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Audience/Work Relationship – Il “selfish confort” dilemma

Bentornati nella rubrica del Tin Coffee Pot Time, in breve una normale rubrica delle “chiacchiere”, o semplicemente argomenti che stanno un po’ stretti nelle normali rubriche che trattiamo qui sugli Archives.

Dopo che mia sorella ha scritto un bell’articolo sui modi alternativi del fare storytelling, facendo della sana e precisa informazione come si deve…

Adesso arrivo io a rovinare tutto.

Come avete intuito dal titolo, “Selfish Confort Dilemma”, questo sarà un articolo cattivo. E molto anche. Soprattutto verso di voi, i nostri lettori.

Perché parleremo direttamente di tutti noi, di come tendiamo ad approcciarci non solo al videogioco, ma all’intera opera di finzione in generale! Vi coinvolgerò finalmente nei miei discorsi e non saremo più quelle che “parlano di giochi ormai morti”!

Peccato che, dato che siete con me oggi, ciò verrà fatto nel modo più brutto, insensibile, cinico e allo stesso tempo arrabbiato di tutti questi anni in cui si è formato questo sito.

E quest’intento per nulla nobile, come lo perseguiremo?

Per tenerci in linea con il genere di giochi di cui parliamo negli Archives, oggi analizzeremo tre titoli; tra cui due molto, troppo amati… Ma li analizzeremo a livello morale.

Eh, la morale. Quello di cui tutti noi piace parlare, me compresa, perché fa affidamento solo su ideali vaghi. Quindi possiamo dire quel che vogliamo, perché ognuno ha le proprie idee che non devono essere messe in discussione perché c’è la libertà di espressione e… Devo davvero fare tutte queste premesse?

Ma è quella che tutti noi sentiamo in dovere di giudicare, anche se noi, nel profondo, siamo tutti marci. È umano.

E con “tutti noi” intendo proprio noi, pubblico (che è anche qui nel bar oggi!) che fa passaparola di questi giochi, rendendo normali, rendendo legittimi i messaggi giusti o sbagliati che essi perpetuano… Perché a noi sta bene. Perché a noi quella storia “ha dato emozioni”, anche se nella maggior parte dei casi dietro a quella frase non si capisce se la nostra sia vera devozione all’opera stessa o qualcosa di più marcio sotto.

“Ehm ehm! Io, rispettosamente, non sono d’accordo!”

 “Cosa ci sarebbe di marcio nella frase ‘questa storia mi ha emozionato?!’”

 “…Vanità, voler essere compresi per forza… Confort personale.”

Ma non sono mica un giudice, eh. Io stessa, a tratti, non capisco cosa mi porta ad attaccarmi ad un’opera quando rifletto su me stessa.

Quindi, dato che non riusciamo a farci un esame di coscienza da soli…
Vediamo in quali tipi di opere ci riconosciamo.
Sapete no, le opere che consideriamo “di buona fattura”, progetti “da voler bene”, storie che “toccano le corde dell’anima” e tante altre frasi fatte che portano views ai nostri “video essay”, portano like ai nostri commenti o semplicemente imbambolano le persone nel pensare che abbiamo minimamente una mentalità profonda, anche se siamo buoni solo a filosofeggiare…

 “Ha iniziato anche con le frecciatine…”

“…”

“…Ogni volta mi chiedo se mia sorella sia masochista…”

 “Il vostro supporto mi rende sempre felice, ragazze.”

“Quindi ragazzi, iniziamo con l’analisi! Prenderò tutte le vostre domande e risponderò in maniera pacifica rispettando ognuna delle vostre fantastiche opinioni!”

“…Mente.”

…..

 

“Vorrei intervenire per un attimo per poter porre una premessa.”

Consideratelo un piccolo disclaimer, ma ci tengo davvero a precisare che in questo tipo di articoli non approfondiamo i titoli nel loro contesto come facciamo normalmente in Back To The Future, ma cerchiamo di collegare tra di loro vari titoli attorno a un tema portante. Questo può portare il rischio alla percezione di un tipo di articolo di stampo più “complottista e/o allarmista”, ed è per questo motivo che sottolineo qui che stiamo affrontando una serie di riflessioni personali osservando in via generale i contenuti che propone il mondo videoludico indipendente 2D (facendo riferimento ai titoli prodotti su Rpg Maker nello specifico) in ambito narrativo, ovviamente come si fa sempre in questi casi con una buona dose di linguaggio più edulcorato per amore dell’intrattenimento.

 

“Okay Ele, dopo che ti ho rotto le scatole possiamo procedere.”

 

Ecco, vediamo l’ultima immagine! Un RPG Horror (se Omori si può definire tale…) recente! Una rarità!

…E soprattutto, la mia fonte di incubi da qualche mese.

Quindi, si, parleremo di giochi molto amati e conosciuti…

 “Che palle! Di nuovo Cloé’s Requiem?! Non ci avete già fatto 3 articoli su quel gioco di m**a?”

“Mah, io l’ho giocato, mica ho capito quel che hanno detto in quegli articoli? È una roba così, tranquilla, niente di speciale…”

“Possiamo passare ai veri dibattiti interessanti, grazie?”

Va bene. Partiremo da un discorso più generale, allora.

Parte 1 – Le “povere vittime”

Per queste prime due parti, si parlerà di temi più generali, per poi rendere più chiare le analisi nel dettaglio dei giochi singoli.

In questi tre giochi, vengono presentate ogni volta delle “povere vittime”, persone a cui dovremmo in teoria affezionarci, per via dei loro traumi, brutte esperienze o emozioni che, sempre in teoria, dovrebbero renderli più umani.

Ma vediamo, in realtà, cosa siamo portati a dover difendere.

Cloé’s Requiem: Con Amore – “Pierre is a bit innocent”

Prima di passare a Con Amore, diamo una veloce overview sul personaggio di Pierre, usando il nostro articolo di appendice sui personaggi di Cloé’s Requiem:

Ci viene presentato semplicemente come “il gemello meno bravo a suonare del protagonista”, anche lui biondo e con gli occhi azzurri.

Quello che lo fa saltare subito all’occhio, sempre parlando superficialmente, è la repressione della sua rabbia riguardo al fratello.

(…)

Agli occhi di alcuni giocatori, per quello che ha fatto e detto, Pierre è nient’altro che un verme represso, pronto a minacciare il fratello di uccidersi.

Si, ragazzi, l’ha detto veramente.

Ma questo personaggio, a questo punto detestabile al massimo, come è stato trattato nella “versione extra” del gioco, Con Amore?

“Avevi un’espressione di dolore.
La performance non sembrava affatto divertente.”

Ok, prima di passare al punto, se vi ha fatto venire un infarto una catgirl in questo gioco, lei in teoria dovrebbe essere “Noir”, che nel Cloé’s Requiem originale è semplicemente un gatto ed era solo una rappresentazione direttamente in contrasto con un altro gatto, Blanc (che in Con Amore anche è umanizzato).

(Questa è una recensione su Cloé’s Requiem Con Amore di un blog giapponese)

“Mi sono informato per voi e non capisco dove vorreste andare a parare. Hanno eliminato quelle  scene, non potete sapere se ha ripetuto quelle stesse parole. E in più, già si sapeva nel finale del gioco originale a cui tanto siete affezionate che avrebbe chiesto scusa a suo fratello; dunque se per caso vorreste criticare questa versione del gioco per aver messo a fuoco un lato più umano del personaggio che tra le altre cose si auto-accusa e sviluppa un percorso di crescita personale non credo che sia una critica giusta e meritata. Non è sano trovare sempre il marcio in tutto.”

“Ehi, ha ragione! Può capitare che tra le persone certe relazioni diventino più complicate, non trovate anzi che sia molto dolce che per il senso di colpa non riesca più a esprimere il suo dispiacere?”

 …

…Ragazzi, davvero?

Ha minacciato di morte suo fratello…! E dato che la sua è una rabbia e un odio veri che reprime da anni, dato anche l’atteggiamento freddo che ha con suo fratello, assieme a delle frecciatine che possono solo farti pensare “che stronzo!”

Il suo non è un semplice “usare male le parole”. Quello succede con le persone a cui si vuole in realtà bene. Anche prima di dirgli direttamente di morire, ne ha dette di cotte e di crude, andando sempre sul concetto che secondo lui Michel non doveva nascere. Non è una cosa che dici a tuo fratello, diamine.

Diciamocelo chiaramente: soggetti del genere solitamente non si fanno mai problemi a esprimere quello che pensano. Un po’ di retorica come ha sempre fatto, e perfino nella sua ambiguità sarebbe riuscito a mandare dei segnali molto chiari del suo stato emotivo.

E qui questa sottospecie di rattoppa-buchi di gioco mette giù un litigio dove si sono tirati fuori rancori repressi da anni…

Come un litigio un po’ più acceso, ma dato solo dalla rabbia e la frustrazione?

“Avevi un’espressione di dolore.
La performance non sembrava affatto divertente.”

Questo screenshot, che vi abbiamo mostrato anche prima, proviene prima del famoso litigio che citiamo qui sotto. Si riferisce più o meno alla condizione generale vissuta in famiglia, perché come tutto il resto delle cose brutte brutte, come aveva già anticipato il nostro amico, il litigio è stato totalmente censurato in questa versione.

(Recensione dal sito Freem!)

“Avevi un’espressione di dolore.(…)”

“Voi pensate che la frustrazione, ‘dolore’ e quanto possa aver provato sia una giustificazione valida per il suo ‘scatto di rabbia’  e definirlo come vittima?”

Pensate che la “frustrazione” possa essere una buona scusante per far passare un personaggio del genere dal torto alla ragione etichettandolo come vittima?

” …”

 

Potete vedere quindi, che per giustificare questo personaggio assieme alle sue immoralità (come l’odio verso suo fratello, che sarebbe in teoria la persona sbagliata con cui prendersela), si sono minimizzati al massimo i concetti forti detti nella scena del litigio in Cloé’s Requiem, quando quelli erano proprio gli elementi che rendevano quella scena forte e significativa.

Di questa minimizzazione dei problemi evidenti che aveva Pierre ne ha sofferto anche la sua caratterizzazione.

(Il contesto dello screenshot successivo è quello dell’immagine sopra, anche se quel che dice Pierre sopra fa riferimento ad altri eventi)

(Questa trascrizione di un dialogo che accade nel gioco parte è presa direttamente dalla traduzione di Cloé’s Requiem Con Amore, perché nel video da cui abbiamo preso gli screenshot quest’interazione sembra essere stata saltata… E non possiamo fare degli screenshot da noi pur scaricando il gioco, non sapendo il giapponese)

Ora vi spieghiamo meglio quello che hanno fatto a questo personaggio: rimuovendo la caratteristica principale della sua personalità, ovvero l’atteggiamento subdole e falso, l’hanno modellato per cercare in ogni modo per farcelo percepire come un ragazzino infantile…

…Ed il significato della frase che avete letto nella recensione “si percepisce come una persona egoista” serve ad evidenziare questa situazione.

Diciamo che è diventato semplicemente un “povero ragazzino problematico che deve ancora capire come funziona il mondo e come aprirsi apertamente agli altri”.

E quindi, indovinate un po’, cosa succede?

“Avevi un’espressione di dolore. (…)”

DIVENTA UNA VITTIMA

Ma perché diciamo questo? Perché la colpa diventa solo degli adulti e del mondo insensibile in cui è cresciuto, ad esempio.

Il signor d’Alembert rimprovera Charlotte che non se la sente di portare la gatta sulle montagne, questa scena in precedenza non era mai mostrata direttamente e si dava più peso alla reazione della ragazzina il giorno dopo. In questo senso il padre dei due ragazzi diventa una figura molto più presente, pronto ad assumere il ruolo dell’adulto cattivo e senza cuore nel senso più letterale del termine.

In breve, viene totalmente esclusa la possibilità che possa aver assimilato ormai gli atteggiamenti tipici della società malata che volevano rappresentare e l’hanno distanziato da questa realtà, come conseguenza Pierre ha assunto un’altra personalità, nonché un altro ruolo all’interno della storia che potessero rimuoverlo da ogni situazione scomoda che lui stesso aveva generato nella situazione originale.

La causa di questo:

Diventa questa:

Ovvero “un solo attimo di debolezza” dato dalla frustrazione momentanea, in realtà è una brava personaè una persona da compatire questa o per cui provare dispiacere.

“Se chiedessi scusa a Michel potremmo suonare come una volta?”

“Sì, certo, ne sono sicura!”

Vi spieghiamo una cosa.

Questo cambio di rotta con tutto il suo relativo pentimento, la menata del “ragazzino infantile ed egoista ma di buon cuore che non sa esprimersi” non ha assolutamente senso se si pensa al contesto famigliare e sociale restrittivo in cui si trovava evidentemente nel gioco originale: diciamo che la colpa dell'”egoismo” era l’ultima cosa a cui si pensava nei termini più concreti. Chi poteva permetterselo guidava le redini e si meritava i suoi riconoscimenti; chi non poteva dettare legge si limitava ad essere uno strumento nelle mani dei più forti. Dunque, essendo “uno strumento minore” Pierre lavorava per raggiungere uno status più alto. Lui si esercitava per ottenere il riconoscimento di suo padre, applicava semplicemente la morale del duro lavoro e della “meritocrazia”, nella sua percezione delle cose le idee che manifestava durante il gioco (sfogo compreso) erano tutte legittime; non è che “soffriva e dunque ha commesso la cazzata”. Sapete quando ha iniziato a volersi scusare? Quando è morto il padre, ovvero quando è caduto l’oggetto della competizione con suo fratello. Perché, per il resto, ha avuto UN ANNO per scusarsi -e abitano nella stessa casa!!- e non gliel’è fregato assolutamente un cazzo.

(Come sempre, teniamo a sottolineare l’inquietante cambio espressivo super repentino)

 

…E POI, accumula e accumula, è arrivata la sfuriata finale.

Vorrei farvi notare che queste parole non possono venire pronunciate da una persona che non coltivi veramente questi sentimenti così negativi. Il focus della questione non è che sia una persona di per sé infantile e che “vuole sempre tutto per sé”, non è mai stato quello il vero problema. Può essere certamente un modo di vedere il personaggio, un cambio di prospettiva che le autrici hanno avuto nei suoi confronti, ma il punto è che nella realtà dei fatti i ragionamenti di Pierre sono corretti, hanno un senso. 

Il cambiamento sembra davvero impercettibile a primo attrito, ma il motivo per cui ne stiamo parlando qui e ci interessa così tanto è che sia stato fatto di tutto per de-responsabilizzare il personaggio dalle sue colpe rendendolo sostanzialmente “inoffensivo” e assolutamente redimibile a 360° gradi.

Ecco, QUESTO è quello che potreste descrivere il bambino viziato e inoffensivo, sappiate solo  che non ha nulla a che vedere con l’originale!

…Potete vedere da soli che sono ben altri i problemi di cui si lamenta.

Vogliamo ricordarvi come nelle precedenti intenzioni si volesse insistere più sull’infantilità, invece, di Michel: è lui il personaggio che in fin dei conti doveva affrontare questo tema, e il gioco non mancava di farti vedere il lato negativo dell’argomento!

Il risultato di tutte queste modifiche in Con Amore, la prova che è cambiato totalmente l’approccio nel modo di vedere i suoi atteggiamenti la si riscontra nel fatto in questo modo si è minimizzata ogni possibilità di conflitto con altri personaggi.

Vediamo per esempio una differenza: osservate come tratta Charlotte come sottoposta qui, dove da bravo ragazzo che è, la rimprovera perché si preoccupa: “Cadrai ! Stai attenta!” e via dicendo

…E come invece la tratta qui. Questa espressione si commenta da sola.

Insomma, Charlotte in fin dei conti ci aveva visto più che giusto!

Ma nel prossimo caso tratteremo una cosa ben peggiore, ovvero il patetismo totale, dato dalla giustificazione di una bulla fatta e finita.

Omori – Aubrey: “What you’re dreamin’ about, Sunny?”

“…Dio che odio questa qui.”

“…”

“Allora, prima di tutto rispetto la tua opinione ma…”

“Ma per me resti una stronza disacculturata perché non hai compreso la bellezza di questo personaggio perché è una figa assurda”, mi permetto di interromperti e predire quello che mi dirai!”

“Ele…”

” ‘Kay, era troppo. Un’ “analisi” su Aubrey però ci avrebbe distolti dal discorso, dai!”

Quindi, salvo questo piccolo incidente con la community, che osanna questo gioco da qualche mese…

Aubrey. Confesso che è il personaggio che mi ha fatto girare gli occhi più volte in Omori, dato che è semplicemente un caso più grave di un problema che hanno tutti i personaggi del gioco: accumulamento di stereotipi su stereotipi.

Ma soprattutto il modo in cui è stata trattata mi ha abbassato ancora di più la qualità del gioco stesso.

Vedo che state già preparando i forconi o un bel discorsetto da farmi, che passerebbe dal dire quanto Omori sia in realtà profondo, fino ad arrivare alla mia totale mancanza di educazione… Per qualche ragione…

Ma presentiamola un attimo, questa “Aubrey” dal cognome ignoto.

Aubrey, nel mondo reale presentato dal gioco; perché Omori si divide in mondo dei sogni, dove sono tutti bambini, e il mondo reale, dove i protagonisti sono tutti cresciuti, essendoci stato un timeskip di 4 anni, è un’attiva bulletta che fa picchiare dalla sua gang (che gang poi, usano le biciclette per fare i bulletti. Vengono messi giù come piccoli delinquenti, e neanche un po’ di vandalismo? E non me la bevo che sia per l’aestethic “infantile” o roba del genere!) un povero cristo per qualcosa successo 4 anni prima di quel che vediamo con gli occhi del protagonista Sunny…

“Ah, e dai! Lo fa perché si sente male del fatto che Mari sia morta, così come è morto suo padre, non vedi?”

“Certo. E l’acqua è sicuramente bagnata…”

Andiamo in là con un approfondimento del suo comportamento per cinque minuti.

Aubrey non ha mai e dico MAI superato il lutto per Mari, loro amica, per 4 anni (perché c’è un timeskip di 4 anni nel gioco), quando Hero, altro main character, pur essendo (si presuppone) qualcuno di più vicino a lei come è un fidanzato è andato al college e l’ha superato, in quel lasso di tempo.

… E Aubrey soprattutto se la prende ancora con i suoi vecchi amici. Possiamo vedere una bella dimostrazione di maturità. Non è andata avanti nella sua vita dopo, lo diciamo ancora, quattro anni dal lutto per Mari-

“Guarda che le è morto anche il padre…”

“Ok, quando? I due lutti sono accaduti in modo successivo, così che la disperazione fosse più forte?”

“Mah, non lo so, suppongo…”

“Eh, bravo, supponi. Che i giochi ti sembrano più belli se supponi tutto.”

“Oh. Questa mi è piaciuta.”

…Comunque.

Quattro anni dal lutto per Mari, dicevamo. E, in seguito, se la prenderà con i suoi vecchi amici perché non ci sono stati per lei.

Altra grande dimostrazione di maturità, perché viene detto nel gioco che tutti erano addolorati per la loro amica morta, e che avevano tutti i loro problemi! E dopo quattro anni, dove ha già trovato altre persone (“amicizia superficiale” o meno, come forse vuole essere trattata) è cresciuta seppur in negativo?

Un’altra cosa da fare, senza dover arrivare alla violenza da scimmia, oppure da bambina capricciosa, sarebbe stato semplicemente non vederli più, non considerarli, senza fare la drama queen in chiesa!

Ecco, ora che mi sono lamentata ben bene di Aubrey…

Sapete la cosa bella?

Da quest’infantilità Aubrey non cresce mai durante il gioco. Vogliamo vedere come esso la tratta?

Vediamo un attimo il personaggio di Aubrey nel dettaglio tramite la scena in cui lei è direttamente protagonista, la scena della chiesa.

La scena in cui, onestamente, mi ha assalito una sensazione di cringe assurdo, per via di vari fattori di irrealismo, tra cui la gente che non andava né a dividerli, né a fare nulla per dei ragazzi che si picchiavano, neanche il parroco che faceva niente… E soprattutto, i commenti a caso delle persone: “Guarda com’è vestita…” e stronzate del genere. Di quelle classiche cose solo per dire “we live in a society…”, ma che in realtà non hanno alcun contesto (perché prima di tutto, frasi del genere in quella situazione sono davvero ridicole… E poi perché la società, dopo questa scena, è sempre e comunque tranquilla e felice, quindi non è un tema che si tratta nell’opera stessa -e per la cronaca: Earthbound aveva una trama sovrannaturale che stravolgeva gli equilibri del “villaggetto carino”, quindi tutto era funzionale al conflitto che si sarebbe sviluppato-) e servono solo e soltanto per vedere Aubrey come una vittima, quando in realtà è lei quella con una mazza ferrata disposta a picchiarci in una chiesa.

Tornando ad Aubrey…

Saltiamo tutti i dialoghi inutili sul “Noi ERAVAMO amici, ora non più perché ora sono depressa” … Andiamo direttamente alle battute prima del combattimento.

Iniziamo da questa frase di Kel. È molto generica, sul serio, ma da qui possiamo iniziare il fenomeno per cui un personaggio diventa “il cocco dell’autore”, “il cocco della fanbase” o… In generale, viene giustificato per tutto perché “sotto ha un cuore d’oro!”.

Ragazzi. Smettiamola.

Il finale del gioco, secondo cui Aubrey alla fine fa pace con tutti quanti è un semplice contentino per chi ama questo personaggio.

“Atteggiarsi differentemente, ma essere comunque una persona buona, in realtà dal cuore d’oro, che ha delle persone a cui vuole bene, e ci tiene a loro, anche se è un po’ aggressiva”, parlando di personaggi che sono potenzialmente criminali, violenti, o anche solo cattive persone…

Vi dico una cosa cattiva, ma che secondo me è verissima.

Sapete dove tende a valere quest’irrealistico concetto?

Nei libri young adult romance. Di quelli trash.

 

“After?! SERIAMENTE?!”

“…E uno se n’è andato. Okay, forse sarò davvero nei guai se inizia a dire ai suoi amici “sono andata al convegno di una che paragonava Omori ad After!!”. Novella, se bussa qualcuno non aprire!”

 …Ele, sono onestamente preoccupata delle tue azioni.

Avete presente questo libro? Detestato da molti booktuber, una rappresentazione di una relazione tossica, perché Hardin è in generale un ragazzo dai molteplici problemi mentali, mai presi come tali.

…E in generale, da parte della saga (i primi due libri che fondano la base su cui si poggiano gli altri, praticamente) non viene quasi mai condannato o nessuno ha le reazioni corrette ai suoi atteggiamenti, per via del fatto che è il love interest della protagonista e il love interest non può essere rappresentato per quello che è, per una persona malata o almeno non adatta da frequentare.

Noi dovremmo tifare per Hardin ogni volta, anche se pensando in modo logico per alcune situazioni del libro avrebbero ragione anche altri personaggi. No, Hardin avrà sempre la meglio perché lui deve avere il meglio dalla vita.

Perché piace all’autrice, perché piace ai lettori. In teoria una persona così non dovrebbe interessare neanche a Tessa, se non esistesse il sempre irrealistico trope di “good girl-bad boy” e viceversa.

Una rappresentazione del ragazzo cattivo come è quella data da Hardin, convince i lettori che anche un uomo pericoloso, come può essere Hardin, con la persona giusta può cambiare, possa essere “sistemato”, perché ha un cuore sotto la pietra.
Ah, i più pretenziosi questo lo chiamano “character development” di questi tipi di personaggi.

Perché questi pensieri “confortano” i lettori, quando la realtà è ben diversa.

Non mi guardate così! Sapete che è vero, sapete che avete la stessa dinamica dei lettori di libracci romance! Posso riassumere tutto il vostro percorso di valutazione del personaggio con un semplicissimo elenco!

  • Wow, che fig* st* ragazz*.

  • Damn è tost*, picchia la gente. Oh, non sarà moralmente corretto, ma rimane fig*… Anche se non so, perché picchia ***…?

(Scusate, non sono riuscita a trovare un frame migliore per la scena in cui picchia un ragazzo ad una festa. Nel primo film fatto picchia molto meno rispetto al libro e per il secondo film non c’è una comoda compilation di “Hardin Scott Scenes” e non ho davvero il cuore di vedere il secondo film per intero)

  • Aw, è successo (inserire trauma, morte di genitore, o… Qualunque cosa brutta a questo punto, tanto vale comunque) quindi. Ahh ho capito, fa per autodifendersi da quello che ha provato. Che cosa triste, ho capito perché sta facendo così…

(Questa scena fa vedere la backstory di Hardin, dove sua madre è stata violentata e lui ha dovuto vedere tutto)

  • Effettivamente a questo giro siamo noi i cattivi che stiamo limitando *** ad esprimersi. Difendete questa persona, vi prego!

