Pocket Mirror – “The cake is a lie”

Bentornati! Dopo ben tre articoli dedicati a Cloé’s Requiem torneremo a parlare di un titolo di cui attualmente v’importa qualcosa!

Siamo usciti dal teatro…

O meglio, dalle più classiche maschere teatrali che abbiamo dimostrato e tolto durante l’analisi del titolo di Buriki Clock…

Ma oggi torniamo ad usare la parola “spettacolo” grazie al team Astralshift Pro.

Nei precedenti articoli abbiamo quasi sempre parlato di un developer solitario o di un duo… Ma oggi allargheremo il nostro campo d’azione ad un team intero. A Pocket Mirror ci hanno lavorato circa 8 persone.

Ma perché torniamo ad usare il termine “spettacolo” con loro, come abbiamo fatto con Mad Father e Cloé’s Requiem, seppur in due contesti differenti?

Beh, ragazzi, per rispondere dobbiamo prima guardarci in faccia.
Perché Pocket Mirror vi è piaciuto?
Guardate il potrait della protagonista, la cornice, la mappa, le luci…

Mio Dio, sono quasi stucchevoli.

Già da questa semplicistica analisi di uno screenshot possiamo intuire che siamo arrivati al titolo che nella corrente RPG Horror rappresenta un’era che va avanti fino ai tempi odierni. È maledetta da tanti e allo stesso tempo osannata da altrettanti, inconsciamente o meno.

Essa è l’era dello spettacolo prettamente visivo, della cosiddetta “grafica”, che ormai è diventato elemento principale (assieme alle metafore, non dimentichiamo quelle!) per valutare un videogioco come “arte” o come marciume da gettare ai cani! In quest’articolo inizieremo a parlare di questo, ragazzi!

Ma tralasciamo queste introduzioni, ora.

Diciamocelo, introducono in modo fin troppo generico tutto ciò di cui tratteremo…
Alla fine servono solo ad attirarvi, a costringervi per un motivo o per l’altro (chissà, qualcuno anche per vedere a quanto arriva una nostra probabile pretenziosità) a sedervi per ore a leggere tutto quest’articolo, per poi guadagnarci solo le nostre analisi nella vostra testa, e riflessioni che possono essere giuste o sbagliate…

Non so voi, ma in tutto questo ci trovo delle certe somiglianze con…

Pocket Mirror.

 

STORIA DEL PRODOTTO

Ma adesso, iniziamo le danze!

Dati i miei smanettamenti nella Wayback Machine, possiamo dire che il development è iniziato verso il 2013. I primi segni di vita sull’internet del team Astralshift sono su Tumblr, dove iniziavano già a fare update settimanali.

…E alcune anticipazioni su cosa sarebbe stato esattamente il gioco.

(…Lo scritto continua, cliccare sull’immagine per il link)

Quindi il team dietro Pocket Mirror, rispetto ad altri developer che abbiamo trattato qui negli Archives, non ha iniziato la sua attività con il rilascio del gioco, facendo fare la sua storia ai giocatori. Astralshift ha iniziato a mettere hype già da quando il gioco era al 10% di development.

Anche se non sembra, essendo il “fenomeno dell’hype pregressa” nuovo nel panorama RPG Horror generalista, questo rende la Storia del Prodotto di Pocket Mirror molto importante per il nostro studio della corrente in questa rubrica. Questo gioco ha dato secondo noi una spinta più professionale ai team di developers che sarebbero venuti dopo di loro. Ma approfondiremo quanto e perché Pocket Mirror sia stato importante nella corrente nell’Asso Nella Manica, che oggi sarà un po’ diverso, oltre che nel Rapporto Autore-Opera.

Tornando al lontano 2013 e all’ask blog bianco e blu.

Pubblicavano informazioni sul gioco e rispondevano alle domande dei fan, che già non aspettavano altro che vedere più contenuti…

Ma è possibile fare qualche teoria sul modo esatto in cui sono cresciuti così tanto da Tumblr dai primi ask che hanno avuto.

(Si, per completezza ho riportato l’intero scambio)

“Anonimo. Noi stiamo chiedendo di VOLONTARI.”

Può essere una teoria che la diffusione di post o qualunque cosa che avesse a che fare con l’assunzione di volontari abbia reso famoso il team, dato che per alcuni loro siti già avevano dimostrato di avere artisti molto capaci nel loro primo team principale in stato di early development; anche se non è da escludere che dopo una iniziale ascesa su Tumblr abbiano chiesto l’aiuto di volontari solo lì, le ipotesi sono solo queste due.

Quindi, in generale, è possibile immaginare che siano andati avanti così per un po’, tra alti…

E qualche basso…

Fino ad arrivare al 2014.

22 Gennaio 2014, la demo di Pocket Mirror viene rilasciata.

Per la già citata qualità grafica, per le premesse che per molti sono sembrate interessanti e per il fatto che ci si potesse già mettere mano grazie ad una demo, Pocket Mirror già da quell’anno si è guadagnato commenti perlopiù positivi.

Così come vari gameplay, e in generale tutto il progresso che abbiamo già osservato, studiato e ri-studiato tramite tantissimi altri titoli divenuti popolari…

E tutto ciò già dalla sua demo.

E qui torniamo al discorso che avevo citato precedentemente, sull’hype pregressa e la popolarità di un gioco ancor prima che esca, abbandonando totalmente i canoni dello “sviluppatore indipendente che fuori dal nulla pubblica un videogioco”.

Quindi Pocket Mirror, per via di queste più elaborate operazioni di distribuzione, diventa molto famoso… Ma gli autori non svaniscono nel nulla.

Oddio, mi sto commuovendo!

Infatti ragazzi! Il passo fatto da Astralshift è più grande di quanto pensiamo! Data la grande possibilità di creare contenuti grazie al buon numero di persone che lavorava al progetto, il team si è sempre tenuto attivo sui social tra contenuti creati da loro stessi e dai fan, che si sono sempre tenuti stretti con costanti post e persino degli stream!

Si sono quindi comportati come una grande casa di produzione.

Il loro lavoro è stato quindi propriamente ripagato, con fan che considerano il gioco un “masterpiece”, il “miglior RPG Horror della nostra epoca” e altre frasi assolutistiche simili che, come vedremo nei Difetti Dell’Opera, possono essere tranquillamente smentite.

Questo grande successo li ha portati a creare un prequel a Pocket Mirror:
Little Goody Two Shoes, ancora in stato di development, ma che già vuole farci vedere come Astralshift abbia tirato fuori ancora di più le big guns, e darà prova di concetti che presenterò nella conclusione di questa Storia del Prodotto.

Quindi ragazzi, dato che Little Goody Two Shoes è ancora in development, quindi non può essere giudicato in modo completo, questo brevissimo riassunto di un successo costruito in circa 4-5 anni finisce qui.

Posso dirvi che la Development History di questo gioco la considero un po’ borderline. Astralshift non è stata tanto nell’anonimato come i vari developers giapponesi che abbiamo trattato qui, ma Pocket Mirror non è stato neanche un caso mediatico grande quanto il titolo che tratteremo per la fine di Back To The Future, Angels Of Death.

Dunque… Considerate questo gioco come un grande ponte tra due prospettive differenti di game development nella corrente RPG Horror.

Nella nostra linea del tempo abbiamo scelto Pocket Mirror come articolo successivo a Cloé’s Requiem e precedente ad Angels Of Death per via del fatto che nella storia che comprende i titoli più significativi della corrente HOR-RPG (da quanto non usavo quest’abbreviazione?) questo fu il titolo che ha fatto avvicinare questa corrente a qualcosa meno di nicchia, qualcosa di più vicino al panorama degli indie game in generale, e più lontano dall’immaginario che si era creato attorno a questi titoli horror fatti con RPG Maker (prevalentemente) con tutte le loro caratteristiche.

Ma non sarò io ad analizzare al meglio questo grande passo avanti.

Pao, a te!

Va bene, ci sono.

Dunque, abbiamo detto che questo paragrafo sarà piuttosto differente da quello di cui abbiamo discusso finora; come mai?

Sappiate solo che in questo preciso momento sto ascoltando malinconicamente Keith Mansfield – Funky Fanfare per farmi forza mentre rimpiango lo schifo di Asso nella manica che ho scritto per Ib. Ai tempi feci un discorso sul contesto che è andato veramente troppo fuori, togliendo un sacco di spazio all’analisi interna del titolo…Penso di averlo un po’ trascurato.

In ogni caso, insomma, non potevo non farmi prendere dalla nostalgia perché sappiate che il paragrafo “Asso nella manica” per Pocket Mirror sarà trattato allo stesso modo. Davvero, è stato un passaggio importante ragazzi.

Ora, fermo restando che a me questo gioco fa innervosire sotto vari aspetti e per questo ci sono varie ragioni per cui non appoggio il progetto, ma non posso non riconoscere che hanno gettato delle nuove aspettative nel pubblico.

Sputerò subito il rospo perché è inutile per tutti girarci intorno: l’asso nella manica di Pocket Mirror, la caratteristica che l’ha reso unico agli occhi dell’audience, è stata la spettacolarità delle grafiche.

Ecco, e ora che finalmente ho sfornato una sentenza che possa essere più chiara possibile fin dalla prima lettura possiamo sbracarci e chiacchierare insieme un po’ del contesto storico.

In genere bisogna considerare come al giorno d’oggi i tipi di titoli che spopolano sono quelli, ad esempio, che usano dei tileset più ricercati (più o meno, è un argomento un po’ spinoso in realtà questo) ma soprattutto nei potraits (busti dei personaggi) mostrino delle grafiche anime che siano in qualche modo riconoscibili come dei normalissimi prodotti commercializzabili.

Proviamo soltanto a dare un’occhiata insieme e cerchiamo di dare un prima e un dopo.

2011 – 2013

(Dall’alto verso il basso: Paranoiac – Versione originale, Hello Hell…O?, Seven Mysteries, Sukuttee)

2012/2014
(Versione originale/Remake che conosciamo tutti)

Se vi ricordate, avevamo parlato di quanto la prima generazione sia stata caratterizzata da una certa variabilità nei titoli, con ad esempio stili di disegno sempre differenti…

Mentre i giochi più vecchi, oppure diventati classici nello stesso periodo, si occupavano di andare al passo con il progresso e “commercializzarsi” di più, come vedremo tra poco.

2014-2020 (Presente)

(Angelic Syndrome, The Case Book Of Arne, Noel And The Mortal Fate, Claroscuro. Non siamo ad oggi sicure se Arne sia un RPG Horror della corrente effettivo, ma viene considerato tale, così come Noel And The Mortal Fate.)

Ecco, avevamo anticipato questo discorso con Mad Father. Mad Father possiamo dire che è stato il pioniere in questo senso, Pocket Mirror è stato un degno successore.

Possiamo dire che questo è stato un altro importante passo che ha iniziato a definire il tool come “un buon mezzo per raccontare le proprie storie”; e soprattutto questo è accaduto tramite la corrente degli RPG Horror.

Vedremo le conseguenze di questo in futuro, l’ultimo articolo sarà sul gioco-anime per eccellenza in questo panorama, Angels of Death, titolo finito anch’esso sotto le ali della Kadokawa che lo ha sfruttato al massimo l’idea per infondere la speranza, ai giovani sviluppatori, “di poter produrre degli anime a basso costo con il tool dell’Enterbrain!”.

