porta ad affacciarci finalmente nel mondo dei giochi HOR-RPG amatoriali.

Benvenuti (…o bentornati) in questo nuovo articolo della rubrica Ritorno al futuro

AO ONI, LA CREATURA DEL WEB

Il nostro caro demone dall’intenso sguardo photoshoppato è il vero protagonista della serie.
Stiamo parlando di un gioco cresciuto pian piano da luoghi ignoti del web –come vedremo in seguito nel paragrafo “Storia del prodotto” – e diffusosi poi a vista d’occhio.

E come potrà essere accaduto, se non con dei gameplay? Youtube è da sempre stato un importante canale per la diffusione della corrente HOR-RPG, le reazioni più attese erano gli spaventi delle web-star e i loro scleri.
Ao Oni rispecchia perfettamente le caratteristiche della sua generazione.
Ricordiamo che la Generazione 0 presenta una cura particolare per le atmosfere sfruttando soprattutto il piano sonoro (generalmente questa è la “generazione delle musiche ambience”, rispetto ad altre degli RPG Horror) come vedremo analizzando proprio il gioco di cui stiamo parlando.
Le trame non preponderano quasi mai sul gameplay composto dall’esplorazione totale che ahimè, a volte è anche un difetto che fa chiedere “come dovevo capire che dovevo fare questo?” in alcuni frangenti. Esso si focalizza principalmente sugli enigmi che uno sviluppatore va ad inserire: se sono facili, troppo facili, difficili o troppo difficili e se la difficoltà è giustificata o data da difetti di gestione delle informazioni, ed era anche molto importante l’originalità di questi.
E non dimentichiamo gli inseguimenti: la tensione che mettono al giocatore, la difficoltà o anche se ci sono nel gioco vari modi per scampare alla creatura di turno. Nell’asso della manica analizzeremo proprio questo: gli enigmi nel contesto in cui sono inseriti, ed il sistema di inseguimenti.

Qual è stato esattamente il percorso che ha portato il titolo ad essere così conosciuto?

STORIA DEL PRODOTTO

Rispetto al primo titolo che abbiamo trattato in questa rubrica, su Ao Oni non si hanno molte informazioni sul “background” del development del gioco.

Sappiamo solo che lo pseudonimo usato dall’autore è noprops, che pubblicò una prima versione del gioco sul suo sito ufficiale e se si va ad intuito probabilmente su dei forum in lingua giapponese, ma non abbiamo fonti certe su quest’ultima affermazione.

Sito di noprops

Già da queste poche informazioni… Avete notato la dissonanza con Corpse Party?

A differenza di Makoto Kedouin, a cui abbiamo potuto dare un volto ed un nome precisi, qui inizia definitivamente la storia dell’HOR-RPG sviluppato da autori che sono per la quasi totalità dei casi sotto pseudonimi

Dove si usano molte volte gli pseudonimi, o comunemente username?
Ecco, con Ao Oni (e Yume Nikki) infatti  si prova a muovere nella produzione HOR-RPG il popolo di internet con questo tool che intanto è cresciuto con il passare degli anni fino ad arrivare alle versioni 2003 (di cui però non parleremo qui) e XP.
Poi l’ulteriore creazione di piattaforme di distribuzione online dove tutti potessero pubblicare i propri titoli ha dato via ancora più spianata agli sviluppatori amatoriali appunto provenienti dalla realtà del web.

In questo ambiente nacque Ao Oni, sviluppato con RPG Maker XP e pubblicato la prima volta sul sito ufficiale di noprops e forse distribuito su altri siti. Non ci sono stati altri lavori di distribuzione, alcun tipo di produttore ha mai toccato il gioco originale. Si, ci sono stati degli Ao Oni 2 e Ao Oni 3 appunto presi da dei publisher per metterli su Android, ma… Non hanno fatto fortuna quanto il primo, anche se si è provato a fare qualcosa di più in ambito grafico e di background.

Ecco, il primo Ao Oni… Nella sua terra, il web, ha fatto un bel po’ di successo: l’ha portato ogni tipo di youtuber in quasi tutto il mondo.
Ciò gli ha dato varie opere esterne ispirate: i già citati seguiti, cloni (di cui parleremo dopo), un manga, un adattamento animato (per quanto parodico) e un film live action.

Tutti ci chiediamo a questo punto: come ha fatto proprio questo gioco, tra tutti gli HOR-RPG indie (Corpse Party non lo prendiamo in considerazione, in quanto gettato proprio sul mercato videoludico) ad avere tutti questi adattamenti, queste interpretazioni?

Di solito in questi casi si fanno queste operazioni quando un qualcosa ha successo e questa fama lo fa risalire dal web. Bene, vediamo cos’ha da dire il web su Ao Oni e prendiamo degli appunti.


Commento sotto il video di FavijTV

-Tensione, ansia


Commento sotto il video di FavijTV

-Jumpscare riusciti

“Io e mia sorella guardavamo questi video tutt’in una volta e ricordo ancora i BRIVIDI.”
Commento sotto il video dello youtuber PewDiePie

“Sono venuto per la nostalgia ma tutto quello che ho ottenuto sono ENIGMI”
Commento sotto il video dello youtuber PewDiePie (il commento cita una sua battuta): ha ri-registrato un gameplay di Ao Oni, dopo averlo giocato anni prima sul suo canale.

-Quantità industriale di enigmi

“Ricordo che guardavo vecchi let’s play di questo gioco, ma io e mio cugino/a ci spaventavamo, e pensando che l’Oni voleva venirci a prendere prendavamo mazze da baseball e coltelli mentre correvamo per la casa… Nostalgia.”

“So che il mostro fa quasi ridere, ma non posso dire la stessa cosa quando sono al buio e sto per andare a dormire”

-L’Oni pur con il suo aspetto (di cui parleremo più tardi) riesce a far paura

Quindi in generale Ao Oni, pur facente parte della corrente RPG Horror dà le stesse sensazioni di un Outlast, Slender e altri dello stesso genere.

E tutto ciò anche se non c’è neanche una trama particolarmente macabra, e quel pochissimo che si sa è poco approfondito.  Quel che fa tutto nel gioco è la gestione delle atmosfere (ma di questo ne parleremo nel dettaglio in seguito). Mettiamo a confronto le due immagini, quella a destra da Slender: The Eight Pages, e quella a destra del gioco di cui parliamo. Entrambi i giochi lavorano sulla tensione, anche in Slender può apparire da un momento all’altro, appunto, lo Slenderman, ma in quel gioco si vedono palesemente luci un più curate rispetto ad Ao Oni. Questo RPG Horror è riuscito a ricreare un’atmosfera tesa anche con dei tileset e sprite oggettivamente molto minimali e luci ridotte all’osso (nella struttura principale non ce ne sono proprio, e nella struttura annessa si ha solo una leggera tinta schermo più scura), e ciò lo dimostrano i commenti.

La sua popolarità è stata anche basata sulla fantasia sia dei produttori assieme all’autore stesso (vedasi i casi di Ao Oni 2 e 3, che immaginiamo siano stati approvati da noprops) sia dei fan del gioco.

Ci sono stati infatti vari cloni di Ao Oni. Il principale è stato Nira Oni, anche se ce ne sono stati molti altri tra cui Twilight Oni (diventato virale per essere brutto), Mura Oni e Heta Oni (basato sull’anime Hetalia). Il clone che ha fatto più successo è stato però Nira Oni.

Schermata del titolo di Nira Oni, il fangame di Ao Oni più conosciuto e apprezzato: si può notare già da subito la mancanza di minimalismo e approssimazione che aveva il gioco originale.

Questi fangame hanno re-immaginato lo stesso contesto – struttura abbandonata (o, nel caso di Mura Oni, un villaggio) , gruppo di ragazzi e, soprattutto, l’Oni – ma con diversi personaggi, diverse strutture o entrambe le cose. Il punto d’incontro era semplicemente il demone blu.

“Il gioco e il giocatore”

Come abbiamo già anticipato in precedenza, volgeremo un occhio alla triade di caratteristiche che compongono il gioco.

  • Relazione tra scenografie e ambience
  • L’intreccio degli enigmi
  • Randomizzazione dell’inseguimento

Tutto rinchiuso in un’unica parola d’ordine scelta dallo stesso autore nel suo nickname (no props=no props – oggetti di scena- needed): minimalismo, che abbiamo già citato.

Qui entra in gioco l’importanza della contestualizzazione, a proposito di un piccolo dettaglio di cui avevamo parlato in una vecchia recensione…

……FLASHBACK……

…….

………………

…….

….

Kill Bill Vol.1

……

Eh-Eh. Ci siamo arrivati.
Penserete…Chissà…Ora dovranno imbruttirsi come se non ci fosse un domani, no?

Lo sappiamo…Lo sappiamo che state aspettando la critica…Ma sapete cosa?

Se ve l’aspettate, vuol dire che tutti i discorsi che abbiamo fatto finora nei precedenti articoli sono stati inutili.

Okay ragazzi, cerchiamo un punto di incontro: Ao Oni per sua natura, soprattutto se messo a confronto con un predecessore come CORPSE-PARTY e un successore di tutto rispetto come Yume Nikki, non può dirsi un titolo che brilla, se non per l’ingegno degli enigmi e degli inseguimenti. E con questo intendo concludere, appunto, che le mappe non valorizzano la scenografia come molti vorrebbero.