(Quelli sopra sono commenti sotto un gameplay dove si vede la scena della chiesa in Omori)

(Questi ultimi 3 sono commenti sotto la scena di un incubo nel secondo film su After, dove si sa la backstory di Hardin)

Proprio come Tessa, anche nel nostro caso per certi tipi di personaggi non è la ragione a parlare. È il volere un confort character a tutti i costi e la nostra sindrome della Crocerossina a parlare.

 

“Ehi! La sindrome della crocerossina è diversa dalla semplice empatia!”

“Se per Aubrey non fosse stato usato da nessuno lo stesso ragionamento del “possiamo sistemarla!” che si usa con Hardin, Sunny e Kel avrebbero aiutato Basil e lasciato Aubrey a sé stessa, perché è una ragazza che, almeno per come si vuole far passare, è pericolosa.”

Ho praticamente un commento su Hardin che parla per me.

Non tenete conto della mancanza della doppia. Anche io vi faccio questa domanda.

Se, ad esempio, Aubrey fosse aggressiva verso Basil effettivamente solo come una bulla tipica: perchè si diverte (o per una reale discriminazione, poi possiamo affrontare questo discorso più avanti)…

Ci starebbe simpatica come persona?

Oppure, dato che ci piace molto il concetto di “personaggi come persone”: se non avessimo l’opera che con il cucchiaino ci dice che Aubrey è una persona da aiutare… Ci starebbe simpatica? Penseremmo alle sue azioni come “immorali, ma fatte per BUONE ragioni”?

Non voglio risposte qui dal pubblico. Lascio questa domanda aperta.

Anche perché voglio passare ad un altro caso, in cui l’opera giustifica biecamente non dei capricci come parole, o anche violenza fisica data dall’immaturità, a cui non viene data propria condanna a favore di un character development vero e proprio…

Nel prossimo ed ultimo caso, viene giustificato quello per cui Victor Frankenstein è stato punito malamente nel romanzo di Mary Shelley.

Aria’s Story – “Clyde’s Story”, o Il Moderno Prometeo

“Aria’s Story! Bello, è il gioco a cui mi sono avvicinata agli RPG Horror!”

“…”

 “Ma perché paragoni quei cuccioli dei personaggi, come è Clyde, ad un noioso classico dell’800?”

Perché è esattamente quel che giustifichiamo per tutto Aria’s Story, soprattutto per i dialoghi aggiunti nelle versioni successive del gioco.

Il caso di Clyde fa quasi ridere, per quanto è surreale.
E soprattutto a me fa ridere, per non piangere, quanto la basilare regia di due/tre scene strappalacrime è riuscita ad oscurare quest’aspetto davvero inquietante del gioco, su cui però alla fine non si è mai approfondito nulla, e neanche pensato ad esso come un problema vero, o un dubbio morale.

Non posso neanche scrivere una qualunque frase d’effetto… Perché il problema sta nell’intera trama!

Per chi non conosce Aria’s Story, ecco la trama in breve. Voglio solo informare che essa viene messa tutta quanta nelle poche cutscene finali, mentre per tutto il gioco abbiamo solo un foreshadowing messo lì e in generale il nulla cosmico.
Voleva somigliare poco a Pocket Mirror, eh?

“Pocket Mirror? Ma Aria’s Story-”

“Shh… Potrai lamentarti dopo.”

Il plot-twist generale del gioco è che la protagonista che abbiamo comandato per tutto il tempo, Aria, è in realtà la copia di una ragazza morta, amica dei personaggi comprimari che incontreremo durante il gioco. Clyde, artefice di tutto, con una penna magica (??) voleva disperatamente riportare indietro la vera Aria. La “Aria falsa” è stata creata con la penna magica, così come un mondo fantastico basato sul libro di Lewin, parte del gruppo di amici di cui faceva parte Aria (di cui fanno parte tutti i personaggi).

Clyde voleva testare se la falsa Aria fosse buona come quella vera, quindi l’ha intrappolata nel mondo dei libri e ha fatto il lavaggio del cervello a Dahlia (altra loro amica… Stesso ruolo di Aubrey: portare dramma) e Lewin in modo che potessero guidare Aria attraverso il suo viaggio.

Mi baserò su quello che il gioco effettivamente ci dice tramite dialoghi apparentemente inutili tra Clyde e Dahlia, e il True Ending.

Dato che parlerò di Clyde, non mi interesserò del “Good Ending”, dove la “falsa Aria” accetta che è una persona diversa da Aria. Prevalentemente perché è… Semplicemente un finale davvero imbarazzante, messo in un aggiornamento fatto così all’intrasatta.

 

“Ma come? Quel finale è essenziale! Hai chiamato il paragrafo “il Moderno Prometeo”, e non parli di come Wendy sia riuscita a riconoscersi come persona singola e non come una copia di Aria?”

” …Lo sai che parleremo di Clyde, vero?”

Ragazzi, il problema non è la reazione di Aria in finali alternativi come il Bad End 2 dove lo uccide così a caso o il Good Ending dove in cinque minuti ha una realizzazione esistenziale e soprattutto come questo finale crei dei buchi enormi con quello che abbiamo sempre visto nel gioco fino al finale…

Ad esempio, per tutto il gioco noi non vediamo una ragazza diversa da Aria, anzi ne vediamo una copia perfetta anche dal punto di vista della personalità. E poi, questa penna magica è difettosa per aver creato una persona totalmente differente? Doveva creare una Aria perfetta! È un mezzo magico sopra la natura non, appunto, un esperimento scientifico con imprevisti o cervelli messi male, tipo Frankenstein Junior!

È la premessa di trama davvero problematica e inquietante, che fa comparare quel ragazzo a Victor Frankenstein!

Quindi, iniziando questa benedetta analisi su Clyde…

Ho voluto separare un pezzo di trama da tutti gli altri.

“Clyde voleva testare se la falsa Aria fosse buona come quella vera.”

Se “Aria” non si dimostrava una creatura obbediente cosa facevi allora, Clyde?

Intanto, l’Aria appena negata dal suo creatore, che è andata incontro a chissà che fato:

Tu hai la possibilità di creare la vita dal niente. Puoi creare esseri umani a tuo piacimento, degli esseri pienamente pensanti, con intelligenza propria, domande, speranze, ambizioni! Mica dei robot!
E la vita che crei, la tratti così. “Se muore in questo mondo, creo una terza, quarta, decima Aria…”.

Quindi, automaticamente, “Se non ci soddisfa, si può uccidere e se ne fa un’altra che possa soddisfare i nostri desideri”.

Vi rendete conto? Con la mentalità di Clyde, il “Good Ending” non poteva neanche essere contemplato, perché un’Aria che non avesse rispettato i canoni voluti da Clyde sarebbe stata uccisa. Lo dice il fatto che le varie “copie di Aria” dovevano essere persino “testate” … Non bastava vedere se Aria parlava, camminava o riusciva ad articolare dei pensieri. No, c’era bisogno dell’Aria che voleva Clyde.

Il finale poco più realistico (per quanto pecchi sempre di qualunque tipo di profondità), quindi, in realtà è il secondo Bad End dove, come in Frankenstein, la Creatura uccide il suo padrone! Victor viene punito perché ha infranto le leggi della natura e ha ripudiato quello che lui stesso ha creato!

Io… Io non so cosa dire, anche se so che devo parlare perché se nessuno ha notato questo dettaglio inquietantissimo devo dirne io i dettagli!

Parlando proprio di Frankenstein, per passare direttamente al punto, ovvero di come quest’orribile atteggiamento verso una nuova vita viene trattato… Victor viene messo in dubbio e alla fine anche ucciso, proprio per il concetto che dice Clyde!

Questa frase dice tutto!

“E tu, con coscienza soddisfatta, distruggeresti la tua stessa creatura!”

(E, nel finale…)

Ah, dimenticavo.

A pensarci, anche l’elemento per cui ha CANCELLATO LE MEMORIE – Ancora una volta mi chiedo quali altri incredibili prodezze ha questa diavolo di penna magica – di Dahlia e Lewin mi fa pensare che Clyde non volesse in nessun caso nessuno a contrastarlo. Questo aggiunge ulteriori punti inquietudine a-

“Non è vero! L’ha fatto per proteggerli, e poi alla fine è stato contrastato lo stesso, non vedi?! “è una cattiva idea!” Lewin l’ha detto!”

“…Ne stavo appunto parlando, signora fiorellino.”

Quindi, anche se contro quest’ideale c’è anche un minuscolo scontro con Lewin assieme a un minuscolo ripensamento…

Dopo due finestre di dialogo, tutto quel che ha fatto e pensato di fare Clyde viene subito dimenticato perché “adesso si piange”! Delle scuse con lacrime di coccodrillo e un “Clyde…” non bastano per dire che è stato risolto questo problema. Possibilmente, l’intero gioco poteva essere basato su questa cosa! Questo tema, quello dello scarso valore per la vita che Clyde ha, viene messo biecamente da parte e vedremo bene dopo il perché.

Quindi, riassumendo tutto quello che ha fatto Clyde, giusto per vedere che genere di persona viene giustificata… E giusto perché voglio divertirmi, se possibile confronterò dei suoi atti con frasi da qualunque adattamento di Frankenstein, o il libro originale:

-Ha fatto il lavaggio del cervello a degli amici che dovevano essere coinvolti nella pazzia che stava facendo

(Da “Mary Shelley’s Frankenstein” di Kenneth Branagh. Non lo digerisco, ma è pur sempre un adattamento del mito di Shelley)

-Ha riportato in vita una ragazza morta, non rispettando il cerchio della vita, e violando le leggi della natura

(“It’s alive! It’s alive!” – Colin Clive, “Frankenstein”, 1931. Victor non dice mai “è vivo!” nel libro. La famosa frase viene da questo film.)

-Pretendeva che la sua creatura dovesse assomigliare perfettamente a quella che era una ragazza morta, e se non superava un cosiddetto “test”, se la creazione di Clyde non si dimostrava quel che voleva… Meritava secondo lui la morte, dato che ha messo trappole appunto mortali.

 

-Dipende da quante volte muori nel gioco, ma ha letteralmente creato multiple copie di Aria, senza alcuna coscienza su quelle trucidate da innumerevoli trappole del suo mondo del cacchio.

E quindi, anche se l’ho già premesso in molteplici parti di questo paragrafo… Viene tutto giustificato, ed è questa la cosa davvero incredibile e… Si, dello stesso livello di inquietudine delle azioni di Clyde!

Ma perché, vi chiederete?

Ma per noi, ovviamente.

Per darci una storyline carina e coccolosa per forza-

“…”

“Bah, in realtà è stato fatto perché una storyline inquietante con un personaggio mezzo malato non ci sarebbe stata bene per il gioco.”

“Uh… Già… Aria’s Story vuole parlare di altro… Cioè Clyde caratterizzato in quel modo sarebbe andato fuori stile…”

Ah si?

Ve lo dico, avrebbe reso in realtà molto più potente e palese il “contrasto tra carino e inquietante” che l’autrice del gioco tanto dice nella stanza bonus alla fine di Aria’s Story!

E poi… In un gioco horror, un personaggio che ha fatto degli abomini sarebbe andato “fuori stile”? A me spiace insultare direttamente, ma… Vi riascoltate mentre parlate?

Infine: Aria’s Story di che parla quindi, se proprio una tematica davvero definita e fortissima (espressioni usate in maniera, credo abbastanza opportunamente, ironica) poteva permettere a Clyde di comportarsi così?

“…Parla di amicizia. Clyde ha fatto quel che ha fatto per Lewin. Non è malato come dici tu.”

“…È grave che io stia prevedendo tutte le tue risposte alle mie domande?”

…Se ha fatto tutto quel casino per il suo amico…

Perché si è sentito in dovere di fare tutto da solo? Perché non potevano essere tutti d’accordo?
Perché era una pazzia, quella di riportare in vita una morta. Lewin non era d’accordo, Dahlia non pervenuta. L’ho già detto: Clyde non voleva nessuno a contrastarlo, come avrebbe provato in un’unica finestra di dialogo a fare Lewin stesso contro di lui.

Quindi, ragazzi, spero di aver risposto alle vostre domande… E che possiamo tutti concludere che Clyde sia una persona totalmente ingiustificabile, ora che ci abbiamo pensato tutti insieme (Anche qui, l’ironia regna sovrana) oggettivamente.

Però… A tutto questo non ci abbiamo mai pensato, vedendo le cutscene finali di Aria’s Story. Siamo stati tutti intortati.

Continuando il mio discorso, si voleva dare una storyline carina per forza, in un mondo felice dove tutti gli amici sono “uno per tutti e tutti per uno”, dove le persone hanno le loro debolezze e fragilità, ma per cui basta il confort character di turno per fargliele passare e farli diventare più perfetti di quanto non sono in realtà.

(Con quest’affermazione si spiegano molte cose.)

Aria’s Story 2.0 – Stanza Bonus

Ecco, appunto…

 

A noi piace quel mondo. Quel mondo ci conforta, ci fa stare bene il pensare “le persone hanno pregi e difetti, ma dobbiamo sempre migliorarci per diventare il meglio che possiamo!”. Ideale nobile, ma che sotto sotto sappiamo benissimo di non saper rispettare totalmente. Sappiamo bene che noi persone siamo molto più sfaccettate, molto più complicate di così.

Però, dato che quel mondo ci piace davvero un sacco…

Quando i giovinetti carini piangono, anche noi piangiamo. Anche se tutto questo non ha contesto, non ha basi su cui reggersi, ed ha tanto marcio sotto. Vediamo delle belle faccette piangere in una scenetta del cazzo, e anche se prima abbiamo avuto il nulla totale, anche se non abbiamo avuto nessun percorso per arrivare a quel climax finale… Quella scena ci muove, così tanto da piangere.

È perché siamo noi il problema.

“…”

“…”

“…Volevo parlare di videogiochi, non avere una paternale. Arrivederci.”

 

“…”

“Se n’è andata in tempo… Ora dovrebbe esserci…”

Parte 2 – “Finalmente lo comprendo!”

Quindi, abbiamo ora introdotto un discorso che verrà ben approfondito in questa seconda parte dell’articolo sul “Selfish Confort Dilemma”.

Sapete perché ho trattato questi tre casi di giochi recenti (salvo Cloé’s Requiem) in particolare, per arrivare finalmente al cuore di tutto il discorso?

Perché tutti e tre hanno un elemento in comune: capricci infantili che sono presi come vere sofferenze o veri motivi per cui agire in modi estremi.

Pierre, per la sua frustrazione repressa, ha letteralmente detto a suo fratello di uccidersi.
Clyde, per riportare in vita una ragazza che per madre Natura doveva finire la sua esistenza, ha creato o aveva intenzione di creare molteplici creature che molto probabilmente poteva uccidere senza alcuna esitazione.
Aubrey, per via di quello che è in tutto e per tutto una serie di capricci infantili, è considerata pericolosa e violenta oltre ad essere il motivo per cui Basil soffre di bullismo.

Però, l’abbiamo detto molteplici volte, questi capricci sono sempre stati giustificati dalle opere stesse. E sapete perché?

Perché i personaggi vengono messi giù come delle vittime.

“Avevi un’espressione di dolore.
La performance non sembrava affatto divertente.”

Hmm… Onestamente io per descrivere queste cose ho solo cinque parole.

Però, tornando seri per un minuto, posso reagire come voglio ma sicuramente a vedere quelle scene vi riconoscerete nella serie di commenti che ho messo come penultima immagine.

Sentite che avete compreso le ragioni di questi personaggi, che per voi sono più umani… Perché sono deboli.

Vi dico una cosa. Questo non è comprendere. Questo è vittimizzare e giustificare, quello che sto condannando da tutto quest’articolo.

Spiegherò meglio cosa effettivamente vuol dire comprendere.

“Comprendere” vuol dire capire le ragioni del perché è stato fatto un certo atto, ma non dire per forza che sia giusto, che quella che abbiamo davanti sia in realtà una brava persona, o anche solo qualcuno di “likeable”. Un personaggio che comprendiamo è un personaggio che il pubblico non è costretto a redimere, ma che rimane dalla psicologia complessa e logico nelle sue azioni.

Questa filosofia cosa vi ricorda?
Gli antieroi. Belli gli antieroi, eh? Ci piacciono a tutti.

L’antieroe, di base, viene usato nella narrativa moderna come un “protagonista più oscuro”. Nel panorama moderno, per via di cattiva interpretazione di questo ruolo in una sceneggiatura, sono giustificati anche questi pseudo-antieroi, ma come definizione più precisa possiamo vedere che…

“L’Antieroe è un individuo che – fin dal principio degli eventi – non ha alcun timore nel mostrare il lato più oscuro della sua personalità. I tratti salienti della sua personalità possono spaziare in qualsiasi direzione, dall’egoismo alla violenza, dall’arrivismo alla timidezza, dal fanatismo alla sottomissione fino a raggiungere ed esasperare ogni altra caratteristica umana. La sua visione del mondo è spesso poco lucida e per nulla propensa alle regole del buon vivere.”
(dal sito scrittissimo.com)

-Breaking Bad, I Soprano, Cloé’s Requiem: il conflitto morale e l’essenza dell’antieroe-

Per collegarci meglio a quello di cui stiamo parlando, andiamo per tre casi differenti: uno fa parte del tipo di videogiochi di cui parliamo in questo sito, gli altri due sono personaggi iconici del panorama delle serie TV – Walter White e Tony Soprano.

“Vuoi davvero paragonare quel cesso di Cloé’s Requiem a Breaking Bad o a I Soprano?!”

“Whoa calma, abbiamo criticato quanto vuoi Cloé’s Requiem, se lo odi così tanto…”

Walter White – The “OG”

Iniziamo quindi proprio dalla una delle serie più decantate e apprezzate degli ultimi dieci anni, per avere un’idea generale. Dico “generale” perché la psicologia di Walter White è fin troppo complessa da trattare così brevemente, dato anche che si evolve costantemente durante la serie… E io onestamente non ho neanche visto Breaking Bad per intero. Non puntatemi i forconi! Mi farò aiutare dalla wiki, che descrive molto bene la psicologia di Walter White, quando dovremmo citarla riguardo a degli episodi.

Ma in ogni caso credo che ogni nerd sul pianeta conosca le origini di Walter White.

Quindi, Walter White è un professore di chimica, non pagato abbastanza dal suo lavoro da insegnante, né da un secondo impiego in un autolavaggio.

Walter, dopo questa presentazione del suo contesto disagiato, improvvisamente crolla e viene portato via in ambulanza. In ospedale, un medico lo informa che ha un cancro ai polmoni inoperabile e ha ancora un paio di anni da vivere.

Quindi, essendo stato introdotto a questo mondo tramite un suo amico poliziotto che voleva scovare un laboratorio di metanfetamina, per via di… Varie ragioni dettagliate che non sto qui a dirvi, non voglio riassumere un episodio di un’ora e venti…

Anche Walter, assieme a Jesse Pinkman (suo ex-studente), diventa produttore attivo di metanfetamina.

Quindi, questo era Walter White.

Chi è Heisenberg?

Beh, un bel cambiamento rispetto a prima.

La metanfetamina che produce Walter inizia a dominare il mercato della droga. Mentre Walter inizialmente era schizzinoso riguardo all’uso della violenza, gradualmente arriva a vederla come una necessità e alla fine si sviluppa in lui uno spietato signore della droga motivato in gran parte dalla vanità, dall’ego e dall’avidità.

Ma quindi Walter White diventando Heisenberg diventa un totale villain?

Non proprio. Salvo ogni analisi che si può fare sul suo comportamento, alla fine la trasformazione in Heisenberg di Walter White è data da colui che è già nato come un uomo frustrato.

(Stagione 4, Episodio 6 – Cornered)

“No, è chiaro che tu non sai con chi stai parlando, quindi ora ti spiego come stanno le cose. Non sono in pericolo, Skyler. Sono io il pericolo. Un uomo apre la porta e gli sparano e tu credi che quell’uomo possa essere io? No. Io sono quello che bussa!”

In questa scena, iconica e famosissima, Walter è nel pieno del suo percorso di corruzione, essendo questa la quarta stagione. Si sente insultato da quel che la moglie Skyler gli sta dicendo, ovvero che lui “sia in pericolo”. Walter le dice che non sa con chi sta parlando: vuole far vedere il più possibile che non è più quel che era suo marito e rivendica la sua natura di “Heisenberg” che si è costruito.

“Un uomo apre la porta e gli sparano, credi che quell’uomo possa essere io? No. Io sono quello che bussa!”

Questa frase è palesissima. Abbiamo visto che Walter White è sempre stato una persona dalla routine segnata da disagi costanti: dal posto di lavoro fino alla famiglia. Credo che la descrizione della fan-wiki ufficiale sulla serie possa descrivere quello che sentiva Walter (quando era ancora “White”) meglio di me:

È chiaro fin dall’inizio che Walter soffre di una crisi di mezza età. Si sente abbattuto, stanco, scavalcato, imbrogliato, evirato, sfruttato e insoddisfatto.

Anche il campo in cui ha più abilità, la chimica, cade nel vuoto dei suoi studenti irrispettosi e apatici. Anche prima della sua diagnosi, Walter si sentiva un fallito, incapace di provvedere adeguatamente alla sua famiglia e di adempiere al ruolo che la società americana si aspetta da lui.

La notizia del suo cancro terminale ai polmoni lascia Walter insensibile e non mostra quasi nessuna emozione quando lo apprende, come se fosse già morto. Apprendere che la sua vita sarà inaspettatamente interrotta, insieme alla consapevolezza che lascerà la sua famiglia già in bancarotta, è l’ultimo schiaffo in faccia, l’ultimo umiliante insulto che la vita può infliggere.”

Quindi, come viene descritto ogni volta l’assassinio del duca Francesco Ferdinando da parte di Gavrilo Princip, il suo cancro è stato solo l’ultima goccia per un uomo già predisposto al fallimento. Questo è anche il motivo per cui è entrato nel giro di droga in relativamente poco tempo, rispetto a quanto una persona di veri sani principi si prenderebbe per avere una decisione se continuare quello a cui Jesse l’ha introdotto o meno.

Quindi Heisenberg in realtà, assieme a tutti i suoi tratti negativi, è solo la frustrazione di Walt che alla fin fine è venuta a galla, rendendolo il kingpin crudele che nelle stagioni successive si sviluppa e scende sempre di più nella depravazione: quella di Walter White non è, quindi, una corruzione repentina ma frutto di un contesto costruito per renderlo una persona frustrata, anche senza scadere nel disastrato/drammatico totale e una serie di situazioni che hanno sfidato la sua morale, sia quando doveva essere “Walter”, sia quando doveva essere “Heisenberg”.

(Stagione 4, Episodio 6 – Cornered)

A Walter viene presentata la decisione per cui può ammettere alla moglie che lui sia effettivamente in pericolo, perché minuti prima ha dimostrato un momento di debolezza, credo anche palese. Ma Walter rifiuta quest’affermazione, rivendicando la natura per cui vuole essere riconosciuto, quella di Heisenberg. Ma in generale il suo intero rapporto conflittuale con Skyler è la perfetta dimostrazione dei suoi conflitti morali come “Walter Hartwell White”.

(Stagione 5, episodio 14 – Ozymandias)

Dato che suo cognato fa parte della polizia e quest’ultimo viene catturato da un collaboratore di Walter (non so esattamente il ruolo del personaggio di “Jack” nella trama né che rapporto abbia con Walter, quindi perdonatemi le piccole inaccuratezze), anche se dalla fine della prima stagione ha già iniziato il suo percorso da Heisenberg, questo non ha significato ulteriori momenti di sconvolgimento, debolezza o umanità per Walt: lui continua a supplicare per la vita di Hank (suo cognato), ma Hank rifiuta di collaborare e viene ucciso. Walter è inorridito; cade in ginocchio e poi cade a terra su un fianco, piangendo.

Dopo queste situazioni, infatti, Walter nella serie dimostra sotto il nome di Heisenberg chi ha sempre desiderato essere, ovvero “non quello che si fa sparare di fronte alla porta”: quindi il business di droga, per cui lui sembra essere portato, per Walter è una soluzione per questo malessere interiore che ha avuto per la sua intera vita e gli atti orribili che fa nel corso della serie possiamo considerarli come lo sfogo di una frustrazione che si è accumulata per decenni.