Per il momento non possiamo dare certamente la colpa a Pocket Mirror, che ha voluto spingere al massimo le proprie risorse cercando, a detta degli stessi autori, di produrre dei “pezzi d’arte”. Quindi proviamo a fare un re-cap della situazione: non solo dobbiamo ringraziare Pocket Mirror per aver dimostrato, ancora una volta e con l’evoluzione della grafica, di poter produrre dei titoli di largo valore commerciale, ma dobbiamo anche ringraziare per la qualità estetica di questi rinnovamenti.

Ora parlo a chi usa il tool RPG Maker. Dai ragazzi, siamo onesti, quanti di noi li hanno invidiati vedendo come avessero alzato le aspettative per la grafica di un videogioco indipendente?

Ci sono delle imperfezioni che lo rendono un titolo piuttosto amatoriale in realtà e sono le ragioni per cui è invecchiato davvero male, lo vedremo nei difetti dell’opera, ma per la natura completa del progetto, per l’identikit professionale che si sono costruiti i suoi autori e per l’inusuale sfogo creativo degli artisti che ci hanno lavorato hanno contribuito a nobilitare la natura dei titoli videoludici amatoriali, in 2D per lo meno (no, non conosco così bene il panorama dei titoli indipendenti in 3D).

La spettacolarizzazione ha invaso un po’ troppo la struttura narrativa principale, ma le impressioni generali sulla rivoluzione qualitativa dell’opera hanno fatto certamente il loro lavoro. Per premiare l’alzamento dell’asticella che si è conseguito mi limiterò a citare i momenti memorabili che hanno caratterizzato l’arco di Lisette, che rappresenta per noi il miglior riassunto di ciò che pensiamo si sia distinto di questo gioco e di cui immaginiamo sicuramente gli autori siano molto soddisfatti.

Ecco, questo screen ve l’avevo citato nell’articolo precedente. Anche se non vuol dire un cazzo di nulla nel suo significato è sicuramente lodevole inserire un’animazione di questo tipo all’interno di un RPG Horror; mi rimandano agli esperimenti che la Disney conduceva con Fantasia per cercare di rivoluzionare la concezione comune che si aveva nei confronti dell’animazione.

Per anticiparvi sui tempi: la Lisette gigante nel suo contesto ha poco senso e poi vedremo il motivo; in Fantasia della Walt Disney ricordiamoci che c’era come idea di base l’accompagnamento musicale; era quello il vero filo rosso della pellicola, l’animazione serviva principalmente a valorizzare la musica classica.

 

Per esempio in questa parte come altre (anche se è una parte di transizione tra l’arco di Harpae e quello di Lisette) ci sono in genere esempi di una bella animazione data solo dall’uso delle immagini su RPG Maker.

E a proposito di menzioni riguardanti l’arco di Harpae se ne merita una quest’area.
Ci tenevo a citare questa zona esplorabile perché la ritengo personalmente una delle più belle nell’arco narrativo più bello del gioco a livello visivo; e poi qui c’è uno dei miei pezzi preferiti della soundtrack.

Un’altra menzione speciale va a questo momento.

 

Ecco, già, l’inseguimento. Lo cito perché è stato considerato da alcuni una vera piaga da affrontare. In altri contesti ci si potrebbe arrabbiare per l’apparente infattibilità nel risolverlo, perché davvero era impossibile capire a primo impatto come orientarsi; ma in questo caso voleva essere una mera scusa per fare qualcosa di diverso e stimolare il giocatore a provare un tipo di esperienza differente dal normale, bisogna dargliene atto.

Questo paragrafo si conclude con due considerazioni finali.

Anzitutto citerò qui per la prima volta il concetto di Market Driver, lo inaugurerò con questo articolo per due ragioni.
La prima ragione è che si tratta di un termine che ho appreso quest’anno (molto semplicemente, un upgrade culturale); la seconda ragione è che in questa generazione sarà sempre più frequente trovare dei titoli a pagamento, quindi possiamo difatti iniziare a definire un mercato nel senso più teorico del termine: scambio di servizi o prodotti in cambio di denaro.
In realtà su questo potremmo fare una riflessione e ripercorrere gli altri contesti in cui abbiamo trattato il Rapporto Autore-Opera in termini di merchandising e capire effettivamente gli anni o i periodi in cui si è diffusa la pratica anche per i titoli relativamente più vecchi, per cercare di contestualizzarla.

Ecco, cominciamo con il ricordarvi che nel 2014 è uscita la demo di Pocket Mirror e nel 2016 è avvenuto il rilascio ufficiale. Riguardiamo un po’ assieme cos’era successo durante questo arco di tempo.

Per dire: ora si vende questo.


Davvero Fummy? Ma che caz- Cioè, ma come cacchio ti è venuto in mente?

Questo per farvi capire che, in attesa di mutazioni che possano ancora di più estendere e professionalizzare questo mondo, siamo arrivati a parlare appunto di una corrente che, nata da autori casuali distribuita su delle piattaforme gratuitamente ora si è arrivati ad avere dei referenti su cui si possa fare del merchandising sopra, cosa che per il momento negli Archives ci eravamo limitate a fare degli elenchi che ora, se ci pensate, acquistano un significato.
Prima di passare alla seconda considerazione, probabilmente l’avrete intuito da voi, ma vi spiego di cosa parliamo quando introduciamo un termine come “Market driver”: questo fa riferimento nientepopodimeno ai nuovi indicatori che caratterizzano un mercato e Pocket Mirror è stato in questo senso un agente attivo perché, come abbiamo detto, ha cambiato l’approccio dell’audience alla corrente. Prima esistevano gli autori casuali, anonimi, ora ci sono i team di produzione che si presentano con dei chiari loghi per essere riconoscibili. Prima andavano bene titoli come Ao Oni o Akemi Tan in cui bastava giocare e scappare da un mostro per divertirsi; ora si vuole la centralità di un personaggio di cui seguire le vicende MA NON SOLO: il prodotto deve essere confezionato in un certo modo e possibilmente deve vantare una certa profondità, perché al giorno d’oggi ci sono dei giocatori che definiscono “cheesy” le cutscene di Mad Father.
Parleremo ancora una volta del contesto produttivo per fare altre riflessioni, perché per il momento ci soffermeremo su questo secondo aspetto per fare la nostra seconda considerazione.

…E questa è a proposito della profondità.

Forse alcuni di voi potrebbero essere rimasti perplessi che non sia stato inserito, come Asso nella manica, il “simbolismo” che questo titolo vantava di avere: la mia risposta è, anzitutto, che qui non c’è nessun tipo di simbolismo da raccontare.

Fermi con i forconi, ci eravamo già arrivate da tempo che qui si parla principalmente di frantumazione delle identità.

Anzi, vi dirò di più: per quanto gli autori o dei fan potrebbero venire qui a parlarmi del significato di una scena, per quanto potreste parlarmi dei significati delle video-presentazioni dei personaggi o dirmi “heey, guarda! Lei ha fatto la promessa con Harpae perché non si fidava della sua isteria crescente rappresentata da Lisette! Questa è una grande metafora sulla costrizione sociale e la costruzione della nostra identità! Ed è una santarellina perché il suo lato di “Fleta” da piccola è stato represso!” io non mi lascerò mai convincere che esista del simbolismo in questo gioco perché in primis non è stato MAI contestualizzato.

Non c’è alcuna forma di coerenza tra un arco d’esplorazione e l’altro, tutto è fine a sé stesso. Per cercare di farvi capire io la prendo un po’ come la sottotrama della Kotori Obake in The Forest of The Drizzling Rain: che la storia parli della maternità e degli abusi subiti non serve nulla alla trama principale; ma questa non è la sezione per parlarne perché i problemi di Pocket Mirror li affronteremo successivamente. Il motivo per cui vi propongo questa seconda considerazione è perché abbiamo notato con Ele una crescente richiesta di domanda, da parte dei consumatori della corrente, di seguire “trame” di titoli che si manifestano tramite simboli e dettagli da scoprire; sembra che da un lato si cerchi una “bella esperienza così da far passare delle belle ore, senza impegno” e dall’altro si cerchi invece “la grande opera dalle molteplici sfaccettature e significati che NOI dobbiamo capire così che NOI facciamo le nostre teorie e NOI usiamo la NOSTRA fantasia con una base data da qualcun altro”. Si vede che ci ha messo lo zampino Ele in questa parte, eh? Sempre così aggressiva…

Bene, avete visto sottolineata la parola “noi”, “nostra” … No, non è per un qualche tipo di tendenza filo-comunista, ma è per un discorso che tratteremo più nel dettaglio nell’articolo dedicato al rapporto Audience-Opera… Dove parleremo anche di un titolo che sta prendendo molto piede di questi tempi.

Quindi, insomma, Pocket Mirror ha soddisfatto un desiderio molto recente oggi, quello del “ragionare sull’opera”: gli autori l’hanno sempre trattato come un gioco metaforico e i fan gli hanno creduto sulla parola, così hanno provato a raccattare quel che si poteva, si è trovato un significato profondo… E improvvisamente il gioco è diventato un masterpiece. Come dicevo, su questo intero discorso ci torneremo, ma per adesso possiamo solo dire…

Well played, Astralshift. Well played.

 

TERMOMETRO DELLA PROFESSIONALITÀ

Molto alto.

Molto alto perché, come sapete, quando ci approcciamo con il termometro della professionalità questo si riferisce non solo ai singoli titoli ma al modo in cui è trattato tutto quello che viene prima e dopo di questi…

Ed in questo senso gli si deve riconoscere: sono dei professionisti che si sono fatti da soli. Quindi per questa occasione il termometro non si distrugge. L’abbiamo incerottato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come aveva osservato Ele nella Storia del prodotto possiamo renderci conto degli approcci, appunto, veramente professionali che hanno della loro personalità creativa. Basta che guardiamo al modo in cui usano le piattaforme social: sanno che hanno fatto un prodotto innovativo per i suoi tempi e lo riconoscono, vogliono valorizzarlo e sanno farlo bene, si sanno vendere.

È una cosa che tenevamo a valorizzare perché ci rendiamo conto quanto cavolo sia difficile costruire un’identità pubblica. Ma di questo ne parleremo meglio nel Rapporto Autore-Opera, perché è un tema piuttosto scottante al giorno d’oggi.

 

PACKAGING

Ovviamente il packaging è un riassunto di quanto abbiamo detto finora.

Perfetto: già dal menù una grafica spettacolare invade il tuo schermo, con tanto di frammenti di vetro volanti, l’occhietto di Goldia che si apre…

Anche se a mio parere questo menù è poco adatto ad un videogioco semplicemente perché così le scelte diventano “poco visibili” e poco pragmatiche nel loro utilizzo. Quindi niente, in breve è davvero poco pratico. Sì lo so che è uno script, ma utilizzato in questo modo è quasi infattibile secondo noi. Cioè, davvero è tutto sovrastato dall’immagine che ti si piazza davanti.

Per quello che poi riguarda il menu principale e quello degli item…

Fa sorridere che abbiano usato anche qui degli script a cui hanno solo aggiunto degli arricchimenti grafici. Guardate, lo script che hanno usato è quello di Moghunter. Vedete? Anche Midnight Train ce l’ha uguale.

 

Cioè, è quello davvero, lo hanno arricchito con delle cornicette. Riconosco che hanno un bel senso estetico ma a questo punto perché non hanno fatto un menù con le variabili?