In quella recensione stavamo parlando tuttavia di un gioco che aveva come obiettivo principale narrarti una storia, e da che mondo e mondo la narrazione classica costruisce sempre le sue fondamenta sulla scenografia, gli ambienti e sul contesto in cui sceglie di rappresentarsi.
Ci trovate qualche somiglianza con Ao Oni? Trovate in Ao Oni una promessa di story telling da parte del gioco e delle povere vicende che si susseguono?

No. Nulla di tutto questo: dall’incipit e contesto classici di molte opere (anche delle più scarse) che vogliono definirsi “horror” il giocatore capisce che non ci sarà uno storytelling vero e proprio: ciò dà meno spessore (e in alcuni casi nullo) a trama, personaggi e ambienti e molto più spessore al gameplay: se non deve appassionare il giocatore, lo deve intrattenere nel senso più primitivo del termine.

L’asso della manica infatti sono gli enigmi: è un gioco molto coerente con se stesso.
Anche le grafiche da molti definite… Discutibili, sono semplicemente funzionali a ciò che devono: non c’è stato un lavoro di “eye-candy” perché semplicemente noprops non ne sentiva il bisogno, non sentiva di dare una certa “personalità” a personaggi e ambienti, l’intenzione non era far affezionare il giocatore ad essi.

Unica eccezione è l’Oni che ci ritroveremo davanti quasi ogni tre per due durante il gioco. È l’unico ad avere un qualche tipo di sprite personalizzata (perché si vede che quelle dei ragazzi sono palesemente fatte o con un generatore, o qualsiasi programma esterno che le crea semi-automaticamente), con un aspetto grottesco e quasi comico, soprattutto quando avrà le capigliature dei personaggi che man mano moriranno per mano dell’“Ao Oni senior”.

Guardatelo: la faccia di un uomo qualunque deformata. Occhi e naso giganteschi, assieme ad un esterno faccia stretto sulla parte del mento e degli occhi. Per non parlare del corpo: si vede da un miglio che è stilizzato all’inverosimile, e con un viso realistico… Si crea quella dissonanza che lo rende bizzarro e grottesco.

Per “fare impressione” si usano molto questi tipi di creature. Forse sarà solo un mio punto di vista (l’articolo è passato nelle mani di Ele), ma credo sia anche una caratteristica propria della cultura giapponese. A questo proposito vorrei proporvi un’immagine.

Da “The Art of Spirited Away”, Viz Media, Studio Ghibli library

Li riconoscete questi esseri? Dalla didascalia della foto è facile capire di che film io stia parlando: “La Città Incantata” di Hayao Miyazaki e Akira Kurosawa.

Vedete come sono esteticamente?  Sono grassi e hanno gli occhi spalancati, e soprattutto quest’ultimo dettaglio fa dire allo spettatore “oddio, cos’è quello?!” anche se sono semplicemente papere con qualche caratteristica particolare.

Questo film infatti dà una vasta rappresentazione della cultura nipponica, fatta prevalentemente da queste strane entità con aspetto deformato.

Con l’Ao Oni è stato fatto lo stesso lavoro delle papere: si è deformato il normale (come la faccia di un uomo come tanti) e si è reso anormale, dando un’immagine completamente nuova.

Quindi il ruolo di questa creatura non è mai stato quello di “spaventare” con dettagli particolarmente inquietanti, ma bensì “fare impressione” al giocatore con il suo aspetto mostruoso.

Lo spavento deriva infatti dal jumpscare quando l’Oni appare e dalla tensione seguente ad esso durante gli inseguimenti.
Questi ultimi in generale giocano molto sulla paura di far morire il personaggio di turno, ma soprattutto quella di non poter andare avanti e ricominciare da un punto non vicino rispetto a dove sei arrivato o, soprattutto in molti retrogames, ricominciare da capo.

Ao Oni ricalca proprio quest’idea: se l’Oni ti prende devi ripartire da dove hai salvato e, a meno che tu non sia un “salvatore” compulsivo, bisogna rifare molte azioni prima di andare avanti, e ciò alla lunga diventa frustrante.

Ma non è di una particolare complessità degli inseguimenti che parleremo.

In Ao Oni si ha una perenne tensione durante il gioco ma non perché ci siano inseguimenti in generale, li troviamo in molti altri HOR-RPG, ma perché questo titolo introduce nel genere una meccanica presente più che altro negli horror come Outlast o Slender: l’apparizione casuale dell’inseguitore di turno.

Nel gioco ci sono poche scene “scriptate” in cui l’Oni appare nello stesso momento per ogni giocatore: per il resto del gioco potrebbe apparire in ogni momento, e per via di questa casualità perenne anche le scene scriptate non sembrano tali, molte volte.

Inoltre per sfuggire al mostro è possibile nascondersi in degli armadi.

Ecco, durante questo momento sentiamo il respiro di… “Hiroshi”. Teniamo a lui? Alla sua incolumità?

Non proprio. Quel respiro è il nostro, è la nostra paura di venire scoperti. Qui il gioco si vive in prima persona e si abbandona ogni filtro che voleva presentarcelo in terza: noi non vediamo solo Hiroshi che si nasconde in un armadio, non osserviamo fuori da “giocatori onniscienti”. Il punto di vista cambia: siamo noi a vivere l’esperienza.

Come abbiamo già detto, l’ “horror” non sta in trame o immagini particolarmente macabri o inquietanti, ma bensì nella tensione che il giocatore prova nella paura di sobbalzare vedendo il mostro blu, venendo presi o vedendo il suo bel faccione su gran parte dello schermo.

Dunque, tiriamo per un attimo le somme.
Ripetiamo che il titolo, seppur non sia il migliore dei suoi tempi, rimane fedele alle sue promesse.
Abbiamo l’indebolimento dell’incipit se non un vero e proprio annullamento; caratteristica che aveva invece contraddistinto Corpse Party.

Noterete che tra questo…

E questo….

“Era una serata piovosa dopo la scuola, come oggi…”

“Correndo per le scale, l’insegnante ha perso l’equilibrio. È inciampata, è caduta… Ed è morta.”

Ci sia una bella differenza. 
Le tre righe di premessa dovrebbero parlare chiaro: Ao Oni conduce il giocatore ad una
identificazione ed immersione totale nell’esperienza che sta vivendo.

Anche se “RPG” indica per acronimo un gioco in terza persona in questo periodo i giochi sembrano più avvicinarsi invece all’uso della prima, lasciando che il giocatore si lasci totalmente trasportare nell’esperienza videoludica non per il gusto di essere “stupito” (vedasi le esigenze del giorno d’oggi sulla qualità delle grafiche) ma spesso per abbandonarsi nell’esplorazione di luoghi di cui il gioco stesso forse diventa solo un pretesto per ascoltare a ripetizione il rumore del vento o di pioggia con le proprie cuffie.

Qui abbiamo la massima espressione del genere HOR-RPG come corrente votata all’individualismo e all’isolamento. I soggetti coinvolti sono solo due, il gioco ed il giocatore, perciò ecco qui spiegato il paradosso di inserire titoli come questo all’interno di un mercato che contava nella produzione di opere secondarie.
Un’operazione, questa, nata dalla speranza di attirare quel pubblico che è stato capace di trasformare, per via dell’intervento delle web-star, l’angoscia in risata. Al silenzio dei personaggi, del mostro e dell’autore si è sostituito l’urlo dello youtuber e l’entertainment per i suoi utenti.

Termometro della professionalità

PACKAGING

Non possiamo affermare certamente che il la distribuzione del gioco, così come il suo packaging abbia intenti professionali.

 Non c’è nemmeno un’immagine per il titolo.

Lo schermo è tutto nero, puoi decidere solo se iniziare il gioco, continuarlo o uscire. Viene chiesto di inserire un nome per il personaggio e dopodiché il breve incipit ci introduce il contesto in cui ci muoveremo: un gruppo di amici vuole esplorare una misteriosa villa abbandonata. Punto.
Questo è uno di quei giochi, come sentimmo dire una volta, belli da “scoprire dal nulla” e viverli per sperimentare il grado di tensione che ti propongono e i test d’ingegno a cui ti sottopongono.  Un tipo di gioco, per l’appunto, adottato e cresciuto dal web. Un gioco che prima ancora di appartenere a qualche “produttore” o “compagnia di professionisti” appartiene anzitutto ai suoi giocatori che donano la loro fantasia per costruire delle interpretazioni, delle teorie che spieghino gli eventi ma prima di tutto che nutrono i personaggi con delle caratterizzazioni e tengono ad offrire al gioco la caratteristica della narrabilità, un fenomeno che osserveremo in particolar modo nella sua prima esplosione con Yume Nikki dello stesso anno.

RAPPORTO AUTORE-OPERA

Come già detto nella storia del prodotto anche questo titolo è lasciato a se stesso dal suo autore, ma da lui nasce una vera e propria cultura: quella dell’autore senza un’identità precisa, senza un volto e un nome di battesimo a cui associarlo.

Si parlerà però meglio di questo fenomeno nell’articolo dedicato a Yume Nikki e il suo autore Kikiyama.

DIFETTI  DELL’OPERA

Ne parleremo di due in particolare.