E quindi, dato questo contrasto continuo tra queste due identità che si amalgamano inconsistentemente nella persona di Walter, abbiamo quello che tutti considerano l’antieroe per eccellenza, l’antieroe perfetto.

Però, in ogni caso, anche se si possono fare tutte le analisi psicologiche del personaggio che vogliamo per quest’uomo…

(E, aggiungo, quello sopra è uno degli atti che ha distrutto di più Jesse a livello mentale, sembra)

(Quello a sinistra è il figlio della donna, Brock, morto per la stessa ragione della madre)

In breve, possiamo comprendere quanto vogliamo, analizzando la sua personalità… Ma lui resta pur sempre “Il pericolo”.

Pensavo fosse giusto parlare di Walter White, parlando di antieroi. Lui è considerato uno dei più grandi di tutti i tempi e fa capire perfettamente cosa vuol dire avere un personaggio ben scritto ma che si può adorare allo stesso tempo: senza vittimizzazioni, senza pietà per lui.

“Comprendere” vuol dire capire le ragioni del perché è stato fatto un certo atto, ma non dire per forza che sia giusto, che quella che abbiamo davanti sia in realtà una brava persona, o anche solo qualcuno di “likeable”.

Michel D’Alembert – Il cammino positivo di un ragazzino a rischio.

Andiamo dal ragazzetto al centro, che sfigura un po’ accanto ai due omoni James Gandolfini e Bryan Cranston. La sua analisi sarà anche più breve rispetto agli altri due personaggi, dato che la sua psicologia è stata analizzata a sufficienza nell’appendice dell’articolo su Cloé’s Requiem. Ho voluto parlare di nuovo di Michel dal punto di una sua probabile “giustificazione” prevalentemente perché il commento che ho messo per ben tre volte in quest’articolo viene proprio da Cloé’s Requiem: Con Amore, versione extra di un gioco che ha sicuramente uno dei personaggi più complessi che io conosca bene.
Quindi:

Michel, già dal suo passato, viene sempre e comunque considerato un ragazzo infantile.

Quest’infantilità è visibile: quindi, già da subito, possiamo intuire che l’immaturità di Michel detta dagli altri personaggi non è basata solo su chiacchiere e soprattutto è VERA. Ha delle dimostrazioni molto palesi, tra cui il non essere pronti ad entrare nel mondo degli adulti, dove tutto era profitto a quei tempi.

Possiamo vederlo dal personaggio di Pierre, gemello più maturo, che condanna Michel costantemente.

Michel uccide la cameriera Charlotte per un torto, e successivamente suo padre per lo stesso motivo, data la sua palese propensione e rischio di psicopatia.

Ha quindi un momento di delirio e, scappato di casa, inizia quello che si interpreta come un percorso di terapia a casa di Cloé.

Qui Michel, oltre a sapere la storia della ragazza, inizia ad avere una visione distorta di lei.

E quando questa visione viene tradita ha un secondo delirio.

“L’Antieroe è un individuo che – fin dal principio degli eventi – non ha alcun timore nel mostrare il lato più oscuro della sua personalità. I tratti salienti della sua personalità possono spaziare in qualsiasi direzione, dall’egoismo alla violenza, dall’arrivismo alla timidezza, dal fanatismo alla sottomissione fino a raggiungere ed esasperare ogni altra caratteristica umana.”

Ma il suo cammino positivo verso la redenzione assieme a quella che io considero terapia inizia qui: legge il diario di Cloé, che lo disillude dalle sue precedenti convinzioni.

Si rende conto di quel che ha fatto e, anche se Cloé non capisce perché lo stia facendo, Michel si scusa con lei.

Michel ha delle colpe vere e proprie, delle visioni malate e contorte delle persone che lo circondano, e per questo ne ha pagato le conseguenze. L’ha fatto con tanta sofferenza interiore, assieme a rischi di morte ad ogni angolo per via della casa maledetta.

E, cosa più importante, il fatto che il padre lo sfruttasse per soldi non viene mai e poi mai citato e la sua sofferenza interiore non diventa mai una scusa. Quel dettaglio ci viene detto solo per sapere la storia di questo personaggio e il perché sia scappato di casa. È come se per tutto quello che ha fatto lui abbia dovuto attraversare quegli ostacoli e quel dolore.

Nel finale del gioco, quindi alla fine del suo percorso di crescita, Michel non resta a casa di Cloè, nascosto e ignaro delle sue colpe.

Un giocatore, però, può sempre pensare a tutto ciò che ha fatto Michel prima di questo stato finale. Michel non è mai una vittima. È sempre stato un carnefice: dall’omicidio, al possesso. Per l’intero gioco si ha a che fare con un personaggio ambiguo, anche se successivamente sappiamo che ha sofferto.

“Comprendere” vuol dire capire le ragioni del perché è stato fatto un certo atto, ma non dire per forza che sia giusto, che quella che abbiamo davanti sia in realtà una brava persona, o anche solo qualcuno di “likeable”.

(Michel, anche dopo essersi scusato, si sente ancora in colpa per la visione distorta che ha avuto di Cloé)

(Michel nei bad ending ha una paura costante di tornare com’era prima, una persona pericolosa per sé stesso e per gli altri)

Michel ha avuto sicuramente un percorso diverso da quello di Walter, lui in realtà è “redimibile” anche nella nostra testa rispetto a lui…

Ma perché Michel stesso ha avuto un percorso di crescita, che ci può far pensare a lui come una persona che nel corso della sua vita difficile è riuscito lo stesso a crescere.

Anche Michel combacia con queste descrizioni, quindi, anche se abbiamo un tipo di percorso diverso.

Il nostro ultimo caso, che citerò più volte in quest’articolo, è Tony Soprano, protagonista della serie TV “The Sopranos”.

“Hehe, gliel’ho consigliato io questo!”

“Ecco, infatti, io la serie non l’ho vista… Vieni un attimo qua!”

TONY SOPRANO – Una doppia visuale per un boss della mafia

E solo per questa parte su Tony Soprano eccomi pronta a fare un piccolo intervento! Voglio essere assolutamente onesta con i fan di questa storica serie televisiva: ho visto solo qualche episodio per conseguire un esame; non ho assolutamente visto tutto quello che riguarda il mondo dei “The Sopranos” e questo è uno dei principali motivi per cui mi limiterò a commentare, anche considerando questo caso di studio un modo per chiudere questa parentesi sui buoni esempi dei personaggi, una sola scena in particolare che possa riassumere le nostre intenzioni su questo articolo.

Per chi legge questo articolo e non ha mai avuto modo di affacciarsi al mondo delle serie TV dovete sapere che uno dei punti forti di “The Sopranos” è raccontare la vita quotidiana di un boss della mafia italo-americana. Per vita quotidiana si intendono sia i problemi che deve affrontare con i suoi sottoposti sia gli aneddoti di vita famigliare.

Dovete sapere che il primo episodio mette subito al centro il fatto che Tony va per la prima volta in terapia da una psichiatra, dove inizia a spiegarci che ha avuto un attacco di panico, con svenimento annesso, quando ha scoperto che la famiglia di anatre, che si era stabilita nella piscina di casa sua, è emigrata.

Ci saranno altri aneddoti dalla psichiatra in cui continua a ritornare il simbolo ricorrente dell’anatra, ad esempio nei sogni di Tony, e non ci vorrà molto per la dottoressa scoprire che quell’immagine è ricorrente tanto quanto la paura dell’uomo nel perdere la sua famiglia che lo fa scoppiare a piangere durante la terapia.

Per vedere questa scena basta andare al minuto 0:51:28, primo episodio

Neanche cinque episodi dopo abbiamo una scena come questa!

Episodio 5, da min 45.54 potete iniziare a vedere questa lunga scena colma d’ansia

Ci sono due cose che mi hanno colpito mentre strangolava Febby Petrulio, o forse tre.

La prima, la più “scontata”, è come nella scena ci si soffermi ad inquadrare la cinghia che si stringe sulla gola del malcapitato. Insomma, si insiste davvero tanto.

Ma andiamo alle cose importanti:

  1. L’inquadratura ha un qualcosa di inquietante perché anche la telecamera è in una posizione in cui sembra sovrastata da Tony, cioè noi stessi spettatori ci identifichiamo con la vittima che sta soffocando.
  2. Pochi secondi fa questo pover’uomo aveva detto una frase del genere: il momento in cui l’aveva trovato la sera prima “non lo aveva sparato perché stava accompagnando la figlia al college”, pensava che Tony fosse un’altra persona.

E dopo che lo sventurato ci ha lasciato le penne, cosa succede? Prima si sente un suono crescente, un eco, e poi viene mostrato uno stormo di anatre in emigrazione che Tony fissa, inquadrato dall’alto in basso…

Sicuramente le anatre che si sentono in sottofondo è un legame importantissimo nel contesto della serie, ma anche vedendo questa scena fuori dal suo contesto possiamo vedere la differenza nell’uso delle inquadrature sul personaggio e dunque il cambio della nostra percezione nei suoi confronti.

Dal basso e poi dall’alto, gli stiamo sopra, possiamo giudicarlo perché il personaggio si fa piccolo sulla scena. Dalle vene, lo sforzo e l’espressione di rabbia che quasi ci fa paura, a seguito dalla calma mostrata per chi compie queste attività da un lungo periodo di tempo c’è subito dopo questa scena in cui Tony “viene giudicato dall’alto” e lui può solo contemplare.

Voglio considerare un altro elemento in questa scena…

Tengo molto a mostrarvi come una semplice comparazione di immagini basti a scatenare in noi certe emozioni o sensazioni!
Vi ricordate che avevo fatto un esempio simile, dal punto di vista più negativo, in Cloé’s Requiem?

Senza alcuna nota di commento, dialoghi, parole, frasi ma semplicemente osservando il cambiamento da un istante prima a uno successivo in un’unica scena da soli 2 minuti, assegnando un significato a questo scorrere del tempo possiamo modificare la nostra percezione del personaggio e la nostra impressione nei suoi confronti ci confonde, ci tiene tesi e ci fa riflettere.

Tornando ad Ele…

Quindi, oltre a quelli che considerate pensieri di una fan su Cloé’s Requiem, abbiamo analizzato anche personaggi che fanno parte di serie cult, Tony Soprano e Walter White sono spesso definiti come tra i migliori personaggi di tutti i tempi… E appunto, tutti questi bei personaggi rispettano questa definizione:

““Comprendere” vuol dire capire le ragioni del perché è stato fatto un certo atto, ma non dire per forza che sia giusto, che quella che abbiamo davanti sia in realtà una brava persona, o anche solo qualcuno di “likeable”. Un personaggio che comprendiamo è un personaggio che il pubblico non è costretto a redimere, ma che rimane dalla psicologia complessa e logico nelle sue azioni.

Prendiamo uno dei personaggi che abbiamo precedentemente analizzato, rispecchia questa definizione?

Aubrey è una ragazzetta molto infantile che ha sviluppato scatti violenti e propensione all’aggressione. Ciò è perché è ancora addolorata da due lutti che ha dovuto subire.

Ma il gioco come te lo mette giù questo dolore, che viene espresso da parte di Aubrey con violenza ingiustificata verso il prossimo?

Quindi, alla fin fine, Omocat ha voluto dirci che Aubrey non ha fatto niente di male e che il problema sono “le persone” che “vogliono che lei sia cattiva”. In breve, “è sempre colpa di qualcun altro”.

Piccolo problema. Nessuno voleva che Aubrey si riducesse in questo stato. Da piccola non era bullizzata, né tanto meno anche solo odiata da nessuno: non era definita neanche una persona debole. Aubrey si è autodistrutta da sola, ha fatto tutto lei, dovrebbe più che altro incolpare sé stessa!

Approfondiremo questo tema successivamente, ma…

Qui non c’è nessun conflitto morale per il giocatore. Chi vede questa scena cambia totalmente idea su Aubrey e alla fine lei è buona come tutti gli altri. La violenza diventa un suo essere “un po’ aggressiva” e alla fine sono tutti felici e contenti.

Un personaggio che comprendiamo è un personaggio che il pubblico non è costretto a redimere, ma che rimane dalla psicologia complessa e logico nelle sue azioni.

Crooooss

Quindi questa non è umanità. Questa è una semplice piagnucolona, che vuole averla vinta su argomenti morti e sepolti anni fa, ma solo perché fa le faccette addolorate, ci picchia quasi con le lacrime e oggettivamente è una figa pazzesca, noi la giustifichiamo.

Confrontiamola con un cult…

Come abbiamo già sottolineato Tony Soprano è un boss mafioso. Da qui possiamo capire che fa quasi ogni tipo di atrocità: non credo io debba spiegare cosa fa la mafia.

Ma in ogni caso viene presentata anche una realtà quotidiana. Abbiamo lo stesso boss che ritroviamo ad ammazzare senza pietà delle persone avere un attacco di panico, e in generale… Essere semplicemente un uomo, con dei problemi clinici dati dal suo passato, ma non per questo le sue azioni vengono giustificate. Tony fa pur sempre parte della mafia, ma allo stesso tempo ha una famiglia a cui tiene, ha dei problemi con cui purtroppo deve convivere…

Ma non ha mai esitato nello sparare qualcuno. Non esita mai a fare il suo lavoro, né ci piange sopra, quando ci viene presentato. Quando scopriamo il suo passato abbiamo i motivi della sua ansia, come è entrato nel giro della mafia…

Abbiamo solo motivazioni, non giustificazioni.

Si ha, quindi, un vero e proprio CONFLITTO EMOTIVO a giudicarlo, o a metterlo in uno spettro morale istantaneamente. Perché nasce come negativo, anche se appunto dimostra la cosiddetta “umanità” che tutti cerchiamo.

Ma perché cerco così tanto il “conflitto”?

“Perchè, che sorpresa, lo storytelling si fa con il conflitto! Se non c’è lo scontro tra due o più elementi, che sviluppo deve esserci?”

E come conflitti, dato che le storie di oggi vogliono tutte pretendere di essere dei character driven… Le persone cercano conflitto nei personaggi. Quindi dei conflitti interni, a cui appassionarsi, dibattere per tirare fuori dei discorsi stimolanti, perché quando si vuole analizzare l’opera di riferimento, è questo che fa un fandom…

“Ahh, hai ragione. Questa cosa ha il significato filosofico di –͚̓-͎̑͡ͅ-̭͎͗̀-̼̝̂̑-̞̗̿̾.”
“Sta’ ragazza non capisce niente, ma non vede la conformazione delle mappe di Omori? Dice palesemente –͚̓-͎̑͡ͅ-̭͎͗̀-̼̝̂̑-̞̗̿̾!”

 

 

“Non ha mai giocato Midnight Train secondo me. ”
“Questo doppio lato, questa doppia valenza e conflitto che lei tanto decanta con… Come si chiama? Tony? C’è anche qui! Criminali ma buoni di cuore lo stesso!”
“Quella parla di Tony Soprano, ma va’… Vuole solo darsi un tono perché le dice tutte le cose vecchie sua sorella, e rosica perché gli altri sono più popolari di lei…”

 “…”

“…Va bene, faccio un esempio con qualcosa che i vostri cervelletti filosofi possiate apprezzare, dato che Tony Soprano non vi interessa.”

“L’avete visto Frozen?”

“Ah-ha. Il più innovativo classico Disney che io abbia mai visto.”

…Vi lascio a questo screenshot. È dai fan di una youtuber che fa critica di film d’animazione su Youtube: Flame88Tongue. Ha criticato pesantemente Frozen in generale, e dei suoi fan hanno tirato fuori un discorso molto interessante.

Nel video si parla soprattutto di come è trattato il personaggio di Elsa. Esso ha molte somiglianze con i casi che abbiamo oggi: persona orribile, resa vittima… Quindi buona, per qualche ragione.

Questo bisogno di rendere Elsa una vittima ha condizionato la scrittura dell’intero primo film: le sceneggiatrici, per rendere vera questa STRONZATA, hanno dovuto riscrivere il film daccapo. Elsa doveva essere una villain, Let It Go era una canzone per la villain.

Ma no, una persona cattiva non si può avere. Tutte le persone cattive in realtà hanno sofferto, e possono essere aiutate o sistemate per renderli le persone buone che in realtà sono! Parliamo tanto di “mondo crudele” e cose simili, per essere un po’ edgy e pseudo-realisti…

E poi nelle opere di finzione ci facciamo incantare da queste idee bambinesche?

Ragazzi, siamo stati messi a confronto con dei bambini circondati da ovatta.

Disprezzo la definizione di “special snowflake” in inglese con tutta la mia anima. La usano spesso le persone ignoranti che, per un motivo o per l’altro, sentono di minimizzare i problemi altrui, insultandoli in questo modo becero.

Ma… In questo caso voglio usarla, penso che valga.

Questo male non sembra più solo relegato per i prodotti destinati all’infanzia…

Quello che noto in molte opere creative recenti è che ormai non si cerca più qualcosa di seriamente crudo o angosciante, persino nel genere che dovrebbe essere il caposaldo di queste due sensazioni: l’horror.

Noi, pubblico, siamo diventati dei bambini speciali che vedono la minima lotta e vogliono scriverci un diavolo di trattato. Non solo perché siamo buoni solo a parlare, ma perché come idioti ci lasciamo muovere da scene che in realtà poi non hanno alcuna conseguenza. Non vediamo mai il peso delle azioni fatte, o anche solo il peso delle parole.

Perché tanto alla fine un conflitto vero non c’è mai, neanche quando vengono fatte o dette cose potenzialmente terribili o ambigue, non esistono più i “turning point”. Non c’è niente che segni davvero, ad esempio, la relazione tra due personaggi, non c’è nulla che la faccia cambiare definitivamente in meglio…

(Cloé’s Requiem, True Ending)

O in peggio.

(Breaking Bad, S05 EP.12)

Si è perso il valore dell’opera di finzione di base. Il CONFLITTO da risolvere per avere una risoluzione. Oppure i conflitti sono così futili o ridotti davvero così al minimo da far sentire sempre e comunque lo spettatore sicuro, con risoluzioni buttate lì, idiote, illogiche, pacchiane e a livello di una telenovela a livello di drammaticità inutile. Spendiamo fiato per opere che fanno quello che è il minimo per l’opera di finzione.

(Davvero, il confronto con Basil doveva essere uno dei punti principali nello sviluppo del gioco, non nella conclusione solo per risolverci tutti i punti di trama. La scena singola ha potenziale, seppur con simboli visti, rivisti e stravisti, ma confrontata con tutta la trama che c’è è spettacolo fine a sé stesso, che è anche illogico con degli elementi di trama.)

E ho un’ipotesi sul perché di tutto questo.
Perché non vogliamo riconoscerci in nessun problema che ci potrebbe toccare troppo da vicino. Perché noi; pubblico, developers o chiunque… Vogliamo sentirci sempre compresi. Sempre e comunque. Per questo ci piacciono i mondi dove tutti sono delle vittime, dove tutti possono essere “sistemati” con due parole di conforto. Abbiamo segretamente quell’atteggiamento del “magari funzionasse così la vita”.

Con “special snowflakes” quindi, nel nostro caso, intendo che noi ci siamo ridotti a delle mammolette. Vogliamo qualcuno o qualcosa che comprenda sempre i nostri problemi, anche se in alcuni casi non c’è niente da comprendere. E lo facciamo tramite le frasi “ci sarà una ragione del perché sta facendo questo!”, che in realtà si traduce in “ci sarà qualcosa che giustifica questi comportamenti, perché non riesco a concepire che alcuni impulsi e scatti sono nell’indole umana, che non è complessa solo quando voglio io, ma è complessa in ogni caso, anche con le sue inspiegabili negatività”.

Invece in questi tipi di opere odierne nessuno è effettivamente una cattiva persona. Ci si nasconde con la scusa che “abbiamo tutti debolezze e sfaccettature” per nascondere una bontà melensa di persone affette solo da stimoli negativi esterni, che in realtà non hanno mai nessuna colpa.

Per questo ogni tentativo di conflitto è futile.
Perché alla fine tutti abbiamo delle debolezze, per cui meritiamo di essere sempre capiti e non dobbiamo mai cambiare.

“Avevi un’espressione di dolore.
La performance non sembrava affatto divertente.”

Perché alla fine è sempre colpa di qualcun altro per ogni nostro aspetto negativo.

Perché alla fine i nostri sentimenti, finchè sono buoni, possono essere anche così forti da fare atti immorali.

E finchè soffriamo, qualunque tipo di nostro scatto o impulso, anche se dannoso per gli altri va bene, tanto la colpa sarà sempre di qualcun altro.

Perché noi meritiamo sempre amore, meritiamo di essere sempre capiti e amati.

Volete dirmi che diavolo di messaggi sono da parte dei creativi di oggi? Volete dirmi cosa stanno diventando gli RPG Horror e cosa sta diventando la narrativa moderna in generale?

Parlando del caso degli RPG Horror, dato che in questo sito si parla di questa particolare corrente e il come sta cadendo allo sfacelo…

Io vi voglio davvero far vedere come funzionava questa corrente tempo fa.
In questo sito ci sono vari articoli nella rubrica “Back To The Future”, dove si parla di giochi che sono stati dei veri e propri cult del genere.

Ora vediamo cosa ci danno questi titoli. A uno a uno.

Corpse Party – 1996.
Ci ha dato praticamente le basi, anche se si allontana ormai da quello che si può definire un “RPG Horror classico”. Grande rappresentante della Generazione 0, il CORPSE-PARTY (si, ne parlo come fosse un classico letterario, perché considero storia anche questa!) di Makoto Kedouin era l’OG, quello che ha fatto partire tanti progetti sulle basi di una cosa: il contatto e l’esperienza fatti dal giocatore.

Ciò è stato sempre più sviluppato con Ao Oni, infine ha raggiunto il suo picco con Yume Nikki.

Qui il giocatore sperimentava la vera esperienza horror sulla propria pelle.

Mad Father – 2012.

Generazione 1: Il Character Drama.
Sen ha voluto tentare di più a livello di somiglianza con l’opera di finzione passiva, ed è riuscito a dimostrare di essere un creator capace di fare entertainment. La storia, nell’originale Mad Father, non pretendeva né forzava profondità particolari. Il Mad Father di Sen ha iniziato a plasmare quello che poi sarebbe stato ultimato da…

Mogeko Castle (Remake) – 2014.
Fine Generazione 1.
Mogeko Castle è una chiara parodia di quel che si è costruito durante la generazione in cui si colloca. Ha portato varietà nel genere RPG Horror, risicando un po’ il gameplay alla semplice esplorazione, dando ancora più importanza all’ispirazione all’opera passiva al massimo, con tanti registri diversi a formare un’opera poliedrica. Quindi, il Mogeko Castle di Funamusea ha adattato al meglio quello che aveva iniziato Sen, con un prodotto accattivante alle stelle, e contenuti da spolpare (dalle descrizioni di personaggi a contenuti fatti dall’autrice stessa – Come quelli della “Ragazza Dagli Occhi Senza Vita” e della “Ragazza dai Capelli Appariscenti”), così da provare a portare fuori il genere RPG Horror dalla sua nicchia, per portarlo verso qualcosa di più grande.

Vedete quanto ci hanno dato questi titoli? Alcuni sono davvero “semplici” e nessuno di questi ha “modificato il panorama del gaming internazionale”. Nessuno ci ha mai speso così grandi paroloni sopra. Perché facevano solo quel che dice il loro genere: erano Giochi Di Ruolo Horror.

Ci si spaventava e basta, ci si divertiva e non si aspettava altro che mettere mani su altri “giochi simili a Ib”. Ci divertivano, quando eravamo più piccoli non ci dormivamo la notte…

“Nessuno ha mai avuto paura che il padre di Aya si presentasse davanti a voi al buio? Sicuri?”

“…No?”

“Oh. Ahaha, che stupidi i bambini!”

In certi momenti non c’era bisogno dei grandi jumpscare di Outlast, quando uscì in quegli anni assieme ai suoi DLC. No, volevamo sperimentare seria e fighissima inquietudine. Certo, parlavamo dei personaggi, avevamo dibattiti innocenti e tutto: un grande caso fu quello di Ellen, che scioccò tutta l’audience che guardava gameplay o giocava a The Witch’s House…

Ma la prima cosa che facevamo era intrattenerci, perché gli autori sapevano che diavolo stavano facendo, e sapevano di dover INTRATTENERE la gente.