Così, chiedo. Giusto perché visto che questo è un titolo che vuole spingere i suoi limiti e l’ho preso in parola.

RAPPORTO AUTORE-OPERA

Eccoci qua; ultimamente devo dire che questo paragrafo è sempre più… “Acceso” da qualche articolo a questa parte.

Qui in realtà non stiamo facendo altro che sottolineare l’approccio “lineare” che ha Back To The Future: riprendere in mano un discorso che avevamo fatto già con i primi titoli delle prime generazioni. Vi ricordate, no, quanti paragrafi spesi su Ib e Mad Father per parlare dei nuovi contesti produttivi in cui erano nati e le nuove caratteristiche che avevano portato alla corrente HOR-RPG?

Quando parlavamo poi del Rapporto Autore-Opera erano per lo più rapporti abbastanza complicati, legati soprattutto al fatto che dopo il primo titolo, il loro “nome” moriva. Avevamo parlato del problema di sen e dell’effetto super nova che puoi avere su Internet, soprattutto di qualcosa che non è ben stabilizzato; abbiamo parlato anche dell’effetto che può avere se un developer si affida ad un’azienda di distribuzione più potente: qui è davvero valida la tenacia con cui il brand cerca di sopravvivere.

Questi commenti sono stati postati sotto il trailer del titolo presentato al concorso – AstralShift, a proposito: questo io lo definirei semplicemente un ottimo gioco commercializzabile; suvvia, non c’è nulla di male nel non definirlo artistico. Davvero, non è artistico è…Semplicemente molto molto professionale e vi faccio già i complimenti per questo.

Eh, che dire ragazzi, altrimenti perché secondo voi avrebbero partecipato ad un concorso?

Sono attività che normalmente si fanno per essere notati da un editore, si partecipa per cercare più visibilità certo ma soprattutto per ottenere degli appoggi esterni: per la distribuzione e soprattutto per cercare una sorta di stabilità (e questa è un’ulteriore ragione per cui ritenevamo importante interessarsi al mondo degli editori) …E sappiamo benissimo cosa significa questo.

Questo periodo storico è diverso da tutti gli altri, è un’epoca di cambiamento dove si affacciano nuove professioni che non sempre si conoscono soprattutto se si affronta quella fase della propria vita in cui si cerca di capire quale sarà la tua identità professionale. Nell’ambito creativo poi, non ne parliamo.

Come dicevamo prima, è davvero tanto difficile prendere consapevolezza del proprio prodotto e capire…

“Ma che io distribuisco questa cosa in pubblico, cosa voglio comunicare agli altri?”.

Non è una procedura scontata, nella nuova descrizione di “What are Archives” l’abbiamo dichiarato: anche noi per avere la consapevolezza che pensiamo di avere adesso gli Archives hanno svolto un ruolo fondamentale perché ci hanno sempre costretto ad approfondire altre realtà che non ci appartenevano. E poi provando in genere in prima persona l’esperienza: anche capire come monitorare al meglio gli strumenti mediatici che si hanno a disposizione ed essere attivi su questi per cercare di mantenere una facciata più professionale possibile non è una favoletta.

Tutto questo discorso ci può portare ad una riflessione interessante sul rapporto che AstralShift aveva con Pocket Mirror, nonché potrebbe portarci a scoprire insieme con quali intenzioni abbiano prodotto il gioco…

Ovvero come una fuga psicotica dall’amatorialità.

La ricerca di volontari, le grafiche di alta qualità, lo stile di disegno manifestato nei video, i tentativi costanti di produrre un titolo che fosse esagerato e non da meno è stato accettare i fraintendimenti e le incomprensioni affermando che questo sia un titolo simbolico pur di mantenere tutti gli elementi di immersiva spettacolarità al suo interno.

In breve quello che posso interpretare da questi atteggiamenti è che Pocket Mirror in realtà non vuole davvero raccontare qualcosa, non vuole affrontare un qualche tipo di tema al suo interno ma è un semplice tentativo disperato, a cui ci si è aggrappati con le unghie e con i denti, per dimostrare che si è in grado di rivoluzionare il panorama videoludico indipendente. Un gioco nato per dimostrare qualcosa a qualcuno.

Anche il numero delle persone coinvolte sembra un punto a favore della mia tesi; il ché, riflettendo assieme a voi su tutto quel deprimente discorso che abbiamo affrontato non può che farmeli guardare con grande ammirazione. Vogliono dimostrarci che è possibile trattare il panorama creativo indipendente delle opere audiovisive e videoludiche come un lavoro dignitoso e da cui si potrà realizzare una professione in grado di darci stabilità.

Ele nella storia del prodotto aveva già detto in fondo quello che contava dire:

“Questo fu il titolo che ha fatto avvicinare questa corrente a qualcosa meno di nicchia, qualcosa di più vicino al panorama degli indie game in generale, e più lontano dall’immaginario che si era creato attorno a questi titoli horror fatti con RPG Maker (prevalentemente) con tutte le loro caratteristiche.”

Per questo, da parte nostra come developers, vi porgiamo un enorme grazie, nonostante saremo molto, molto severe nella sezione “Difetti dell’opera” e avremo le nostre ragioni per esserlo.

DIFETTI DELL’OPERA

D’accordo ragazzi, prima di passare questa parte dell’articolo ad Ele che vi dirà delle cose molto molto importanti preferisco che per questa volta possiamo cavarci subito il dente e rivelarvi subito il difetto principale di Pocket Mirror.

Ebbene…Il difetto più grande è stato nella struttura.

Ohh, sapete cosa significa quando c’è un difetto nella struttura vero? Quando c’è un difetto nella struttura ci sono i tipi di conseguenze più gravi, non ne esci più; è come ferirsi ad un’arteria: queste vanno dalle semplici incomprensioni al vero e proprio fraintendimento.

Avete presente quel senso di vuoto con cui vi siete ritrovati a confrontarvi con il finale?

Provate a indovinare un po’ il motivo: non è altro che l’esito di una storia, vagamente definibile come tale, raccontata per frammenti riempita da fasi esplorative vuote.

Quindi qual è il problema principale? Dov’è il fraintendimento?

Ebbene, in questo caso il fraintendimento sta nelle aspettative. Infatti, una buona parte dei giocatori e degli spettatori che hanno seguito il percorso di Goldia si aspettavano uno sviluppo degli eventi.

E finalmente arriviamo a parlare del problema principale.

È una questione davvero curiosa, perché il modo in cui sponsorizzano i loro prodotti sembra voler raggiungere il famigerato “grande pubblico”: commerciabilità, affezionamento ai personaggi, “lovely artstyle” e via dicendo; tante premesse che poi nei fatti non sono state rispettate.

Ecco, avevo citato il problema già da qui. Ora lo sviscereremo insieme.

Iniziamo con le nostre premesse.

Dunque, come vi avevo già detto recentemente, sempre nella seconda parte dell’articolo di Cloé’s Requiem, una struttura narrativa, o in genere la struttura di un prodotto ha a che fare con la nostra fruizione, dunque con le emozioni che mettiamo a disposizione nel consumo di quel titolo. È lo scheletro che sorregge la logica dei nostri pianti o delle nostre risate, è il cuore che pompa il sangue e mette in vita l’opera per giungere poi dritto al nostro cuore ed è tanto responsabile quanto la buona regia. Le arterie sono quella regia; che trasportano le emozioni verso di noi. Le emozioni sono quel sangue.

Okay, perdonatemi questa piccola citazione e no, onestamente l’adattamento di Coppola non mi piace nemmeno così tanto.

Quindi…

Come dicevamo prima, abbiamo detto che il problema principale di Pocket Mirror, il motivo della “grande bugia”, è che ha tradito certe aspettative da parte dell’audience…Infatti gli autori hanno cercato di giustificarsi in questo modo.

Va bene, va bene EvilHairBrush, rivediamo pure assieme cosa succede in questo gioco. Okay?

Dunque. Eccoci, siamo delle giocatrici alla terza run che si sono riviste questo titolo a distanza di tempo per poterci scrivere un articolo.

Tanto per cominciare abbiamo certamente appurato che noi stiamo viaggiando nella testa di Goldia, no? Attendiamo una conferma da parte del gioco…

Ahh, già, certo, il demone che dovrebbe averle rubato l’identità-

Sì, sì, la povera martire Lisette che si incazza con lei…

(Questo e altri screenshot sono stati presi dai video “Walkthrough | No Commentary” su Pocket Mirror di Soldier-Puffs)

Sì, le citazioni ad Alice in Wonderland; mio Dio, ma volete rispondere alla domanda?

Siamo o non siamo nella testa di Goldia?

Oh, okay. Grazie mille.

Così eh, chiedevo per essere sicura.

Mi date conferma che avete parlato di lei e della sua malattia patologica?

Ohhhhh, okay! PERFETTO.

E allora, scusate, mi spiegate perché, tanto per cominciare, questa ragazza non l’abbiamo vista evolvere nemmeno una volta nel corso della trama?

“Ma vedi che si evolve!!

Piange per Lisette…

Si riconcilia con Harpae…

Affronta Fleta!”

Scusate, io vorrei farvi focalizzare invece su un’altra cosa. Provate a seguirmi.

Arco di Fleta

Arco di Harpae

Arco di Lisette

(Nell’arco di Lisette alla tristezza di Goldia è dedicata una CG, più che un solo potrait singolo… Ma credo sia un buon equivalente)

Ecco, e qui torna il tema della coerenza. Ancora una volta, ne avevamo già parlato in Cloé’s Requiem, per quello che riguardava il legame molto grezzo e poco curato tra un comportamento da pazzoide di Michel e un comportamento normale.

Ma il punto è che qui c’è una variazione tra comportamenti da mettere a confronto. Ricordate?

Fatta male, ma c’è.

E questa…

Valorizza un cambiamento nella trama: c’era solo dopo che avevamo visto un cambiamento di questo tipo. Era un’immagine che rappresentava sollievo perché si era concluso il faticoso percorso di redenzione che i due ragazzi avevano affrontato.

Per spiegarvi ancora meglio di quello di cui parlo:

Io se prima vedo queste tre sequenze di immagini mi commuovo, perché so che è stato affrontato qualcosa, che si è risolto un conflitto. Vedete anche qua che è possibile intercettare un prima e un dopo intervallati da una presa di posizione e di coscienza. Qui la presa di posizione è data dalla lettura del diario di Cloé per cui cambia la visione nei suoi confronti.

Invece se vedo questa sequenza di: allucinogeni a cui si sussegue a caso una sottospecie di confronto in cui vengono usate sempre le stesse espressioni e nemmeno una forma di cambiamento in quella che dovrebbe essere la protagonista principale nonché la mastermind che in primis, assieme al demone forse, ha creato questo fottutissimo mondo delle meraviglie, io onestamente non riesco a commuovermi. Ceeerto, possiamo meravigliarci per le grafiche ma onestamente che ora Goldia pianga la morte di Lisette a me che me frega? Questa nei nostri confronti è stata solo una bulla per cui dover provare un po’ di pietà alla fine, non ci sono mostrate abbastanza reazioni o prese di posizione da parte di Goldia che possano valorizzare questo cambiamento.

Per spiegarvi ancora meglio: nell’immagine di sopra avete questo.