  • Anzitutto, la già citata mancanza di cura per la scenografia penalizza di molto il titolo che altrimenti avrebbe aumentato la qualità e gli avrebbe dato sicuramente più riconoscibilità, purtroppo data soltanto dalla sua creatura di cui gli altri titoli dedicati hanno vissuto di rendita. Anche se l’autore avesse voluto essere coerente con il suo approccio “minimal” avrebbe potuto curare perlomeno la fotografia e aggiungere luci e ombre, o utilizzare dei colori particolari. Questo è un difetto grave, se considerato in particolar modo nell’ambito della sua generazione, in cui anche se non si auspicava lo sviluppo di una trama le esigenze degli sviluppatori votavano all’immersività degli ambienti.
    Anche se, come abbiamo detto prima, non ci sentiamo di insistere troppo su questo punto perché si parla di elementi che vanno aldilà di quello che il gioco voleva offrire.
  • Il secondo difetto ha a che fare invece proprio con l’altra faccia del suo asso nella manica, e per questo forse che gli tocca di più.
    Gli enigmi. Stiamo parlando…Del rilascio delle informazioni in merito.
    Ebbene, per quanto possano essere ingegnosi molti non sono riusciti ad apprezzarli fino in fondo, lamentato una relativa complessità.
    Questo credo sia dato soprattutto dal fatto che spesso non c’è sufficiente comunicazione del gioco per il giocatore, lasciandolo completamente a se stesso senza offrire delle istruzioni che possano far comprendere all’utente la natura dell’enigma.
    Prendiamo in esame uno degli enigmi più conosciuti… E di quelli di cui si sono cercate più guide: l’enigma del pianoforte.
    Presentiamo la soluzione. Nell’ultima versione del gioco (6.23) i numeri che compariranno sul pianoforte dopo aver pulito la macchia di sangue su di esso sono randomici e ci sono circa 5 possibili combinazioni per una cassaforte vicina. Ecco, come trovare questa combinazione? Per avere la soluzione a questo enigma bisogna abbinare i numeri sui tasti del pianoforte alle forme dei tasti sulla cassaforte.

Questo è definito uno degli enigmi più difficili del gioco, ma non per un’effettiva difficoltà, ma per via della gestione delle informazioni in merito ad esso: non è infatti possibile capire che quei segni sulla cassaforte (nelle vecchie versioni bisognava addirittura trovare un foglietto in un’altra stanza) sarebbero le forme dei tasti sul pianoforte, non sono state evidenziate in alcun modo.

Questo purtroppo è solo un esempio. In breve gli enigmi in Ao Oni sono dei più ingegnosi che abbiamo visto finora tra tutti gli RPG Horror che abbiamo giocato, ma la gestione delle informazioni su di essi li rende in certi frangenti anche frustranti.

CONCLUSIONE

Abbiamo terminato anche la nostra sosta sulla seconda fermata, entrando finalmente nel mito dell’HOR-RPG come “gioco della desolazione, della suspense e delle ore perse in esplorazione”. Ao Oni ha solo fatto il primo passo per la costruzione di questa definizione, essendo per questo un ottimo esperimento pioneristico ma che sarà presto superato…

Corpse Party – Il primo HOR-RPG sul mercato

Una felice giornata a te, persona sperduta nel web che sei venuta a leggere questo articolo! Ma forse questa non potrebbe essere più tanto felice se ti ritrovassi in una scuola abbandonata in cui tutti si ammazzano a vicenda.

Ebbene, la nostra macchina del tempo (clicca qui per saperne di più sulla sezione “Back to the future”) ha iniziato il suo viaggio e si è fermata per il momento agli anni che intercorrono dal 1996 al 2014.

Perché una fascia di tempo tanto lunga? Vogliano i signori applaudire alla longevità di questo titolo: Corpse Party, la storia di una produzione varia e interessante di cui andremo a discutere.

Corpse Party, primo HOR-RPG gettato nel mercato

Stiamo parlando di una serie di giochi, e già da qui è difficile orientarsi sui numerosi titoli che sono usciti, ma siamo qui per questo. Una serie curiosamente identificata con la corrente degli RPG Horror, la quale dal lontano 1996 ha visto fiorire il primo titolo prodotto su RPG Maker vincendo un premio nella seconda competizione annuale dell’ASCII Entertainment, il primo di una lunga serie di successi che ha visto il largo pubblico allargarsi e di cui si è osservato il fenomeno dei fangames, cosa che ha continuato a diffondersi per la generazione a venire.

Perché mai, però, prendere una data tanto lontana rispetto ai giochi che verranno?

Abbiamo scelto questo gioco come “pioniere” dell’RPG Horror non solo per correttezza cronologica (infatti avvisiamo che non sempre ci comporteremo così quando gli articoli si focalizzeranno su altri titoli) ma anche per le caratteristiche di un tipo di gioco che rispecchiano appieno quello che contraddistinguerà i giochi della Generazione 0: l’horror-experience, di cui parleremo quando andremo verso l’ “asso nella manica” di questi titoli.

Ma per ora, com’è nato Corpse Party… O meglio CORPSE-PARTY? (non stiamo urlando il nome del gioco, è il titolo effettivo).

Storia del prodotto

Per risalire in realtà al come il titolo di Kedouin sia stato creato e distribuito, bisogna andare ancora un po’ indietro: al 17 Dicembre 1992.
In questa data la ASCII Media Works, un publisher giapponese, rilascia un programma chiamato “RPG Tsukūru Dante98”

RPG Tsukūru… Non vi suona familiare? Questa era infatti una versione primordiale di RPG Maker per un tipo di “computer” esclusivo per il Sol Levante, il NEC PC-9801.

Tutto ciò ha permesso alle persone di sviluppare i propri giochi di ruolo e così la ASCII ha pensato bene di creare una rivista mensile chiamata LOGIN Sofcom, dove gli aspiranti sviluppatori potessero presentare le loro creazioni.

E qui arriviamo al main event.

Era una giornata di pioggia esattamente come questa, quella del 22 Aprile 1996…

Il giorno in cui il sesto volume della rivista LOGIC Sofcom ebbe tra le sue pagine una sezione dedicata all’avventura horror dello sviluppatore Makoto Kedouin…

Dalla rivista il gioco prese sempre più popolarità e Makoto nel 1997 fu vincitore del secondo premio alla ASCII Entertainment competition, che gli fruttò 5 milioni di yen (circa 40 euro o poco più).

Ma la storia di Corpse Party non finisce con quella vincita: il gioco era destinato ad andare avanti nel mercato giapponese e in futuro anche estero.

Infatti, abbiamo avuto un remake nel 2007 per mobile, dal nome di Corpse Party – NewChapter (anche dimenticabile, perché fermato bruscamente al capitolo 4), si è passato da un computer ad un altro con il titolo più vicino a quello che conosciamo oggi, ovvero la prima versione di Corpse Party: Blood Covered, pubblicato in Giappone dal 2008 (anche se parlando di remake c’è da citare anche una rebuilt del gioco del ’96, CORPSE-PARTY: Rebuilded).

Qui a Kedouin si aggiungono altre persone allo sviluppo del gioco: il Team GrisGris che si occupò del development generale, e XSEED Games come publisher per l’esportazione del titolo in occidente.

Makoto entrò definitivamente (anche se c’erano dei segni di ciò già da NewChapter) nel mercato internazionale: questa versione del gioco è stata pubblicata su GOG, Humble Store e soprattutto sul portale Steam.

Furono aggiunti tanti nuovi personaggi (precisamente Seiko Shinohara, Sakutaro Morishige, Mayu Suzumoto, Yui Shishido e Kizami Yuuya) un intreccio che tenta di essere più articolato assieme ad un bel po’ di “finali sbagliati”(dei game over molto più lunghi e drammatizzati).

Con la distribuzione in Occidente XSEED aveva fatto centro. Il gioco infatti ebbe già una buona fetta di pubblico, infatti già questa versione PC ispirò un manga dedicato al gioco, disegnato dalla stessa artista. e persino dei drama-cd (un tipo di CD audio molto popolare in Giappone di solito legato ad anime o manga di successo).

Mica poco!

Ma il boom vero e proprio si ebbe con il successivo porting per PSP e iOS, nel 12 Agosto 2010 in Giappone.

Lo sbarco del gioco sulla console di Sony ha dato una spinta ulteriore a Corpse Party: Blood Covered…Repeated Fear, che ebbe moltissimi miglioramenti a livello artistico, dai disegni fino all’aggiunta delle CG, mai state presenti nella versione PC del gioco, assieme a doppiatori professionisti per quasi tutte le scene presenti in-game.

Si può immaginare, con tale qualità artistica, un mercato già iniziato in Occidente e in generale un prodotto che funziona anche a livello commerciale.

Ci furono, lasciatemi prendere un bel respiro…
Light novel, i sempreverdi doujinshi d’ogni tipo (si, volendo anche di quel genere), web radio, un’attrazione in un parco divertimenti, un film live-action, un adattamento anime da 5 episodi con un OVA e un altro porting su 3DS oltre a moltissimi sequel usciti su PSVITA del gioco principale fino ad arrivare ad un Corpse Party 2!

Da tutte queste salse in cui è stato proposto non si fa fatica a capire che la ormai saga di Corpse Party è stata un vero e proprio fenomeno mediatico oltre che commerciale: ci furono ovviamente moltissimi video su Youtube, in generale molto movimento da parte del fandom e anche quando si parla ora di Corpse Party in un periodo lontano rispetto all’anno di uscita suscita ancora interesse.