Ora… Ora cosa abbiamo? Cosa ci danno gli autori oggi?

(Intervista di Omocat a IGN)

(“Midnight Train” titolo di Lydia del 2019. Ne parleremo più tardi)

Ci danno le loro delusioni; il come fronteggiano le loro delusioni. Comunicano al pubblico il loro bisogno di confortarsi. Non gli importa più di noi. L’RPG Horror oggi è diventato solo un’etichetta da appioppare a titoli causali di bambini viziati che vogliono esprimere quanto sentono il bisogno di sentirsi “compresi e importanti” perché frustrati dalla loro vita e dal mondo.

“…Erano i miei appunti, quelli. Neanche li hai editati, né niente? Diavolo, non siamo qui per insultare personalmente, cioè dovevi metterla giù in un altro modo…”

“Senti… Dovevo dirlo. Non sapevo trovare altre parole.”

“…”

“Ma chi diavolo vi credete di essere?”

“…”

Si, ho detto una frase davvero generica e cattiva. Da parte di developers, questi tipi di scivoloni non devono proprio esserci. Rischiamo di fare la figura di chi semplicemente si mangia le mani al successo degli altri.

Però… Davvero, qui io non ho intenzione di insultare autori singoli. È un problema che l’RPG Horror in generale si porta da tempo. E secondo me, è quello che lo lascia un po’ nella nicchia rispetto ad altri sottogeneri di videogiochi, ciò che lo fa sottovalutare come genere per cui fissarsi totalmente e che ha fatto rimanere la corrente a “giochi indie semplici e adorabili che andavano di moda nel 2012 e adesso boh”.

Il videogioco, da sempre, viene sempre confrontato a tante altre opere di finzione diverse. Dal punto di vista tecnico o narrativo che sia. In certi casi, prendo Red Dead Redemption 2, molti giochi riescono secondo alcuni a tenere testa a opere cinematografiche; che siano essi blockbuster o B-Movie. Su questo, però il videogioco si sta ancora evolvendo e lo so bene.

Ora, parlando di un gioco relativamente recente, voglio davvero farvi capire con un caso di studio, con quello che è un caso di ingenuità creativa, tutto il bel discorso che ho fatto. Confrontiamo davvero un RPG Horror odierno con un’opera character driven di un’industria che esiste da prima di quella del cinema, che oggi ahimè sta subendo vari problemi.

“Dear Neil Lawton, this is gonna be a good day and here’s why.”
-Dear Evan Hansen e Midnight Train sui protagonisti problematici-

Il primo è un RPG d’avventura uscito nel 2019. Il secondo è un musical con una storia da film drammatico, che ha debuttato a Washington nel 2015.

Midnight Train l’ho giocato varie volte assieme a mia sorella, perché molte volte ci divertiamo a giocare cose che odiamo dato che siamo delle masochiste.

“Contate questo passatempo come… Quando con gli amici vedete “The Room” di Tommy Wiseau!”

Dear Evan Hansen… Non l’ho neanche visto tutto, né sentito tutte le canzoni. Ne conoscerò 3 o 4.

“Cosa? Non l’hai neanche visto e pretendi di confrontarlo a-”
“…Non ce la faccio più… Sei ancora qui, tu…?”

Dicevo… Non conosco l’intera storia di Dear Evan Hansen, ne so alcuni frammenti e conosco poche canzoni, quindi non posso giudicarlo oggettivamente come prodotto…

Perché, però, voglio confrontarli lo stesso?

In realtà voglio parlare di un tema molto, molto semplice, che nel musical posso circoncidere alla sola canzone “Good For You”, e nel gioco posso circoncidere al comportamento di Neil nel Capitolo 4 del gioco.

“Aspetta. Non puoi mettere a confronto un’opera d’avventura, che ha anche una trama esterna da portare avanti, con un’opera drammatica che ha solo gli avvenimenti dei personaggi da raccontare.”

“…Sei l’unico che non odio, sai?”

In effetti è una domanda legittima.

Li ho voluti confrontare, più che altro, sempre per tornare più o meno sempre sugli stessi temi: i conflitti e la vittimizzazione dei personaggi.

Partiamo da Midnight Train… Assieme a quello che descrivo come un caso di “toxic postivity” bello e buono. Infatti, prima di arrivare a come è stato trattato da parte del gioco, dobbiamo scoprire una certa parte del personaggio di Neil Lawton.

Come già detto, analizzeremo Neil nel Capitolo 4. Ma facciamo prima un overview del personaggio, grazie alla presentazione dei personaggi scritta dall’autrice stessa.

Il compagno di Luna (la protagonista) durante il gioco, un ragazzo gentile che vuole essere un detective e si trova nella sua stessa situazione. È debole, ingenuo e si fa prendere dal panico facilmente, ma aiuta Luna con enigmi e indovinelli.

Durante il gioco ha una sottospecie di character development, che da questa descrizione iniziale…

(Qui sta parlando con una visione che rappresenta suo zio… Si, non facciamoci domande, dato che Neil ha la classica backstory da ragazzino abusato dall’adulto cattivo… Si, tipo alla Dickens ma peggio.)

Solo da queste due immagini, se non conoscete il gioco… Potete dire “oh, questo personaggio ha avuto un corruption arc! E qui si trova nel suo picco!”.

No. Nel gioco questa scena è in realtà molto decontestualizzata. Semplicemente… Neil spara insulti a questa sua visione e dopo questa scena della “tortura” torna lo pseudo-santarellino di sempre. Come se questa scena dovesse segnare la forza di insultare il proprio abusatore, per segnare anche il definitivo boost di autostima di Neil, dato dalla compagnia di Luna.

Dopo questa scena, dobbiamo tornare a cercare appunto Luna, che intanto è andata via da Neil perché si scopre nel capitolo che lei è stata un’assassina che ha tolto molteplici vite e quindi per il tornato rimorso per tutto quel che ha fatto, Luna vuole uccidersi. Io considero questa come motivazione totalmente legittima.

Ma Neil, dopo aver capito i desideri suicidi della ragazza, come la prende?

Vediamo questo boost di autostima come ha modellato i suoi atteggiamenti verso una ragazza che ha tentato varie volte di suicidarsi. In questo punto del gioco lei ha già provato a gettarsi in delle spine ed entrare in un inceneritore.

(…Salto i discorsi genericissimi “Sono un’assassina”, “Il passato non contaa!” – Parleremo più tardi di questo problema…)

“Anche io sono nella tua stessa situazione, ma suicidarsi è una cosa sbagliata, punto! Mica io e gli altri (personaggi del gioco) ci abbiamo mai pensato!”

Ma che diavolo di discorso è?!

“Ah beh, vuoi condannare Neil per forza allora. Ha detto solo che non deve uccidersi, geez.”

“…Okay, vedi allora questa sequenza di immagini, quando Luna resiste alle parole di Neil e rifiuta le sue conclusioni sbrigative.”

(Luna è una ragazza muta, Neil sta leggendo cosa ha scritto sul suo quadernino)

Quello che dice Luna è giustissimo. Ha la piena responsabilità delle vite che ha sottratto.

E… E Neil si arrabbia con lei.

Allora, a questo punto mi viene da chiedere se è mai possibile che nessuno si sia mai interrogato sull’atteggiamento di Neil verso Luna in questa scena.

Posso descrivere questo atteggiamento come… Tossico. Non c’è altra parola.
Neil ha il tatto di un elefante in una pista di pattinaggio. È l’equivalente del dire a questa persona, che ha provato DUE VOLTE ad uccidersi (e ci stava provando un’altra volta) che il suo desiderio non è valido, che è una cosa sbagliata pensare di uccidersi, quando è solo una cosa normale da pensare per un rimorso così grande.

Davvero, anche se odio questo gioco in questa scena ho provato una pena assurda per Luna!

Neil si sta opponendo con un’aggressività davvero ingiustificata alle cose anche che lei dice, che hanno anche una base. Se questo fosse stato un gioco serio, Luna sarebbe scappata ancora una volta, con la sua fiducia fatta in pezzi.

Va bene, va bene, sono solo due frasi… Ma davvero, se si fosse avuta un minimo di sensibilità da parte del gioco, queste due frasi sole avrebbero potuto causare la morte di uno dei due main character. Perché, mio Dio, se si deve trattare questo tema in particolare, se il personaggio (anche se con un’autostima più alta) è in generale una brava persona… Mi aspetto un minimo di delicatezza da parte di Neil.

…E non letteralmente essere aggressivi (con tanto di scossa dello schermo, che mi dà l’idea che le abbia urlato in faccia) con una persona vittima di un gigantesco e serio senso di colpa, come quello che si può avere dopo aver ucciso 118 persone.

Questa faccia da schiaffi per caso non sa che ha a che fare con un caso delicato e una persona instabile? Luna è già scappata da lui diverse volte proprio per finire la sua vita una volta per tutte, Neil aveva tutti i segni per capire che a Luna non importa più vivere… E non prende il suo problema come qualcosa di complicato, ma qualcosa da condannare? Stavolta voglio parlare all’autrice: Lydia… Letteralmente, se si fa una velocissima ricerca su Google si possono trovare dei modi sul come porsi ad una persona con desideri suicidi, e indovina cosa NON deve essere fatto?

Quindi…

E dopo aver steso un telo pietoso su questa reazione orribile da parte di Neil, lui cosa fa per dissuadere Luna dal compiere l’insano gesto?

No, aspetta, che diavolo vuol dire “deduzione”?

Davvero? Anche in questa situazione dove Luna dovrebbe essere al centro di tutto, Neil sempre e comunque deve restare sotto le luci della ribalta e uscire fuori come un eroe, dopo che ha aggredito questa povera ragazza? (E si, qui davvero Luna è una vittima)

Ma perché questa deduzione? Perché Neil ha la malsana idea di “Dedurre” chissà che per convincere Luna che… Il suo crimine non possa essere un buon motivo per uccidersi…?

Ma perché deve anche rendersi colpevole di essere un manipolatore, ovviamente!

Sapete quale sarebbe stata una soluzione al caso di Luna?
Luna poteva prendersi le sue responsabilità e trovare tutti i cari di queste 118 persone che ha ucciso, per redimersi del suo crimine vittima dopo vittima. Un compito lungo sicuramente, ma anche volendo giusto per chi prova un grande senso di colpa per quello che è pluriomicidio in tutto e per tutto. Sarebbe stata una missione durata anche anni… Ma non si scadeva nel drammatico insensato citando un tema che non si riusciva a trattare, né si faceva quel che Neil sta per fare, quando ha visto che le sue paroline da quattro soldi contro un problema serio non funzionavano…

Quindi questa frase, dopo tutto il flashback del passato di Luna…

Finisce per non avere alcun diavolo di senso, ed è solo una parata di chiappe assurda!

Anche Luna è responsabile. Luna ha ucciso delle persone, ed era completamente in grado di intendere e di volere. Poteva fermarsi, poteva fare tutt’altro della sua vita e scappare dal giro in cui era entrata da piccola (è stata “invitata” in un’organizzazione dove si uccidevano criminali, quando era orfana) se aveva delle morali abbastanza alte.

E torniamo a Tony Soprano…

Non ha mai esitato nello sparare qualcuno. Non esita mai a fare il suo lavoro, né ci piange sopra, quando ci viene presentato.

-Abbiamo solo motivazioni, non giustificazioni.

-Si ha, quindi, un vero e proprio CONFLITTO EMOTIVO a giudicarlo.

Luna, così come Tony, quando è cresciuta (dato che nel gioco, da parte dei capi dell’organizzazione, non ci viene mostrato alcun tipo di manipolazione mentale forte per farle avere l’idea che uccidere sia buono) aveva pieno controllo sulle sue decisioni. Quando avrebbe saputo che poteva uccidere delle persone, una persona dai sani principi se ne sarebbe andata via.

Luna no, Luna ha accettato di uccidere. Come Tony ha accettato di uccidere e fare tutto quel che ha fatto da mafioso.

Ma Tony è una persona che non sappiamo giudicare effettivamente, quindi questo ce lo fa… Anche piacere con riserva, dato che va bene, ha degli attacchi di panico, un problema psichiatrico vero e proprio… Ma le cose le fa, sceglie di farle e finchè non vuole riprendere in mano la sua vita non ha mai fatto nulla per cambiare.

Luna invece è la vittima manipolata. Solo perché è stata presa da bambina. Non si è fatta delle opinioni, non ha visto crescendo cosa faceva l’organizzazione e MAGARI ha valutato che far male alle persone per propria giustizia personale è SBAGLIATO. No, è una povera vittima!

E per questo, per quel manipolatore di Neil, lei non ha responsabilità sulle persone che ha ucciso. È stata solo malauguratamente manipolata… Ad uccidere 118 persone nella sua intera vita! Luna se ne va dall’organizzazione solo quando ha l’età che vediamo nel gioco!

Ma tutto ciò dal titolo stesso come è stato trattato? Questo insieme di idee sbagliate, manipolazione mentale per portare a pensare di non avere nessuna colpa, che ha portato ad un ennesimo caso di de-responsabilizzazione, dopo Aubrey e Pierre…

Niente. Il vuoto cosmico. Quel che importava al gioco era far avere le realizzazioni finali dopo qualche dramma.

Ma neanche quel dramma è servito a niente. L’ho scritto prima: non ci sono conseguenze, non ci sono conflitti, non c’è un dubbio né un elemento negativo nella personalità di questi personaggi.

Gli atteggiamenti di Neil non vengono mai visti come sbagliati, quindi vuol dire che ignorare le proprie colpe per il gioco è una cosa giusta da fare, a favore del proprio benessere personale.

Ma anche perché, anche in quell’unica scena dove Neil ha una scena di sfogo…

Non otteniamo nulla al suo personaggio. Tutto viene lasciato da parte, a favore del pensiero che Neil sia “diventato forte” e non viene preso in considerazione il fattore negativo del “ripagare con la stessa moneta”.

Un vero momento di forza da parte di Neil sarebbe stato ignorare, riconoscere VERAMENTE che quello che vedeva era una cosa falsa e se doveva avere un momento di disperazione semplicemente pensare di non sapere a chi credere, a Luna o a quel che gli diceva suo zio, dato che Luna è scappata via proprio per paura di essere giudicata da Neil. E per un momento di realizzazione sarebbe stato bello da vedere il come lui debba conciliare la forza e il buon attaccamento alla logica che (a quanto dice il gioco) ha dimostrato nelle strutture, assieme alla sensibilità che lo zio definiva come una debolezza, ma che lo avrebbe aiutato a comprendere il caso di una ragazza dai pensieri suicidi.

Questo è solo un metodo di vendetta in questi casi e se fatto in questo modo; solo per mero e irrazionale sfogo… Lo considero infantile e che dimostra come ci si è abbassati allo stesso livello di chi ci fa del male. Sparare insulti a destra e manca per quel che sai che è una visione? Davvero volete dirmi che questo non è infantile?

Ma Neil, per quest’infantilità, non viene mai condannato neanche dalla regia del gioco. Questo dovrebbe essere un momento in cui diciamo “Si! Diglielo!”.

Ma io in realtà ho solo e soltanto visto una gigantesca scusa a quello che è diventato nel corso del gioco da un soft boy a un manipolatore bello e buono, che si spinge sugli altri ed entra nei loro fatti personali, perché deve avere una propria realizzazione del fatto che è adatto a fare il detective. Purtroppo Luna nel corso del gioco lo asseconda e questo mi fa anche nascere l’ipotesi che Neil sfrutti Luna per proprio confort personale, per controbilanciare ai continui insulti ricevuti da quando era piccolo.

Ma questa forse è una mia congettura.

Quel che rimane inconfutabile è che è diventato un esaltato manipolatore nel corso del capitolo 4 e il gioco non ce l’ha mai detto, perché ogni suo momento di aggressività, anche non giustificato, ci viene messo giù come momento di forza.

E perché mai?

Perché non viveva bene da piccolo. Perché ha subito degli abusi.

Questa è una giustificazione per aver rischiato di far morire una ragazza per mano tua. Ragazzi, è lo stesso caso di Aubrey:

“La colpa è sempre di qualcun altro o qualcos’altro, se sei il protagonista”

E la sapete una cosa? Volete davvero saperla?

Questa legge non si applica solo a persone subdole come Neil.

Si applica anche a quelli che DOVEVANO ESSERE I FOTTUTISSIMI VILLAIN.

…Che nel mondo di Lydia vuol dire MAI.

Quest’ultima frase è messa tanto per dire. Non pensate che questi due balordi erano autoritari villain quando Luna era nell’organizzazione e quindi hanno avuto un, anche forzato, development.

Anche se qui non comprendo se questa tizia stia cercando di “convincere” Luna subdolamente o meno…

Le fanno scegliere se uccidere i criminali, o solo investigare su di loro per lasciar poi fare il lavoro sporco al “team di azione”…

Le offrono tutte le comodità e, letteralmente, vogliono assicurarsi che abbia una “buona permanenza”.

E non viene visto nessun tipo di tradimento di queste aspettative. Luna infatti nell’organizzazione non ha alcun tipo di segno di allenamento esagerato, né alcun segno di abuso effettivo da parte dell’organizzazione.

Quindi possiamo concludere che anche i cosiddetti “villain”, chi dovrebbe uccidere i criminali anche se è sbagliato…

SONO BUONI.

E perché sono buoni?

 

OH. MIO. DIO.

Quindi, ricapitoliamo lo scarica-barile che c’è in Midnight Train…

I mali non sono colpa dei protagonisti e qui va tutto bene, hanno a che fare con qualcosa di soprannaturale –> Quindi è colpa del Black Gear, che ha architettato questo treno per continuare il lavoro di “pulizia dei criminali” che l’organizzazione già fa. Però anche le loro azioni provengono a loro volta da degli abusi subiti (ancora poteva starci una critica sociale e alla polizia che non interviene ma non viene spiegato in questo modo). –> Dunque è colpa… Del treno…? Della maledizione…?

“Why are we still here…? Just to suffer…?”

È. Ridicolo. Non farò neanche intervenire le personcine colorate carine! È semplicemente ridicolo!

La colpa è di un cazzo di treno! Perché nessun personaggio dalla bella faccetta può prendersi la colpa. Perché sono tutti BUONI ed è la prima cosa che dobbiamo capire!

“…”
“…”

Ora, per dare una prova schiacciante di quello che dirò alla fine di questa appendice, quindi anche la seconda parte di quest’articolo…

Parliamo di Dear Evan Hansen. Entriamo per qualche minuto nell’Arena Stage di Washington e vediamo come diavolo si trattano dei personaggi, in generale, il come si costruiscono buoni conflitti sia tra personaggi e personaggi, sia tra PERSONAGGI E PUBBLICO. Grazie ai casi di Walter White e Tony Soprano abbiamo capito bene che per aggiungere strati di profondità anche il conflitto tra personaggi e pubblico è molto importante. Quindi, iniziamo analizzando una delle ultime canzoni del musical di Benj Pasek, Justin Paul e Steven Levenson.

“Good For You” è una delle canzoni che segnano i maggiori conflitti tra Evan e tante persone della sua vita, tra cui sua madre. Non parlerò dei versi degli altri due ragazzi (Jared e Alanna), dato che sono molto collegati alla trama del musical e il come sono stati “tirati” nella situazione di Evan.

Dovete sapere che nel musical, Evan è un ragazzo che soffre di pesantissima ansia sociale. La canzone “Waving Through A Window” è la completa rappresentazione della sua frustrazione e dolore per questa situazione che vive.

(Screenshot dalla performance di Ben Platt ai Tony Awards del 2017)

“I try to speak but nobody can hear
 So I wait around for an answer to appear
While I’m watch, watch, watching people pass…
Waving through a window

Can anybody see?
Is anybody waving back at me?”

Ma in “Good For You” (spoiler) ha un conflitto prevalentemente con sua madre, perché per una serie di eventi, Evan si è ritrovato quasi a sostituirla con un’altra famiglia e la donna è distrutta perché sa che a livello di comodità per Evan, quella famiglia è migliore di lei ma è allo stesso tempo furiosa con suo figlio per via di questa sostituzione, perchè lavora il doppio per mantenerlo dopo l’abbandono del padre di Evan. Penso che questi versi possano riassumere quel che sentiva Heidi Hansen:

Hai trovato un posto dove l’erba è più verde?
Ora salti all’altra recinzione?
Ti trovi bene?
Ti stanno dando un mondo che non potrei darti mai?
(…)
E dici quel che devi dire
Così che tu possa andartene
Ti avrebbe ammazzato restare intrappolato
Quando hai qualcosa di nuovo

Beh, mi spiace se me la sono passata male.
E mi spiace di non essere abbastanza…
Grazie a Dio, ti hanno salvato!

(Scena prima di “Good For You” da… Un bootleg. Si, la vita dei theater kids è difficile.)

Dopo tutto questo dolore buttato fuori da Heidi, anche con tantissima passivo-aggressività (“Ti avrebbe ammazzato restare intrappolato – A vivere con me, aggiungo- quando hai qualcosa di nuovo”, “Grazie a Dio, ti hanno salvato!”)…

(“Thank God they rescued you!”)

Volete ricordarvi ancora dell’ansia sociale di Evan? Dopo questa canzone e dopo quel che Evan fa durante il primo atto tra cui mentire ad una famiglia che ha perso un figlio, solo per avvicinarsi alla sua cotta…

(Scena per la canzone “For Forever”)

Volete perdonarlo perchè… “Can anybody see, is anybody waving back at me?”

Come scritto sopra, Waving Through A Window in particolare riflette quel che prova Evan per via della sua ansia sociale. Oggettivamente ne soffre, quindi ha problemi a relazionarsi con le persone. Come tutti i personaggi che abbiamo descritto fino ad ora, Evan soffre di una sua situazione negativa.

Ma, in ogni caso, ha provocato questo.

…Però il musical ci tiene a farci sapere che anche Heidi sbaglia. Anche lei dice frasi come “Sto facendo del mio meglio!”, ma con le continue prese in giro che dice verso la famiglia Murphy nell’arrabbiatura, sembrano quasi scuse le sue per auto-giustificarsi nel suo non comprendere suo figlio per orgoglio.

Qualche minuto prima: “Non sono la tua famiglia, Evan!” con tono canzonatorio.

Qualche minuto dopo: “Sei l’unica cosa buona che mi sia successa, Evan! Mi spiace di non darti più di questo… Cazzo!”

 

“…”

Ecco. Capite cosa vuol dire un conflitto fatto dignitosamente, anche se con persone che possono anche nascere come “vittimizzabili” al massimo?

Neanche io ho la minima idea di chi “giustificare”. Hanno entrambi delle buone ragioni, ma allo stesso tempo hanno quegli elementi per cui non si può dire che siano nel torto o nella ragione totale!

Entrambi soffrono? Assolutamente. Ma entrambi per via di questo non hanno mai fatto del male a nessuno, perché “soffrono” e “sono brave persone”? Assolutamente NO. Entrambi hanno fatto del male a chi li circonda e nessuno viene risparmiato.

Heidi fa vedere quello che considero un principio d’isteria che fa vedere quanto sia problematica come persona senza “zuccherare” niente o rendere i suoi evidenti problemi meno visibili. Ma anche Evan fa vedere ancora una volta quanto è una persona che, se trova una buona occasione, vuole far ritorcere le cose a proprio conto per forza (un dialogo con Alanna lo dimostra).

Infatti, vediamo i commenti sotto la canzone che abbiamo citato…

C’è un conflitto morale vero, c’è una scrittura dei personaggi che permette di dibattere le loro idee, perché l’opera in questo punto non è scaduta nel “questo è giusto, questo è sbagliato”.

Quindi, vedete cosa fa il conflitto?

Il conflitto dà CRESCITA. Ai personaggi, a chi parla di loro “dall’altra parte dello schermo”. A tutti.

Evan e i personaggi di DEH in generale sono ancora fonte di dibattito… Perché ci sono tantissimi conflitti da cui partire! Questi sono i tipi di opere che, posso dirlo anche senza conoscere in totale il musical, almeno fanno pensare, fanno parlare di loro nel buon senso della parola! Il pubblico quindi, automaticamente, se riflette sull’opera riflette anche su sé stesso, sulle proprie morali stesse…

Quindi, tornando a Midnight Train… Dopo aver visto cosa va di moda nelle industrie già belle che formate, con tanti critici al seguito; un’industria che anche il videogioco punta di diventare… Possiamo davvero considerare questi tipi di storie scritte bene, o almeno di qualità?