PRIMA: Michel spacca le librerie a casa di Cloé, sempre Michel legge il diario che gli fa cambiare visione delle cose e piange; e nel finale viene premiato con un’immagine “spettacolarizzata” il suo percorso di crescita. Nell’immagine di sotto abbiamo quest’altra situazione.

PRIMA: Abbiamo Goldia che vaga da una mappa all’altra con la vaga intenzione di affrontare Lisette, allucinogeni, allucinogeni, qualche reveal sul background, allucinogeni, qualche dialogo vago…Ho già detto allucinogeni?

Poi abbiamo la scena in cui è crocefissa e si confrontano e infine il pianto di Goldia che dice di amare Lisette come le sue altre personalità.

Vi pare uno sviluppo decente di un personaggio questo?

Ecco perché ho citato la coerenza.
In questo arco narrativo Goldia interagisce davvero poco con la situazione che sta affrontando! Se ci fate caso lei diventa un giocattolino nelle mani di Lisette. Non abbiamo una riflessione, non una presa di posizione, non accade nulla che giustifichi la presenza della scena centrale (“voglio guardarti con i miei occhi, voglio capirti”), ma soprattutto tengo a farvi notare che in primis non c’ è la presenza di alcun espediente narrativo che dovrebbe giustificare questo cambiamento nella loro relazione. In breve, vuoto totale fino al pity-party finale.

Inoltre oltre al problema della coerenza tra comportamenti, che abbiamo già visto essere un punto chiave per le storie guidate principalmente dalle azioni dei personaggi, si ripresenta, ancora una volta, un altro grande problema che è quello del rilascio delle informazioni.

Quindi cosa faremo ora? Come abbiamo fatto con Cloé’s Requiem infatti ci preoccuperemo di rimettere in ordine delle informazioni che nel corso del gioco ci sono arrivate a una distanza eccessiva l’una dall’altra e in maniera del tutto casuale.

 

Pronti? VIA! Ecco spiegata al volo la trama di Pocket Mirror. 

A) Questa donna…Madre…Ragazza-madre ha venduto i suoi figli a un demone.

 Se non si fosse capito c’è il crocefisso girato per farti capire che è SATANA.

B) Quindi lei è impazzita dopo il patto, presumibilmente, perché tormentata dai sensi di colpa. 

Infatti questa sua cazzata fatta in gioventù ha portato a delle gravi conseguenze…

Quindi, vuoi per il contesto repressivo del XIX secolo, vuoi perché questa è una bimba di Satana, la nostra piccola Goldia non poteva crescere tanto sana di mente: sono nate le personalità ribelline sin da quando era piccola. Per questo Goldia ha generato la personalità di Harpae per fermare il casino che combinavano Fleta e Lisette. Harpae è diventata quindi una vittima sacrificale a sottostare alla buona educazione e al galateo, sforzandosi di far passare Goldia come una brava signorina mentre Lisette è stata repressa e nascosta nel subconscio di Goldia -si si parla proprio di sacrificio che Harpae fa; e meno male che non è nata in una famiglia povera! Da notare il cigno nero come dettaglio…Ci torneremo più tardi.

Per il momento proseguiamo con la trama.
C) Da quando inizia il gioco; quindi da quando Goldia inizia il suo viaggio psichedelico deve cercare di confrontarsi con tutte le sue personalità

D) E quando dopo aver concluso narrativo con Lisette, Goldia è pronta per affrontare il big boss finale e confrontarsi con Enjel, creata appositamente dal demone secondo quanto ci dice il suo video di presentazione.

(Mi interrompo per farvi notare come torni insistentemente il tema del patto con il demone. Se abbiamo imparato qualcosa dal vecchio articolo su Cloé’s Requiem sappiamo che quando degli autori  mettono più volte, in maniera poco decontestualizzata, uno stesso dettaglio di trama vuol dire che si trattava di un elemento importante che non sapevano come spiegare. In questo caso possiamo spostare questa difficoltà dalla comprensione nel senso più stretto del termine, alla memorizzazione. Infatti AstralShift tenta costantemente di ricordarti le cose fondamentali da memorizzare sulla trama cercando disperatamente di rimettertele in mezzo in vari punti del gioco anche quando si sta parlando di tutt’altro, come in queste scene che si contestualizzano nel bel mezzo dello scontro tra Goldia e Lisette e si ripetano frasi dette in realtà dall’inizio del gioco.)

…Ma tornando al significato dello specchietto portatile e al piano malvagio di Satana

(‘Sto figlio di puttana gliel’ha distrutto)

TAC, avventura finita: abbiamo sconfitto la personalità artificiale e Goldiancina si è svegliata dal coma. Sette ore a girare intorno a queste quattro chiacchiere.

Ecco, questa era la trama (abbiamo escluso per il momento gli altri finali possibili per cercare di fare un riassunto più lineare possibile). Abbiamo tralasciato qualcosa? Probabilmente sì, ma il punto è che si tratta di elementi minori rispetto a quella che dovrebbe essere “la main plot”.

Posso dire una cosa? È normale che per me Cloé’s Requiem sia stato molto più chiaro in fatto di tematiche?

CLOE’S REQUIEM. CHIARO CLOE’S REQUIEMdue righe e ti ha riassunto il problema principale, rendiamoci conto.

-E da qui, Elerantula al vostro servizio!

Per approfondire il tema della coerenza nei comportamenti di Goldia e spiegare meglio del perché la struttura narrativa di Pocket Mirror non funziona cerchiamo di fare una pausa, respirare un attimo e allargarci.

Partiamo dalla trattazione della DID, Disturbo di Identità Dissociativa, che avevamo già avuto modo di trattare in Cloé’s Requiem.

Ricapitolando: Enjel è un elemento intruso nella testa di Goldia, creato dal demone per “prendere il controllo” della sua testa/anima, per così poterla controllare come è stato fatto con suo fratello (così sembra).

…Ed è stata creata per sfruttare la dissociazione che Goldia faceva con le sue altre personalità che volevano prendere il controllo del cervello tramite lo specchietto.

Quindi quello che dovremmo cercare di estrapolare dalla trama è la battaglia per la conquista del proprio cervello in pasto ad un demone, e per fare questo era necessario affrontare un percorso di cura dalla propria malattia.

“Dissociation”

Okay, dunque, cominciamo con il parlare di questa dissociazione…

Ragazzi, non pensavo di ritornare su questa malattia dall’appendice sui personaggi di Cloé’s Requiem.

Perché queste ragazze “si addormentano” o persino muoiono, come a dare l’idea che non si ripresenteranno mai più?
Da quel che so, un percorso per la trattazione di un caso di DID è far vivere in modo pacifico tutte le cosiddette personalità all’interno di uno stesso cosiddetto “sistema”, ovvero la persona che originariamente aveva il corpo (prima di esperienze traumatiche o, se è il caso, qualunque cosa abbia favorito lo sviluppo della malattia). In breve, è un percorso di pacificazione tra personalità per fare in modo che non possano far del male agli altri. In breve, vedere queste ragazze morire… Ci fa interpretare nel modo sbagliato la trattazione della malattia.

Inoltre, il discorso del “prendere il controllo” su cui tanto si spinge con Lisette non ha il minimo senso, se parliamo davvero di un caso di DID, perché chi ha questa malattia deve essere trattato professionalmente proprio perché, dopo una fase di dissociazione mentale, altre personalità possono prendere il controllo all’improvviso, senza preavviso. Non c’è una gerarchia, non c’è la filosofia del “prendere il controllo” come si usurpa un trono. È esattamente questa la cosa che può rendere la vita di un paziente non trattato molto difficile.

Ora vi faccio vedere una bella citazione di un sintomo di DID, con una pulzella che abbiamo già avuto modo di studiare:

Quella che lei chiama “maledizione” si presenta all’improvviso, senza che lei ricordi alcun conflitto. Non ci sono frasi come “Oh, lei ha preso il controllo!” o simili. Semplicemente non ricorda alcuni giorni, perché (essendo anche Cloé non trattata, poveretta) la cosiddetta maledizione si è presentata “senza passare dal via”.

(Vi riportiamo di nuovo queste immagini per farvi notare quanto sia inquietante vedere sempre la stessa persona sullo schermo, cosa che in questo titolo invece non abbiamo mai visto)

Semplicemente non funziona nel modo in cui è descritto in Pocket Mirror, non è così semplice: non è che queste altre persone non si ripresentino mai più nel sistema dopo un percorso di cura anche mezzo improvvisato! Il DID non si cura in modo così completo!

Ricordiamoci tutti: Cloé per non soffrire più è dovuta morire.

“Ma c’è il fattore soprannaturale, Cloé soffriva da sola, Goldia aveva la possibilità di confrontarsi con le sue personalità grazie al… Mind palace creato dal demone!”
(Si, mi permetto una citazione a Sherlock)

Va bene. Se si voleva mostrare come l’intrusione di un demone abbia permesso a Goldia di affrontare sé stessa in un modo così diretto… Si doveva dare più contrasto con il mondo reale, in cui Goldia aveva a che fare con una malattia vera, e il suo percorso nel… Mind palace per, appunto, infine curarsi.

Ma il fatto che per amor dell’horror classico tutte le ragazze in realtà abbiano un lato “con gli occhi rossi fosforescenti” rende tutto ancora più confusionario!

Sono tutte personalità possibilmente pericolose quindi!? Non era solo Lisette quella instabile?!

Quindi il gioco stesso non aiuta, se Astralshift voleva andare in questa direzione! Noi non sappiamo mai quanto è davvero disturbata Goldia e quanto è opera del demone nella sua testa, se non Enjel.
E no, se Goldia è una ragazza malata, io non credo che ogni cosa cattiva che accade nella sua testa sia colpa del demone.

Dunque, per prima cosa, come “peccato minore”, diremmo che la malattia è stata trattata in maniera approssimativa. Ma quello che ci rimane è comunque un viaggio mentale; potreste infatti constatare che malattia o non malattia non possiamo aspettarci di vedere una sorta di chiarezza espositiva degli eventi se siamo nella testa di una persona. Infatti quel che Pocket Mirror ci dice è questo: “Sei nella testa di Goldia, DUH.”

Molto interessante. Quindi abbiamo a che fare direttamente con il funzionamento di un “sistema”.

Ma qui torniamo all’elemento della coerenza che vi avevamo anticipato prima.

Perché vi riparliamo della coerenza dei comportamenti? Semplicemente perché noi non conosciamo la cosiddetta “vera Goldia”, neanche nei momenti più intimi o interni nelle sue personalità.

Vi copia-incollo questa parte intera dai miei appunti…Molto brutali, non prendeteli come pensieri totalmente lucidi come modo di parlare, ma credo siano più significativi di una qualsiasi formalizzazione che posso fare scrivendo un giorno dopo aver appuntato.

…Di sto sistema non conosciamo un CAZZO di personalità. Cioè, siamo nella sua testa, ma lei sopporta TUTTO, come se fosse in un diobono di ambiente ESTERNO, quando quella è LA SUA TESTA, che dovrebbe essere condizionata dai suoi processi mentali.

MA QUESTA TIPA NON PENSA, NON HA PROCESSI MENTALI.

Quel che succede non è dettato da suoi pensieri, dal subconscio, da NIENTE, perché sono ambienti magici a cazzo di cane, che non hanno alcun collegamento con una possibile realtà in cui ha vissuto, quindi è tutto molto in realtà estraniante e POCO CREDIBILE: se una personalità “muore” nella scena vediamo “il simbolo” ma se facciamo più attenzione possiamo dire:

“Hey ma nella testa di Goldia sta’ cosa NON HA SENSO”

Cioè è tutto così esterno che se una persona si piglia la febbre non è perché, che ne so, Goldia vuole sopprimere il più possibile una certa parte di sé… No, è perché sta personalità si è presa una frescata.