“CHI LO GUARDA NEL 2018 PERCHE’… THROWBAAACKKKKKKKK >:3”
–Commento sotto un video dello youtuber PewDiePie

“Tutti se lo sono ritrovato tra i consigliati. Io? L’ho cercato di proposito”.
–Commento sotto un video dello youtuber PewDiePie

Tutto questo per via di elementi molto appetibili (molte volte resi tali rispetto alla versione del ’96) al pubblico:

Una trama e delle atmosfere che coinvolgono, raffinate già dalla versione PC…

“Giuro che questo gioco mi fa sentire depresso, sapendo che tutte queste povere anime entrano in questo inferno dimenticato da Dio e alcuni dei miei personaggi preferiti incontrano la loro morte mentre avanzi nel gioco. Voglio dire, adoro Corpse Party ma la lore, il gore, l’horror e la colonna sonora mi “incasina”.”
–Commento sotto un video dello youtuber PewDiePie

…Assieme a dei personaggi a cui ci si affeziona facilmente.

-Commento sotto un video dello youtuber Tsuhirito

Il già citato miglioramento a livello artistico con mezzi busti e CG in uno stile molto più “anime”, che rendono anche molto più spettacolari e splatter le morti di cui rischiano di morire i cinque protagonisti e di cui periscono molti personaggi secondari.

-Commento sotto un video dello youtuber Tsuhirito che riguarda un Wrong End del gioco

Quindi nelle sezioni successive analizzeremo meglio questi elementi che hanno scosso vari fan del genere horror RPG e non, mettendo anche a confronto l’ultima versione del titolo con il vincitore di quel premio ASCII in quel lontano 1997.

-Fonti usate per la storia del prodotto: Corpse Party WIKIA

Ne abbiamo due in particolare, di assi nella manica. Da un lato la regia, dall’altro i personaggi.
Questo perché c’è da fare una premessa: terremo conto in questo articolo delle due differenti versioni, CORPSE-PARTY del ’96 (di cui abbiamo giocato la Rebuilt rilasciata nel 2011) e la sua rivisitazione più significativa commerciale per PSP, Blood Covered Repeated Fear. Saranno i due capitoli principali della serie su cui andremo a fare il confronto, decidendo invece di ignorare gli altri titoli in quanto questi sono i due cuori principali della serie su cui si è concentrata la trama principale. Gli altri titoli si possono considerare solo dei miglioramenti (vedasi la differenza tra Blood Covered e Blood Covered Repeated Fear) sequel o spin-off, su cui danno più spazio ai personaggi: gli stessi rivivranno una seconda volta le stesse disavventure alla scuola abbandonata-, o si cercherà di dare più approfondimento al background di questo luogo sovrannaturale, cambiando i punti di vista e aggiungendo numerosissime sotto-trame per nuovi personaggi, soprattutto secondari.

Eccoci quindi qui, con CORPSE-PARTY (1996) e Corpse Party Blood Covered Repeated Fear (2011).


Cominciamo a riflettere su una cosa: anzitutto il primo gioco della serie ha tutte le caratteristiche che contraddistinguono gli HOR-RPG della Generazione 0: l’esperienza intensiva delle atmosfere.

Come vedremo in futuro per le analisi degli altri giochi, durante questo  periodo c’era un’immagine tipo molto particolare e determinante per la produzione di titoli horror: era importante lasciare il giocatore a se stesso e fare in modo che vivesse sulla propria pelle l’esperienza del gioco. Spesso la trama era solo uno spunto per dare un minimo di contesto a ciò che alla fine era più importante: l’immersione nelle atmosfere.

Corpse Party, tuttavia, è stato già da quel tempo un titolo all’avanguardia nel suo genere, per aver sfruttato al meglio che poteva l’incipit lanciato dalla suggestiva introduzione che non a caso è stata sempre ripresa durante tutti gli altri titoli.

Possiamo notare,in questo screen estrapolato da “CORPSE-PARTY”, la suggestività dell’immagine in cui i personaggi sono isolati dallo sfondo e si illuminano grazie alla luce della candela, che assieme al rumore della pioggia contribuisce a immergere immediatamente il giocatore nell’atmosfera.

Ciò che ci è rimasto immediatamente impresso in Corpse Party è la regia, per entrambi i titoli. La regia di Blood Covered Repeated Fear nella sua lentezza, e quella di CORPSE-PARTY (1996) nell’ambito di tensione generale e crescente, concitata. Complici anche le musiche (parliamo del primo titolo) che fanno il loro lavoro, accompagnando la risoluzione degli enigmi. Piccola curiosità: moltissime musiche di Corpse Party: Blood Covered… Sono delle riprese (o remix) delle OST del titolo del ’96!

Una cosa che ci stupì proprio in questo CORPSE-PARTY furono i suoi personaggi.
Avevano delle sfaccettature realistiche –a differenza dei loro colleghi del 2011, di cui parleremo più tardi– e complesse, con caratteri e design che si avvicinano in modo impressionante a studenti reali che si potrebbero trovare ogni giorno nella vita quotidiana.

Gli screenshot sono di una Rebuild del gioco del 96 fatta su RPG Maker XP nel 2011 perché tradotta in italiano ed in inglese (la versione per PC-98 è possibile averla, ma solo in giapponese), ma è molto fedele all’originale.

Tornando a noi…

La normale stizza dello studente: voler andare a casa il prima possibile, ma non poter farlo.

Molto realistica la rappresentazione degli studenti disfattisti.

Vedete tutte queste piccole situazioni? Insomma, avrete almeno sentito (sulla pelle o meno) di studenti costretti a fare un compito che non vuole fare nessuno, ma si trovano bloccati a svolgere perché tutti gli altri sono riusciti a dare buca. Quindi ovviamente vogliono anche andarsene a casa.

Dopo aver analizzato meglio la situazione, andiamo al character design.
Prendiamo d’esempio il personaggio di Naomi (prenderemo sia il disegno della rebuilt per avere un corpo intero, sia quello della versione originale), e mettiamolo a confronto con un’immagine di una vera studentessa giapponese e il suo design nel capitolo di Corpse Party per PSP.

Il gioco vecchio sembra ambientato a fine anni 90, quando è uscito, e la foto è del 2007, quindi non siamo poi troppo lontani dal punto di vista della linea temporale.

Già confrontando i protraits delle due Naomi si può notare una bella differenza nell’atteggiamento delle loro posture e nell’espressione che hanno.
La Naomi di Repeated Fear sembra più timida data la posa, rispetto alla “ragazza tosta” del 96. Il problema è che quest’idea della ragazza forte volevano darla in modo abbastanza forzato anche nella Naomi del 2011 (vedesi alcuni dialoghi di cui discuteremo in futuro)… Ma la posa ci comunica tutt’altro.

Andando alle caratteristiche fisiche, quindi di design, la fisionomia di Naomi nel titolo del 96 è sicuramente molto più simile a quella della ragazza nella foto, molto magra e con poche forme, a differenza ovviamente di quella di Repeated Fear.
Inoltre i capelli corti e molto scuri in Giappone sono comuni, come in Germania quelli biondi.

Tornando a noi…

(Yuka si propone per aiutare i ragazzi a mettere a posto la classe)

Anche Naomi ci esorta ad andare avanti. Quindi, senza indugi, continuiamo.

Dal loro quotidiano, ordinario, vengono quindi trasportati in un mondo “straordinario”, sovrannaturale, che indossa le vesti della morte su ogni tile: si trovano spesso ossa e teschi nelle aule dalle tinte marroni, tra le scene che ricordiamo di più c’è certamente quella in cui Ayumi e Yoshiki rimangono bloccati in un corridoio con un teschio ed i muri graffiati, ed il giocatore diventa testimone della loro costante crescita di tensione, sentendosi in colpa per ogni oggetto che cliccherà o dettaglio che noterà, vedendo scoppiare il loro litigio che porterà in seguito Ayumi a fissare il vuoto.

Prendiamo ad esempio questo cadavere. Sembrerà un normale oggetto di scena, ma esaminarlo è inevitabile nella disperazione di trovare un modo per uscire da quella stanza perché “tu sei bloccato con i personaggi”. Ne sai anche quanto loro su come andare via e come giocatore sei pienamente responsabile delle loro azioni vivendo un’identificazione totale.

 

Consideriamo anche questo foglio. Perché verrebbe da cliccarlo?

L’ambiente è piccolo, l’impulso del giocatore è di analizzare di tutto.

Se si esamina più di una volta il foglio si avrà questa piccola variazione che attiverà però un evento interessante.

Ora analizziamo le ossa che avevamo preso in considerazione prima, ma dopo aver letto quest’intimidazione ancora più cattiva.

Yoshiki ha una reazione diversa, è molto più impaurito: vedendo il foglio e il cadavere pensa che forse finiranno come quel mucchietto di ossa, forse non usciranno MAI.

Il giocatore si ritrova a controllare compulsivamente (come farebbe un qualsiasi essere umano in quella situazione) le finestre, le ossa, il foglio, finestre, ossa, foglio… Finchè questa esaminazione disperata non giunge al termine perché il foglietto cambia ancora.

Ciò turba ancora di più Ayumi e Yoshiki, che ne hanno già abbastanza di quel luogo minuscolo.

Quella di Yoshiki è uno scatto di rabbia comprensibile e soprattutto dato dal nervosismo.

…Perchè si vede che, tornato lucido, prova a confortare Ayumi.