Tutto quell’ammasso di manipolazione, tossicità, ridicolaggine… Per cosa? Per cosa il giocatore deve sopportarsi ore e ore di queste stronzate?

Per vedere i personaggi, sempre con le loro belle faccette, felici e contenti, senza alcuna coscienza di quel che hanno fatto, quel che hanno detto e quel che è successo durante il gioco. Che razza di good ending è?

Per questo io, forse interpretando a fatti miei il termine, questa la considero come “positività tossica” vera e propria.

Non c’è stato un development, non c’è mai stato un CONFRONTO con il mondo esterno, non c’è stato un CONFLITTO vero che li ha fatti cambiare “da così a così”. Smettiamola di prenderci in giro, queste persone sono rimaste le solite merde di sempre. Hanno pianto un po’ di più, ma non sono mai stati messi in dubbio sulle proprie idee, né avuto veri e interessanti momenti di confronto con qualcosa di diverso, o anche qualcosa che non possono capire e/o scusare completamente con paroline dallo shonen battle più scarso che trovi sul mercato anime…

Esattamente come tutti noi. Midnight Train è fatto così perché è fatto da una spettatrice originariamente passiva, che ha riflettuto nella sua opera tutto quello che vorrebbe. Dramma, piangere un po’… Ma nessun vero conflitto. Nessuna vera sfida da affrontare.

Bambini circondati da ovatta. Come ho detto in precedenza.

Ho voluto parlare di questo caso per via del fatto che credo riassuma tutto quel che è stato detto in questo pesantissimo secondo punto dell’articolo intero. Pensavo fosse un bel modo per concludere questo secondo punto, confrontando anche un’opera che noi in teoria “vogliamo che diventi la nuova norma”, con quello che oggi è la norma. Anche se, alla fine, torniamo sugli stessi concetti.

Anzi, copio-incollo queste parti da qualche paragrafo fa – capisco che in questo articolo così lungo ci si possa perdere.

Non vogliamo riconoscerci in nessun problema che ci potrebbe toccare troppo da vicino. Perché noi; pubblico, developers o chiunque… Vogliamo sentirci sempre compresi. Sempre e comunque. Per questo ci piacciono i mondi dove tutti sono delle vittime, dove tutti possono essere “sistemati” con due parole di conforto.

Vogliamo qualcuno o qualcosa che comprenda sempre i nostri problemi, anche se in alcuni casi non c’è niente da comprendere. E lo facciamo tramite le frasi “ci sarà una ragione del perché sta facendo questo!”, che in realtà si traduce in “ci sarà qualcosa che giustifica questi comportamenti, perché non riesco a concepire che alcuni impulsi e scatti sono nell’indole umana, che non è complessa solo quando voglio io, ma è complessa in ogni caso, anche con le sue inspiegabili negatività”.

In questi tipi di opere odierne nessuno è effettivamente una cattiva persona. Ci si nasconde con la scusa che “abbiamo tutti debolezze e sfaccettature” per nascondere una bontà melensa di persone affette solo da stimoli negativi esterni, che in realtà non hanno mai nessuna colpa.

Per questo ogni tentativo di conflitto è futile.
Perché alla fine tutti abbiamo delle debolezze, per cui meritiamo di essere sempre capiti e non dobbiamo mai cambiare.

“…Credo di aver finito.”

“…”

“…”

“E allora?”

“Come “e allora”?”

Che male c’è se tutti sono brave persone in queste opere?

“Alla fin fine è finzione. Sappiamo discernere realtà e finzione, quindi sappiamo perfettamente che non tutti sono buoni come in queste opere. Ci siamo solo evoluti, non si sente più il bisogno di quello che consideri… Conflitto.”

“Hai fatto andare via la ragazza in giallo per quale motivo? Aveva ragione, sei qui e parli tanto su un piedistallo perché in realtà vuoi solo farci una paternale a tutti su cosa è giusto e cosa è sbagliato!”

“Perché quello che chiami “confort” dovrebbe far male all’opera di finzione in generale?”

“Perché… Non viene detto alcun messaggio. Sta diventando tutto-”

“Allora? Le opere amorali esistono da sempre. È puro “entertainment”, come tanto dicevi tu per Mad Father. È come criticare le fiabe per-”

“Ah… Certo… Vienimi a parlare di fiabe, storie amorali…”

“Quando qui le tematiche che volevano essere trattate, con autori che volevano “illuminare” le persone con la loro intelligenza e sensibilità… Vengono totalmente distorte…”

” Vienimene a parlare. Voglio farmi due risate.”

 

Parte 3 – D͈͑i̞̒s̢̥̋̃t̢͍͌̀̔͢o̪̕rs̢̬̳̓͑̎í̡ǫ͔̣̃̐̾nẻ̛͇̥̲́ ͈́d̡͍͚̍͐̕elle ̨̛̣̟̇͂ṱ̊em̭̜̜̍̎́a̙̒ṭ̬͌͆͢͡i̲͛ć̜ĥ̖̳̀ę͈̗̓͗͂

Cloé’s Requiem: Con Amore – “Non sono io, è la mia maledizione”

Partiamo quindi dal caso già analizzato nella seconda parte dell’articolo su Cloé’s Requiem – Cloé’s Requiem: Con Amore. Una sorta di versione extra del poco ricordato RPG Horror. Sia Con Amore, sia Cloé’s Requiem sono stati analizzati nella serie di articoli sopracitati.

In Cloé’s Requiem, il padre di Cloé (la co-protagonista) ha approfittato sessualmente di sua figlia da quando era molto giovane – Circa otto anni.

Una persona così lo spettatore la riduce, a livello morale, al di sotto di un verme.

Vi faccio vedere come è stato trattato in una… Versione extra di Cloé’s Requiem – Cloé’s Requiem: Con Amore. Questa versione extra doveva, in teoria, rendere più chiari degli elementi di trama.

Nel “gioco” (dato che sembra di più una visual novel di scarsa qualità) si vede una versione “demonizzata” di alcune persone che nel corso del gioco sono morte, tra cui quello della cameriera Charlotte…

Perfetto, Charlotte è diventata un mostro totale, coperto di sangue. Perché “è una maledizione”. Questa ragazza insanguinata che vedete in copertina è il “copione malvagio” di quella originale, qualcosa di cattivo che si sconfigge con l’ammore e l’acqua santa.

Ma c’è una grandissima differenza tra Cloé’s Requiem e Cloé’s Requiem: Con Amore: nel gioco originale le “maledizioni” non sono dei meri mostri da sconfiggere, ma qualcosa di molto più profondo. Si possono dare tante interpretazioni ad esse.

(Se volete vedere un articolo lunghissimo sui personaggi di Cloé’s Requiem, in questo sito esiste).

Dunque, torniamo a noi e a come vengono rappresentate le maledizioni in “Con Amore”…

Se questa è una “doppione malvagio” della buonissima Charlotte…

“Ho paura di perdere Cloé, lui ne sembrava ossessionato”

…Anche Alain, il padre abusivo, ha sviluppato un doppione malvagio prima di morire!

Con “lui” si intende ovviamente la cosiddetta “maledizione”, che appunto in Con Amore è diventata un essere soprannaturale che sembra che… Prenda possesso delle persone… E le faccia fare cose brutte.

Quindi, secondo questa logica, Alain è un bravo padre che ci teneva alla figlia.
Quindi non è stato Alain a violentare Cloé.
Quindi Alain è una persona da compatire, anche se nel gioco originale viene sempre presentato come un personaggio molto ambiguo nel modo di esprimersi o, in ogni caso, come una figura terribile.

No, davvero, hanno rifilato ad una maledizione una colpa che può appartenere solo e soltanto ad un essere umano particolarmente malato. Rendiamoci conto della gravità della situazione.

Hanno reso uno stupratore un “uomo che soffre”, e solo per questo è stato inventato l’elemento di trama per cui Alain si sforzasse di curare Cloé, che tutt’un tratto è “cagionevole di salute” (cosa MAI citata nel gioco originale, ogni male che ha nel gioco è stato solo per colpa di suo padre).

“Ho paura di perdere Cloé, lui ne sembrava ossessionato”

Se non contiamo i vari buchi e incongruenze con il gioco originale1 se si segue questa linea narrativa che mi sembra più una fanfiction che una vera e propria spiegazione delle maledizioni, io vi chiedo…

“Ragazzi, guardiamoci in faccia. Non lo sentite l’odore di stronzata?”

“…”
Andiamo finalmente all’audience. Come l’ha preso l’audience giapponese questa visual novel malfatta?

Secondo il pubblico, Cloé’s Requiem Con Amore è servito ad approfondire i personaggi di Cloé’s Requiem.

“Ho paura di perdere Cloé, lui ne sembrava ossessionato”

E questo comprende sicuramente il caso di Alain.

Rendiamoci conto. L’avere delle giustificazioni alle azioni di un porco che si nasconde nell’immagine dell’uomo distinto dell’800 negli ultimi anni vuol dire “capire di più il suo personaggio”. Lo rende scritto meglio, sapete.

…Mi prendete per il culo?

ORA CAPITE COSA INTENDO CON LE MIE FRASI “CATTIVE E TENDENZIOSE” VERSO NEIL E QUEGLI ALTRI STRONZI CHE ABBIAMO TRATTATO FINORA?

RICAPITOLIAMO CHI E’… ANZI, COS’E’ ALAIN.

Alain viene rappresentato come un mostro che ha rovinato la vita di una moglie instabile e una figlia troppo piccola e fragile per porsi contro di lui, prendendo quest’ultima come suo possesso (se si ricordano certe frasi che ha nel gioco). Non potete contestarmi su questo: Alain fa schifo, Alain è una persona che non si può compatire per nessun motivo AL MONDO.

Ma la quantità di schifo che fa come persona non lo rende scritto male! Non lo rende abbozzato in nessun modo! È una persona, con le proprie malate inclinazioni, che ha fatto del male a delle persone, che le ha traumatizzate a vita!

Però, in ogni caso…

Un personaggio che comprendiamo è un personaggio che il pubblico non è costretto a redimere, ma che rimane dalla psicologia complessa e logico nelle sue azioni.

Questo è un ragionamento che si può applicare ad Alain: non lo redimiamo per alcun motivo, ma possiamo capire fondamentalmente che sia malato e questo si riflette perfettamente nelle sue azioni! Questo non lo rende per niente un personaggio abbozzato, rispetto a questo “twist” di merda per cui “è stata la maledizione a fare tutto”! (Vedere nota 1: “Buchi di trama…” – Ulteriore approfondimento)

Anzi, vi dico una cosa.

La caratterizzazione giustamente mostruosa di Alain nel corso del gioco era fondamentale come esempio sbagliato per Michel (date le sue inclinazioni al, appunto come Alain, non rispetto per la vita umana e il possesso), con inquietanti parallelismi fino al confronto diretto!

Ecco cosa CAZZO intendo con “distorsione delle tematiche”!

È diventato un pover’uomo consumato da una maledizione venuta dal niente e che cercava di combattere, poverino… E quindi quel che combatte Michel alla fine di Cloé’s Requiem (non Con Amore) è… Boh, si, una boss fight finale contro una maledizione finale.

Quindi Alain in Cloé’s Requiem perde ogni tipo di profondità perché “tanto ogni volta era la maledizione a parlare”.

Quindi giustificando Alain la tematica della violenza sui minori nel caso di Cloé viene risolta con un “lo possedeva qualcosa di esterno, non era l’uomo umano a fare quelle violenze”, quindi qualcosa di così grave come LO. STUPRO. Viene distorto alla stregua di APOLOGIA.

APOLOGIA A QUALCOSA CHE SUCCEDE ANCORA OGGI. UNO DEI PEGGIORI TIPI DI VIOLENZA FISICA.

“Ho paura di perdere Cloé, lui ne sembrava ossessionato”

ALAIN VOLEVA BENE A CLOE’.

Omori – Depressione: il nuovo badge per distinguersi?

Letteralmente, come vado a dormire la notte dopo una giornata a vedere esaltazione per tutto internet su questo gioco.

…È letteralmente la parte che aspettate tutti, eh?

Omori, la nuova perla dell’indie game… “Il nuovo Undertale”, dicono…

“…”

“…”

Ho… Da fare una premessa per questo gioco. Per un discorso che porteremo avanti successivamente. In quest’articolo o in un altro, avremmo voluto parlare di questo gioco da questo punto di vista; ovvero di quello secondo cui bisognerebbe rivalutare la nostra maturità come pubblico, per giudicare a dovere i giochi da premiare e dare ogni merito esistente o meno.

E ora scoprirete il perché di questa, tra tante, frase cattiva e “assolutistica”.

Dato che ne parleremo in base al fatto che ha distorto in modo molto grave quel che voleva trattare, andiamo prima di tutto a quello che rende le “tematiche” trattate al minimo della profondità, da non definirsi neanche tematiche.

Perché è per via di un’iniziale superficialità, un’iniziale distrazione, un aver preso le cose troppo sottogamba, o anche un’ingenuità creativa alla base che hanno portato Omori anche verso l’offensivo per quello che riguarda il tema della depressione.

Ma andiamo un passo alla volta. Perché le tematiche sono “non-tematiche”?
Ci sono vari punti per cui possiamo passare, sia nel cosiddetto “mondo dei sogni”, sia nel cosiddetto “mondo reale”.

Partiamo da qualcosa che è possibile confutare: il realismo.
Il realismo questo gioco l’ha messo davvero sotto le scarpe, da ben due punti di vista.

Iniziamo dall’aspetto estetico; qualcosa di molto minore.

Dal mondo dei sogni al mondo reale noi dovremmo avere un qualche tipo di differenza. Nei tipi di personaggi che incontriamo, nel tipo di persone anche sconosciute a cui ci approcciamo, le tinte, le atmosfere…

(Screenshot di Coraline, gioco del 2009 tratto dall’omonimo film di LAIKA Studio)

In Omori abbiamo, invece, gli stessi tipi di personaggi, tinte e vibes del mondo dei sogni. Quest’ultimo è soltanto messo giù in maniera più stravagante: il gioco intero, però, non mi ha mai fatto staccare dall’idea di J-RPG con personaggi carini che fanno a botte per delle storielle da quattro soldi. Cambiano solo le età e il fatto che i personaggi abbiano lineart nere e non colorate. Questo effetto mi è dato soprattutto dalle tinte delle mappe, che in Coraline abbiamo visto completamente cambiate da mondo immaginario a mondo reale.

Oltre al fatto che la regia, in ogni caso, rimane sempre la stessa; sempre con questi toni e dialoghi più scherzosi e/o quasi “infantili” nelle scene più quotidiane, e si risveglia solo quando deve presentare una scena drammatica.

Oltre ai continui personaggi “wacky” (prendo Maverick come esempio più forte) sia nel character design, sia nella personalità… Che nel mondo che dovrebbe fare contrasto con, letteralmente, un mondo immaginario… Sono solo davvero odiosi e fuori contesto.

Perché questo diventa un’aggravante?

In teoria, il giocatore è dal punto di vista di una persona “depressa”. Non credo sia possibile che il mondo attorno ad essa sia così colorato.

“Scusa Ele, ma tutto questo discorso del contesto non può fare a meno di farmi pensare a come si sarebbe espresso un bel potenziale se si fosse scelto un ambiente più azzeccato.”

Provate solo a immaginare se invece del paesino disperso nel mondo si fosse scelto, ad esempio, un ambiente più vicino ad una cittadina. Anche una grande città con delle sue regole, perché no.

Tanto per cominciare…

  1. L’amicizia tra questi bambini si sarebbe valorizzata meglio se messa in un contesto spietato, come l’individualismo che si sviluppa in una zona geografica più urbanizzata; inoltre dei luoghi come il parco giochi, se messo a confronto con, ad esempio, lo smog della città, avrebbe avuto ancora più valore.
  2. Come abbiamo detto prima, in una città è più facile che i genitori si perdano nel lavoro e i ragazzi vengano trascurati e che si sviluppino fenomeni come quelli dell’hikikomori.
  3. La crescita e il periodo più vicino all’adolescenza si sarebbe potuto affrontare in un vero contesto di confronto continuo tra l’attaccamento all’infanzia e l’avvicinamento all’età adulta, in molti teen drama questo viene affrontato nelle scuole, nel contesto di Omori la scuola poteva ricoprire anche un ruolo marginale ma il punto è che con dei continui riferimenti alla vita che avrebbero perseguito da adulti a partire dal confronto che può anche avvenire in una scuola avrebbe creato delle atmosfere di conflitto molto credibili.

Volete un esempio di quanto detto sopra? Prendiamo la stessa Aubrey di cui vi abbiamo parlato prima.

Ecco, proviamo per un attimo a guardarci in faccia: per quale ragione il gruppo dovrebbe seguire le direttive di Aubrey? Che interesse ha il gruppo nel rubare l’album di foto a questo poveraccio? Normalmente un gruppo di bulli o una gang la si può “aizzare” con commenti molto più banali e superficiali. 

Volete davvero che vi faccia un esempio? 

“Davvero questo tipo ha i fiori in testa? Deve essere un effemminato.” 
“Ohh che carino si fa difendere dai suoi amici, vedi come si rifugia!”
“Questo deve essere senz’altro gay”…

(…)

Si vuole sfruttare l’album dei ricordi? Volete distaccare Aubrey dal suo passato? Bene, supponiamo che per distaccarsene decida di sfruttare queste foto. Ad esempio, può costringere Basil a qualunque tipo di “tortura” o umiliazione in pubblico che se non vien eseguita prevede la bruciatura con accendino di una delle tante foto presenti per mostrare la sua forza al gruppo; al punto che quando gli restituiranno la foto/l’album “sani e salvi” sarà Basil stesso a gettarli nella spazzatura per il trauma che gli hanno causato.

Ma una scena come questa, nello specifico, come avrebbe potuto funzionare aldilà del contesto più urbano? Ecco, provate a rimuovere per un attimo l’immagine della delinquente e sostituitela con una sorta di “estensione malvagia” di quello che era da ragazzina (ovvero, una tipetta un po’ smorfiosa e un po’ furba che cercava di essere al centro dell’attenzione del suo gruppo)…Mi chiedete dove voglia andare a parare, non è vero?

Beh, sto solo cercando di farvi dimenticare per un attimo lo stereotipo della “cozza di strada” per abituarvi allo stereotipo dell'”ape regina” nei gruppi di adolescenti. 

Vi dico solo di provare a visualizzarla nella vostra testa. I soliti capelli lunghi, magari con un paio di orecchini a cerchio, con un look che possa avvicinarsi a “maglietta-shorts” o “maglietta-minigonna”.

(Ho fatto giusto uno sketch incompleto per darvi un’idea)

Prima che voi mi mandiate ogni tipo di insulto per aver “rovinato” il vostro personaggio preferito voglio provare a convincervi di questa scelta narrativa che avrei applicato al posto di Omocat… E all’elenco che sto per rappresentarvi voglio che ci accompagnate questa canzone in particolare dal musical di Mean Girls tratto dall’omonimo film.

Sentite che esplosività nella melodia e che lyrics! Ecco, ora torniamo alla logica e spieghiamo il perché sul piano narrativo avrebbe funzionato molto di più.

  1. Questo suo percorso di crescita sarebbe stato più in-character. Perché da bambina si mostrava sempre in prima linea, con occhietti carini, sorriso furbetto e col suo cerchiettino in testa.
  2. Un personaggio molto più interessante che poteva dare vita a delle scene forti e disturbanti (ecco, provate a immaginare quello che vi avevo detto prima sul bullismo al povero Basil). Poteva dare vita a un mare di conflitti che avrebbero reso la trama molto più interessante! Vediamo solo alcuni esempi…
  3. Tanto per cominciare si sarebbe scontrata in maniera molto più naturale e drammatica con gli altri membri del gruppo dei suoi “ex amici” e li avrebbe spinti a mettersi in discussione potendo intervenire sulle debolezze che vedeva in loro a partire da come li ricordava da bambini, per fare un esempio intervenire sullo stato di Kel, in un certo senso sempre secondo ad Hero come lei “è stata sempre seconda a Mari” se la vogliamo vedere nei termini di un contesto pieno di “competizione sociale”. Anzi, avrebbe perfino avuto più senso sulla depressione dello stesso Hero! Ovvero: la costruzione di un’immagine sociale con cui (e contro cui) combattere, Aubrey in tal senso sarebbe stata quel personaggio attivo che incarnava di per sé questo tema.
  4. Sarebbe stato un ottimo personaggio-specchio per la figura della “santarellina-educanda” Mari proponendo un esempio di “femminilità tossica” se vogliamo chiamarla così; ma non solo questo. Avrebbe rappresentato ancora di più il divisore che si è posto tra l’infanzia e l’adolescenza da quando la ragazza è morta, poiché Mari avrebbe quasi rappresentato in questo caso la morte dell’innocenza stessa se messa a confronto con un personaggio che è per davvero molto più subdolo e malizioso.
  5. Sarebbe stata anche un ottimo personaggio-specchio per il personaggio “repressivo” di Sunny (e anche Basil, volendo) per la ricerca/non ricerca del proprio ruolo nel mondo. Da un lato la reclusione, dall’altro l’aggressività. Violenza verso se stessi, violenza verso gli altri. Aspettate, ovviamente con violenza verso gli altri la intendo nel senso più subdolo del termine: ovvero spingendo continuamente le persone ad auto-odiarsi. Dite che svolge questo ruolo di opposizione anche in ambito da delinquente? Io direi non proprio, non è che deve continuamente mostrare una certa facciata per costruire l’approvazione di un gruppo sociale (qui anche per tornare agli esempi di personaggi come Pierre), dunque in questa versione non ha un “duro ruolo sociale da costruire”. I suoi “sgherri” la rispettano così com’è perché approvano le sue ideologie che ha sviluppato tutte da sola nel suo periodo di crisi. Non è che si trova proprio in quelle situazioni in cui deve dimostrare qualcosa a qualcuno.
  6. Avrebbe potuto rappresentare, nella visione distorta dei sogni di Sunny, Sweetheart con una cadenza perfetta, creando connessione tra il mondo dei sogni e il mondo reale.

Ecco, e con questo eccoti tirato fuori una bella e potenziale opera da sviluppare in cui abbiamo sia i combattimenti e le nostalgie da J-RPG esplorativo nel mondo dei sogni, che una trama complessa nel mondo reale, piena di materiale da poter sviluppare nei toni drammatici che più si preferisce per parlare, nella maniera più generale, delle dure tematiche della crescita giovanile al giorno d’oggi nel nuovo contesto sempre più individualistico e sempre più urbanizzato (ah, e in tutto questo non sarebbe servito manco l’espediente narrativo del cazzo dell’omicidio di Mari/falso suicidio, o se ci fosse stato ci sarebbe stato molto più materiale narrativo di base per contestualizzarlo).

“Tutto molto bello Pao, ora puoi smettere di sognare.”

“Cavolo, ma non posso ignorare che qui si voleva raccontare una storia drammatica con caratteristiche molto vicine al genere del teen-drama; quindi il paese sperduto per quanto possa essere più famigliare sul piano della nostalgia nello stile….Non c’entra un emerito niente con i temi che si volevano affrontare, dai!”

“Ma è quello che ho detto finora anch’io! Ma purtroppo questa è la dura realtà, rassegnati!”

Ecco, a proposito di realtà. Come ha detto prima anche Pao con i suoi cavolo di elenchi-ansiogeni, per darci un bel contrasto tra quella che si considera “la dura ed effettiva realtà” contro quello che è il mondo immaginario nella testa del protagonista, bisogna cambiare aria, bisogna cambiare musica, bisogna cambiare qualcosa e rendere interessante la realtà con gli avvenimenti, dato che si passa alla mentalità per cui il giocatore, dopo essere stato in un mondo fantastico, “deve mettere i piedi per terra” per capire azioni e problemi umani veri.

In questo modo, se vediamo entrambi i mondi come belli, allegri e dalle tinte belle sature… Non c’è neanche un vero e proprio contrasto. Mondo reale e immaginario diventano la stessa cosa.

E quindi, andando a qualcosa di più spinoso, che ha a che fare con quel che vuole… Anzi, pretende di trattare Omori.
Questa mancanza di differenze tra il mondo immaginario e il mondo reale non c’è solo dal punto di vista stilistico, oh no.

Come “mancanza di realismo” infatti intendevo proprio dal punto di vista degli avvenimenti. Potrei fare fin troppi esempi, ma prendo in esame il più semplice: la mancanza totale di un qualche tipo di terapeuta e la madre mai pervenuta in 4 anni in cui il protagonista è rimasto chiuso in casa proprio per una cosiddetta “depressione” (che, come vedremo più tardi, è in realtà solo grande senso di colpa, non associabile alla depressione cronica in nessun modo).