Okay, spieghiamo questo esempio apparentemente idiota, prendendoci una bella dose di calmante, di quello per gli elefanti.

Con quel ragionamento mezzo delirante intendevo questo: si, prendiamo sempre l’esempio della cosiddetta “frescata” che fa venire a una delle personalità la febbre.

Noi giocatori/spettatori non dobbiamo considerare quella solo e soltanto come una “scena che superficialmente è inutile ma che nasconde un messaggio profondissimo che io non riesco a capire per adesso, perché ci vuole una seconda run”. Assolutamente no, azzardo a dire che facendo così un developer non rispetta il giocatore.

Semplicemente, se qualcosa succede, è perché deve essere funzionale alla narrazione.

In un sacco di opere certo, si vuole dare un certo messaggio con delle scene, ma bisogna avere un contesto, bisogna avere una base, bisogna far avere un senso a queste scene.

Torna ancora una volta questo paragrafo di cui vi abbiamo sempre parlato nel corso di tanti altri articoli.

Bisogna pensare prima di tutto alla struttura narrativa in superficie, quanto sia avvincente ma soprattutto logica.

Ecco, per presentare questo problema avete notato che non ho fatto esempi di scene particolari?

È perché purtroppo, se vogliamo esagerare, questo grande errore si propaga per l’intero Pocket Mirror! Io non sono un’esperta, ma da giocatrice ho avuto una brutta esperienza, ovvero quella per cui sentivo di non andare avanti in niente e quindi di sprecare tempo! E la cosa peggiore è che tutti questi errori, soprattutto la correlazione tra eventi e comportamenti di Goldia, sono stati mascherati come “narrativa non convenzionale”.

…E qui adesso iniziamo a trattare un tema scottante, ma per farlo cominceremo con un esempio.

Il nome della ragazza che comandiamo per tutto il gioco, Goldia.

Questo problema da risolvere ci viene presentato, come molti RPG Horror classici, dai primi minuti di gioco. Quindi dobbiamo “scoprire il nome di questa ragazza”. Ma perché dobbiamo? Shakespeare diceva che “una rosa con un altro nome restava sempre del medesimo profumo”…

Okay, bando alle ciance. V’aiuto un attimo. Nelle opere di finzione lo “scoprire il nome” è per scoprire in realtà una vera e propria identità: un passato particolare a cui il nome/cognome è legato, oppure di quale nobile sei la figlia sperduta.

Ma il nome “Goldia” non è collegato a niente.

Non mi tirate fuori il pippone sulla nobiltà d’animo: tanto buona era e buona è rimasta, che lei ne abbia acquisito la consapevolezza non cambia assolutamente nulla dall’inizio alla fine del gioco. Questa qui non ci viene presentata come personaggio differente da come appare, neanche tramite altri che la raccontano, così che possiamo (se siamo furbi) fare già collegamenti tra questa fantomatica “Goldia” e la nostra protagonista. Mostrarci altre ragazze che dovrebbero rappresentare lei non conta davvero niente se poi non troviamo una conferma a questo tramite i suoi comportamenti.

Un buon esempio non è difficile da trovare, ma dato che con mia sorella stiamo recentemente leggendo I Miserabili, il classico di Victor Hugo-

Va bene ragazzi, vi lascio cantare: Do you hear the people sing? Sing the song of angry men… Okay, finiamo questo teatrino.

E prendiamo proprio Jean Valjean.

Nel libro, per nascondere la sua identità, dopo una serie di eventi si fa chiamare Pére Madeleine: questo Madeleine viene descritto come un uomo buono, che dona tutto a tutti, in generale un santo. Tutto il contrario di quello che abbiamo visto con Jean Valjean, presentato invece come un pericoloso ex galeotto che nell’ultimo capitolo in cui appare con questo nome è disperato perché ha capito la sua condizione di “miserabile”.

Per metterla giù in maniera più generale quindi, nel romanzo prima conosciamo Jean Valjean per un bel po’ di tempo quando era un galeotto…

…Ma abbiamo poi delle persone che descrivono Pére Madeleine. Chi conosce la storia sa già che Valjean cambia vita… Ma secondo il funzionamento dell’opera, che secondo me ha originato quello che ormai è uno stereotipo, quello di “far cambiare vita in modo così radicale ad un personaggio” …

(Personalmente l’adattamento musical del 2012 non lo digerisco proprio, ma è per farvi prendere familiarità su chi stiamo parlando)

Ecco, lo “stereotipo” dice che noi dovremmo sorprenderci che Madeleine sia in realtà Valjean… Ma perché c’è un discorso intero sull’identità in ogni suo punto di vista che si porta dietro!

Goldia chi è?

E la ragazza che comandiamo per tutto il gioco anche prima di saperne il nome, chi è?

Se non la stessa identica persona!

E dunque…

“Ok, si chiama Goldia quindi, è scritto sul cancello”

“Piacere Goldia, io sono Maurizio”

Ecco, ci siamo arrivati. Questo abbiamo voluto portarlo come esempio perché è uno dei temi più ricorrenti nel corso del gioco, ma soprattutto perché la sua trattazione avviene tramite “rappresentazioni simboliche”, era questo il punto del discorso. Da come potrete aver visto: questo gioco non può essere simbolico, perché non porta neanche un tema di base.

-Okay Ele, da qui ritorno io, PaoGun. Facciamo tornare con calma il lettore alle nostre premesse.

Mettiamo il caso che io scelga una chiave di lettura e riesca a dare un significato a tutti gli archi narrativi: la maturazione di Goldia, come abbiamo detto.

Il mondo di Egliette e Fleta è il mondo dei giochi, dove lei da bambina si sentiva una principessa; il mondo dove vive Harpae, in un luogo principalmente chiuso che va da sottoterra alle soffitte, rappresenta la società repressiva e ipocrita del tempo (soprattutto nell’enigma con gli abiti) mentre la sala del pittore, quella in cui si possono risolvere i problemi scolastici, erano le attività che Harpae svolgeva e dunque che erano previste per l’educazione di Goldia alla buona società, e per finire il “mondo” in cui si trova Lisette è…Beh, c’è scritto “Inferno” a un certo punto. Suppongo che sia il subconscio di Goldia finito nelle mani di Satana allora: deduco, dunque, che si tratti semplicemente di un incubo considerando il ritmo della scena. L’arco di Enjel non lo conto perché ha una sottotrama a sé.

Ma, se consideriamo che nella critica specializzata delle opere di finzione si cerchi sempre di mettere in correlazione tutti gli elementi per trovare un tema che li colleghi, perché gli atteggiamenti e i comportamenti di Goldia sembrano più attinenti per un’avventura di tipo esterno? Come se si trattasse di una linea narrativa orizzontale (eventi) invece che verticale (azioni dei personaggi)?

Goldia non ha nostalgie del mondo dei giochi, non si incupisce all’ipocrisia dei manifestata dagli invitati-vestiti, non urla mai e né si lascia terrorizzare dell’incubo che vive con Lisette.

Questa incongruenza annulla ogni tipo di tema se partiamo dalla semplice concezione, come dicevamo prima, che siamo nella sua testa.

Dunque tornando a noi: su un tema che non c’è, che simboli si dovrebbero inserire? Questi si rivelano soltanto essere un’accozzaglia di idee.

Avendovi esposto questi esempi possiamo iniziare a capire meglio quello che intendevamo quando parlavamo del conflitto tra testo e paratesto. Ovvero: se si voleva fare un gioco solo simbolico e in qualche modo destinato a ristrette nicchie di pubblico prima di tutto non me lo si metteva in una storia così lineare e in secondo luogo non lo si promuoveva come una sorta di “gioco-evento”, perché quello in genere è un’operazione che lo si fa con “titoli blockbuster”, sapete no, dei titoli che hanno per davvero l’obiettivo di parlare a tutti e quindi l’approccio plateale è cento volte più giustificato.

Per questo ne approfitto per fare questa piccola digressione: per quanto possano essere “cheesy” le cutscene di Mad Father, o per quanto “trash” possano essere i personaggi di Misao almeno sen è un autore che a nostro parere sa cosa vuol dire fare entertainment prima di tutto, ci piace molto nella sua pragmaticità, e questo era un concetto di cui avevo già parlato nell’articolo di Cloé’s Requiem. L’entertainment è qualcosa che viene prima del simbolismo anche in una grande opera profonda: entertainment vuol dire proprio saper parlare a più pubblici e renderli PARTECITIPI di un’esperienza “unica”, unica nel senso “uguale = comprensibile per tutti”.

E dunque…

Ah sì? Ne siete così sicuri? Cavolo, avevamo i nuovi Tarantino tra la corrente e non lo sapevamo. 

Ora, premettendo che “rivoluzione dello storytelling” nel cinema è un argomento un po’ difficile di cui parlare perché “lo storytelling” è un elemento dei film che cambiava a seconda del contesto storico e della funzione del film; quindi…Ecco, non credo che si sia mai parlato di storytelling come una “caratteristica rivoluzionaria”, era più qualcosa che apparteneva ad Hollywood. Tuttavia il motivo per cui sto citando Tarantino è Pulp Fiction: io posso dire che c’è una narrazione non convenzionale perché gli eventi che hanno portato allo sviluppo di una storia sono stati raccontati in maniera non lineare e continuativamente frammentata.

Lo storytelling si fa con il tempo, con una timeline a portata di mano, okay? Non con gli spazi. Cioè, sì, lo spazio è un elemento centrale perché contribuisce al modo in cui può essere colta una certa informazione, ma è principalmente con la distribuzione delle informazioni nel corso del tempo che si costruisce una storia. Una storia è una consecuzione di eventi, no?

Ne vorrei approfittare un momento per parlare della struttura nei termini più generali: la intendo ora come le intenzioni del gioco ed il genere in cui definirlo.

Prendiamo Yume Nikki, prendiamo Ao Oni e prendiamo Mad Father. Okay, ci siamo?

Yume Nikki: so che devo esplorare ambienti per avere un’esperienza estraniante e allucinogena: la mia esperienza dipende da me.

Ao Oni: devo risolvere degli enigmi per finire il gioco e nel frattempo fuggire dal demone blu: mi aspetto jumpscare e inseguimenti.

Mad Father: una lunghissima cutscene introduttiva ci fa capire che il nostro obiettivo sarà soddisfare i desideri di Aya e aiutarla a liberare suo padre dagli zombie. Supereremo gli ostacoli, esploreremo la casa e nel frattempo sappiamo che dovremo fare tutto questo immedesimandoci a tutto tondo con un altro personaggio.

Sono troppo deterministica? Io non credo.

Guardate, voglio farvi un esempio da italiana vera: conoscete La Dolce Vita? Per gli appassionati di cinema non conoscerlo è praticamente un’eresia.

Ecco, perfino lì nella frammentarietà della struttura (perché; hey, un film d’autore si rivolge prima di tutto al suo pubblico e sa come parlargli) si parlava di un personaggio le cui azioni nel tempo erano coerenti con la sua caratterizzazione e percorso di corruzione interiore.