Qui ritorna l’immedesimazione: al giocatore viene in automatico dire “Ha ragione!” perché anche lui ha controllato tutto ciò che c’era.

Se prima Yoshiki provava (seppur miseramente) a consolare Ayumi dicendo che non sarebbero morti, ora che la vede piangere e lamentarsi lo stesso dando anche la colpa a lui per essersi divisi (perché l’idea di dividersi fu di Satoshi e Yoshiki) le intima ancora di stare zitta, anche perché le lamentele di Shinozaki non lo stanno aiutando minimamente.

Diamine, eccome se capiamo Yoshiki qui! E questa “comprensione” da parte nostra è proprio grazie alla scrittura dei dialoghi in questa scena.

Ma non finisce qui.

Ahia, questa brucia!

Questo dialogo colpisce perché… È vero, semplicemente. È molto naturale.
Sembreranno parole casuali, quelle di Yoshiki, ma in realtà quando ci si arrabbia con una persona diventiamo più rancorosi di quanto non siamo, e riusciamo a tirare fuori anche questioni che non c’entrano nulla con quella principale, ma che pensiamo comunque.

E la scena finisce così, con lei che dà purtroppo corda a ciò che ha tirato fuori Yoshiki e il cambio del punto di vista introdotto da un “Nel frattempo…”.

Il gioco continua a susseguirsi più o meno con questo ritmo: le scene che ci sono non sono eccessivamente drammatizzate e lasciano invece che il giocatore si destreggi nelle scelte da compiere (aspetto che, contrariamente a quanto ci aspettavamo, è stato mantenuto anche nel suo alter-ego più commerciale). Non ci viene fatto capire quali di queste scelte potrebbero portare al finale migliore, dando l’illusione continua di essere attivi protagonisti  della storia assieme ai personaggi, capaci di scrivere da noi il loro destino.

E va avanti più o meno così, con lunghi intervalli dedicati alla risoluzione di enigmi per l’appunto e modi per sbloccare nuove aree della scuola da esplorare, con l’atmosfera generale che ci suggerisce di assumere atteggiamenti concitati, suggerimenti dati non solo dai comportamenti dei personaggi ma anche dalle musiche.

Riassumendo, se dovessimo parlare dell’asso nella manica di questo titolo, cosa concluderemo?

Se il lettore ce lo permetterà, chiuderemo questa parte dell’analisi con questa osservazione:

Ciò che contraddistingue CORPSE-PARTY è la somma dell’incipit narrativo e i suoi personaggi, che si sostengono sul gameplay -quindi sull’attività del giocatore- che fa sempre da sfondo costante determinando i toni del gioco.

Ma soprattutto c’è da riconoscere a CORPSE-PARTY il merito di essere stato il pioniere non solo di una serie, ma di molte caratteristiche che hanno iniziato a contraddistinguere il genere dell’HOR-RPG di ogni generazione a venire, unendo la generazione zero (l’horror experience), la prima (il character drama) e la seconda (lo storytelling-focus).

Ebbene. Come se la passa il suo collega commerciale, Blood Covered: Repeated Fear?

Le differenze sono notevoli. Questo perché gli anni passano, le esigenze dei videogiocatori e le loro aspettative cambiano. Possiamo vedere tutte le trasformazioni applicate da un team di produzione più sostanzioso, tra cui certamente un approfondimento massiccio del background della storia, senza dimenticare le migliorie grafiche e nuovo materiale, grazie a dei professionisti che collaborano per la realizzazione del titolo ma che comporta anche dei difetti, di cui tuttavia non parleremo in questa sezione.

Cominciamo innanzitutto dal contesto in cui i nuovi personaggi si trovano. La scuola dai toni marroni assume dei toni blu, avvicinandosi più all’idea di una struttura pubblica abbandonata, e la storia si allunga, migliorando quello che era il difetto principale del primo titolo: la velocità con cui si sviluppano le ultime scene della storia. Fermo ricordando che il cuore di quel titolo era e doveva essere il gameplay, anche se andava a penalizzare la trama.  Non era tra le esigenze di allora sviluppare una struttura narrativa.

Tutto cambia, ovviamente, con il titolo del 2011 per PSP.
Le scene prendono tutto il loro tempo per illustrarti le situazioni, valorizzare l’attimo di angoscia che si sta percorrendo assieme ai personaggi. Ci sono stati numerosi momenti di cui si potrebbe parlare, tra cui il momento in cui viene rivelato il passato di Sachiko (la panoramica che sostituisce la corsa della vittima e del carnefice), o la scoperta della verità riguardo gli omicidi dei tre bambini, lenta e dolorosa non solo sul piano fisico per i protagonisti ma soprattutto emotivo, per loro e per chiunque viva quella scena. Uno dei risultati migliori dell’intreccio tra regia e gameplay, ovvero parlando di vera e propria regia videoludica, è senz’altro la parte dedicata a Yuka e quando rimane da sola e lentamente il giocatore deve capire come comportarsi con Morishige che fotografa i cadaveri, anche se facciamo una menzione speciale alla scena di possessione di Ayumi, che girovaga nella struttura al tuo fianco mentre i suoi atteggiamenti diventano sempre più instabili.

In ogni caso torniamo a Yuka, e parliamo di questo momento di pura tensione dedicato soltanto al giocatore.

Siamo con Yuka, appunto, una ragazzina di quattordici anni con seri problemi di regressione infantile di mente e corpo. Okay scherzo, è solo colpa del fanservice che ha trasformato i personaggi originali. Anzi, no…Forse è davvero un problema più grave di quel che pensiamo visto che anche Ayumi di tanto in tanto si comporta come una bambina, un qualche strano virus… Chessò. La Mocciosite Virus.

In ogni caso…

Lei è appena rimasta sola nella seconda ala della scuola –quella che, dirò, a livello scenografico abbiamo preferito di gran lunga rispetto all’ala principale–, dopo essersi separata dal fratello, in un luogo di morte.
Già il contesto ha tutto il potenziale per mettere ansia al giocatore.

In questo aiuta anche la musica al pianoforte che comporta assieme a tutto il sound design del gioco a valorizzare magistralmente la tensione che si dovrebbe provare.
Parlando proprio del sound design, sentire il rumore di una fotocamera ci spingerà ad entrare nella stanza in cui si incontrerà Morishige, e la musica si ferma.

Il ragazzo si limita ad esplicitare dei fatti, per poi chiedere a Yuka come mai è da sola.
Sembra una normale conversazione dati i dialoghi, ma le immagini ci mostrano qualcosa di diverso.
Vedete la sprite del personaggio di Morishige?

Già da sé, fanno un buon lavoro gli occhiali che impediscono al giocatore di vederne gli occhi. Ha la camicia sbottonata, in opposizione alla compostezza che ha contraddistinto il personaggio per le sue prime apparizioni e durante i flashback, e poi è posizionato davanti ad un cadavere.
Noi sappiamo che ha fatto qualcosa, perché è la messinscena a dircelo.
Non ci sono forzature di dialoghi, o esagerazioni espressive o di drammatizzazione eccessiva che normalmente colpiscono la regia delle opere narrative.

Nel gioco invece, se ti prende una volta si limita solo a chiedere perché scappi, con un’espressione apparentemente del tutto naturale.

Possiamo continuare a fare il confronto qui, in cui dopo che lo studente si è proposto di aiutare la ragazzina questa decide di cercare il fratello da sola. Ebbene, non c’è nessun inseguimento particolare. Morishige si muove verso il giocatore, ma camminando.

Noi siamo tesi quanto Yuka, sappiamo che il ragazzo ha combinato qualcosa di spiacevole e stargli vicino non ci garantirà sicurezza. La musica, che ha semplicemente ripreso a suonare, assumerà per il giocatore un nuovo significato, ma soprattutto….Spetta a noi decidere quanto tempo passare assieme allo squilibrato mentale.

Uscire dalla stanza o meno, o chiedersi continuamente se abbiamo seminato il pericolo poiché l’atmosfera continua a rimanere costante e omogenea, prevalentemente tesa. Tutto questo contribuisce a rendere il giocatore pienamente coinvolto e responsabile delle proprie azioni. Egli decide quanto lasciarsi andare, se controllare certi elementi o meno, in pratica ognuno si costruisce la propria regia, avanza con i propri tempi e prende le proprie decisioni per cui potrebbe sempre imbattersi in dei Wrong End o Bad End.

Sfortunatamente la regia non è tra gli elementi che più hanno colpito il grande pubblico. Seguendo gli approcci più superficiali del fandom, ad essere rimasti nella memoria degli spettatori non sono delle scene in particolare del gioco –tranne ovviamente le più iconiche, come la già citata reveal su Sachiko–, ma i suoi personaggi e le collezioni di morti a cui vanno incontro.

“Wow… Il finale dove Yoshiki mangia Ayumi è orribile. Immaginate come si sente dopo che ha scoperto di averla mangiata, quando la amava così tanto. Aggiungiamo anche il fatto che leggendo la nota ha realizzato che lo odiava prima che lei morisse. Madonna.”

“Gesù… La scena di morte extra di Yui è tristissima… Ha poco development durante la storia ma è un bel personaggio. Anche la morte di Yuka è orribile. Morire proprio alla fine di tutto, solo per essere dimenticata dai genitori che le volevano bene… Povero anche Satoshi.”