Secondo il gioco stesso, questa donna ha perso una figlia pochi anni prima proprio per DEPRESSIONE.
Con quale coraggio questa madre orribile non ha mai chiamato NESSUNO per il caso di questo povero ragazzo che per quattro anni si è ritrovato a combattere i suoi demoni interiori COMPLETAMENTE DA SOLO?!

Questa è una cosa molto grave da omettere. Vuol dire che nella vita di Sunny (il nome canonico del protagonista) ci può essere negazione genitoriale, se dopo il primo mese di isolamento non è stato portato in terapia e anche alla svelta (no, non prendo in considerazione il fatto che stavano per traslocare: almeno dei primi trattamenti credo si possano fare in modo più tempestivo) , oppure…

Si, non si volevano introdurre elementi “troppo realistici” in un gioco che voleva avere tutt’altro tipo di aestethic.

Ma per un gioco che…

E, quindi, che voleva trattare in modo serio questo tema, questa è una di quelle cose che mi fa capire molto bene che non ci si è neanche pensato a quel che comporta mettere certi elementi di trama nella propria storia, come un isolamento di 4 anni.

” C’è qualcosa che hai tralasciato.”

Certo, il gioco vuole trattare di depressione. Ma in ogni caso questa è semplicemente una storia sull’amicizia. Quel che colpisce è la suggestività con cui sono stati trattati tutti i temi, è la regia e la messa in scena a fare un bell’effetto.

“…Ah, parliamo di regia ora.”

Salvo il fatto che potrei fare un discorso bello lungo su come questa come storia sull’amicizia non valga un soldo per via di personaggi abbozzati e relazioni troppo superficiali per essere considerate durature per una vita intera…

Ma c’è da dire che il ragazzo con gli occhiali… Ha ragione.

La regia in Omori è suggestiva, effettivamente. Questo è verissimo.

(Parentesi, la seconda scena che mostro è uno SPOILER gigantesco per Omori!)

Personalmente la scena dove Omori nuota in mare e intanto si hanno visioni della mancata Mari, che dimostra il suo perdono (qui ci si può anche chiedere se appunto quella sia solo una visione di Sunny per mettersi la coscienza a posto, o se Mari l’avrebbe davvero personato)… Davvero, nessun “ma”, è davvero bella. Dalla musica, all’interazione con il giocatore perchè egli stesso nuota per raggiungere Mari in quello che sembra un oceano infinito, quindi ci si perde fino a trovare quella che può essere “un appiglio” dato dalla presenza di una persona come Mari.

Poi, la scena della scoperta dell’omicidio tramite le foto è molto bella da vedere in generale: anche se l’espediente delle foto è fatto puramente per aestethic e… Io non trovi il motivo della sua esistenza, per via della gestione delle immagini singole per farci scoprire il fattaccio mano a mano, capisco che a livello di immagini in successione al gioco ci ha lavorato chi dell’esperienza ce l’ha. Il crimine non ti viene spiattellato in faccia con un qualche flashback inutile ma tramite qualcosa di più sottile… Per quanto, ripeto, io non capisca veramente l’espediente.

 

Ma quel che non me la fa lodare per niente è un altro problema… L’iconografia.
Con iconografia intendiamo praticamente i simboli che vengono usati nel gioco per dire certi messaggi o per qualunque altro motivo. In generale, come si cerca di arricchire quella che è una regia che tutto sommato è anche buona. Da questo punto di vista, quello dei simboli, il gioco è stato pigrissimo.

L’unica cosa interessante a livello di simbolo e che è stata usata come principale modo per fare un qualche tipo di marketing accattivante a questo gioco è stato il White Space.

La schermata del titolo, il logo, la primissima scena… Fanno tutte pensare che avremo a che fare con questo cosiddetto spazio bianco, molto isolante e che mi ha ricordato a tratti il primo capitolo di Hello Charlotte, altro RPG Horror.

…E anche OFF di Mortis Ghost…

 

Ma vi dico, questo poteva essere l’unico modo un po’ più suggestivo per trattare “depressione”, “ansia” e tutti questi bei termini. Se proprio si voleva puntare su una messa in scena “poco convenzionale”, o roba così, il White Space era perfetto per un’atmosfera isolante che poteva riflettere più l’individualità in generale.

Peccato che questo unico luogo particolare del gioco appaia pochissimo, rispetto allo screentime che meriterebbe per quanto è stato spinto nelle operazioni di marketing barbine fatte per questo gioco!

Inoltre il White Space, nelle sue poche (si, io le considero molto poche rispetto all’ammontare di tempo in cui dobbiamo stare in tutt’altri luoghi, molto meno ispirati) apparizioni è l’unico luogo dove si tenta di creare un qualche tipo di atmosfera interessante, che avrebbe potuto dare al gioco dei punti.

E anche se il “Black Space” è una gigantesca stronzata fatta per un “grand finale”…

In queste parti si potrebbe usare la logica che noi abbiamo usato nell’articolo di Pocket Mirror in Back To The Future:

“Non vuol dire una merda, ma è fighissimo!”

Ma Mio Dio, Pocket Mirror era davvero over the top! Così over the top che potevi anche minimamente ingannarti che fosse un gioco fatto per essere strano intenzionalmente, anche se aveva il suo gigantesco problema di un progredimento fin troppo lineare, di cui parleremo dopo anche per questo gioco.

Non mi piace quel gioco come non mi piace Omori, ma io vedevo degli “starnuti creativi” (si, chiamo così quegli sprazzi di creatività senza contesto), vedevo qualcosa che a primo attrito poteva incantarmi.

Preferisco di gran lunga qualcosa di davvero over-the-top, rispetto a qualcosa che pretende di essere un prodotto “delicato” e dalle scene belle e ispirate, ma che allo stesso tempo vuole anche essere il J-RPG più “by the book” di sempre!

(Aiutare le persone a caso, dialoghi inutili… Lo dico da fan dei J-RPG, per chi si sente hipster a dire che ha “apprezzato la quantità di testo del gioco, che molti giocatori possono definire noiosa”… Credo che ogni amante di J-RPG pesantemente narrativi debba sentirsi speciale, secondo la tua logica.)

Questi due registri, inoltre, non si mischiano proprio assieme. Omori segue la regola per cui “oh, è finito un arco narrativo… Ok, bisogna tornare nel mondo reale”, senza attualmente PENSARE a dare un trigger vero e proprio a questo risveglio e torniamo nel mondo reale perché la dea Omocat ha voluto così. Non abbiamo un build-up, non abbiamo una ragione. Torniamo nel mondo reale perché si deve cambiare dal J-RPG al DRAMAA. Si passa all’horror perché vogliamo fare l’horror psicologico adesso, con scene inquietanti, mostri e tinte scure!

 

E qui arriviamo al cuore del problema. Alle dimostrazioni del perchè l’iconografia che viene usata in Omori per trattare la depressione fallisce su tutti i fronti.

Le scene che volevano essere “belle”, horror o chi più ne ha più ne metta… Io le ho viste osannate a capolavori, ma se si è giocato almeno un altro RPG Horror nella propria esistenza si riconoscono tutti i simboli usati da Omori nelle proprie scene “suggestive”.

Vi faccio solo alcuni esempi, per poi arrivare ad uno che si collega con il discorso principale.

-Occhi. Io metterò il caso di Fausts Alptraum, ma è quasi nauseante quanto gli “occhi” come simbolo siano usati DA SEMPRE nella narrativa horror.

-Uso di schizzi fatti a mano, solitamente per le proprie mappe.

(Fausts Alptraum)

(Imaginary Friends)

(Ib)

 

-Mani

 

(Ib, Yume Nikki)

Ah, scusate. Ho rivisto Coraline recentemente e questo screenshot della mano dell’altra Madre mi è rimasto sul PC.

No, in realtà voglio costruire un altro discorso partendo proprio dalla Mano dell’Altra Madre, o più in generale cosa nell’opera di finzione può simboleggiare la “mano”. E questo è per spiegare meglio il perchè appunto l’iconografia di Omori sia davvero pigra.

Abbiamo visto quest’espediente in circa 2 giochi diversi e un film. Ditemi, questo simbolo della mano è stato usato con le stesse intenzioni che aveva Omori? Quello di rappresentare la paura, una cosa molto più interna e psicologizzata?

No. La mano come simbolo si usa per indicare un pericolo, in generale. Lo abbiamo visto nel caso di Ib e nel caso di qualcosa che viene da un media totalmente diverso: un film. Sta all’opera dare alla singola “mano” di cui si va a parlare un bel contesto che la possa reggere, ma la simbologia della mano è chiara: indica in modo molto generale un pericolo o una semplice minaccia.

Ho citato anche Yume Nikki in questo discorso perchè Yume Nikki, credeteci o no, nelle sue intenzioni iniziali non aveva alcuna pretesa di narrativa, quindi anche qui le mani sono puramente per aestethic horror, quindi sono qualcosa di esterno anche qui, non importa quanto siate fantasiosi con le teorie!

(No, non prenderò in considerazione una teoria per cui le mani siano quasi un “invito a prendere il coltello”. Per quello, credo che la lama scintillante faccia già il suo lavoro.)

Quindi la mano come pericolo dal punto di vista del simbolo, se non usato nel modo corretto, se non ci si costruisce un bel discorso attorno a questo simbolo e lo si butta così… Diventa intercambiabile con qualunque altra cosa che indichi “pericolo” in generale.

Infatti in questa scena vengono sostituite senza vergogna con… Liane? Fili?

Quindi questi vi sembrano davvero espedienti creativi per trattare quella che è definita “depressione” o semplicemente trattare in modo originale la paura, o il senso di colpa?

“Anche se non è dei più creativi, ha un suo contesto, quello della fobia. La paura si sente, le mani possono essere qualcosa che ‘tira indietro’ Sunny dallo scendere le scale…”

“L’ultima frase che hai detto potrebbe essere anche vera, ma…”

Per rappresentare altri problemi si sono usati metodi molto più efficaci.

O, sempre parlando di scale, il fatto che queste siano lunghissime andava molto più esagerato. Si poteva puntare la rappresentazione della fobia sul fatto che, dato che Mari è morta proprio su quelle scale quindi ricordano a Sunny il suo trauma, le scale sembrano interminabili!

Insomma, rappresentare la fobia come quello che è: una distorsione della realtà da parte nostra, che ci rende restii ad affrontare certi tipi di cose, che vediamo più grandi e spaventose di quello che non sono. L’hanno fatto mentre rappresentavano un inutile mal di stomaco: quell’effetto sullo schermo mi da l’idea di nausea… Perchè non farlo con quel che il gioco tratta veramente?

Dato che sei più simpatico di tutti gli altri, ragazzo in celeste, ti lascerò un altro esempio di simbologia inutile in Omori. Così capiremo più facilmente il problema.

Sempre per confrontare Coraline e Omori, studiamoli dal punto di vista di un altro simbolo.

Il ragno.

In Coraline, il ragno è usato per rappresentare l’altra madre in generale, ma quello che fa collegare questo personaggio con quel che può simboleggiare un ragno è il concetto dell’inganno. L’Altra Madre inganna i bambini nella sua trappola di attrazioni, da dolci a eventi divertenti, così come fanno i ragni con le loro prede quando le attirano nella loro ragnatela. Questo viene da un desiderio di sopravvivenza da parte di entrambi: nel ragno il cibo, nell’Altra Madre… Può essere l’affetto di un bambino o semplici anime da mangiare anche da parte sua.. Quindi da questo concetto generale si è costruito il personaggio intero, partendo proprio dal ruolo di ingannatrice che ha nella trama: quindi nel film nella sua “vera forma” o forma finale diventa proprio il concetto che simboleggia.

In Omori… Beh, non c’è lo stesso tipo di profondità e/o studio che si può fare sul simbolo.

Per quanto quella dei ragni sia la più classica delle paure, quindi non poteva essere omessa… Perchè c’è un’intera area di gioco dedicata ai ragni, una rappresentazione del senso di colpa (cosiddetto “SOMETHING”) che prende la forma di un ragno? In una scena si mostra anche il piano di sotto della casa di Sunny pieno di ragni!

Cioè… Sunny non è un ingannatore, è solo un ragazzino che ha fatto una grande minchiata per cui si sente anche in colpa; Mari non si vede mai collegata con il concetto del “ragno” perchè è troppo santa per essere collegata a qualcosa come un ragno…

Quindi, che cosa vuoi dirmi con il simbolo del ragno, Omocat?!

Non fatevi teorie inutili, per questo gioco di teorie ne ho davvero abbastanza.

NIENTE. Omocat con il simbolo del ragno non vuole dirci NIENTE!

Così come le scale: Omocat con quelle mani non vuole dirci NIENTE!

Ha usato un effetto azzeccato per un MAL DI STOMACO inutile, ma per le fasi veramente horror del gioco ha usato praticamente questa logica:

“Hmm, questo simbolo mi sembra abbastanza sinistro! Mi fa un sacco di horror, mettiamolo!”
-Ilenia Zodiaco, #LibroDiMelma – “Shatter Me”

Infatti gli stessi simboli generici che troviamo in Omori Omocat li rappresenta anche in un semplicissimo “horror brainstorming”.

Quindi… Spero di aver aperto e chiuso questo discorso, con quest’ultima prova.

Per un’opera che prende davvero tanto tempo per stare dietro ai momenti “Horror”… Ci si aspetta un qualche tipo di collegamento con tutto quel che stiamo vedendo, con i pezzi che stiamo unendo insieme.

Avremo un collegamento pensato tra simboli usati per l’horror e la “curatissima” storia, vero?

Sorpresa: NO!

Con tutto quel che abbiamo raccolto possiamo concludere che i simboli di Omori NON SONO STATI PENSATI per quel che la narrativa voleva dire.

Sapete le uniche due cose che si collegano al tema del gioco quali sono?

FINE. A livello di simboli importanti da tenere in considerazione, possiamo vedere questi due e poi andarcene tutti a casa, perchè sono gli UNICI che si collegano in modo forte con i problemi che ha Sunny.
(No, quel modo inutile per voler somigliare minimamente ad un capolavoro del 2004 e fare climax che è il “Black Space” non lo conto neanche se mi gettate freccette negli occhi.)

Per il resto tutti i simboli che ha possono far parte della testa di un ragazzo con la depressione, un ragazzo semplicemente nevrotico o anche solo e semplicemente ad un edgelord pazzesco!

E quindi, questo grande errore si aggiunge a questo problema, che alla fine è resta sempre quello – per via di un’esecuzione scarsa le tematiche sono trattate in modo scarso. Non m’importa niente se vengono chiamati “momenti creepy fini a sè stessi” o “attacchi di panico”: un nome o un altro, la sostanza non cambia; perché un mostro del mondo dei sogni o una rappresentazione di un senso di colpa…

Sono trattati allo stesso modo. Sono letteralmente la stessa cosa, perché il gioco non è stato abbastanza abile nel renderti quello che è un male vero qualcosa di adattabile a un’opera di finzione volta a lasciare il pubblico incollato allo schermo.

Vi rendete conto?! Trattare la depressione o trattare pericoli esterni con più estro artistico è la stessa cosa per Omori!

Si è andato totalmente sul surreale, mettendo mostri a rappresentare mali interni, perché come sempre, anche a livello interno e mentale è sempre colpa di qualcun altro… E poi si è andati in pausa pranzo, chiamando questo tipo di pigrizia “astrattismo di mali veri”.

L’astrattismo è tipo… Tipo questo.

Non “Gioco Horror N°640”

E si, questa comparazione è anche per dire che il prossimo che considera Yume Nikki e Omori simili solo per mezz’ora di Black Space lo faccio catapultare giù da queste scale:

“…E queste erano opinioni personali”

 “No, credo siano fatti, perché abbiamo visto che altre opere hanno fatto un bel lavoro nel rappresentare in modo comunque adatto ad un’opera di finzione mali reali in modo potente e-“

“Ma le tematiche con quelle scene che tanto consideri banali comunque si sono trattate. Si mostra l’attacco di panico, e si mostra la depressione.”

“…Volete proprio farmeli dire i problemi di scrittura, eh…?”

Questa tesi è facilmente confutabile, se si pensa al personaggio stesso di Sunny, aggiunto alle già banali scene che ho già citato.

Sunny soffre dello stesso problema di Goldia in Pocket Mirror, se non peggio: è un fantoccio. Goldia, almeno, era una santarellina ed è semplicemente un personaggio a cui non si è dato uno sviluppo vero e proprio ma solo la caratterizzazione di base… Sunny non è niente. Sunny è IL NULLA COSMICO.

Ma, anche con questa sottile differenza, per entrambi i giochi se si pensa alle loro trame tutto perde contesto proprio perché non si ha una caratterizzazione forte dei protagonisti.

Ho spiegato questa cosa in modo cattivo ma abbastanza comprensibile nell’articolo su Pocket Mirror, parlando di Goldia:

“…Non sappiamo un cazzo della “personalità originale” di questo sistema (si parlava di un caso di DID in Pocket Mirror). Siamo nella sua testa, ma lei è passiva per TUTTO, come se fosse in un maledetto ambiente ESTERNO, quando quella è la SUA TESTA, che dovrebbe essere condizionata dai suoi processi mentali.

MA QUESTA RAGAZZA NON PENSA, NON HA PROCESSI MENTALI.

Quello che succede non è dettato dai suoi pensieri, dal subconscio, da NULLA, perché sono ambienti magici del cazzo a caso, che non hanno nessun legame con una possibile realtà in cui lei ha vissuto, quindi è tutto molto estraniante e NON CREDIBILE: se una personalità “muore” nella scena vediamo “il simbooolo” ma se facciamo più attenzione possiamo dire:

“Ehi, ma nella testa di Goldia questo non ha senso”.

Cioè, è tutto così esterno che se a una persona viene la febbre non è perché, che so, Goldia vuole sopprimere una certa parte di sé il più possibile… No, è perché la sua personalità l’aveva per il freddo.”

Non credo debba spiegare altro, queste esatte parole si adattano perfettamente a Sunny. Rappresentarci colpe, sentimenti e attacchi di panico quando non possiamo neanche affezionarci a un personaggio fatto e finito… A che diavolo serve?! Quello che vediamo, che traduco come “allucinogeni” come io e mia sorella abbiamo fatto per l’articolo sul gioco di Astralshift, cos’è? È psicologia del personaggio come il gioco pretende di dirci, oppure semplice intrattenimento per noi così abbiamo un po’ di brividi?

Se il gioco voleva essere un titolo sperimentale per rappresentare in modo stravagante i problemi che può avere un (vero) hikikomori, il gioco sarebbe stato totalmente diverso… E con meno drammi. Poteva essere un hikikomori che era perfettamente in linea con gli elementi di questo fenomeno sociale e stare in una cittadina rumorosa, così da dare un senso di estraniazione della persona nella sua camera; quindi semplicemente rappresentare il fenomeno dell’auto-isolamento e tutti i problemi che ne derivano, con pochi elementi a darti solo una cornice interpretativa in cui muoverti.

Invece NO! Omori ha voluto la trama! Omori ha voluto la storia con i twist!

Questi due elementi, come in Pocket Mirror, fanno veramente a pugni: il protagonista è un fantoccio, non ha reazioni a quella che dovrebbe essere la sua testa… E un’interpretazione sarebbe che il gioco vuole far sperimentare certe sensazioni al giocatore e il protagonista sia solo un mezzo…

(Per dire, non è neanche felice di stare con i suoi amici per cui la sua espressione neutrale potrebbe avere un minimo più di vita. No. Puro stoicismo e scazzo per una persona che è, in teoria, nel mondo dove per lui dovrebbe essere tutto bello, dove tutto è CREATO per renderlo felice. Okay…?)

(Qui Goldia si sorprende perché tutto è diventato più grande… Anche se quella è la sua testa, perché si sorprende come se fosse una nuova arrivata in un mondo magico??)

Ma il protagonista, senza personalità, è lo stesso coinvolto in una trama e contesto complicati.

Quindi, tutte le paure di Sunny sono in realtà le nostre? Sunny/Omori sono una rappresentazione DEL GIOCATORE nel gioco?

NO! Ed è tutta colpa del “plot twist”.

Spoiler per Omori: si scopre che Mari, la sorella di Sunny, è stata uccisa da suo fratello… Per incidente (tornando al fatto che i personaggi non hanno mai conflitti né difetti…) e Sunny, con l’aiuto di Basil (un pischello – Perdonate il dialettismo – del loro gruppo di amici, che per qualche ragione è più importante) ha organizzato una scena del crimine che poteva alludere ad un falso suicidio, facendo finta che Mari si sia in realtà impiccata.

Ha senso?

No.

Ma non è quello di cui parleremo perché, come dicevo, se ci mettiamo a parlare dei problemi di scrittura di Omori ne esce fuori un altro articolo in tre parti.

Quindi, per tutto il gioco, abbiamo comandato un ragazzo che ha compiuto alla fine un omicidio. E ha avuto la mentalità malata di occultare il corpo, al posto di essere paralizzato dal terrore.

In teoria questo discorso dell’omicidio doveva dare un qualche tipo di ragione a quella che viene chiamata “depressione”…

MA È IN REALTA’ QUELLO CHE LE DA ANCORA MENO SENSO!

Partiamo da un fatto. Quella di Sunny NON E’ IN ALCUN MODO DEPRESSIONE, che vi piaccia o no. Dato questo diavolo di plot twist che non sta né in cielo né in terra, a questo punto in realtà può tradursi in un grande senso di colpa: comunque forte, comunque grave, ma semplicemente un grande rimorso!

Più dettagli in questa parte del post “Omori has poor writing” dell’utente Peppermintbee su Tumblr.

QUINDI IL GIOCO IN QUELLO CHE È IL MID-POINT VA’ TOTALMENTE FUORI TEMATICA, rendendo un qualunque discorso sulla depressione ridicolo e meno credibile di quanto non lo sia già per via dei simboli confusionari e per le motivazioni inesistenti!

…E quello che viene chiamato “shame” appunto è uno degli effetti della depressione vera e propria. L’auto-odio vero e costante.

E anche il tema delle paure da superare, da cui deriverebbe l’“essere una persona grigia in un mondo viola” e “l’omicidio come ultimo terribile atto che ha fatto crescere all’inverosimile l’odio di Sunny verso sé stesso”…

Quindi… Gli stanno dicendo di farlo i suoi amici… Ma in realtà sono immaginari, quindi si sta facendo auto-forza da solo?

Per via di questo diamine di plot twist, diventa veramente decontestualizzato: dato che sappiamo che Sunny ha sviluppato questi problemi dopo l’omicidio di Mari, non abbiamo alcuna base per cui Sunny dovesse superare le sue paure e i “grigiori” della sua “personalità”. Del suo passato abbiamo solo ricordi felici e un po’ di arrabbiatura perché non voleva suonare il violino… Ma in ogni caso, nulla che potesse far sviluppare qualcosa di grave.

Quindi… Della depressione cosa rimane?

E, infine…

In generale, per la promozione del gioco si è puntato su due cose:
-Nostalgia

-Contrasto tra J-RPG e… Parlare di temi seri allo stesso tempo.

Ma… Notato?

Ciò che riguarda la “depressione” sono tutte chiacchiere.
Tutta etichetta, tutto branding.

L’abbiamo ben visto come ha trattato la “depressione” il gioco e il come ha cercato di spiegarla…

È tutto ridotto all’osso, è tutto molto, molto vago. Non c’è una trattazione matura della malattia o neanche il minimo discorso su di essa. L’abbiamo visto prima: il gioco non è mai stato abile a rappresentare dei veri problemi in maniera che dava veramente impatto, ma è andato peril surreale totale e con simboli che tutti abbiamo sicuramente già visto e che riconosciamo dal primo a ultimo pixel.

Questa è profondità?

Secondo voi questo è un modo accurato, realistico e che è “coraggioso” per il suo genere nel toccare la salute mentale?

Ditemelo, se ne sapete un minimo di quel che si prova.

…E non ditemelo con frasi fatte, over-analisi di scene del gioco… Ditemelo con quello che il gioco MOSTRA. Non con le vostre interpretazioni di merda. Perché Omori doveva parlare del suo tema da solo, in modo buono e comprensibile.

Ma non sa neanche dove diavolo vuole parare.