Abbiamo la festa in cui Marcello va dietro alla VIP, Sylvia.
“Marcello, come here!”. Per farvi capire di chi parliamo.

Abbiamo la chiesa come immediato contrasto in cui incontra in chiesa il suo amico scrittore, padre di famiglia, santissimo Steiner – Con tanto di crocifisso al lato dell’inquadratura che mette in evidenza la sua natura da santo.

L’amico si suicida.
“Forse aveva paura di sé stesso” dice Marcello, prima di andare ad un altro festino.

Festino finale.

Ecco che il povero Marcellazzo non riesce ad ascoltare più la voce della bambina che aveva incontrato ad un certo punto del film, ovvero la voce dell’innocenza.

Ed ecco spiegato La Dolce Vita. Bella critica che sono, eh? Ecco, questo è il motivo per cui non mi definisco critica del cinema.

Ho voluto portarvi questo esempio perché questo film nell’immaginario comune è considerato una delle forme di espressione più completa dell’individualità. Qualcosa relegato all’idea che pochi veri amanti del genere e “pochi eletti” possono comprendere tutti i simboli che vi ci sono all’interno, e come privano la comprensione ad un pubblico esteso? Cambiando la regia, asciugando dei particolari momenti sulla scena, evitando di raccontare una storia lineare con un conflitto dichiaratamente aperto e che sia da risolvere perché certo, un’opera d’autore non è un titolo di Hollywood; deve pur cambiare il modo in cui ti viene comunicato qualcosa.

Ma lo vedete che pure qui la coerenza tra i vari elementi, il filo rosso, la struttura che dà vita all’opera non manca?

Quindi è questa principalmente la ragione per cui credo che argomentazioni come “un gioco che sia da riscoprire a più giocate” in questo ambito non abbia davvero senso. Il replay value è un arricchimento in un prodotto del genere: si dovrebbero scoprire informazioni che si ignoravano, non cercare di comprendere qualcosa che non si è compreso bene fin dall’inizio; e nemmeno si dovrebbe cercare di comprendere solo in un secondo momento dove volesse andare a parare l’opera e con che tipo di linguaggio.

Quindi, rispondiamo assieme alla domanda: perché Pocket Mirror aveva tutte le intenzioni di raccontare una storia senza avere la minima idea di come farlo?

Perché, come abbiamo prima, per delle informazioni che ci sono arrivate solo alla fine del gioco quella che abbiamo vissuto tutto il tempo è una storia avvenuta nella testa di Goldia ed abbiamo affrontato un qualche tipo di viaggio interiore per farla maturare, per il ricorrente background; ma anche per il discorso che Goldia avesse un’identità da scoprire e questo dettaglio lo conoscessimo fin dall’inizio del gioco contribuisce ad alimentare delle aspettative per uno sviluppo narrativo. Il punto è che non c’è neanche una protagonista muta nel gioco, oppure un rapporto particolare che si crea con il giocatore come in Hello Charlotte che ci dovrebbe suggerire una qualche idea che questo volesse essere un titolo sperimentale. NO, questa è la vicenda personale di una ragazza che deve scoprire sé stessa raccontata in maniera lineare, tramite degli archi narrativi

Quando poi di fatto non c’è uno sviluppo che sia chiaro. Dovremmo proseguire a giocare questo titolo come se affrontassimo una gita turistica.

Perché, ribadisco, Ele si è frustrata molto giocando, ma a me rivedere i video per cercare gli screenshot per l’articolo è piaciuto, tutto sommato. Se ci togliamo gli elementi filler come quel cazzo di enigma dell’omicidio dei vestiti, la luuuuunga parte nella sala da ballo nell’arco di Fleta e chi più ne ha ne metta, le scene dopotutto sono effettivamente molto belle ed evocative, ne ho parlato nell’Asso nella manica delle nuove aspettative che si sono alzate per chi prova questo titolo ed è un validissimo terreno di confronto per i creator del domani.
MA doveva essere più chiaro con se stesso.

Facciamo altri esempi di simbolismo decontestualizzato tramite il quale hanno cercato di mascherare la promessa non mantenuta con i giocatori.

Prendiamo la corona di spine di Lisette, che è stata inserita invece di spiegarti nel concreto cosa lei abbia subito: mi sembra un tantino esagerato come simbolo per una personalità tutto sommato isterica.
Non per dirti nulla figlia mia ma sarai martire ma fino a un certo punto, cioè, il senso della Bibbia è che Gesù era una persona pura che si accollava peccati che non gli appartenevano, o sbaglio?

Non so se in questi casi scomodare addirittura la Bibbia in questi discorsi ci trovate la ridicolaggine che ci sto trovando io.

E così con gli altri esempi che abbiamo fatto: Il lago dei cigni, l’opera di Pëtr Il’ič Čajkovskij, un’opera che parlava di tutt’altro usata qui per dirci che Harpae era il cigno nero perché non era “la vera Goldia”, in mezzo a tanti altri cigni bianchi e puri mostrati nell’immagine… Oppure volevano dire che si era sporcata perché si stava stressando ed era sempre meno puro per questo.

Voi conoscete la vera storia, no? Odile, la figlia cattiva di Rothbart ovvero il mago che ha trasformato Odette in cigno, era riuscita tramite un incantesimo ad ingannare il principe che l’avrebbe creduta Odette e le avrebbe quindi dichiarato il suo amore, come conseguenza Odette muore per il dolore. Qua invece come dovremmo interpretare la cosa?

Oppure per fare un altro esempio, il tema dell’oro e del nome “bagnato nell’oro” che indica nobiltà d’animo, la nobiltà dell’ “identità originale” trattato come una qualche sorta di scoperta per una tizia che alla fine rimane uguale prima e dopo averlo scoperto…

Sì, sì! Va bene! Gliel’aveva rubato il demone il nome per via del patto ma allora perché cappero questo non interviene mai? Ripeto: che razza di demone sei? Il gatto nero di Ellen era più efficiente di te in fatto di inganni, come famiglio teneva più d’occhio lui la sua strega che non tu le tue vittime, porca miseria!

Per questo alla domanda che alcuni potrebbero chiedersi: è un gioco sopravvalutato? No, o non ne avremo parlato nemmeno come un pezzo storico in Back To The Future. I meriti vanno riconosciuti tutti. Ma queste ripeto sono cose che dovrebbero suggerire una maggiore riflessione su cosa definire masterpiece o no: nella mia opinione un masterpiece non esclude la sua audience dalla sua comprensione. Si stabilisce sempre un patto tra lettore e autore, spettatore e autori, giocatori e programmatori.

Anche Alice nel Paese delle Meraviglie di Caroll usa l’espediente del coniglio bianco che ti conduce nel buco per indicarti che qui sta iniziando una storiaPerfino in Yume Nikki vediamo che Madotsuki va a dormire prima di venire trasportati nel suo mondo allucinogeno!

Ad esempio, perché non ci avete mostrato dall’inizio del gioco che questa era appena entrata in coma? Magari con degli accenni al fatto che non respirava bene, che aveva gli incubi, non so magari un parente preoccupato per lei che le stava vicino (tipo: il papà che fine ha fatto?)

E dunque noi sappiamo che questa è caduta addormentata in una stanza di un manicomio, prima di tutto, e che siamo entrati nella sua testa.

Dai, quanto sarebbe stata angosciante questa scena se avessimo saputo tutto fin dall’inizio? A me sarebbe venuto il magone personalmente, ipotizzando la possibilità in cui non si sarebbe mai svegliata. Vi ho preso questa come riferimento perché è praticamente la stessa stanza da manicomio del finale, lo abbiamo visto assieme prima.

…Magari, perché no, l’avventura che vivevamo avveniva nel corso di una notte. Una nottata travagliata in un manicomio.

Comunque, niente, ora sto sognando troppo.

In conclusione, questa è stata la nostra spiegazione sul peccato capitale compiuto da Pocket Mirror, “la grande bugia”: adottare un’identità che non gli apparteneva.

E questo ha avuto delle conseguenze, perché ad ogni azione corrisponde una reazione, perché se c’è stato chi ha osannato l’esperienza vissuta ignorando totalmente le premesse narrative e cercando di dimenticarsi che stava percorrendo una storia; ci sono state anche persone che, addirittura fin dall’inizio della storia di produzione del gioco, sono rimaste frustrate dalla poca chiarezza di questo progetto.

(Ah, a proposito di coerenza e consistenza negli intenti onestamente mi chiedo come faranno a far coesistere l’universo fiabesco di Little Goodie Two Shoes con la coesistenza di elementi quali manicomi e realtà mediche di un certo periodo storico che si trovavano in Pocket Mirror).

Al ché si è aggiunta poi la potentissima Trump Card data dal desiderio di rinnovamento; quello di cui abbiamo parlato prima insomma.
Associare un’intenzione così nobile ad un errore così madornale rende le conseguenze anche più gravi, per un capostipite di questo tipo, nel definire i nuovi “market drivers” della corrente RPG Horror; che dallo spingere a rinnovarsi diventa un: “cerchiamo gli artisti, chissenefrega se non si capisce nulla”, o detta in maniera più formale ci si preoccupa sempre di meno di capire che tipo di scheletro si vuole assegnare ai propri prodotti rendendo questi molto più confusionari o deboli. Oppure…Accozzaglie. Tanto, l’importante è raccattare più tipo di pubblico possibile (vero Omocat? -oh, vedete che avremo le nostre ragioni per parlare anche del suo videogioco). Le cose essenziali non sono più rappresentate da frasi come: voglio parlare a questo pubblico. L’importante diventa questo: “voglio farmi conoscere da tutti; e per coinvolgere più persone possibili devo stupirle(aggiungo: devo stupirle visto che non conosco altri modi per rendere il mio titolo più accattivante).

Diciamo che qui possiamo dire ufficialmente che si è aperta la generazione dello “story-telling focus”; o il voler creare delle strutture narrative perfino forzatamente se queste funzionano per attirare del pubblico. Questo è il rovescio della medaglia per cui adesso parleremo dei vari difetti minori.

Questi hanno danneggiato in qualche modo la fruizione del gioco? Assolutamente no.

L’esperienza che si vive con questo titolo è di per sé molto godibile e le musiche fanno bene il loro lavoro. Questa serie di punti che elencheremo sono da considerarsi più come una lista di rimproveri che poniamo alla AstralShift con la dura severità che si fa nei confronti di uno studente modello che ha ancora, a nostro modestissimo parere, tanta arroganza da lasciarsi alle spalle.

Volevate fare un gioco “artistico e dalla ricca esperienza sensoriale?”. Bene, guardiamo a vari difetti minori che rendono questo titolo lontano anni luce dall’etichetta di “eccellenza” che si assegna ad una vera opera d’arte.

-La parola ad Ele.

Ecco, ve lo spiega il ragno che non avete idea del veleno ha da iniettare quando ha rigiocato Pocket Mirror per quest’articolo!
Si, ho tanto veleno nelle tenaglie e non va mai via… Sono davvero divertente alle feste, ve lo giuro.

Andiamo all’inizio perché, appunto, io critico tutto apparentemente senza criterio quindi neanche iniziamo a giocare che io ho da dire le mie stupidaggini.

A parte un mio personale nitpick di regia, dove secondo me la musica doveva rimanere per un po’ di tempo prima di far vedere… Le uniche due battute per cui questa musica c’è nella scena, prima che sprofondiamo nel silenzio totale. Già, la musica che sfuma con una cattiveria inaudita.