“Il finale con Kizami e Yuka era un molto disturbante, specialmente se consideriamo che le mie cuffie hanno dato l’effetto che Kizami stesse dietro di me a sussurrarmi nell’orecchio. Dio Onnipotente era più inquietante di quanto io non avessi immaginato.”

Tuttavia, dovendo parlare di questo titolo della serie non si poteva ignorare quest’aspetto.

La regia di Corpse Party Repeated Fear è stata la colonna portante del gioco, nonché suo asso nella manica che ha permesso di affezionarsi ai personaggi –anzi, azzardo a dire invece che i personaggi hanno vissuto di rendita in questa versione–.

A essa si deve un’importante linea di riconoscibilità, rendendo l’esperienza di gioco indimenticabile e colmando invece dei difetti causati –e probabilmente per qualche lettore questo sarà un colpo di scena–….rullo di tamburi…Proprio dalla scrittura! Essa risulta essere carente in alcuni punti, ci sono delle domande a cui non si è dato risposta non solo volontariamente per far giocare gli altri titoli ai fan, ma anche a livello involontario; senza dimenticare la presenza inutile di alcuni personaggi che non hanno avuto screentime a sufficienza per poter avere uno sviluppo. Prendiamo in considerazione ad esempio la professoressa Yui Shishido, un personaggio che compare solo nel secondo e nell’ultimo capitolo, lasciata indietro dagli scrittori a differenza dei suoi studenti.

Termometro della professionalità

Eccoci quindi arrivati a questa seconda parte dell’articolo. E qui viene il bello!

Ricordate l’introduzione di questo articolo? Come facciamo a dire se i suoi giochi vestono i manti dell’amatorialità? Come facciamo a stillare una linea di professionalità di una serie di giochi così longeva?!

Dunque. Tanto per cominciare abbiamo compiuto un’operazione di sintesi e preso due campioni di riferimento, ovvero CORPSE-PARTY Rebuild e Corpse Party Blood Covered Repeated Fear.
Per fare delle osservazioni concrete ci sarebbe da prendere quindi in considerazione due punti legati: elementi come quello del packaging e del rapporto autore-opera sono tutte osservazioni e analisi profondamente intrecciate, nel caso di Corpse Party, con la storia del prodotto che abbiamo sintetizzato nella prima parte dell’articolo. Potrebbe risultare difficile parlare di questo dato che dovremo tenere i due titoli entrambi sul piatto della bilancia.

  • Packaging

Sicuramente è possibile vedere che c’è stato un bel cambiamento anche nella distribuzione e presentazione del gioco dal ‘96 al 2011 anche per via del contesto con cui sono stati sviluppati entrambi.

Il titolo del ‘96 era stato creato per un concorso, quindi non c’è stato grande impegno per sponsorizzarlo e/o distribuirlo, perché a fare ciò c’era già LOGIC Sofcom, quindi è stato conosciuto dal pubblico solo per via dei suoi successori.

È stato così proprio perché i successori di CORPSE-PARTY furono già presi in mano da delle major, come la già citata XSEED per il mercato estero, un vero e proprio team per lo sviluppo e produzione con professionisti a gestire il rilascio sul mercato perché il gioco era già pensato per essere distribuito al grande pubblico.
Per via di ciò, la mano della gente del settore si vede dal punto di vista della distribuzione da Blood Covered fino all’ultimo titolo (sequel) uscito della serie.

  • Rapporto autore-opera

Come molti autori del genere HOR-RPG, ma anche molte personalità che lavorano in delle grandi case di produzione, Kedouin (si parla di lui essendo il principale direttore della serie) anche sui social è un autore abbastanza distaccato, ad esempio preferisce retwettare post di aggiornamenti su quello a cui lavora (non più Corpse Party, si è mosso su altro) senza pubblicare nulla di personale o anche solo che possa esternare di più la sua personalità. Anche durante le interviste risponde alle domande, dice qualche retroscena… Ma non ha mai dimostrato aspetti o attaccamenti particolari all’opera.

Per via di ciò possiamo intuire che, tristemente, ha probabilmente venduto in modo totale la sua opera al mercato, e purtroppo ciò si vede, dati anche alcuni difetti che verranno elencati sotto.

  • Difetti dell’opera

Beh, alla fine siamo arrivati anche a questo punto.
Possiamo dire per certo che i difetti di questi due titoli rispecchiano coerentemente il loro contesto di produzione.
Entrambi hanno a che fare con dei problemi a livello di sviluppo narrativo. Allo stesso modo entrambi hanno in comune, come punti positivi, i loro stili peculiari e la capacità di far vivere al meglio le atmosfere che ci propongono (ovvero una validissima regia).

Da un lato abbiamo uno sviluppo frettoloso e povero delle vicende, che si vede soprattutto con l’avvicinarsi degli atti finali. Tutto questo in un periodo in cui quando si giocava ad un videogioco non c’erano, da parte di chi giocava, le stesse pretese di avere una struttura narrativa complessa come ci sono invece al giorno d’oggi.

Escludendo i diversi finali, possiamo prendere una scena di riferimento. Il mid-point.

“Aspettate, c’è qualcosa che devo dirvi. C’è un’altra me…”

“Sicuramente non andai in paradiso. Non potei passare l’altra parte… Io maledissi quell’insegnante ancora e ancora…”

“Il mio odio è continuato a crescere, finchè non ho sentito qualcosa levarsi da me…”

“…Ed ecco quando il mio spirito si è diviso…”

In questo punto in particolare del gioco possiamo per esempio notare un accumulo notevole di informazioni sul passato di Sachiko e sul motivo che l’ha spinta a portare delle persone nell’altra dimensione. Per quanto la regia abbia cercato di rendere intensa la scena c’è da considerare che il limite imposto dalla scrittura purtroppo è troppo largo perché possa essere colmato dall’atmosfera.

Si passa da un’atmosfera concitata, da quando Ayumi e Yoshiki sono stati riportati nel mondo reale finché scoprono che la dimensione parallela è ancora alle loro spalle, ad una incredibilmente lenta che deve far fronte all’accumulo di informazioni che si concentra tutto in una volta.Durante il resto del gioco, prima di questo punto non sono stati lasciati nemmeno degli indizi che potessero far assimilare poco per volta le vicende passate e che ci vengono narrate in questa scena.

Questo difetto è stato colmato invece dal suo alter ego, Corpse Party Blood Covered Repeated Fear.

Questo titolo presenta tutti i difetti che una major (o semplicemente una casa di produzione composta da un gruppo di professionisti) potrebbe riscontrare durante la produzione di un titolo.

Non stiamo parlando certamente solo del fanservice che ha penalizzato in modo notevole i personaggi, ma di difetti di scrittura che vengono fuori quando si aggiunge troppa carne a cuocere.

In realtà la scrittura di questo titolo non è da buttar via. È da apprezzare l’impegno per la storia che si è voluta costruire sulla scuola. Gli scrittori hanno voluto porsi l’impresa di costruire un vero e proprio world-building, operazione impegnativa che normalmente viene adoperata dagli scrittori per i fantasy, in cui è necessario conoscere prima ancora della storia da raccontare, la storia dei luoghi in cui le vicende si ambientano. Tutto questo rende sicuramente onore al team di scrittori

…Se solo non fossero stati lasciati molti punti in sospeso (come la “costruzione della nuova Sachiko) solo per spingere i fan a giocarsi gli altri titoli della serie! Senza contare alcune storie di personaggi secondari –come quelli delle altre scuole– non approfondite a sufficienza nel corso della storyline principale.

In ogni caso, quando si prende in considerazione l’idea di elaborare una trama così complessa si deve fare molta attenzione a non perdere dettagli per strada.

Per questo ci dedicheremo a due punti in particolare: lo sviluppo dei personaggi, una questione che Ele approfondirà meglio in seguito, e lo scioglimento dell’intreccio.

  • Intreccio

Qui si potrebbe discutere, ad esempio, di questi punti:

A) Il sistema di gerarchizzazione degli spiriti, messo in crisi dalla presenza narrativa di Naho, unico spirito a non essere né un fuoco fatuo e nemmeno uno spirito col corpo fluorescente. Pensavamo infatti che l’unica eccezione alla regola fosse Sachiko.

B) Il rapporto che gli oggetti hanno nelle varie dimensioni. Le candele dovevano essere solo dei punti di salvataggio, ma l’idea di poter far condividere alcuni oggetti tra le varie dimensioni non poteva far prendere iniziativa ai personaggi per potersi mettere in comunicazione? Ci prendiamo il lusso di considerare questa solo come una distrazione data da un’esigenza di gameplay su cui non ci soffermiamo a lungo.

Torniamo invece proprio agli spiriti, ed osserviamo come è stato trattato il mid-point in questa versione, quello in cui Ayumi e Yoshiki scoprono la verità sulla morte dei tre fantasmi (nella versione del ’96 era direttamente sulla morte di Sachiko, mentre qui hanno allungato il brodo preferendo raccontare in seguito questa parte).

Beh, una menzione a questa scena andava fatta. L’intera vicenda viene raccontata con poetica lentezza, poetica non soltanto per il testo che si legge ma proprio per i toni con cui viene raccontata una vicenda tanto cruenta: abbiamo quindi un’ottima combinazione tra la musica, la riflessione sullo stato emotivo di quei bambini e la scena parallela gli altri personaggi stanno ascoltando la cassetta che completa e allo stesso tempo sintetizza il triste evento. Ma non siamo qui per apprezzare la regia, di cui abbiamo già discusso nel paragrafo precedente, bensì di un piccolo esempio che possa esporre dei difetti di logica.