La trama non è né sull’omicidio, né sul lutto, né sulla depressione. Vuole parlare di tutto, ma parla in realtà di niente. Ha solo unito tante, tante cose che piacciono alle persone e… In qualche modo l’ha voluto far funzionare in un prodotto finito.

Ma sono tutti incipit, è tutto una trappola per i topi. Una trappola in cui poi ci ritroviamo incastrati e dobbiamo trovare il modo per uscire, con interpretazioni campate per aria (come quella sull’amnesia dissociativa, la più popolare, ma non ne parleremo).

E qui andiamo al vero problema.

Una vaghezza generale, che dimostra tematiche mai trattate al 100% ma solo tanti, tanti piccoli sussurri di tematiche importanti per dirci che “il gioco è in realtà profondo” … Unito ad un branding interamente incentrato su un blog di sfogo di una persona ““depressa”” (perché, non voletemene, io ho un po’ i miei dubbi…) e, in generale, un’etichetta per il gioco come “horror che tratta di salute mentale in modo così realistico che ti rompe internamente”…

Cos’ha lasciato?

Riconoscimento improprio, ecco cosa. E questo secondo me… Fa davvero schifo.

Perché dico “riconoscimento improprio”?

Metto a confronto una recensione di Steam positiva pseudo-profonda con una recensione negativa (o meglio, una risposta a una recensione estremamente negativa)

…A chi siete più disposti a credere? Al poetucolo da quattro soldi, o alla persona che effettivamente sembra aver sofferto?

Io, non so voi, credo alla seconda persona. Ma fin troppe persone hanno lo stesso modo di interpretare il gioco della prima.

Se vedete tutti questi tipi di recensioni, o dei cosiddetti “video essay” (che, non so voi, molti di questi mi sembrano solo un modo più bello per presentare un format in cui semplicemente parli e parli in video. Cioè, ci sono eccezioni, seguo UrickSaladBar e lo rispetto, ma… Non so, forse sono io ma non sono mai portata a prenderli seriamente) sul gioco , noterete una cosa.

Quando si parla di Omori, se ne parla in modo nauseatamente sentito.
Perché dico “nauseatamente”?

-“Questo gioco ha aiutato ME come persona perché sto male…”
-“Ho sofferto di queste cose, IO…”
-“Questo gioco MI ha aiutato a sopportare —…”

Sto dicendo che questo è un male?

Si.

Ma non per via del fattore di semplice e INNOCENTE comfort, come quello che si può avere anche con Animal Crossing a detta di molti (e anche a detta mia). Il problema è un altro.

Notato come ho sottolineato “Io, me…”.

Non si parla mai del gioco IN SE’, nella sua vera e insulsa essenza.
Si fa girare tutto intorno a noi, ogni singola diavolo di volta. Un gioco che ha la premessa di trattare problemi reali lo rendiamo una possibilità per parlare di noi, dei NOSTRI problemi reali.
Alla fin fine pensiamo solo a noi stessi. Perché appunto l’opera è vaga, tutti i suoi temi vengono distorti.

Distorti nel modo per cui sono applicabili a tutti. E ognuno interpreta a fatti propri quello che vuole vedere.

La vaghezza e poca chiarezza sul TEMA di Omori lascia tutta la libera interpretazione ai fan che stanno allo sbaraglio. L’opera in questo modo da di più l’illusione a tutti che possiamo essere povere vittime affette persino da DEPRESSIONE quando in realtà è una malattia complicatissima.

La depressione, l’ansia, l’attacco di panico, i pensieri di morte… Sono trattati in modo vago, con immagini comuni a tutti. Sto ripetendo questi concetti a oltranza, perché questo dà un unico effetto, davvero dannoso:

Il gioco rende “relatable” anche fenomeni che vuole che siano chiamati e messi giù come cose molto più complesse.

E quindi, per via di questo, dà tutto una falsa impressione. Questo ci dà la giustificazione di usare termini anche clinici per spiegare cose più semplici, cose che danno dolore sicuramente, ma che non si collegano in nessun modo a quel che pensiamo che sia.

Questo rende delle malattie solo delle etichette anche per mali minori, che possono provocare effetti minori. Ma dato che le scene sono vaghe e relatable, noi le proiettiamo nelle nostre situazioni mentali e su noi stessi senza pensarci.

Perché siamo degli egoisti. Perché vogliamo essere protagonisti di chissà che.

Sunny non è un punto di riferimento abbastanza forte per staccarci dall’idea che proviamo NOI quelle cose.

Perché Sunny è sempre stato un fantoccio. L’ha usato Omocat nel 2012, lo usiamo anche noi nel 2021.

È perché nel gioco stesso non c’è alcuna riflessione sulle malattie e sui temi trattati. È tutto messo giù con un’immaturità disarmante.

E abbiamo visto che la suggestione non basta a trattare un tema, da sola.

E questa superficialità e infantilità che ci ha dato il gioco dà una falsa impressione al pubblico di com’è in realtà sopportare certi tipi di problemi. Dà la falsa impressione che “tutti siamo Sunny”, quindi che “tutti siamo depressi”, quando è in realtà qualcosa di molto più complicato. Omori ci insegna ad usare paroloni, quando in realtà quel che c’è può essere qualcosa di diverso, con un altro nome. Quindi ci insegna ad etichettarci e parlare come se sapessimo cosa voglia dire in realtà soffrire.

E questo ci aiuta anche a giustificarci, anche nelle nostre cattive azioni.

Perché non vogliamo riconoscerci in nessun problema che ci potrebbe toccare troppo da vicino. Perché noi; pubblico, developers o chiunque… Vogliamo sentirci sempre compresi. Sempre e comunque.

E in questo caso, aggiungo, vogliamo una scusa per essere compresi. Diavolo, pensavo fossero finiti i tempi dove la depressione era un cazzo di aestethic.

Perché, Dio mio, ci si è fatti una brand identity dietro. Si è usato un tema importante (o una serie di temi importanti) come modo per dare un minimo importanza a quello che in realtà è puro sfogo. Dal 2012 non è cambiato niente, semplicemente Omocat si è fatta più furba e l’ha usato per marketing.

“Non mi darebbe problemi uscire se tutti non fossero così stupidi”
Se dovessi interpretare tutto questo, a me non sembra qualcosa di davvero profondo ma solo un grave problema di narcisismo mascherato da una pseudo filosofia nichilista.
(Serie di vignette originali di “Omoriboy” del 2012)

( “A Comic About Nothing”, Omocat)

Come non detto…

“E qui interverrò io per un momento.”

Ecco, per esempio da questo comic possiamo notare la mentalità che più o meno c’è dietro il brand “Omori”. L’immagine che si vuole lanciare è quella di un tipo di comportamento cinico, ma tralasciando da parte il discorso del “tutti fanno schifo a parte me, che vorrò esprimere me stessa tramite l’arte” come se in questo caso l’autrice fosse l’unica persona al mondo a poter sviluppare un tipo di pensiero profondo e che merita di essere condiviso, perché ve lo stiamo mostrando?

Questo atteggiamento che vorrebbe tradursi in una sorta di cinismo nei confronti del mondo esterno, una specie di imitazione del pensiero nichilista come abbiamo citato prima (Nietzsche non era solo “cinico”, parlava anche dello stadio del super-uomo nel momento in cui si sarebbe raggiunta una nuova fase di evoluzione, ma a quanto pare nessuno vuole ricordarsi di questo particolare) non è esattamente quello che credo rappresenta avere una malattia così complessa come la depressione.

La depressione comporta innanzitutto l’aggressività verso se stessi, non verso gli altri. Il fatto di non trovare più il senso in quello che si è o che si fa è spesso aggravato dal ruolo che si occupa nel mondo, quindi inconsapevolmente si affronta sempre una pesante fase di autovalutazione e autocritica nel proprio posto nel mondo. Ci saranno sicuramente sfaccettature diverse, ma dalle ricerche che abbiamo visto e dal materiale che vi abbiamo portato avreste dovuto vederlo anche voi.

Per completezza vorrei portarvi degli esempi in cui questa condizione è stata a nostro avviso rappresentata cento volte meglio.

A) Sayori  – Doki Doki Literature Club

Sì, ci ho tenuto a partire subito da questo caso di studio perché così non dite che trascuriamo l’universo videoludico dai nostri casi di comparazione. Questo è stato sicuramente il caso più eclatante e virale e c’è un motivo preciso per cui l’ho messo…La prova che conferma la mia tesi.

Questi due screen visti in successione dovrebbero farvi capire una cosa: Sayori è messa continuamente in confronto con le altre.
Tra la “bellissima fanciulla del mistero”, “la tosta Natsuki” e la “perfettissima Monika” come potrebbe una sempliciotta come Sayori non sentirsi fuori posto?

…Sono stata cattiva, vero?

Lei è l’amica d’infanzia, la “scorta”, quella che ora vale di meno perché rappresenta qualcosa di vecchio/già visto a differenza delle altre tre opzioni.
Questa, come vi dicevo, può essere una sfaccettatura nel modo in cui si vede la depressione.

Se dovessi prendere un altro esempio, sarebbe sicuramente Heathers.

B) Heather Chandler – Heathers

(Heathers The Musical, 2010, Kevin Murphy, Laurence O’Keefe)

Tante volte abbiamo (soprattutto Ele) paragonato un gioco come Omori a Heathers, un musical sopra le righe, proveniente dal più cupo film del 1988 che riprende le problematiche adolescenziali nel contesto dell’high-school.

Nello specifico momento dello screenshot Veronica (la protagonista) e Jason Dean (comprimario) stanno scrivendo una lettera in cui fanno passare l’omicidio accidentale di Heather Chandler (la “queen bee” della scuola) per un suicidio.

“Ecco, ora capite perché il paragone ti viene naturale”

“Già…Su questo non posso darti torto.”

Tornando a noi, prima di tornare ad Heathers facciamo un piccolo re-cap.

Provate a seguire il mio ragionamento.

Sayori commette il suicidio anche perché istigata da Monika? Il gioco ha fatto qualche azione metà per cancellarla dal sistema? Sicuramente.
Ma il senso della malattia è racchiuso perfettamente anche se la sceneggiatura è innovativa, perché sperimenta la dimensione meta nel senso più completo del termine nella sua linearità!

Non vuole svegliarsi, viene sempre di meno a scuola (e altri segni)…

(…)

E su questa frase: “Sayori era una persona allegra!” su cui si baserebbe il generale “shock pubblico” del perché una persona inaspettatamente si suicida…

Proviamo a metterla un attimo a confronto con Mari, ad esempio.


Cacchio, perfino il sole la rimpiange! Ma dai!

Per quale motivo, secondo i grandissimi geni del male di Sunny e Basil, Mari avrebbe dovuto suicidarsi???

 

Ora torniamo ad Heathers.

L’immagine di partenza è ottima per spiegarvi quello di cui intendo parlare. Si sta fingendo un suicidio della “bitch” della scuola, una ragazza ricca e popolare che deteneva il potere e combinava angherie di ogni tipo. Eppure, anche se non si cita mai la depressione come malattia né nel film né nel musical, si finge una dimensione di auto-odio della ragazza in termini satirici, dando quindi per scontato che sia una persona superficiale, perché “è una queen bee, non potrebbe mai provare sentimenti così crudeli verso se stessa” ponendoci davanti ad un paradosso: e se fosse stato davvero così?

(Heathers, 1988, Daniel Waters)

Proviamo a dare delle motivazioni per cui potrebbe sputarsi davanti lo specchio. C’è dietro la dimensione del “manterne la facciata più forte”, c’è anche un livello di sessualizzazione che subisce da parte dei coetanei che la vedono già come “una donna fatta e finita” piuttosto che una ragazzina.

E, come piccola chicca, il tema dell’auto accettazione di se stessi sul piano dell’apparenza è stato anche magnificamente trattato da Mean Girls che vi avevamo già citato prima, sceneggiato dalla grandissima Tina Fey!

Tornando a Sayori, ricordiamoci che lei è la “più insignificante” del gruppo di ragazze, a confronto con le altre non può che sentirsi sempre più insulsa. Mari ha qualcuno di questi problemi?
Era la “team leader” di un gruppo di GRANDI AMICI in una famiglia felice e probabilmente di levatura medio borghese dato il loro stato di benessere (vestiti i figli in un certo modo, educazione a strumenti musicali, regole da rispettare ect). Cosa aveva da lamentarsi? Tutti le volevano bene e la capivano per quello che era veramente!

Perché avrebbe dovuto suicidarsi?

Anche se doveva essere solo un modo per deviare la pista e a sua volta creare poi la ragione per cui Sunny è depresso entrando in una serie di contraddizioni continue era estremamente importante rendere credibile anche questo punto, non andava sottovalutato. Ricordiamoci un attimo di questa cosa.

Ma questi sono casi molto palesi in cui lo sviluppo di un “odio” nei confronti di se stessi in cui si pensa che non essere al mondo sarebbe “meglio per tutti” è la linea guida che porta/potrebbe portare tutti al suicidio. Certo si potrebbe anche provare una certa diffidenza e nichilismo del mondo, condivido che possa esser una sfaccettatura della depressione, ma pensateci anche solo un momento: deve esserci un motivo per cui una persona non vede l’ora di togliersi di mezzo, no?

Se si ritiene che la vita non ha alcun valore spesso è un’estensione del pensiero che la propria vita non ha valore, altrimenti non ci sarebbe alcuna ragione di essere così critici nei confronti del mondo se non avere un’autostima sufficientemente alta per credere che si ha il potere di cambiarlo o di poter influenzare gli avvenimenti per cambiare le cose in qualche modo.

“Hai finito? Wo-oh, e pensare che credevo di essere io tra le due a sclerare di più oggi.”

“Tanto…è stato solo per questa volta.”

 

Quindi, il “Selfish Confort Dilemma” è proprio questo. Significa porsi questa domanda:

“Noi vogliamo dare confort e giustificazione ai personaggi… O vogliamo dare confort e giustificazione a noi stessi?”

Negli ultimi anni, si sta virando sempre di più verso la seconda opzione… Tramite la prima opzione (e non). Mi rendo conto che in quest’articolo ho detto tante cose cattive, stavo per insultare personalmente la persona di Omocat…

Ma non m’importa. Perché lo faccio anch’io. Tutti i discorsetti da maestrina che colpiscono più “personalmente”… Li sto facendo anche a me stessa, come persona e non solo come personaggino che rappresenta un certo tipo di pubblico. Sono tra i giudicati, ragazzi.

Anch’io nel profondo del mio subconscio non voglio che i personaggi che amo abbiano delle “scomodità”, qualcosa che può impedirmi dal creare contenuti su di loro. Qualcosa che li renda più “disagevoli” da guardare o da trattare.

E ciò anche per me stessa, applicare la stessa legge anche per me come persona sarebbe davvero, DAVVERO comodo.
Anzi, proverò proprio a farlo.

Faccio un esempio: molto probabilmente ho qualche problema a controllare la rabbia.
“Ho problemi di rabbia, mi è totalmente giustificato avere scatti verso chi mi vuole bene, anche se per nessuna ragione.”
“In realtà soffro quando mi arrabbio, lasciatemelo fare, perché io soffro quando mi arrabbio!”
“Ma non vi rendete conto? Alla fine del mio scatto io mi sento in colpa!”
“Io mi arrabbio tantissimo, urlando a destra e manca… Ma è per una buona ragione, dai!”

Io vorrei tanto, tanto pensare così. Mi risparmierebbe tanti fastidi interni.
E infatti, nei miei scatti di rabbia non imparo mai.

Ma la ragione, in quei momenti che mi parla, mi dice di no. Da developer e… Critica, si, dico che questo è sbagliato. Da ogni punto di vista.

Noi distorciamo come vediamo questi tipi di tematiche, dato che distorciamo a nostro favore le nostre situazioni personali e le situazioni delle opere che ci piacciono. Le vediamo in maniera sbagliata, con le nostre scuse, quando ci sono dei fattori oggettivi da prendere in considerazione ogni volta: ad esempio, il dolore che si può provocare agli altri.

Se applicassimo questa logica di “meritiamo tutti amore e rispetto”, dovremmo giustificare anche i più orribili degli atti.

Bullismo…

Manipolazione…

Stupro.

“Tsk. Pensa davvero che siamo tanto ingenui. Ovvio che ci si accorge di queste cose nella vita reale. Vedi Twitter, si lamentano di qualunque cosa-”

“E allora perché questi giochi Twitter non li ha mai bashati?”

Intendo…Cose che fanno SERIAMENTE male agli altri e che sono veri problemi che ci passano sulla testa e neanche ce ne accorgiamo.

Se continuiamo in questo modo, inizieremo sempre di più a focalizzarci su problemucci da quattro soldi, come quando un’opera per motivi illogici viene definita “tossica” o “di cattiva qualità”, solo perché non rispetta delle guidelines non scritte del cazzo che certi tipi di community mettono esageratamente…

Ma se vengono rivelate ragioni per cui per certi tipi di personaggi o opere sia tutto perdonato… Viene tutto perdonato. E non per comprensione di quel che si è fatto, ad esempio, o un qualunque tipo di ragione più profonda e/o inevitabile, o anche solo semplicemente una sistemazione vera della situazione problematica…

Ma per quello di cui abbiamo parlato da tutto il tempo: colpe esterne, sofferenza fine a sé stessa.

Quindi finiremo per essere giudici, per qualunque cosa, ma sotto sotto dei maledetti ipocriti.

Perché se alla fin fine abbiamo comfort, se alla fine abbiamo qualcosa a cui possiamo appigliarci per scusare le nostre negatività da cui, essendo umani, non possiamo scappare…

Ci andrà tutto bene.

“…”

 

 

“…”

“…Ele, sei andata troppo in là.”

“Lo so. Ma volevo farlo questo discorso, un giorno.”

“Ci sarà tanta gente alla nostra porta, se chi è venuto parlerà…”

“Finchè c’è flame, c’è gente, eh…? Pao, dovrebbero leggere il tuo articolo.”

“Questo discorso è di gran lunga più interessante…”

 

“…Spero solo che il messaggio sia chiaro abbastanza.”

____________________

1 – “Buchi di trama…”Ulteriore approfondimento: Soprattutto per come funziona una maledizione… Cioè, il suo obbiettivo è la distruzione, non può direttamente uccidere e poi passare ad un altro ospite, come un parassita? Non è che il suo obbiettivo sia propagare disperazione, non siamo mica in Danganronpa!

RPG Horror e Storytelling – Tre modi alternativi per raccontare una storia!

L’inverno sta arrivando.

E proprio perché sta arrivando ecco che torna quell’attività che tutti sogneremmo di fare almeno una volta nella vita: ascoltare storie davanti al caminetto, sopratutto quando hanno a che fare con il mondo del mistero!

Ele: Credevo che quello che piace di fare di più di inverno fosse strafogarsi di cioccolata calda e dormire sotto le coperte.

Pao: Non dovevo occuparmi io di questo articolo?

Ele: Avevo pensato di fare un salto per salutare i ragazzi.

Ele: *Ciaaao ragazzi.*

Pao: Sparisci di qui.

Dunque, avrete capito di che sto parlando, ma certo, dello storytelling nell’ambito degli RPG Horror! Beh del resto era anche il titolo dell’articolo. Sì.

Cosa dire, abbiamo iniziato la stagione di quest’anno con un sacco di premesse e discussioni ma finalmente potremo iniziare a riprendere assieme gli approcci un po’ più teorici, nell’articolo su Purgatory me l’ero malamente data a gambe…Non vedevo l’ora!

Quali sono le premesse per questo articolo?

Tanto per cominciare l’avviso che vi propongo è che non sono una studiosa dello storytelling videoludico. Tutto quello che dirò in questa sede è basato soltanto sull’osservazione che ho avuto modo di fare durante la mia esperienza con gli RPG Horror.

Quello che ho notato in via generale, da ignorante in materia è stato considerare come da un lato nel mondo dei videogiochi la narrazione non solo non sia mai stata un elemento per cui il media si è contraddistinto ma sia anche scarsamente considerata la complessità di un intreccio narrativo, senza parlare poi della questione dei finali multipli. Non è solo nell’ambito dell’RPG Horror o nei titoli giapponesi come le varie visual novel e i modelli delle route, anche molti titoli occidentali sembrano sfruttare questo metodo. A naso potrei citare titoli come Detroit: Become Human che si basano su numerosi finali a seconda delle scelte di gioco. Molti l’hanno considerata come un’operazione ammirevole e da elogiare, posso capire il perchè, ma c’è un ma.

Mi sembra una mossa “fin troppo comoda”. Quello che mi chiedo è quanto valga la pena scaglionare la responsabilità di affidare al giocatore l’andamento di una storia, la vedrei come una scusa per non prendere mai una decisione definitiva. Tralasciando i casi in cui la storia è lineare e tecnicamente solo un finale è giusto ne approfitto di questa premessa per affermare che il tema dei finali è l’ultima cosa di cui ci preoccuperemo in questo articolo.

So che era necessario dirlo, perché è una delle caratteristiche chiave ormai per cui l’RPG Horror è conosciuto, anzi, una delle poche formalità in campo narrativo per cui il genere è riconosciuto.

Facendo un breve re-cap storico cerchiamo di ricordarci uno degli elementi chiave di questo genere: gli indizi inerenti la storyline si scoprono durante la fase esplorativa che spesso si distanzia rispetto alla parte di una storia in cui si assistono a delle cutscene. Bene.

Poi ricorderemo che Mad Father ha introdotto e fatto riconoscere al pubblico le basi della narrazione lineare in cui la scoperta degli indizi di una storia sono strettamente circoscritti ad un preciso contesto. Ha introdotto, ricordiamo, alla perfezione il tema della narrazione lineare in un ambito tanto largo come quello videoludico in cui è tutto nelle mani del giocatore.

Ripassiamo per un attimo questo concetto, vi lascio qui questo schema.

…Ahem.

Pao: Si, mi servirebbero carta e penna ma non li trovo…

Libreria: Ecco il tuo schema!

Pao: Ah! Ma da dove diavolo..Che cosa…

Libreria: Avevo visto che lo stavi disegnando, quindi ho pensato di finirlo io!

Libreria: Forse eri tanto impegnata che non potevi finirlo…

Pao: Ah..Grazie! Davvero un ottimo lavoro.

Libreria: “E ho anche qui tutti e tre gli screen richiesti per l’incontro di oggi”

Libreria: E’ stato molto semplice trovarli e quasi mi sarei aspettata per il discorso che avreste dovuto fare…


Pao: Ma te ne abbiamo mai parlato.

Libreria: Lo so! Ho dovuto controllare i file del tuo computer! il lavoro è una cosa importante, non potevo essere impreparata…

Pao: Ah-ehm. Guarda, Novella, è arrivato qualcuno!

Libreria: Eh? Ah!

Ecco, brava signorina, torna tranquilla tranquilla a lavorare.

Dunque, sì, la nostra asisstente ha velocizzato un po’ troppo le cose, dei tre screen ce ne occuperemo più tardi…

Piuttosto vediamo lo schema che propone prima di concludere il discorso su Mad Father.

Abbiamo la linea narrativa unica, le linee parallele tratteggiate che vedete sono tutti quegli indizi e flashback che si trovano in maniera sparsa durante il gioco, ma poi come potete vedere si riconducono ad un’unica linea narrativa che non smette mai di essere unica e stabile e basata sul rapporto causa-effetto[1], una caratteristica che si contraddistingue già dal fatto che la fase di gameplay a livello di azioni e comprensione della storia è comunque spearata rispetto alle “grandi scene” che portano avanti la trama. E questo va avanti fino all’atto finale, per esattezza il raggiungimento del breakpoint in cui i finali si diramano solo nell’ambito del climax conclusivo, queste linee come potrete vedere si sposano bene con lo schema sul gameplay libero che Ele aveva fatto nell’articolo dedicato a Mad Father.

….Quindi….Tornando al nostro schema….

Come potete vedere ho segnato i finali con delle linee più sottili per indicare lo scarso impatto sulla linea narrativa principale, il gioco fa capire molto bene la strada scelta. I vari “bad end” sono diverse conseguenze a tipi di eventi, non stravolgono i caratteri dei personaggi.

A questo punto del discorso dovrete aver capito una cosa: la narrazione a cui sto facendo riferimento rimanda unicamente al testo. Il testo è il gioco stesso e si legge, comprende e interpreta proprio come si legge una frase.