Vediamo come sono state messe giù queste prime premesse.

Scritte all’inizio prima di presentarci una situazione estranea al giocatore?

Oh, cavolo! Mi chiedo dove io l’abbia mai vista!

(Giochi nelle foto: Ao Oni, The Forest Of Drizzling Rain, Dreaming Mary, Ib.
E con questi ultimi due, assieme a Pocket Mirror, siamo a quota 3 di madri che parlano alle figlie femmine di… Cose.)

…A voi le conclusioni.

Ragazzi, non per essere improfessionale, è l’unica volta che probabilmente userò un reaction video ma…

Questa è stata la mia reazione a rigiocarmi Pocket Mirror una settimana fa.

E questa reazione non la ebbi solo all’inizio, ma per tutta la parte che ho ri-giocato, soprattutto nell’ambito della regia. Dunque, nell’ambito dell’esperienza sensoriale che il titolo vanta.

Si, mi sto permettendo di dire che per essere un gioco “metaforico”, Pocket Mirror ha una regia estremamente media (salvo nell’arco di Lisette, dove semplicemente si è andato per lo spettacolo totale perché Astralshift è migliorata ad usare RPG Maker, e quindi ha sfruttato i suoi artisti ancora di più; e nella scena del grammofono in biblioteca, dove semplicemente l’atmosfera della libreria e il suono hanno reso tutto meno smorto); anzi nelle prime fasi del gioco ai limiti del mediocre e in certe scene con elementi che sono stati presi e incollati da opere audiovisive passive!

Wow, pretenziosa oggi. Parlo persino di regia, quando non ho fatto alcun tipo di scuola!
Vi dico, da semplice consumatrice di opere di finzione posso farvi un esempio abbastanza insignificante di per sé, dato più che altro dalla scarsità di controllo da parte degli autori. È un esempio che mi fa capire che c’è un qualche problema alla base, soprattutto nel criterio in cui mettere certi “cliché” registici.

Metterò direttamente dei video delle scene singole con alcuni dei miei appunti, che verranno ripresi anche nella scrittura dell’articolo stesso… Ma queste altre precisazioni di regia, prima di tutto per la loro quantità, si collegheranno al discorso finale sulla regia di Pocket Mirror nella sua interezza.

Quindi…Eccolo qui. È un esempio molto stupido, ma che mi ha fatto personalmente ridere.

 

Sono solo io? Solo io ho notato qualcosa di strano… Soprattutto nel ritmo della scena?

Sarà una mia filosofia, ma quando si fa la regia di una scena anche su RPG Maker, è tutta questione di ritmo: se il ritmo non si può seguire, si scade nell’amatoriale.

Qui il ritmo si spezza, perché non si sono dati i tempi giusti al sound effect, quindi il potrait di Goldia appare dopo quest’ultimo, quando esso doveva servire ad enfatizzare la bambola che si muoveva da sola (che poi, neanche uno spostamento di inquadratura?).

Ecco. Con questa disattenzione (che, come dicevo, può anche essere data da semplice sbadataggine) e, nelle scene non “buggate” regia piuttosto classica… Si volevano fare delle “grandi scene”, perché questo è il “grande gioco”.

…Bene, sull’argomento che segue ci tenevo ad aprire una piccola parentesi.

Ecco, a voi questa scena sarà sembrata normale la prima volta che l’avete vista. Ma noi per The Rebirth Of Franklin Albrecht cerchiamo costantemente sound effect gratuiti che possiamo usare, quindi comprendiamo benissimo i problemi nel trovare sound effect

…Quindi sapendo che anche noi abbiamo vari problemi nel trovare i suoni giusti eccetera: ci voleva così tanto nel trovare una BGS (Background Sounds) che avesse più a che fare con un ambiente tutto al femminile più o meno aristocratico?

Dai ragazzi, avete tante persone, tante risorse, si poteva trovare qualcosa di più azzeccato!

Ecco. Con questa occasionale disattenzione (che, come dicevo, può anche essere data da semplice sbadataggine) da un lato e una regia piuttosto classica dall’altro… Si voleva comunque fare il “grande gioco”, o concetti del genere. Tutto questo inoltre mi dà l’idea che non siano state curate tutte le scene allo stesso modo.

A parte il comparto sonoro, andiamo a un altro problema nel dettaglio: più costante e anche volendo più grave. Ha a che fare con un espediente di regia molto usato da Astralshift in generale, anche nel trailer di Little Goody Two Shoes:

Le luci che, senza alcun motivo, si diradano quando devono farci vedere qualcosa.

Bella presentazione di un nuovo ambiente, vero?

No.

Non pensate, anche io me l’ero bevuta all’inizio, l’avevo presa un po’ come un “molto anime come presentazione del luogo magico…”. Ma pensandoci meglio per cinque minuti, dopo aver azionato il cervello con della sana caffeina, mi sono accorta che qualcosa non andava.

Ma le luci prima dov’erano? Se Goldia è caduta e poi si è risvegliata e gli animali già ballavano… Che senso ha farci questo tipo di presentazione?

TIPICAMENTE, in una scena di risveglio dopo una bella caduta l’ambiente si introduce con la musica, perché il personaggio è svenuto, e poi quando apre gli occhi c’è una situazione già cominciata.

La situazione è stata succube della regia, che non sapeva come diavolo introdurre in modo spettacolare l’ambiente della sala da ballo (per qualche ragione, perché davvero, era semplicissimo fare una scena del genere).

Qui torniamo al discorso sul senso delle scene e di tutti gli elementi che metti.
Questo espediente delle luci che si spostano/si diradano si usa quando effettivamente una luce viene accesa, così che si ha l’effetto “sorpresa” quando si presenta una cosa che è nuova allo spettatore…

…Ma una luce deve pur sempre accendersi, o il protagonista deve pur sempre avere una transizione tra il buio e la luce che abbia senso a livello concreto.

Ci ho tenuto così tanto a fare l’analista dei miei cog… Troppe parole scurrili? Siamo improfessionali? Va bene…

Quindi, ci ho tenuto a fare la precisina e ho fatto, seppur in poco tempo e non in modo tanto egregio come Astralshift potrebbe permettersi, una sottospecie di storyboard su come poteva essere resa la scena.

Non è obbligatorio vederlo, è stato fatto davvero in poco tempo, ma intanto spero dia un’idea generale.

Ma tornando a noi, perché questo problema di regia è più grave? Perché prima di tutto non è dato dalla distrazione, c’è proprio un problema nell’idea di base su come doveva essere resa la presentazione della sala da ballo…

E poi perché viene continuamente usato nel gioco senza vergogna e, ripeto, senza senso…

(Nota: secondo me, in alcuni casi un semplice alzamento di inquadratura sarebbe andato benissimo, come è stato fatto nella scena della morte di Egliette)

E infine perché non è considerato un brutto espediente dagli sviluppatori stessi. Questo lo vediamo nel trailer di Little Goody Two Shoes, minuto 2:34

Quindi parlando in generale, come gioco non ha scene troppo indimenticabili, se togliamo gli artisti e le musiche meravigliose. Se pensiamo solo al contenuto e al come è stato diretto, Pocket Mirror è, davvero, un gioco intercambiabile con tanti altri che vogliono atmosfere magiche e cose del genere.

Per dire: se Lydia, autrice di Aria’s Story, avesse avuto l’ammontare di artisti che ha avuto Pocket Mirror, per la sua storia avrebbe avuto idee molto simili (se non identiche) a livello di regia.

Ma ora basta crederci Kubrik.

A giocabilità e esperienza per il giocatore come siamo messi?

Non sprecherò neanche molte righe: dopotutto, non è una recensione vera e propria questa. Entrambi sono una delusione.

Per quanto Pao abbia molto lodato il lavoro di immersività fatto dal gioco, per me la cosiddetta “esperienza sensoriale” che descrive Astralshift nelle loro varie bio io non l’ho sentita moltissimo…

Dato che le mappe con cui interagiamo hanno molte volte un blur usato, secondo Pao, (map designer del nostro gioco, quindi ha già avuto a che fare con il modificare delle parallassi) in modo frettoloso, e una fotografia con toni caldi nella maggior parte dei casi (vedete lo sfarzo della sala dei vestiti nell’arco di Harpae o il mondo magico di Enjel) che vuole essere un’unione tra Alice In Wonderland e Dreaming Mary, in versione ancora più “magica” … E se possiamo permetterci anche più trash, nel riuscito tentativo (perché a molti sono piaciute, Pao ai primi anni di development di The Rebirth Of Franklin Albrecht aveva le mappe di Astralshift come riferimento) di essere accattivante.

Le fasi di esplorazione hanno atmosfere uguali ad altri giochi: cambi musica, cambi contesto e puoi avere, uso sempre quest’esempio in modo molto dispregiativo (io non degno a questo titolo neanche un briciolo di rispetto per le mie ragioni), Aria’s Story.

Quindi come esperienza, possiamo dire che un casual gamer può esserne molto attirato, uno che ha visto tante volte atmosfere “magiche” tipiche in tante opere diverse… Un po’ meno.

Il gameplay… È uno “scopri la cutscene” con enigmi decontestualizzati da tutto il resto. Punto. E durante le cutscene subisci passivamente gli avvenimenti quanto lo fa Goldia. E questo non è neanche un punto in più per “immedesimazione per il giocatore”, perché ricordiamo che siamo nella testa di Goldia stessa.

Praticamente è il gameplay di Angels Of Death, abbastanza criticato su Steam.

“Ma con Little Goody Two Shoes hanno fatto le cose in grande, infatti nella loro bio Astralshift dice di voler portare un gameplay innovativo!”

Okay, riguardiamoci insieme il trailer, magari si introduce un qualche tipo di meccanica nuova!

Ah-ha. Ok, esplorazione tipica che sarà sicuramente nella foresta e nella casa di qualcuno per far andare avanti la trama, “misteri da scoprire” … Che è un modo più bello per dire ancora una volta che la trama è bella, character routes effetto visual novel che avremo con i vari personaggi… Per qualche ragione…? E i vari finali che ci portiamo dietro da Ib che saranno tipo un true, un bad, un good ending e magari se le “relazioni” con gli altri personaggi saranno sviluppate si avranno certi tipi di fine-route anche con loro…

Quindi anche combinare items…

Seppur questa cosa mi faccia venire qualche dubbio, può essere ok avere del crafting: è l’unica cosa che effettivamente non so esattamente per cosa verrà usata e sono curiosa.

Poi vengono citate anche “scelte strategiche” e ancora una volta le relazioni con altri personaggi.

E infine…

…Il trailer finisce così. Con… Con delle luci che ci mostrano ste’ zucche così, per farci prendere un infarto.

…“Aridaje”, si dice a Roma.

Quindi, che dire?

Uhm… Considerando che sono quasi sicura di tutte le mie teorie sul contesto in cui verranno usate tutte le features presentate nel trailer di Little Goody Two Shoes…

Su cosa volete concentrarvi? Che meccaniche volete innovare? Per rendere un gameplay ricco non serve solo mettere più features possibili: è qualcosa che moltissimi indie game molto minori (alcuni che sono su rpgmaker.net o altri portali) provano a fare da anni, senza arrivare alla fine a nessun risultato davvero soddisfacente…

Allora, da gameplay director del team Ludi Tarantula riconosco che è impossibile creare fuori dal niente meccaniche nuove. Io anche brancolo totalmente nel buio qualche volta quando devo offrire più interazione possibile al giocatore in un gioco molto, molto story-driven. Riconosco che farsi valere per gameplay rivoluzionari non è per niente facile, questo devo dirlo spezzando una lancia a loro favore.