“…Prima che ritorni uno spirito vendicativo che attacca le persone senza pietà”

“Quindi stai dicendo che questa ragazzina e quella inquietante che abbiamo visto prima sono due lati della stessa medaglia?”

Qui, Yuki dice qualcosa di molto interessante a proposito degli spiriti-bambini che fanno da perno agli spazi chiusi: si parla del tema della doppia medaglia del fantasma.

“E dove sarebbe il problema”, mi direte? Yuki ha ragione, vediamo il doppio volto di Sachiko.

“Appunto”, vi rispondo io. “Di Sachiko. E loro tre?”

Molto banalmente stiamo parlando di un esempio in cui l’informazione esposta per bocca di un personaggio non si riscontra nella realtà dei fatti. Probabilmente, per come è stata strutturata la scena, questa doveva essere un’informazione che avrebbe dovuto mettere più ansia al giocatore e ai personaggi stessi. In quel momento doveva essere aggiunto un ulteriore ostacolo da superare per rendere apparentemente impossibile la riuscita dei protagonisti nel loro intento di salvare tutti.

Il problema si sarebbe potuto evitare facilmente se, dopo aver pacificato le anime dei bambini, si sarebbero visti comunque i lati cattivi dei loro spiriti, oppure se sin dall’inizio del gioco si vedevano due copie degli stessi bambini.
Forse intendevano dire che gli spiriti tornavano vendicativi ogni qualvolta la struttura si ricostruiva dopo la pacificazione di Sachiko, perché Yuki è rimasta uno spirito buono da allora fino alla fine del gioco! Può considerarsi fatale l’errore che hanno fatto invece nell’esporre l’informazione in quel modo. Le sue parole infatti sono: “da un momento all’altro tornerò uno spirito vendicativo, scappate se mi vedrete”.

Questo poteva avere più senso invece in CORPSE-PARTY, in cui era la stessa Sachiko-buona a raccontare la propria morte ed avvertire che lo spirito maligno del suo alter-ego si stava facendo più forte.
Purtroppo, per quello che riguarda Repeated Fear e le nuove caratteristiche aggiunte a tutto il background della storia, si tratta di un dettaglio dimenticato sia dagli scrittori che dal giocatore, che si lascerà trasportare dagli eventi che cominciano a susseguirsi uno dopo l’altro in balia del “climax da finale”.

Una menzione speciale prima di concludere questa parte va anche al tono con cui il finale si conclude e che restituisce, grazie anche alla fotografia che preferisce toni chiari e dalle tinte dorate, speranza e serenità al giocatore che si è immerso per ben 9 ore in un clima chiuso, buio e di morte.

  • Personaggi

I protagonisti che hanno più screentime a disposizione (tempo di presenza scenica), e per questo non sono stati dimenticati dagli scrittori, mantengono delle caratteristiche stabili e omogenee durante tutta l’opera. Infatti, a parte alcune piccole eccezioni, non si può dire che Corpse Party Repeated Fear presenti dei veri e propri archi di sviluppo dei personaggi.

Certo, alcuni hanno le loro peculiarità ed è un piacere scoprire i loro lati positivi o negativi, vediamo la differenza infatti nella specularità Ayumi/Yoshiki –l’una regredita a stato infantile in più parti del gioco e l’altro che si riscopre un personaggio estremamente paziente- o Naomi/Satoshi –l’una “forte fuori ma fragile dentro” e l’altro si riscopre il totale opposto–. Tuttavia le facciate nella vita quotidiana scontrate con quelle del contesto d’orrore sono spesso troppo differenti e repentini i cambiamenti da un contesto all’altro. Oppure ancora c’è il caso di Yuka, che ha ottenuto momenti in cui poteva avere le possibilità di ottenere uno sviluppo che non c’è più stato dal momento in cui si è rincontrata col gli altri.
Parliamo di un caso in particolare, però…

Satoshi. Il fratello della bambina (che, ricordiamo, tanto “bambina” non è) ha un bel problema dal punto di vista della caratterizzazione, ma ciò che rende questa mancanza più visibile è il come il fandom ha recepito il personaggio.

Il ragazzo infatti sembra che nel corso del gioco abbia una doppia personalità.
A parte le battute scontate, purtroppo il personaggio di Satoshi si scinde nel “Satoshi quotidiano” (durante le situazioni di classe, come ad esempio l’introduzione del gioco intero) ed il “Satoshi sovrannaturale” (quando si trova alla Heavenly Host).

Durante le situazioni quotidiane lui è o un espediente comico, o un espediente amoroso: è il classico ragazzo posato, fifone, quello che le ragazze vogliono per via della loro Sindrome da Crocerossina, in breve. Una cosa che anche superficialmente da fastidio sono le scenette ridicole che ha soprattutto con Naomi.

“Ma che hai, Satoshi?! Riprenditi! …E allontanati da me! Quello è il mio petto!”

Purtroppo per via di questi tipi di scene, Satoshi è visto in generale dal fandom solo come questo tipo di personaggio, e ciò vanifica tutti i suoi sforzi e i valori che mostra alla Heavenly Host, dove si dimostra prima di tutto molto paziente (a tenersi una bambina come Yuka…), e praticamente uno di quelli che porta buonsenso non facendosi scalfire da ogni orrore che vede alla Heavenly Host, senza neanche piangere mai (…per ogni minima cosa come qualcuno).

Anche nelle situazioni più disperate come quando perdette Yuka nel quarto capitolo  si è sempre rialzato pensando giustamente: “Se mi piango addosso non risolvo nulla”… E non è una cosa da tutti in questo gioco.

Ma ricordiamo che pur riuscendo ad alzarsi, e poi persino ad aiutare per tutto il tempo Naomi, Satoshi aveva per tutto il tempo il dubbio perenne che sua sorella fosse morta per mano di qualche fantasma, qualche fotografo schizzato, o qualcuno che vuole sostituirsi a lui come fratello perché Satoshi stesso l’ha lasciata da sola. Oltre all’eventualità che una persona a lui cara sia stata uccisa, si aggiunge molto probabilmente il senso di colpa dato dal fatto che è come se avesse “collaborato” a farlo.

“Mi dispiace… Mi dispiace tanto…”

Poteva usare altre frasi per consolarla, ad esempio uno dei suoi classici “Va tutto bene”, oppure “Grazie a Dio sei viva”, come dice Naomi dopo…

Invece si scusa. In questa scena entrambi i pesi se li toglie dalle spalle, sapendo che Yuka è viva e non pensa che lui sia complice della sua ipotetica morte. Questo ragionamento è stato scaturito più che altro per la scelta di parole fatta.
Insomma, in generale si è sempre dimostrato un ragazzo forte di stomaco e d’animo e ciò gli fa onore da un certo punto di vista, rispetto ad altri personaggi che incontriamo nel gioco.

Per molti è sicuramente un personaggio noioso (alcuni sono anche infastiditissimi da Satoshi anche se esiste di molto, molto peggio) perchè diciamocelo, è anche abbastanza piatto, ma anche se fosse non è quello il vero fastidio che dà il personaggio e il problema di cui vorrei parlare.

Purtroppo una buona parte dei fan per questo lo vede solo come il codardo “bravo ragazzo” che abbiamo nelle molto, molto scialbe scene quotidiane perché purtroppo viene trattato così in quelle scene! Era come se non sapessero dove andare a parare con lui, se andare per lo stereotipo del “ragazzo disagiato” o quello di “main character forte che salva tutti”.

Il punto è che il suo cambiamento, come abbiamo accennato prima, non sembra neanche graduale ma bensì molto repentino. Dall’introduzione del primo capitolo vediamo una persona, poi nel secondo capitolo (dove appare per la prima volta alla Heavenly Host) ne abbiamo un’altra, e questo “passaggio” non è causato da eventi che l’hanno fatto cambiare in qualche modo, perché Satoshi è forte fin da subito appena entra nella scuola, quindi il suo non neanche è un character development… È semplicemente un’altra personalità non giustificata in alcun modo.

Quindi purtroppo Satoshi Mochida risulta un personaggio incoerente.

In breve, la bilinearità dei personaggi (binari sia nelle loro nature sia nelle combinazioni delle coppie che si vedono nei vari capitoli) è utile a creare un conflitto di base per la messa in scena, ma non abbiamo in realtà una reale presa di coscienza sulle loro identità ed i contesti in cui sono inseriti.

Concludendo…

Questa è stata la prima fermata della macchina del tempo.
Come primo articolo della rubrica si è rivelato difficile da affrontare, dati i numerosi dati da dover ricercare per poter parlare al meglio di una serie che ha avuto una storia così lunga.

Corpse Party, un mucchio di cadaveri ma anche di buone idee, alcune riuscite e altre disperse per la strada. Una serie non ancora abbandonata dai produttori (vedasi la data di rilascio di Corpse Party 2: Dead Patient, aprile 2019), che probabilmente non avranno perso di vista il loro sogno: quello di un grande colosso commerciale. E tutto questo, cominciato solo da un HOR-RPG sviluppato, nel 1996, con RPG Maker (Dante98), tool affabile per tutti, ma non da tutti apprezzato.

Introduzione

“Grande Giove!”