Quello che faremo in Back to the future non appena riprenderemo in mano la rubrica sarà confrontare il testo con i paratesti. In realtà lo facciamo già, parliamo dei paratesti ogni qualvolta parliamo del packaging, ma adesso potrete rendervi conto di quanto il rapporto tra testo e paratesto sarà estreamente importante per la generazione dello storytelling, Pocket Mirror ha incontrato proprio una collisione tra questi due elementi per esempio, causando un calo di un certo tipo di aspettative da parte del pubblico; sono incidenti di percorso che si possono incontrare nell’ambito della realizzazione di un prodotto audiovisivo. Sarà una delle tante parentesti che apriremo sullo storytelling perché l’arte della narrativa nel mercato dell’audiovisivo è strettamente legata alla sfera produttiva, quindi sarà inevitabile considerare il contesto e le intenzioni produttive influiscono notevolmente sul linguaggio adottato dalla narrazione di una storia.

Abbiamo avuto in Corpse Party un ottimo esempio, dalla versione del ’96 realizzata per un contest da un autore indipendente si limita a concentrare le informazioni nel finale al fine di mettere in primo piano l’esperienza di gioco, mentre nella versione in seguito commercializzata la priorità è categorizzare i personaggi ed espandere in maniera più deterministica e chiara gli indizi sulla trama: prendiamo ad esempio la morte di Sachiko, l’esempio più evidente. Nel ’96 viene riassunta in un wall of text, nel suo alter ego commerciale viene mostrata per poter essere chiara e comprensibile a più utenti possibili.

Quindi, dopo aver concluso anche la nostra parentesi, perché allora proponiamo questo articolo? Perché parlare di tecniche alternative alla narrazione lineare?

Cerchiamo di riprendere un concetto citato in Mad Father.

Anche se la linearità permette di avere certamente un’audience più ampia e potenzialmente interessata ad una storia ciò non toglie il potenziale interesse del pubblico per la ricerca di uno stile narrativo più sofisticato (ad esempio con la costruzione di sottotesti) che possa essere utilizzato non solo come stile di narrazione alternativo ma anche come una linea narrativa complementare alla trama principale.

Conclusa finalmente la nostra lunga premessa…

…Possiamo finalmente iniziare a parlare dei tre modi adottati dagli RPG Horror per proporre una storia!

Pao: Si lo so, finalmente ci siamo arrivati. Sapete, e che questi discorsi li faccio sempre da sola o con Ele e…

Pao: Insomma, diciamo che vomitarli tutti in una volta per un articolo è stata un’esperienza liberatoria.

Libreria: Oh, ti capisco, anche io sono sempre sola

Pao: Ho appena detto che ne parlo anche con El-

Libreria: Non bisogna vergognarsi della propria solitudine, morire soli e dimenticati in questo mondo è un atto di coraggio prima della totale estinzione dell’umanità.

Pao: …Cerchiamo di capire piuttosto da dove iniziare.

Dreaming Mary – La narrazione è il gameplay

…Ma cos’è questa musica che sento?

Certamente quella del titolo di Dreaming Mary!

Difatti non potrebbe che essere il titolo migliore di cui iniziare a parlare. Vedete come i disegni e i colori sono usati per creare fin da subito un immaginario molto molto forte?

Comincerò con questa azzardata affermazione: Dreaming Mary non ha una linea narrativa, lo storytelling “non esiste” in questo gioco. L’ambiente e le fasi di gameplay coincidono con la storia a tal punto che diventano la vera forma di narrazione.

Cerchiamo di ricordarci come inizia.

Lirbreria: Ecco il suo screen-sign! Oh ma che ragazzina adorabile!

Ecco la piccola Mary. La prefazione, ovvero le scritte in cielo che appaiono, è davvero corta, il cuore della narrazione è tutto nel gameplay da questo punto in poi.

Dunque, dicevamo che lo storytelling qui “non esiste” ma non vuol dire che non ci sia una storia come voleva essere per Ao Oni ad esempio. La radio parla mentre ci muoviamo e quelle che sembrano istruzioni per il giocatore già forniscono elementi per la chiave di lettura della storia.

La messa in scena parla più di quanto potrebbe farlo qualsiasi tipo di cutscene, anzi, queste sono davvero ridotte all’osso e utili solo per introdurti i giochi dei quattro personaggi da affrontare.

Vedete come si presentano i personaggi? Sono estremamente comunicativi già con i loro design. Cominciamo dalla coniglietta per esempio, che si limiterà a farci  convenevoli di benvenuto (anzi, bentornato) e poi ci metterà subito alla prova con il suo minigioco e allo stesso modo faranno gli altri.

C’è stata già un’occasione in cui abbiamo parlato di Dreaming Mary

La stavamo mettendo a confronto proprio con un titolo che non presentava un minimo sforzo di regia nelle scene che ci apprestavamo a vedere, forse stavamo sfacciatamente mettendo a confronto due estremi.

Qui dicevamo, già a partire dagli ambienti tutto diventa un indizio, è il gioco intero a svolgere la funzione comunicativa.

Ora il gameplay si articola in tre grandi cicli. Gioca con Bunnilda, Foxanne, Penn Guindel e poi vai da Boaris, ripeti questo flusso un’altra volta finché la terza i giochi non si faranno più difficili. Allora va compiuta l’infrazione e si entra nel quadro che porta nel mondo degli incubi, dove si trovano tutte le soluzioni ai giochi e dovrai scappare da un’ombra minacciosa.

Allora dopo aver vinto a questi raccogli i semi e le chiavi (nella zona degli incubi) che ti porteranno all’inseguimento finale che ti faranno risvegliare nella realtà dove Mari troverà la chiave per poter uscire dalla stanza dove era stata rinchiusa da suo padre.

Ve ne siete accorti, no? Non c’è alcuna cutscene. Non c’è bisogno che si presentino personaggi, contesti specifici, archi narrativi. Ecco perché riaffermo convinta che la narrazione è il gameplay, un coordinamento ancora più sofisticato e sottile rispetto alla funzionalità del gameplay di Mad Father in cui c’era comunque una sorta di divisione tra cutscenes e gameplay.

Noi conosciamo il padre come figura antagonista e abusiva:

  • Tramite i dialoghi con Boaris
  • Tramite ombra da cui scappi via tramite un inseguimento
  • Dalla stanza in cui Mari si risveglia mostrandoci la sua triste situazione.

Non ci sono, ad esempio, cutscene in cui ti viene presentato il personaggio come accade in Cloé’s Requiem di cui parleremo, un altro titolo che adotta la narrazione lineare. Non abbiamo la presentazione del personaggio come tale come avviene in titoli qual Angels of Death o Midnight Train, la presenza della figura paterna si articola come aura minacciosa che prende diverse forme, dai suoi sogni ai suoi incubi e nemmeno ci viene mai mostrato nella realtà.

Il gioco è davvero molto esplicito nelle sue intenzioni senza mai dover scomodare un wall of text e in generale senza né mai ricorrere ai dialoghi. I dialoghi che abbiamo sono colti nella forma essenziale, ciò che conta è tutto quello che c’è attorno, difatti è difficile sezionare Dreaming Mary in scene e apprezzarne solo una rispetto all’altra, tutto il gioco viene considerato nella sua essenza.

Un piccolo capolavoro nell’ambito non solo del video gioco RPG Horror ma azzarderei a dire nel campo dell’intera narrazione videoludica, un tipo di intreccio ludico tanto geniale che ho visto solo superare per poco da Body Elements.

Ci sono tanti giochi che, soprattutto da parte della Generazione 0, hanno cercato di comunicare soltanto con la loro “stessa essenza” (musiche, stile, scioglimento del gameplay) e sono tra i titoli per cui nutro la mia più profonda stima e ammirazione: Faust’s Alptraum, Body Elements e poi c’è Dreaming Mary. Quest’ultimo titolo è riuscito a chiudere perfettamente e con grande ingegno un intreccio narrativo che rischiava di non chiudersi mai o non spiegare nulla come è accaduto per gli altri due titoli, il cui simbolismo ha preso piega sovrastando l’importanza dell’ “aver qualcosa da dire”.

Sappiamo che Mary deve agire nei suoi sogni ed il motivo viene esplicitato verso la fine, i finali del gioco non prendono deviazioni da una strada lineare già decisa ma approfondiscono il senso di pericolo dell’ambiente quando vediamo la piccina cadere giù nei suoi incubi.

Mostriamo un possibile schema narrativo di Dreaming Mary e confrontiamolo con quello di Mad Father:

Ecco lo schema: la narrazione prosegue come una spirale, la le linee tratteggiate corrispondono ai minigiochi che i personaggi ci propongono per tre volte fino ad arrivare alla parte finale che espone l’obiettivo della protagonista…

Vedete quanto sono diversi? Queste sono tutte le potenzialità che si possono estrarre senza dover seguire per forza un approccio standard.

Voglio concludere questa prima parte con una considerazione prima di passare al prossimo titolo: Dreaming Mary è l’unico di questi tre casi che non solo mostra una tecnica alternativa alla narrazione lineare (“la narrazione è il gameplay”, assenza di cutscene di stampo descrittivo o basata su eventi lineari) ma soprattutto ci dimostra il tema della complementarità. La messinscena di un qualsiasi prodotto audiovisivo può e deve fungere da caratteristica complementare alla narrazione lineare arricchendo così i significati di ciò che la main plot ci mostra.

La genialità di questo titolo sta proprio nell’aver basato la sua narrazione solo su questo.

Ora passiamo finalmente al prossimo gioco che-

Ele: Io! Voglio proporre io!

Pao: Ah sì?

Ele: Penso che Cat In The Box ci stia bene per l’articolo!

Pao: Lo dici per caso solo per le meccaniche che ha introdotto?

Ele: Sei seria? Parliamo totalmente di qualcos altro e pensi che l’abbia proposto per le meccaniche?

Pao: Oh. Okay, scusami.

Ele: Avrò spazio nella recensione per parlare delle meccaniche di gioco, e dai.

Pao: D’accordo, okay, scusa…

Ele: Mi hai davvero deluso.

Paola: Ho detto che mi spiace.

Dunque sì, Cat in the Box, un gioco a cui dedicheremo anche una recensione. Ma perché parlarne in questo spazio?

Guardiamolo un attimo: non ha nemmeno un’estetica così omogenea! Le mappe a confronto di quelle disegnate da Dreaming Mary sono pure pietre grigie messe ad un livello di brightness troppo alto!

Potremmo accennare per un momento al discorso di prima sui paratesti e in genere sul packaging, non sembra un titolo assolutamente rivolto a un largo target e ancora di meno ad un target di potenziali spettatori oltre che giocatori.

Eppure Cat in the Box mi ha spiazzato. Vediamo insieme il perché.

Cat in the box – Raccolta di indizi

Questo gioco è tutto quello di cui c’era bisogno, il raggiungimento dello stato del nirvana in cui si vede finalmente cosa la Generazione 0 può promettere in termini di tecniche narrative.

C’è una ripresa della linearità e questo fenomeno della “Generazione 0 nei tempi moderni” l’avevamo già accennata in Purgatory.

La protagonista a cui assegneremo il nome vuole uscire dalla struttura abbandonata in cui si è introdotta furtivamente per fare colpo sul web. Con un ottimo espediente diegetico, ovvero parlando ad una videocamera, veniamo a sapere che il luogo in cui si è infiltrata apparteneva ad una società massonica che è stata arrestata pochi giorni fa.

Sappiamo anche, nel corso dell’esperienza di gioco, che la setta è riuscita ad evocare una divinità antica che potremmo definire come la causa di tutte le sfaccettature sovrannaturali del titolo.

Magari a seguito di tutta questa serie di informazioni pensereste che si prospetta una storia lunga e con toni drammatici, che magari come Corpse Party parte dalle vicende dei protagonisti per estendere l’attenzione sul background…E invece no.

Vediamo insieme lo schema narrativo che propone il titolo:

Le linee tratteggiate parallele sono le azioni che compiamo nel gameplay mentre le linee verticali indicano alcune scoperte principali.

Quindi ecco una linea retta piuttosto corta da cui partono tante linee parallele che congiungono verso un punto finale, un termine, non verso una linea narrativa conclusiva. Le linee tratteggiate come abbiamo fatto finora rappresentano le azioni che andiamo a compiere con la ragazza e che congiungono verso un punto che sarebbe il finale, queste seguono una linearità che portano ad un discorso, si vuole comunicare qualcosa di preciso che si concretizza nell’immagine finale. Possiamo vedere la differenza di questo approccio con quello che c’era con titoli come Akemi Tan in cui c’era solo linearità nel gameplay con delle cutscene per colmare gli indizi, qui invece è tutto basato sull’esplorazione e gli elementi che trovi.

Non abbiamo delle cutscene nel senso classico del termine nemmeno in questo secondo caso analizzato. Ci viene presentata la suspense nei confronti di una presenza sconosciuta nella casa, ma anche la scena in cui si viene a conoscenza di chi questa presenza sia è un indizio come un altro all’interno della diramazione della trama, non abbiamo mai un approccio melodrammatico che voglia anche solo suggerire l’intenzione di raccontare una storia. In questo potrete ben capire che è diverso anche da The Witch’s House.

Le pause “per le cutscene” sono certamente più corte rispetto a quelle di Mad Father (beh, nello schema avrei forse dovuto disegnare quelle linee più lunghe in Mad Father). Il punto è che in The Witch’s House comunque c’era un background che poi è stato portato in primo piano. Qui no, non c’è mai una vera e propria cutscene risolutiva in cui si sposta tutto il peso e il significato della storia, l’unica che c’è è solo un indizio come lo sono stati gli altri indizi del gioco.

…Che uniti alla CG mostrata nel finale chiudono perfettamente il quadro narrativo (questa si trova nel finale in cui la protagonista riesce a scappare dalla casa).

Vediamo la creatura che appare durante gli inseguimenti che avvengono nei suoi incubi che avevamo spoilerato su Twitter, ad esempio.

Non è un fenomeno inspiegato o lasciato a se stesso, potremmo facilmente interpretarlo come tutti gli spiriti della ragazza che nelle altre linee temporali sono morte nella struttura e ora cercano di possedere il corpo nel presente. Un contenuto del genere sarebbe stato trattato come una reveal estremamente drammatica in altri titoli narrativi, qui no. Loro esistono e basta, sembrano avere solo la funzione di “mostri che ti inseguono” finché la scena finale e l’immagine che conclude il titolo non fungono da spiegazione che ti permette di incastrare tutti i pezzi del puzzle.

Potremo definirlo un titolo che ha applicato egregiamente e a modo suo gli insegnamenti che abbiamo tratto da Dreaming Mary: le fasi di gameplay coincidono con l’approfondimento narrativo che la protagonista affronta tramite il nostro controllo nelle fasi di esplorazione.

E dov’è la mossa geniale in tutto questo?

La sobrietà. Anzi, la struttura. Purissima e semplice struttura che si denuda davanti a noi mostrandoci come sostiene egregiamente l’edificio-gioco.

La messa in scena non si presta molto ad una funzione comunicativa per il titolo né con le mappe né con la regia che sembra prendere le distanze dagli eventi ed essere molto molto asciutta, ed è per questo gli indizi che scopri assumono un’importanza fondamentale nel raccontare la storia all’interno del gioco. Il tutto avviene non “durante la fase d’esplorazione” ma solo durante la fase d’esplorazione, lo considererei  quasi virtuoso il modo in cui sono stati rilasciati gli indizi e concatenati tra loro senza mai far prevalere troppo l’uno sull’altro, difatti a tutti gli elementi della storia viene fornita la stessa importanza finché non ci confrontiamo con la risposta alla domanda che il titolo voleva lanciare dall’introduzione, chiudendosi come Dreaming Mary con un messaggio espresso da un’ottima struttura narrativa circolare in cui il finale combacia e risponde alle prefazioni che sono state fatte all’inizio.

Pao: Anche se avrei una riflessione da fare su questo gioco e cioè come sembra spostarsi su quella che è un’estetica “più occidentale”, per vedere come si differenzia negli stili. Insomma, sono coreani ma… Sia i due autori che la società distributrice sembrano piuttosto orientati all’estero…

Ele: Heeeeey, avremo una recensione per parlare di questo aspetto.

Pao: Sì, sì, lo so, era per dire. Mi sembrava solo strano notare come da “una parte del mondo” ci fosse più attenzione allo stile di un prodotto e alla sua estetica mentre “dall’altra parte” il focus sembri spostarsi sui meccanismi di gameplay e sulla struttura interna di un titolo anche a costo di sacrificare lo stile…Voglio dire…Le tendenze sembrano quelle.

Ele: Eh? Meccanismi di gameplay? Non si parlava di *storytelling* qui? Vuoi metterti a parlare di gameplay anche tu adesso?

Pao: Quindi? Mi vorresti zittire?

Lib: Uh… Ehm…

Ele: Assolutamente si! Ho per caso torto? Hai qualche problema se ti zittisco mentre fai il mio lavoro?!

Pao: Se devo essere franca, il primissimo problema da considerare è che stai invadendo lo spazio che-

Libr: Su-Suvvia…Non è certo il momento di litigare…

Pao: …

Ele: …Comunque non ci provare più a-

Libr: Ah! Guardate! Una simpatica ragazza con un coltello!

Ele: Woo… Ne dovevi parlare?

Pao: Si, ne dovevo parlare… Prima che mi interrompessi.

Libr: Vado a prendere il materiale…

Dear Red – La ramificazione all’estremo

Allora, torniamo a noi. Qui vi avevo promesso di parlare difatti di tre metodi alternativi alla narrativa lineare. Signori, quello che rompe più gli schemi in assoluto in questo senso è sicuramente Dear Red e riprende il tema della nostra prefazione: i finali.

Ma questo titolo non lo fa come gli altri.

Ele: Hm… Che casino.

Pao: Lasciami lavorare e vedrai….

Dunque, ci sono vari metodi di considerare un RPG Horror a finali multipli. Possono essere questi un’alternativa minore alla linea principale come in Mad Father e numerosi altri titoli narrativi, delle diversificazioni sulle conoscenze che un giocatore ha su una storia come in The Witch’s House, degli eventi fini a se stessi come in Hello Hell…o? o The Dark Side Of Red Riding Hood prima di giungere al finale oppure, come in Dear Red un modo per allargare la conoscenza del background.

Sicuramente non sono la prima persona che nota la potenzialità del metodo che Sang Gameboy ha scelto per raccontare la sua storia. Anche qui non viene perso l’uso di introdurre il titolo con una breve frase che funge da introduzione ma per il resto sappiamo davvero poco della ragazza quando è di fronte la porta con l’intenzione di uccidere l’assassino dei suoi genitori.

Non si sta concludendo una storia, la si sta iniziando.

Le azioni da poter compiere ci conducono verso differenti scenari che ci fanno scoprire un nuovo pezzo di storia. Non c’è un vero e proprio finale o uno giusto da percorrere, se non scoprire quello che approfondisce di più la trama.

La tecnica non è stata approfondita a sufficienza ed è per questo che il paragrafo su questo gioco rischia di risultare corto. Ma non mi stupisce che il prodotto abbia avuto un buon successo del tutto meritato, questo perché il un metodo che ha scoperto ha davvero tante potenzialità e se mischiato ad altri, forse unito ad un tipo di narrazione lineare, potrebbe offrire tante opportunità per creare dei possibili capolavori.

Pao: Okay ammetto che mi sono fermata qui, perché dall’ultima volta che ci siamo informate l’autore stava aggiungendo altri finali e non sappiamo com’è andata a finire la produzione di questo titolo.

Ele: Perché non dici che in realtà sei pigra e non avevi voglia di approfondire la versione Extended di Dear Red, quella che è su Steam?

Pao: Perché non è vero, non sapevo neanche che fosse stata effettivamente rilasciata la versione aggiornata del gioco!


Pao: …Sto perdendo la pazienza. Smettila di mettermi a disagio!

Libreria: Io..Ho finito il turno per oggi?

Ele: Ahahah! A disagio? Perché per una volta che ti lascio da sola non hai tutte le informazioni?

Pao: Oggi… Ho avuto fin troppo di cui occuparmi, ecco.

 

Ele: So cosa stai pensando, Novy. Vai pure, no problem. Sono davvero dispiaciuta che il tuo turno di oggi sia stato così corto e poco remunerativo

Libreria: Oh ma non è così importante, dopotutto è il primo giorno e…

 

Pao: Verrai retribuita ugualmente, non preoccuparti. Hai finito per oggi.

…………

 

Pao: …Sai cosa? Voglio proprio vedere come hai intenzione di portare avanti il tuo articolo la prossima volta.

Ele: Sicuramente non facendo cadere le braccia ai lettori con paragrafi e paragrafi di nozioni, su nozioni, su nozioni… Ugh!

Ele: Saprò catturarli sicuramente più di te!

Ele: Mmh… No, non dovrei dirlo io. Ragazzi, perchè non giudicate voi? Tenetevi aggiornati con il Ludi Tarantula Archives!

[1] Come dice qualsiasi manuale: gli eventi accadono in reazione a qualcosa.

Tin Coffee Pot Time – Introduzione!

“Salve, uhm… Sono…”

“Che? Non ti sento-”

“‘Spetta un secondo… C’è un’altra persona con te, Novella!”

“L’ho… L’ho notato! E’ in anticipo…”

 

“Quindi? Il programma non cambia! Sedetevi! Sedetevi!”

Tin Coffee

Pot Time

Dal repertorio di Hirokazu Akiyama

Ebbene miei cari, da quest’oggi saremo felici di presentare questa nuova e specialissima rubrica dedicata alle chiacchiere!
Non potevamo che presentare questa rubrica che stiamo preparando da giorni come lo speciale specialoso di Halloween, piaciuta la sopresina?

“…Sarei io la sorpresa?”

 

“Certo, cara! Tu terrai compagnia a noi e ai tanti lettori che vedranno quanto sei brava a lavorare qui!”

Oh cavolo. È svenuta.

Beh, cosa potremmo dire. Da come si presenta questa rubrica sembrerebbe qualcosa di estremamente stralunato e disorganizzato, ma vi posso assicurare che

 

 

 

 

 

“Sarà *esattamente* così!”

 

“Non finché mi occuperò del management.”

Davvero, veniamo alle cose serie. Quello che faremo in questa rubrica è semplicemente cercare di chiacchierare in maniera informale del più e del meno del mondo degli RPG Horror, non saranno articoli pre-impostati come quelli che avete visto finora nelle recensioni, negli articoli di approfondimento o in Back To The Future.

Cercheremo di organizzare i discorsi al meglio possibile per dedicarvi una lettura piacevole, fate finta di stare partecipando ad un incontro in una belliiissima biblioteca in cui si sentono chiacchiere e dibattiti, la Signorina Libreria ci assisterà con il materiale che illustreremo per gli articoli commentandolo assieme a noi!

“Piccolo update: Signorina Libreria… Ohi, tutto bene?”

Ci sono tre cose da sapere su questa rubrica, oltre la nostra graditissima ospite…

1- Il format potrebbe variare da un articolo all’altro. Individuato l’argomento principale di discussione potreste trovarvi vari tipi di articoli, da quelli che parlano di giochi singolarmente, recensioni a confronto, classifiche ed elenchi, indagini sull’audience e sul fandom e tante, tantissime considerazioni fatte nell’ambito degli Rpg Horror!

2– L’aspetto informale, come già avrete avuto modo di vedere

3- E la forte componente d’attualità in questo campo: anche se i contenuti analizzati potrebbero a prima vista sembrare datati le riflessioni che faremo saranno orientate al presente. C’è sempre una ragione per cui pubblicheremo un articolo sul Tin Coffee Pot Time.

Avviso di servizio da parte di Ele! A volte potreste ritrovarvi solo nelle mie… O nelle sue mani per un articolo intero. Ahi. 

Ehi, ehi, lo vedo che volete scappare! Restate piantati sulle sedie, non ci provate. Fateci salutare, almeno!

 

“Si, forza, Novella! Ora che stai bene non è arrivata l’ora di salutare il pubblico?”

“Oh mamma. Prevedo una sessione di lavoro molto difficile se continuiamo con quest’andazzo.”

“Lavoro? Aah, e dai! Hai detto che qui chiacchieriamo solo!”

“Soolo lavoro, seempre lavoro! Recensioni? Lavooro! Ritorno Al Futuro? Lavooooro! Anche il Tin Coffee Pot è lavoro ora?”

“Rilaassati sorè, rilaaaassati!”

 

“…Perchè l’accento strano?” **

“Eh, sentivo di farlo”

“…Oh mamma.”

**Dialogo più sensato nella versione inglese dell’introduzione, essendo il la battuta di Ele nel balloon in un… Accento straniero generico più o meno sgrammaticato in inglese.