Però questo problema secondo me si può a tratti ovviare mettendo certe meccaniche in un bel contesto particolare, reinterpretate in un certo modo proprio per via di quel che servono alla storia… In generale, rendere speciali meccaniche normalissime perché sono nel tuo progetto, che ha un certo immaginario molto forte che re-immagina gli stessi funzionamenti ma in luci diverse.

Ma, forse è anche perché è solo un trailer, io non ho ancora visto da parte di Astralshift contesti talmente forti da re-immaginare totalmente delle meccaniche, “rivoluzionandole” come dicono.

A dirla tutta, io per adesso ho visto solo molti miglioramenti grafici da Pocket Mirror: lo stile di disegno cambiato, così come l’engine, quindi anche un tipo di prospettiva diversa a livello di mappe, lipsynch, cornicette per i dialoghi, menù totalmente personalizzato…

Quindi ogni volta che vedo questo nuovo progetto ho sempre una sensazione sola:

Mi sembra che non importa quanto si evolvano con engine, meccaniche e tutto… Qualcosa mi dice che anche il prequel a Pocket Mirror sarà, alla fine, tutto spettacolo fine a sé stesso.

Quindi, ora che avete sentito tutte queste critiche alla bellezza grafica assoluta, e beltà del genere, urlerete…

“Se pensate che tutto ciò non abbia senso, allora dobbiamo essere col fucile puntato qualsiasi cosa un minimo spettacolare vediamo?!”

NO.

Abbiamo ripetuto questo discorso molte volte.
Nella mia ultima frase “spettacolo fine a sé stesso”, volevo intendere questo concetto, che ci piacerebbe comunicare anche a tutti gli aspiranti game developer là fuori:

Il metro di giudizio deve essere il criterio delle scelte. Perché ciò che differisce una cosa fatta bene e fatta male è che nelle opere fatte bene è tutto funzionale; quando una cosa è spettacolare e basta te ne rendi conto perché le cose ci sono perché le ha volute Dio.

 

E una domanda che sorge spontanea è:

Perché? Che gusto si prova a fare quello che state criticando, ovvero il creare spettacolo senza dire una trama lineare “come le persone normali”?

Beh signori, è perché oggi siamo nell’era dei visionari.
Si, stiamo regredendo agli anni 60’, mi permetto di dirlo, anche se il prossimo gioco che tratteremo in Back To The Future rifletterà tutt’altra realtà…

Tutti siamo unici, tutti abbiamo delle idee particolari e bellissime che meritano di essere valorizzate e supportate dal maggior numero di professionisti possibili!

Ah, quante volte avete letto delle frasi così dette in buona fede?

In teoria sono per dare più sicurezza a chi non è sicuro di quel che fa e ha attualmente delle buone idee…

Ma tutti vogliono sentirsi consolati e complimentati nella vita, diciamoci la verità. Questi suggerimenti, questi concetti in generale vengono presi in considerazione e interiorizzati da chiunque si trovi in situazioni più o meno simili.

Un discorso più… Sociale e dal punto di vista del pubblico sarà fatto nell’articolo dedicato al Rapporto Audience-Opera, quindi preparatevi.

Ma parlando di autori… Ho introdotto quest’acida conclusione dei difetti dell’opera dicendo che “siamo tornati all’era dei visionari”.
Dovrebbe essere una cosa buona, no? I visionari sono questi cosiddetti “geni” che creano prodotti per cui il consumatore si chiede “ma come gli è venuto in mente?”.

In questo contesto vorrei interpretare il termine “visionario” da un punto di vista molto sprezzante, purtroppo. Riassumerò il mio punto di vista con la frase di uno youtuber che rispetto molto, Uricksaladbar.

“Se David Cage ha un’idea, lui ci arriverà!”
(parlando di Beyond Two Souls)

David Cage, avete presente? Beyond Two Souls, Heavy Rain, Detroit Become Human…

Quello che ormai un sacco di gente, tra il pubblico americano soprattutto, è criticato per le sue narrative con qualità a tratti questionabile, e simili a B-movie.
Proprio colui che voleva rendere “l’industria dei videogiochi più matura”.

Presente?

Ah, scusate. Ho sbagliato biografia. O forse no?

Ho usato la frase di Urick per introdurvi a questa visione parallela, che più scopro su Astralshift, più trovo calzante onestamente.

“…E in questa accozzaglia di schemi narrativi confusi ci rientra il simbolismo decontestualizzato con cui hanno voluto rattoppare i buchi narrativi.
Prendiamo la corona di spine di Lisette, che è stata inserita invece di spiegarti nel concreto cosa lei abbia subito: mi sembra un tantino esagerato come simbolo per una personalità tutto sommato isterica.
Non per dirti nulla figlia mia ma sarai martire ma fino a un certo punto, cioè, il senso della Bibbia è che Gesù era una persona pura che si accollava peccati che non gli appartenevano, o sbaglio?”

-Ludi Tarantula Archives

“La storia di Beyond Two Souls, quando è messa in modo cronologico, espone quanto senza significato fosse la scelta artistica! Scelte pseudo-artistiche del genere rendono un gioco maturo? Cristo!”
-Uricksaladbar

Per me queste due persone, David Cage e EvilHairBrush hanno lavorato allo stesso modo.
Hanno una grande idea da sviluppare, pensano gli altri elementi narrativi da introdurre, una storia generale con elementi e temi probabilmente visti da qualche opera meritevole… E un’idea artistica per “far distinguere il loro gioco” rispetto ad altri dello stesso genere, che se no avrebbero gli stessi vibe, gli stessi tipi di personaggi, le medesime scelte narrative.

Entrambi quindi, per valorizzare il più possibile la loro grande idea, si sono preoccupati dello charme da dare ai loro giochi, per renderli più simili a magari prodotti effettivamente maturi che loro stimano, quindi si sono preoccupati di trovare più supporto possibile, finanziario e di staff…

Perché loro sono dei geni. Loro sono dei “visionari”, che “hanno visto” quel di cui ha bisogno un’opera per essere considerata profonda, poetica, non-convenzionale, particolare, per essere considerata ARTE.

…Loro sanno distinguere un’“opera matura” dalla pletora di opere infantili, che sono meno cinematiche della loro o che non fanno dire al giocatore “wow” appena si vede la schermata del titolo… Opere che non hanno la loro stessa profondità, di loro che hanno trattato temi forti in modo incredibile e con una sensibilità davvero invidiabile!

È qui c’è il problema.

È come se in questi due progetti non si fosse compreso davvero il concetto di “editing” delle idee di base, per rendere tutto fruibile a degli esterni che non vivono nella testa di questi tipi di autori… Idee che meritavano un pesantissimo lavoro di editing. Da ogni punto di vista. Non si supera mai la fase di “ideazione” per questi tipi di sviluppatori.

Ed è così perché…

“L’arte è soggettiva!”,
“Se non ti piace, vattene!”,
“Come puoi giudicare tanto aspramente!? Cosa ne sai di cosa voleva dire l’autore?!”
“Ci ha messo tanto lavoro!”
“Tu non lo capisci!”

Torniamo a quel che dicevo all’inizio. Queste morali e concetti ormai sono arrivati agli sviluppatori di oggi, e continueranno ad essere tramandate a quelli del domani.

È esattamente questo uno dei motivi per cui esistono prodotti come Pocket Mirror.

Perché non c’è un minimo di autocoscienza, quando si tratta delle proprie idee artistiche.

CONCLUSIONE

Questo è stato un passaggio davvero importante e inevitabile del nostro viaggio con la macchina del tempo.

Ora che ci stiamo avvicinando alla fine mi sento quasi in dovere di parlarvi di più a cuore aperto, perché per il titolo finale, Angels of Death, avremo intenzione di fare un articolo spettacolare e per quello non so se ci soffermeremo a chiacchierare assieme come abbiamo sempre fatto, quindi ne approfitto della conclusione di questo articolo per trarre le mie ultime osservazioni.

Oggi ne abbiamo dette davvero tante, a mio parere anzi (PaoGun) abbiamo perfino esagerato…Ma questo perché tutto va guardato nel suo contesto. Infatti prima di arrivare alla conclusione di Back To The Future, con cui chiuderemo la stagione, ci soffermeremo per un po’ su altre rubriche come il Tin Coffee Pot Time (perché man mano che nella storia degli RPG Horror arriviamo “all’epoca contemporanea” possiamo riflettere sempre di più sulla realtà di produzione circostante).

Anche se sembriamo persone davvero cattive e acide quando scriviamo per gli Archives sappiate che nella realtà proviamo sempre tanta amarezza nel momento in cui parliamo di cose che ci fanno arrabbiare, questo sia quando lavoriamo sulle analisi interne dei titoli, sia nel parlare di realtà esterne ad un prodotto; perché effettivamente è davvero triste rendersi conto delle difficoltà che si devono affrontare in un contesto in cui si potrebbe apparentemente dire: “Hey! Oggi è diverso, tutti possono emergere con la loro creatività!” e invece non è affatto così.

Ma è proprio per questo che invece di affossarvi vorremmo tanto spingervi nella ricerca e nell’informazione. Perché siamo le prime a tirare in ballo numerosi argomenti senza approfondirli tutti a fondo.

Se riprendiamo un attimo le riflessioni sui contesti esterni e torniamo all’argomento sugli editori che avevamo introdotto negli scorsi articoli… Secondo me non abbiamo mai approfondito a fondo il percorso con cui tutto è iniziato: “Per Kedouin com’è andata? Qual è stato il suo rapporto con gli editori?”.

Per volere delle scadenze da rispettare, per volere di sintesi (associare la parola “sintesi” ai nostri articoli fa ridere, lo sappiamo, ma ci riferiamo soprattutto alla necessità del cervello umano di “sintetizzare dei concetti”); noi ci poniamo dei limiti su tanti argomenti che in genere meriterebbero di più approfondimento.

Vorremo far passare questo concetto: gli Archives sono solo l’inizio; è il tipo di mentalità che ci piacerebbe vedere più diffuso (incazzarci con gli altri? No, il comportamento che vorremo vedere più diffuso è farsi delle domande), e se abbiamo l’arroganza di dirlo è semplicemente perché ci siamo abituate a vedere che normalmente in questo panorama non è, appunto, molto diffuso come modello di pensiero.

Questo perché, almeno secondo quelle che sono le nostre esperienze di vita: essere obiettivi ti cambia per sempre. Cercare l’obiettività in tutto cambia il modo di vedere le cose soprattutto nel caso in cui si indaga su qualcosa, nel nostro caso,  ad esempio, che stiamo cercando di indagare sulle sorti di un mercato in cui, tutto sommato, stiamo riversando le nostre aspettative per un futuro professionale.

In breve, stiamo anticipando i nostri saluti qui, sperando che vivere questo lungo percorso assieme a noi iniziato nel 2019 possa rimanervi impresso a mente e stimolare a cercare sempre più informazioni. E quindi…

Grazie. Grazie mille per essere arrivati fino a qui.

Ci rivedremo a breve con voi nel Tin Coffee Pot Time, che Ele sta scalpitando per farsi una chiacchierata con voi.

 

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