Questa fu la reazione di Doc in “Ritorno al Futuro” quando vide la sua macchina del tempo funzionare. Questa rubrica ricorda qualcosa di simile… Ma non parleremo del viaggio nel passato di Martin McFly che c’è nel film di Zemeckis, bensì di un viaggio nel passato nel campo degli RPG Horror (una corrente che sintetizzeremo, per comodità, HOR-RPG) ripercorrendo loro storia iniziata, all’incirca poco meno di dieci anni fa.

Perchè non allarghiamo questo discorso ai titoli creati su RPG Maker in generale?

Fin dai primissimi titoli usciti, il genere RPG Maker Horror si è molto differenziato da altri giochi fatti con lo stesso tool per tipi di trame, personaggi, stili, e personalità generale del titolo tanto che, vedendo il tool, a tratti non ci credevamo che quelle atmosfere che vedevamo in quei giochi fossero state sviluppate con un tool fatto prevalentemente per videogiochi fantasy.

Ma ripercorriamo per un attimo alcuni periodi di questo tool, in circolazione dal 1997 in Giappone.

Per l’analisi di più o meno tutti i periodi consigliamo prima di tutto un articolo del sito pcgamer.com e se il lettore è interessato, anche Ele ha avuto l’occasione di analizzare meglio la storia di RPG Maker.

Ecco, “voliamo” direttamente al periodo che va dal 2007 fino al 2016.

Nel 2007 uscì RPG Maker VX con Degica come publisher, che plasmò meglio la community dando dei forum, mettendo l’intera serie su Steam e altre belle operazioni… Ma creò anche gli RTP. Le intenzioni di Degica erano prettamente dettate dalla necessità: nei primi periodi di RPG Maker fino a VX si saccheggiavano risorse da altri giochi e si adattavano al tool, ma questi “Run Time Packages”  (risorse di default integrate nel programma) hanno creato una vera e propria piaga nel periodo VX e anche VX Ace, con sviluppatori fuori controllo che mettevano sullo Steam Greenlight, anche a pagamento, giochi tutti uguali con le stesse sprite, gli stessi tipi di mappe e in generale risorse tutte uguali.

Per questo RPG Maker iniziò ad avere una ben visibile cattiva reputazione.

Ma, secondo noi, una corrente ha sempre in parte salvato il programma (soprattutto in questa fase critica) anche prima di quest’ondata di titoli.
Fin da Yume Nikki nel lontano 2004, l’RPG d’orrore giapponese ha sempre avuto una marcia in più e fu quasi sempre acclamato dal grande pubblico, stimolando l’interesse nei confronti del tool.

Noi stesse, finchè non ci siamo addentrate nella community, non sapevamo nemmeno della cattiva reputazione di RPG Maker, e pensavamo solo “wow, con questo programma è stato creato X”.

In breve, per noi la corrente HOR-RPG è stata importante anche nella storia del programma perché ha saputo creare un’impronta nel panorama videoludico generale usando RPG Maker.

Ebbene, tutto questo ci aiuterà anche nella scrittura e nel confronto con le normali recensioni…

  • Nella rubrica Back to the future saranno presenti i giochi, analizzati in maniera diversa dalle normali recensioni, che hanno avuto una grande influenza nella corrente RPG Horror, contribuendo a definirne un’immagine-tipo. Per fare un rapido esempio, aldilà dell’ormai classico Ib, tra i giochi di Uri quello che ha avuto più influenza nella corrente e perciò nel grande pubblico è stato “The Crooked Man”, non “Paranoiac” o “The Boogie Man”. Questo vuol dire che questo titolo potrebbe comparire nella rubrica, gli altri no.

Come analizzeremo allora questi titoli? Con che faccia li gerarchizziamo a questo modo?

  1. Storia del prodotto

    – A volte potrebbe comprendere la ricerca e l’analisi della storia dell’opera dalla sua creazione a distribuzione, ma nella maggior parte dei casi saranno analizzati (spesso per mancanze di dati) l’impatto che questa ha avuto sul pubblico –grande pubblico– e in che contesto è stata lanciata. Parliamo di “grande pubblico” quando intendiamo tutti quei tipi di spettatori o giocatori che con la community di RPG Maker non hanno niente a che fare, che spesso nemmeno sanno cosa sia questo tool. Il pubblico diventa quindi per noi un metro di misurazione dell’impatto dell’opera nel “mondo esterno” , analizzare che tipi di fandom sono nati dai titoli che sono diventati un’icona della corrente, quindi diventano in certi casi veri e propri fenomeni mediatici, e nel prossimo punto cercheremo di capirne anche il motivo.

  2. Asso nella manica

    – O come si potrebbe definire, l’individuazione di una linea di riconoscibilità

  3. Termometro della professionalità

    a) Packaging – Distribuzione del titolo. C’è stata una ricerca del target? Da cosa si intuisce?
    b) Rapporto autore-opera – È possibile dare un profilo all’autore? È una singola persona o un team? Come può definirsi il suo rapporto con l’opera, c’è un legame emotivo o un distacco completo?
    c) Difetti dell’opera – Di che tipologia sono? Possono considerarsi gravi o no?

Ahi ahi ahi. Sì sì, vedo qualcuno di voi storcere il naso sul terzo punto. Già, con quale presunzione ci mettiamo a giudicare la professionalità degli altri?

Un auto-gol da parte nostra, una mossa ipocrita, visto che diventando a nostra volta produttrici attive di contenuti faremmo accuse che ci si potrebbero ritorcere contro forse più delle recensioni.

Lasciateci offrire una valida spiegazione: con professionalità NON intendiamo parlare della capacità produttiva degli autori.

Innanzitutto per lungo tempo la corrente HOR-RPG non è stata altro che una minima parte della più larga produzione di giochi indie, spesso che si trovavano in maniera casuale sul web (citando un post di un gruppo Facebook dedicato: “il piacere della scoperta”). Con questi tipi di giochi normalmente i casi eccezionali che riescono a raggiungere effettivamente un largo impatto a livello mediatico sono pochi (citiamo il caso “Undertale” o già citato in una recensione, “Doki Doki Literature Club”). Normalmente si giocano questi titoli per relax, non ci si preoccupa di sviluppare dei metri di giudizio perché le aspettative sono relativamente basse.

Eppure al giorno d’oggi stiamo assistendo a dei cambiamenti, e non ci riferiamo soltanto ai più recenti reboot (quelli potrebbero essere oggetto di recensione ma non trattati nella rubrica) o ai giochi che stanno diventando a pagamento.

Le possibilità che si sono aperte ad alcuni (come il team di “Pocket Mirror” che ha fatto la fortuna da quel gioco e ora sembra star distribuendo un titolo su Playstation), o team che producono titoli con un certo incarico al fine di venderli a un certo prezzo e svilupparci del merchandising ed elevato grado di distribuzione con altri media e console (vedi caso di Angels of Death) ci sembra il caso di iniziare a fare il punto della situazione: entrambi i titoli vengono orgogliosamente introdotti nella corrente “RPG Horror”, in cui anni fa Ib (ma forse prima ancora Yume Nikki e Ao Oni) vedeva introdurre il boom mediatico e poi con Fummy (autore/trice di The Witch’s House) e Sen (autore/trice di Misao e Mad Father) sono state gettate le caratteristiche che hanno definito il genere.
Stiamo parlando di possibilità interessanti nate dalla “semplice produzione di titoli RPG Maker”, considerato tra i tool di produzione videoludica più semplici da usare.

Devi sapere, caro lettore, che la primissima recensione che abbiamo fatto tempo fa riguardava un gioco sviluppato su RPG Maker (non era della corrente horror) che si intendeva portare sugli scaffali –da quanto se ne intuiva–. Quindi la grande domanda a cui cercheremo delle risposte è questa:

Davvero l’universo RPG Maker è relegato ad essere un fenomeno amatoriale? O si potrebbe investire su un nuovo mercato?

Da “Les cahiers du cinéma” a “Les quatre-cent coupes”

Questo potrebbe rispondere più in generale alla domanda: perché fate critica e recensioni degli altri giochi?

Nella storia del cinema in cui i nuovi criteri messi in gioco dalla critica francese hanno contribuito alla nascita di un nuovo modo di guardare il cinema: come arte. Spesso gli stessi critici sono diventati autori di film, questo in un contesto nel quale il cinema era visto come mera industria, in cui, secondo alcuni storici, non si puntava a raggiungere un alto livello espressivo.
Ebbene, noi non ci troviamo ovviamente in un contesto simile, sappiamo bene che stiamo parlando di realtà totalmente differenti. Tuttavia vogliamo trovarci una similitudine con la situazione di cui stiamo parlando: proprio perché questa corrente come altre ha indossato per lungo tempo il costume dell’amatorialità –anche se crediamo che sia quella che, di titoli prodotti con questo tool, si è avvicinata di più al grande pubblico–, ora quel costume si sta sfaldando per far spazio a un’identità di mercato.
Se proprio deve nascere un mercato in cui investire, quello che speriamo è che noi, come spettatori e giocatori, saremo tutti pronti a riceverlo.

 

– Se per la nostra prima recensione abbiamo voluto rendere omaggio alle nostre fonti di ispirazione, tra queste non possiamo non citare, dato il diverso spirito critico che cerchiamo di mettere in atto, Flame88tongue, che sviluppa ottimi discorsi critici sui film d’animazione.